venerdì 17 dicembre 2004

Viva I fantastici 5

Un bel format, che mette buon umore e sollecita nuove possibilità
di Aurelio Mancuso

Sono finalmente riuscito a vedere (grazie al provvidenziale video registratore ben posizionato sull’ora e il giorno giusti, da amorevoli mani) la prima puntata dei Fantastici 5. Sono contento di averlo visto dopo che, sono già uscite le recensioni sulla stampa e, soprattutto preparato dai commenti d’amici e amiche mi hanno subissato dei loro più diversi giudizi.

Dirò subito che non sono d’accordo con la mia amica Wladimir Luxuria, né con i tanti commenti un po’ ingenerosi che ho raccolto in giro. Mi sento invece più vicino ai molti e alle molte che hanno ricevuto dal programma una sensazione piacevole, leggera.

Ho passato un’oretta di vero relax, con la netta sensazione di avere poco in comune con molti dei modi e dei gusti esplicitati dai super 5, ma anche di avere tanto DNA da condividere. Se il lilla in una camera da letto, per me fa molto funerale, e al pesce crudo preferisco delle italianissime lasagne, è però altrettanto vero che il tentativo di scardinare l’ovvio, di immettere luce e colore nella grigia quotidianità dei tanti amici etero un po’ rozzi, mi convince, anzi mi conturba, perché, pur senza dargli connotati rivoluzionari, fa parte della nostra mission.

Un mondo differenziato, più allegro, anche più ironico e anche governato dagli spiritelli maligni che ogni tanto fanno capolino nei nostri giudizi, mi piace, mi concilia, mi desta vicinanza.

Se il pericolo, intravisto da molti, di ridurre di nuovo a stereotipo la nostra presenza televisiva (bravi i gay, sono così sensibili e di gusto) è sempre in agguato, è innegabile che proporre modelli positivi, non esaustivi delle omosessualità, non crea un danno, ma sollecita nuove possibilità.

Sicuramente i bear, si saranno sentiti più attigui ai gusti dell’etero Adriano, e le fashion spinte non si saranno potute immedesimare nella scelta dei nuovi vestiti, ma è questo il punto?

Quello che accomuna i 5 fantastici a tutti e, tutte noi è una modalità ironica, a tratti pessimistica e consapevole di non potercela fare a cambiare del tutto il punto di vista etero, che si esplicita più nei silenzi e negli sguardi, più che nei dialoghi, a volte forse ingessati.

Sviscerate le tante, anche prevedibili, critiche che provengono da noi stessi, non mi posso esimere da esprimere invece un incitamento ai 5 ragazzi, che con coraggio, faccia tosta e simpatia si sono consapevolmente messi in gioco (appunto un gioco) usando linguaggi e modalità semplici, riconoscibili, non altri rispetto a quelle che concretamente siamo tutti i giorni. Non cadiamo nemmeno noi nel tranello di prendere le distanze verso i gay che si occupano di moda, stili, ecc… Sono sicuramente una minoranza, appunto per questo preziosa e coerente con il nostro essere.

Certo attendiamo con fiducia altri tipi di rappresentazioni, di racconti del nostro vissuto quotidiano, ma i fantastici 5 non arrivano da Saturno, ma da Urano e, non dovremmo mai dimenticarlo.

Per cui bravi così….. attendiamo i prossimi episodi!

http://www.gaynews.it/view.php?ID=30352

Tv, cinque gay non fanno primavera

Abbiamo visto «I fantastici 5» su La7. Che ci sia è buona cosa, ma basta con gli stereotipi
di Vladimir Luxuria
Tratto da l'Unita del 17/12/2004

Quando ho visto la prima puntata del programma I fantastici 5, mercoledì scorso sulla «7», mi sono sentita come la valletta di Silvan dopo il numero della sega: a metà! Da una metà ho pensato: ma siamo in Italia? C'è un programma di argomento omosessuale alle 21.30, in prima serata, in piena fascia protetta? Ma che bello, finalmente c'è una tv e una produzione che non considera l'omosessualità un argomento da nascondere ai bambini e alle casalinghe! Era ora che qualcuno non sottovalutasse l'intelligenza e la sensibilità di mamme e prole! L'altra metà ha pensato: ma che brutto programma! Dall'America dobbiamo proprio importare tutto, anche questo format lanciato da Bravo, la rete via cavo di NBC Universal? Ne spiego il contenuto per chi se lo fosse perso: 5 gay si assumono il compito di «migliorare» la vita a un eterosessuale, 5 «supergay» (concetto diverso da «arcigay»!) hanno come missione speciale quella «di liberare il mondo dal cattivo gusto». Primo pregiudizio: i gay hanno buon gusto il resto del mondo no. I 5 gay sono così assortiti: Alfonso, napoletano, si occupa di «Food & Wine», traduci «gastronomia» per chi difetta di esterofilia linguistica; Guido, romano, di «Interior Design», traduci «arredamento» per tutti coloro che delegano la loro propria fantasia all'Ikea; Marco, romano, di «Beauty», ovvero «bellezza», come far diventare bello qualcuno nel corso di una puntata senza sfociare nella fantascienza; Massimo, calabrese, di «Fashion» traduci «moda», la categoria di quei gay che hanno acquistato il loro primo computer solo perché era grigio-Armani; Mattia, cremonese, di «Lifestyle», «stile di vita» perché da ora in poi cari etero decidiamo noi come dovete vivere! Il programma inizia con i fantastici 5 che salgono in macchina per raggiungere la casa del macho da correggere. La cavia è Adriano, ex pugile, ex modello...ma per il momento ancora eterosessuale! Vive con un'iguana in casa (a proposito di stranezze... queste sì di cattivo gusto!), adora fare le sue vacanze a Cuba ed è un ragazzo assolutamente dolce, educato e disponibile. È fidanzato con Francesca, la tipica ragazza della porta accanto, si vedono solo il sabato e la domenica, ma lui vorrebbe chiederle di andare a convivere con lui. E qui partono in azione i 5 gay: trasformare Adriano per renderlo più accettabile quando Francesca arriverà a cena a casa sua e lui le farà questa richiesta. L'etero si sottopone a tutto: sedute smaltimento fianchi per far sparire le maniglie dell'amore, una rivoluzione dell'arredamento con il risultato che era meglio prima (Guido gli rovina casa con delle tende sulle quali anche la Duse si sarebbe rifiutata di arrampicarsi, con un baldacchino degno solo della casa di Barbie e dei colori la cui libertà di esposizione dovrebbe essere limitata quando incontrano gli occhi di un'altra persona!). Alfonso gli fa preparare una cena nipponica a base di pesce crudo di difficile digestione anche per un inceneritore! Marco gli fa il pizzetto con il righello «per evidenziare le sue labbra carnose»! Massimo gli getta via dalla finestra tutti i suoi jeans senza neanche aver consultato la Caritas. Ma il bello deve ancora venire: i 5 nel loro loft (i gay sono tutti ricchi... secondo pregiudizio!) osservano da uno schermo come si comporta il loro allievo a cena con la ragazza. E qui il mio fastidio: ridono, sfottono, si disperano, approvano, giudicano; insomma, come se l'uguaglianza si possa raggiungere non migliorando il mondo ma ribaltando le categorie: siamo noi gay che dobbiamo giudicare! Se c'è una cosa di cattivo gusto proprio da migliorare è semmai lo stereotipo! Ma no...si tratta di gay «normalissimi», capelli corti, giacca...che però (colti dalla sindrome di Jonathan del Grande Fratello) urlano, sculettano e si muovono al cui confronto una travestita come me sembra più virile di Adriano Pappalardo (l'abito non fa il monaco: terzo pregiudizio!) Peccato, un'occasione persa...ma se qualcuno ha spianato la strada al «Metti un gay in prima serata» qualcosa di buono prima o poi arriverà!

http://www.gaynews.it/view.php?ID=30347

La7, il governo Zapatero e le sue riforme domani ore 21 a 'L'Infedele'

Spagna, una nuova guerra civile? Il governo Zapatero e le sue riforme radicali, dal matrimonio gay all'ora di religione facoltativa, saranno al centro della puntata de 'L'Infedele' di Gad Lerner in onda domani alle 21 su La7.

La societa' spagnola sta vivendo una riscossa o una 'mala revolucion' come denuncia la Chiesa? Ospite di Gad Lerner sara' lo scrittore Javier Cercas, autore del best seller sulla guerra civile 'I soldati di Salamina'.

Parteciperanno inoltre: la giornalista cattolica Paloma Gomez Borrero di Cope Radio; il regista teatrale Luis Pasqual; il corrispondente di Antena 3, Antonio Pelajo, presidente dell'Associazione Stampa Estera; la storica femminista Milagros Rivera Garretas dell'Universita' di Barcellona; il giornalista Daniele Scalise; Luigi Geninazzi di 'Avvenire' e gli studiosi Alfonso Botti, Stefano Ceccanti e Carmelo Adagio.

La Giustizia non è cosa loro

di Antonio Padellaro

Primo. Carlo Azeglio Ciampi è il presidente della Repubblica italiana e, come tale, è anche il presidente del Consiglio superiore della magistratura. Come presidente di tutti i magistrati Ciampi ha giudicato gravemente incostituzionali, cioè in aperta violazione della Costituzione della Repubblica italiana, non uno ma sette punti cruciali e nevralgici nella legge Castelli sulla riforma dell’ordinamento giudiziario. Legge che ha rinviato alle Camere. Come presidente di tutti gli italiani Ciampi ha colto lo smarrimento dei cittadini e ha risposto con il senso istituzionale che tutti gli riconoscono di fronte al tentativo palese e violento di sottomettere il potere giudiziario e porlo alla mercé del potere esecutivo.

Potere esecutivo oggi rappresentato da Berlusconi, premier prescritto per il reato di corruzione di un giudice, e dal suo clan di imputati pluricondannati per corruzione di giudici e reati di mafia. Sottomissione tentata dal capo e dal clan in aperta violazione della Costituzione che sommamente garantisce l’equilibrio dei tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.

Secondo. Nel messaggio al Parlamento il capo dello Stato vivamente deplora l’andazzo governativo che consiste nel costringere i deputati e i senatori a gettone ad approvare le leggi a colpi di maxiemendamenti. Ciò per evitare il rischio delle troppe votazioni nel caso i gettoni non bastassero. La cosiddetta riforma Castelli, per esempio, è stata compressa sotto vuoto spinto in due soli articoli. Il secondo dei quali, osserva indignato Ciampi «consta di 49 commi ed occupa 38 delle 40 pagine di cui si compone il messaggio legislativo; e ciò in aperto spregio dell’articolo 72 della Costituzione, secondo cui ogni legge deve essere approvata «articolo per articolo e con votazione finale».

Terzo. Di fronte a una simile eclatante figuraccia il capoclan e ministri del clan sorridono, minimizzano e fanno gesti per segnalare ad amici e complici di non temere che poi qualche aggiustamento si trova. L’irresistibile ministro Castelli si dice addirittura soddisfatto e sospira un «poteva andare peggio» che la dice lunga sull’opera di scasso costituzionale alla quale si è diligentemente applicato con il consiglio dei giuristi dello studio Previti.

Davvero infaticabile e diuturno il lavorìo del clan per sfuggire ai rigori della legge. Di giorno vengono condannati o prescritti nelle aule di giustizia. Di notte studiano un ingegnoso “pacchetto anticrimine” per consentire la non punibilità del braccio destro, Previti, due condanne per corruzione, e restituito con la legge personale alla più incontaminata innocenza. Poi toccherà al braccio sinistro, Dell’Utri, la cui salvezza dalle patrie galere (nove anni) prevede l’abolizione di un intero blocco, o giù di lì, del codice penale: quello sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

La banda del buco scassina e sfonda e non importa se nello sforzo di aprire un varco ai compari si deformi lo Stato di diritto e cadano interi muri maestri di legalità. Per amnistiare Previti riducono la prescrizione per il reato criminale di associazione mafiosa. Per amnistiare Previti riducono la prescrizione per l’usura. Per amnistiare Previti riducono la prescrizione per l’incendio doloso. Per amnistiare Previti riducono la prescrizione per la corruzione e per la corruzione in atto giudiziari. «Voi», gli ha detto in faccia alla Camera il segretario dei ds Piero Fassino, «riducete la prescrizione per reati che vengono commessi dalla criminalità organizzata, che inducono un allarme sociale gravissimo e che producono una lacerazione del tessuto sociale del paese». Uno scempio tale che perfino il direttore di «Libero» Vittorio Feltri, che con il premier non è certo maldisposto, si è detto un po’ schifato: rivolto a Berlusconi gli ha spiegato che tutti ma proprio tutti gli italiani hanno capito che certi aggiustamenti del Codice «sono volti a parare le terga di due signori a lei molto vicini». Silenzio di tomba invece dalle parti del «Corriere della Sera» dove Paolo Mieli tace ancora sgomento per l’incredibile vulnus inferto alla giustizia italiana dall’intervento di Dario Fo al congresso di Magistratura Democratica.

Stanco di confezionare leggi ad personam, e discredito delle istituzioni in quantità industriale, il clan ha pensato di risolvere il problema alla base con l’apposita legge Castelli. Attraverso, cioè, l’intimidazione dei magistrati, l’indebolimento del Csm (l’organo di autogoverno dei giudici) e il potere del ministro di Giustizia di decidere carriere, promozioni e punizioni. Gli è andata male perché Ciampi li ha fermati. Ci riproveranno di sicuro. E se gli servirà, faranno anche di peggio. Almeno per oggi, però, la giustizia non è cosa loro.

apadellaro@unita.it

da l'Unità del 17/12/2004

Check-up medico per Gollum, il personaggio de Il Signore degli Anelli

di Roberto Arduini

Gollum, l’angosciante e al tempo stesso travagliato personaggio de Il Signore degli Anelli, era veramente cattivo? Era stato plagiato dall’Anello? No, semplicemente soffriva di personalità schizoide e di una disfunzione della tiroide. È questa la sorprendente conclusione che si può leggere nella «cartella clinica» di Gollum, compilata da un gruppo di trenta studenti di medicina dell'University College di Londra e pubblicata sul British Medical Journal.

Uscito dalla penna del professore inglese J.R.R. Tolkien, novello Calibano dell’epoca nostra, straordinariamente moderno in un mondo lontano e immaginario, è il personaggio che più colpisce de Il Signore degli Anelli, il più vicino, forse il più “umano”. Sempre in dubbio tra luce e ombra, afflitto da dubbi, capace di cose terribili, ma anche di gesti amichevoli, Gollum racchiude in sé due personaggi, lo hobbit Sméagol (il buono/la luce) e la creatura Gollum (il cattivo/l’ombra), che non solo convivono nel medesimo corpo, ma si parlano ed entrano più volte in conflitto. La fine di Gollum è tragica, ma ora abbiamo anche una “motivazione medica” ai suoi strani comportamenti. Dopo aver esaminato il paziente (si tratta di “un single, 587 anni d’età, molto simile a uno hobbit adulto maschio, senza fissa dimora”), i medici hanno emesso una diagnosi. Scorrendola, si viene a sapere che Gollum è un soggetto disturbato, con un quadro clinico ben definito: "personalità schizoide".

Esaminando il suo comportamento solitario e antisociale, il rancore verso il mondo, le sue fissazioni, la difficoltà di relazione con gli altri, i repentini sbalzi d'umore, l'emotività a tratti paranoica, la preoccupazione per “l’Unico Anello”, i medici hanno escluso malattie con sintomi simili, come un tumore al cervello, che non avrebbe avuto tempi così lunghi di permanenza. Ma ci posso essere state delle concause. La carenza di vitamina B-12 (Gollum si nutre solo di pesce e carne cruda), potrebbe aver causato la sua estrema irascibilità e la paranoia. Il suo ridotto appetito e la perdita dei capelli possono essere associati alla carenza di ferro. La sua iperattività sembra non necessitasse di molte ore di riposo. La conclusione è che, almeno dal punto di vista fisico, Gollum probabilmente soffriva di un evidente ipertiroidismo. La sua fotofobia, il terrore per il sole, potrebbe essere dovuto a una forma di porfiria non acuta (malattia metabolica rara ed ereditaria).

Per giungere alla diagnosi finale sul disturbo mentale, però, i medici hanno concentrato l’attenzione soprattutto sulla scissione della personalità nei due «io» nettamente definiti, pavido e passivo l’uno (Sméagol), aggressivo e subdolo l’altro (Gollum). C’era il dubbio che potesse trattarsi di sdoppiamento della personalità. Ma questo disturbo mentale è stato scartato perché le delusioni tipiche non si adattavano alla personalità di Gollum e contrastavano con la sua incrollabile “fede” nell’Anello. Nella Terra di Mezzo, il potere di questo oggetto è reale e la passività mostrata dal personaggio è dovuta chiaramente all'influenza dell’anello, come accade del resto a tutti i portatori dell’Anello. Ma non si può parlare di sdoppiamento della personalità soprattutto perché nessuna delle due sopprime l’altra quando si manifesta, e Gollum è ben consapevole dell'esistenza contemporanea di Sméagol.

Il personaggio, invece, presenta una repentina capacità di mutare comportamento al mutare delle situazioni, sintomo evidente fin dall’infanzia, e acutizzatosi sempre più col passare del tempo. Le sue fissazioni lo hanno portato ad avere difficoltà di relazione con gli altri, fino all’isolamento più completo. Così, il referto medico è che «il paziente corrisponde a sette dei nove criteri per i disturbi di una personalità schizoide. Se dobbiamo esprimere un giudizio sulla malattia di Gollum, questa è la nostra diagnosi», ha concluso la dottoressa Elizabeth Sampson, che ha diretto l’équipe di giovani medici.

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=39769

giovedì 16 dicembre 2004

Ciampi rinvia alle camere la Legge di riforma della Giustizia

Ecco Il testo integrale del messaggio:

Onorevole Presidente, Le trasmetto il messaggio con il quale chiedo alle Camere una nuova deliberazione, ai sensi dell' articolo 74, primo comma, della Costituzione, sulla legge: Delega al Governo per la riforma dell' ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonchè per l' emanazione di un testo unico«, approvata dal Senato della Repubblica il 21 gennaio 2004, modificata dalla Camera dei Deputati il 30 giugno 2004, nuovamente modificata dal Senato della Repubblica il 10 novembre 2004 e approvata in via definitiva dalla Camera dei Deputati il 1 dicembre 2004. Voglia gradire, Onorevole Presidente, i sensi della mia più alta considerazione.

Cio premesso, espongo qui di seguito quanto da me rilevato. 1. L' articolo 2, comma 31, lettera a), così recita: «(Relazioni sull' amministrazione della giustizia). 1. Entro il ventesimo giorno dalla data di inizio di ciascun ano giudiziario, il Ministro della giustizia rende comunicazioni alle Camere sull' amministrazione della giustizia nel precedente anno e sulle linee di politica giudiziaria per l' anno in
corso...».

Questa norma, laddove prevede che le comunicazioni del Ministro della giustizia alle Camere comprendono le «linee di politica giudiziaria per l' anno in corso», si pone in evidente contrasto con le seguenti disposizioni costituzionali: con l' articolo 101, in base al quale i giudici «sono soggetti soltanto alla legge»; con l' articolo 104, secondo cui la magistratura «costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere»; con l' articolo 110, che, nel definire le attribuzioni del Ministro della giustizia, le limita - «ferme le competenze del Consiglio superiore della magistratura» - alla «organizzazione» e al «funzionamento dei servizi relativi alla giustizia».

La norma approvata dalle Camere configura un potere di indirizzo in capo al Ministro della giustizia, che non trova cittadinanza nel titolo IV della Costituzione, in base al quale l' esercizio autonomo e indipendente della funzione giudiziaria è pienamente tutelato, sia nei confronti del potere esecutivo, sia rispetto alle attribuzioni dello stesso Consiglio superiore della magistratura.

Aggiungo che l' indicazione di obiettivi primari che l' attività giudiziaria dovrebbe perseguire nel corso dell' anno («linee di politica giudiziaria») determina di per sè la violazione anche dell' articolo 112 della Costituzione, in base al quale «il pubblico ministero ha l' obbligo di esercitare l' azione penale»; il carattere assolutamente generico della formulazione della norma in esame crea uno spazio di discrezionalità politica destinato ad incidere sulla giurisdizione.

2. Strettamente connessa a quella appena esaminata è la questione posta dal criterio direttivo della delega indicato dall' articolo 2, comma 14, lettera c); «istituzione presso ogni direzione generale regionale o interregionale dell' organizzazione giudiziaria dell' ufficio per il monitoraggio dell' esito dei procedimenti, in tutte le fasi o gradi del giudizio, al fine di verificare l' eventuale sussistenza di rilevanti livelli di infondatezza giudiziariamente accertata della pretesa punitiva manifestata con l' esercizio dell' azione penale o con mezzi di impugnazione ovvero di annullamento di sentenze per carenze o distorsioni della motivazione, ovvero di altre situazioni inequivocabilmente rivelatrici di carenze professionali».

Anche questa disposizione si pone in palese contrasto con gli articoli 101, 104 e 110 della Costituzione. Infatti, se si considera la finalità espressamente indicata dalla norma, risulta evidente che il monitoraggio dell' esito dei procedimenti - fase per fase, grado per grado - affidato a strutture del Ministero della giustizia, esula dalla «organizzazione» e dal «funzionamento dei servizi relativi alla giustizia», che costituiscono il contenuto e il limite costituzionale delle competenze del Ministro.

Inoltre, da questa forma di monitoraggio, avente ad oggetto il contenuto dei provvedimenti giudiziari, deriva un grave condizionamento dei magistrati nell' esercizio delle loro funzioni; in particolare, il riferimento alla possibilità di verificare livelli di infondatezza «della pretesa punitiva manifestata con l' esercizio dell' azione penale» integra una ulteriore violazione del citato articolo 112 della Costituzione.

L' assegnazione da parte del Consiglio superiore della magistratura deve avvenire «secondo l' ordine di graduatoria di cui rispettivamente al concorso per titoli ed esami, scritti ed orali, o al concorso per soli titoli, salvo che vi ostino specifiche e determinate ragioni delle quali deve fornire dettagliata motivazione e, a parità di graduatoria, secondo l' anzianità di servizio» (articolo 2, comma 1, lettera l) numero 3.5). Nello stesso senso recitano le disposizioni contenute nei numeri 4,5, 7.5 e 9.5 della lettera l) e, per le funzioni semidirettive, nel numero 2 della lettera m).

Il sistema sopra delineato sottopone sostanzialmente il Consiglio superiore della magistratura a un regime di vincolo che ne riduce notevolmente i poteri definiti nel citato articolo 105 della Costituzione. L' invasione della sfera di competenza riservata al Consiglio è particolarmente evidente nell' ipotesi in cui i candidati siano stati esclusi nell' ambito delle predette procedure. Infatti, allorchè manchino il favorevole giudizio conseguito presso la Scuola superiore o la positiva valutazione nel concorso da parte della commissione, il Consiglio non può neppure prendere in considerazione la posizione del
candidato escluso.

Per i motivi di palese incostituzionalità innanzi illustrati, chiedo alle Camere - a norma dell' articolo 74, primo comma, della Costituzione - una nuova deliberazione in ordine alla legge a me trasmessa il 3 dicembre 2004.

Con l' occasione ritengo opportuno rilevare quanto l' analisi del testo sia resa difficile da fatto che le disposizioni in esso contenute sono condensate in due soli articoli, il secondo dei quali consta di 49 comuni ed occupa 38 delle 40 pagine di cui si compone il messaggio legislativo.

A tale proposito, ritengo che questa possa essere la sede propria per richiamare l' attenzione del Parlamento su un modo di legiferare - invalso da tempo - che non appare coerente con la ratio delle norme costituzionali che disciplinano il procedimento legislativo e, segnatamente, con l' articolo 72 della Costituzione, secondo cui ogni legge deve essere approvata «articolo per articolo e con una votazione finale».

http://www.unita.it/index.asp?topic_tipo=&topic_id=39755

E anche Biancaneve ha la sua patch!!

Che in Microsoft non mancasse la fantasia di generare sul proprio sistema bug/patch di ogni tipo era cosa nota....ma chi mai avrebbe pensato ad un bug su "biancaneve e i sette nani"?

Dal sito della Microsoft:

Questo aggiornamento consente di risolvere il problema "Playback and Copy-Protection Issues When You Try to Play the Snow White and the Seven Dwarfs DVD Movie" in Windows XP ed è documentato nell'articolo della Microsoft Knowledge Base (KB) numero Q310510. Eseguendo il download sarà possibile riprodurre correttamente il DVD Disney "Biancaneve e i sette nani".

http://www.microsoft.com/downloads/details.aspx?FamilyID=905b4d10-9cde-4d32-b576-c942d1375ceb&displaylang=it

mercoledì 15 dicembre 2004

Un paese ad personam

di EZIO MAURO

C'è un'emergenza crimine nel Paese che preoccupa i cittadini, e che dovrebbe impegnare in prima linea il governo, con la sua cultura propagandistica da "tolleranza zero". No. In piena emergenza, Forza Italia si trasforma ancora una volta in un manipolo aziendale per la tutela degli interessi personali di Cesare Previti, che incatena ai suoi destini la decenza di un partito, di una maggioranza parlamentare, di una coalizione, del governo: e purtroppo dell'Italia.

La Casa delle Libertà oggi prova in Parlamento a liberare ad ogni costo Cesare Previti, già condannato due volte per corruzione. Non potendo più fermare i suoi giudici né camuffare il reato, si tenta di renderlo impunibile. Come? Semplice. Si costruisce un fittizio "pacchetto anticrimine" per fingere di legiferare nell'interesse del Paese, e nel pacchetto si inserisce una norma che abbatte i tempi di prescrizione per molti reati pesanti come l'usura, il furto aggravato, l'incendio doloso, ma soprattutto la corruzione. Consentendo a Previti di trovare la strada su misura per evitare il suo giudice, a Berlusconi e a Dell'Utri di non ricorrere nemmeno in appello.

Che dire? Due cose soltanto. Queste vicende possono compiersi solo in un Paese pronto a tutto, dove una vera e propria complicità intellettuale permette che il reato criminale riduca la politica a servaggio, per cambiare in Parlamento la sua natura. Un processo alchemico scellerato, che deforma lo Stato di diritto e dimostra la falsità del teorema che voleva Berlusconi "costretto" alle leggi ad personam. Ora che è stato prosciolto, le leggi ad personam continuano, per quei soci-padroni capaci di tenere in ostaggio il lato più oscuro di un uomo che dovrebbe governare l'Italia, e la umilia con un Parlamento asservito.
(15 dicembre 2004)

http://www.repubblica.it/2004/j/sezioni/politica/previtiemenda/personam/personam.html

lunedì 13 dicembre 2004

Sabato 18 e Domenica 19 torna la candela di Amnesty International

Sabato 18 e domenica 19 dicembre si svolgeranno in tutta Italia le 'Giornate Amnesty 2004'. In questa occasione - che si ripete annualmente da oltre dieci anni - migliaia di attivisti dell'associazione porteranno nelle piazze italiane la candela di Amnesty International per sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema dei diritti umani e promuovere la raccolta fondi a favore del movimento.

Presso le centinaia di punti-Amnesty presenti in tutta Italia, sara' possibile sottoscrivere gli appelli della campagna 'Mai piu' violenza sulle donne', diventare soci di Amnesty e acquistare, con soli 7 euro, la candela simbolo del movimento che da 43 anni agisce per chiedere il rispetto e l'applicazione della Dichiarazione universale dei diritti umani. La candela e' disponibile nei seguenti colori e profumazioni: rosso-patchouli, verde-muschio bianco, blu-lavanda.

Come ogni anno, il ricavato dell'iniziativa servira' a finanziare le attivita' del movimento. Per poter continuare a chiedere liberta' per i prigionieri di opinione, processi equi e rapidi per tutti i prigionieri politici, l'abolizione della pena di morte e la fine di torture, sparizioni ed esecuzioni extragiudiziali, Amnesty ha bisogno del sostegno economico dei suoi iscritti e di tutti gli appartenenti alla societa' civile.

Chi non avra' la possibilita' di intervenire alle 'Giornate Amnesty 2004', potra' acquistare la candela rivolgendosi al numero 06 4490213 per effettuare il pagamento con carta di credito. Le spese di spedizione verranno addebitate nella misura di 1,80 euro per l'acquisto di una candela e di 5 euro fino a dieci candele, con consegna a domicilio in 5 giorni, sabato e domenica esclusi.

Per ogni ulteriore informazione sulle 'Giornate Amnesty':
http://www.amnesty.it/primopiano/ga_2004

domenica 12 dicembre 2004

Ci siamo anche noi omosessuali normali

Un lettore anonimo scrive a Repubblica lamentandosi che "Nella nostra società odierna, fintamente tollerante l'omosessualità ha unicamente i connotati dello sguaiato e del macchiettistico"

C'è una cosa che mi disturba molto, essendo io omosessuale, ed è la rappresentazione che viene fatta dell'omosessualità soprattutto in televisione. Nella nostra società odierna, fintamente tollerante l'omosessualità ha unicamente i connotati dello sguaiato e del macchiettistico. Il giovane che ha vinto l'ultima edizione del "Grande Fratello", il travestito Platinette, il cartomante Solange, sono esempi caricaturali e servono solo a rinsaldare in molti eterosessuali la convinzione rassicurante che l'omosessuale sia immediatamente identificabile, qualcuno che nella sua esibita diversità («anormalità») può di volta in volta suscitare il riso o il fastidio. Essere omosessuali, pur nella libertà di ognuno di esserlo come crede, significa semplicemente avere un orientamento sessuale diverso da quello della maggioranza, il che, naturalmente, è perfettamente compatibile con giacca e cravatta e sobrietà, e non necessità di lustrini e fondotinta, utili solo a rinsaldare vieti e utili stereotipi.

da La Repubblica del 12 dicembre 2004

Quando in un Paese la giustizia funziona

di EUGENIO SCALFARI

"Si ode a destra uno squillo di tromba / a sinistra risponde uno squillo". Oppure: "Se voi suonerete le vostre trombe noi suoneremo le nostre campane". Scegliete voi, cari lettori, quali di questi due celebri motti sia più adatto a rappresentare le due sentenze susseguitesi di poche ore e rispettivamente riguardanti Silvio Berlusconi (tribunale di Milano) e Marcello Dell'Utri (tribunale di Palermo).

A me sembra più adatto il primo: dà conto dei fatti, la magistratura ha parlato, è stata finalmente messa in condizioni di andare a sentenza dopo anni di esame delle carte processuali e (nel caso Berlusconi-Previti) di impedimenti processuali e legislativi pervicacemente frapposti dagli imputati e dai loro difensori per guadagnar tempo e far scorrere il più possibile i termini della prescrizione. Poi ci si lamenta per le lentezze della giustizia quando sono stati proprio due imputati eccellentissimi a farla avanzare col passo del gambero e della lumaca.

Il secondo motto configura piuttosto lo spirito dei commenti alquanto esagitati diffusi dai dirigenti del centrodestra subito dopo la condanna di Dell'Utri: la sentenza di Palermo vista come rappresaglia dei giudici palermitani rispetto a quella parzialmente liberatoria dei giudici milanesi.

Questi ultimi lodati, i primi vilipesi senza eccezioni. Commenti stonati, di fronte ai quali spicca il riserbo e la prudenza del centrosinistra, dove nessuno si è peritato di buttarla in politica, neppure quelli che hanno espresso rammarico per il mancato rifiuto da parte del presidente del Consiglio di non accettare il proscioglimento per prescrizione, applicato dal tribunale ad uno dei capi d'imputazione, come la carica che ricopre avrebbe dovuto consigliargli.

In realtà le sentenze dei due tribunali rappresentano l'essenza della normale e corretta attività di giurisdizione affidata alla magistratura giudicante in libera dialettica con la pubblica accusa, le parti civili e la difesa degli imputati e, soprattutto, sono il risultato della libera valutazione dei fatti e l'applicazione ad essi delle norme vigenti.

Può darsi che i giudici dell'appello emendino la condanna a Dell'Utri o può darsi che la confermino. Sulla base delle risultanze emerse in processo, per quello che ne è stato ampiamente riferito dai giornali, a noi sembra che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa sia stato ampiamente provato. Il collegio giudicante comunque, dopo aver discusso per ben tredici giorni in camera di consiglio e dopo sette anni da quando l'inchiesta della Procura ebbe inizio, ha concluso in modo limpido e netto per la colpevolezza.

Dell'Utri, nella sua dichiarazione successiva alla condanna, ha anche ribadito che proseguirà nella sua attività politica e adempirà all'importante incarico che Berlusconi gli ha affidato di organizzatore della campagna elettorale di Forza Italia. È un suo diritto: innocente presunto fino a sentenza definitiva.

Certo l'accusa per la quale è stato condannato è molto pesante. La sensibilità d'una persona normale opterebbe piuttosto, se non sulle dimissioni dalla carica di senatore, almeno sull'astensione da incarichi di rilievo che hanno come destinatari nientemeno che gli elettori. Ma la sensibilità morale è ormai una merce rarissima. Pensare di trovarla nell'anima di Marcello Dell'Utri equivarrebbe a sognare ad occhi aperti. Infatti nessuno ci ha mai pensato.

È stata invece sorprendente la solidarietà "umana" manifestatagli con pubblica dichiarazione dal presidente della Camera alla vigilia della sentenza. Casini ricopre una carica costituzionale molto elevata. L'amicizia personale, se del caso, la si esprime in forme strettamente private. Esternata pubblicamente getta un'ombra di interferenza nei confronti del potere giudiziario che Casini avrebbe potuto e anzi dovuto rigorosamente evitare.

* * *

Più complessa, pur nelle venti righe del suo dispositivo, è stata la sentenza del tribunale di Milano nei confronti di Silvio Berlusconi. I colleghi D'Avanzo e Giannini ne hanno già ampiamente scritto sul nostro giornale di ieri.

Aggiungerò poche osservazioni ai loro commenti. A me sembra che i giudici milanesi non siano stati pusillanimi né che abbiano scelto una via mediana e indolore usando un eccesso di sottigliezza giuridica. Dovevano giudicare tre capi d'imputazione che configuravano tutti e tre la corruzione di magistrati. In un caso l'imputato è stato assolto con formula piena (regalo di gioielli nel corso d'un viaggio di vacanza).

In un altro caso, che configurava una corruzione connessa ad un processo specifico, l'imputato è stato assolto sulla base dell'articolo 530 del codice di procedura penale che consente l'assoluzione se le prove non sono ritenute sufficienti. Nel terzo caso (denari versati dalla Fininvest al magistrato Squillante) la prova (hanno detto i giudici) è stata raggiunta ma, con la concessione delle attenuanti, il reato risulta prescritto e quindi l'imputato è prosciolto.

Sentenza pusillanime? Ho già detto che a me non sembra. La sola, vera questione sta nella concessione delle attenuanti generiche. Potevano concederle o negarle. E quindi prosciogliere (come hanno fatto) o condannare.

Giuridicamente cambiava molto; politicamente e moralmente non cambia quasi nulla. La sentenza ha infatti accertato che Berlusconi ha versato 500 milioni di lire a Squillante (già condannato nel processo collaterale a otto anni di reclusione) per corromperlo.

È uno dei reati più gravi previsti dal nostro codice. Il fatto che il decorso dei termini lo abbia prescritto non cambia nulla nel giudizio morale e politico. Sempre che, naturalmente, i giudici di appello non modifichino e capovolgano la sentenza di primo grado in senso assolutorio per l'imputato.

Qualcuno ha scritto che la sentenza smentisce l'impianto accusatorio della Procura. Non mi pare. Un'assoluzione per insufficienza di prove e un proscioglimento per decorrenza di termini non distrugge un bel niente, al contrario conferma almeno per la metà l'impianto accusatorio. Allo stesso tempo dimostra l'indipendenza e la terzietà del collegio giudicante rispetto al Pubblico ministero. Che si vuole di meglio e di più? Non dobbiamo essere rispettosi del libero convincimento dei magistrati? Non è su di esso che si basa soprattutto l'indipendenza della giurisdizione? E non è quello il bene da tutelare ad ogni costo e che (sia detto qui incidentalmente) la riforma della giustizia approvata pochi giorni fa dal Parlamento ed ora alla firma del presidente della Repubblica, fa di tutto per condizionare e financo impedire?

* * *

Mi restano ancora da fare poche osservazioni su due questioni importanti: le connessioni politico-morali tra il processo Dell'Utri e Berlusconi; i rapporti, in generale, tra la politica e l'attività di giurisdizione.
Sulla prima questione non c'è che constatare come nell'intero processo Dell'Utri si veda in filigrana l'ombra di un convitato di pietra; nell'opera mozartiana si tratta del Commendatore, qui il convitato di pietra è un Cavaliere.

Tutta l'attività di Dell'Utri nella sua presunta collaborazione esterna con l'associazione mafiosa si svolge, in Sicilia come a Milano, nell'interesse della Fininvest e fa parte integrante della storia della Fininvest ai suoi albori, alle sue prime affermazioni imprenditoriali, alle sue iniziali e consistenti accumulazioni finanziarie. In sede giudiziaria il processo riguarda esclusivamente Dell'Utri; ma in sede politico-morale riguarda direttamente anche Berlusconi. I due sono legati a filo doppio come, su un altro versante, Berlusconi è legato a Cesare Previti.

Fini e Follini (e Bossi e Tremonti) conoscono perfettamente questa realtà. Il loro silenzio, anzi la copertura blindata che hanno sempre dato al Capo su questo terreno, pesa come un macigno sulla fragilità dei loro piccoli strappi e minime ribellioni. Simul stabunt, simul cadent.

E ora la questione del rapporto tra la politica e la giurisdizione. "Sarebbe ora - scrivono molti dei nostri terzisti in servizio permanente effettivo - che politici e magistrati comprendessero di svolgere due attività separate e distinte nelle quali debbono reciprocamente guardarsi dall'interferire". "In democrazia non è vero che la legge sia eguale per tutti". "I politici non possono esser giudicati dai magistrati, rispondono soltanto ai loro pari e al popolo degli elettori".

Queste affermazioni contengono una verità ovvia e una pericolosa bugia. La verità ovvia sta nel fatto che la giurisdizione non può avere ingresso nell'attività legislativa del Parlamento così come governo e Parlamento non possono avere ingresso nelle attività istruttorie e processuali. Ma - ecco la nefasta bugia - il politico che commetta reati comuni, tanto più se li ha commessi prima di ricoprire un qualsivoglia ruolo politico, è soggetto alla legge e alla giurisdizione né più né meno d'ogni altro cittadino. Non può invocare alcuna particolare immunità né alcuna particolare indulgenza né alcun foro speciale. Salvo il caso in cui si tratti non già di reati comuni ma di reati politici, per i quali infatti esistono speciali procedure che culminano nell'impeachment, cioè nello stato d'accusa votato dal Parlamento e rimesso per il giudizio alla Corte costituzionale.

È singolare che i nostri terzisti confondano tra loro concetti così elementari e incalzino i magistrati affinché rispettino il ruolo dei politici astenendosi dall'applicare anche a essi quel sindacato di legalità la cui esistenza distingue lo Stato di diritto dai regimi totalitari. O si tratta di ignoranza delle norme ordinamentali e dei principi del diritto, oppure si tratta di malafede partigiana.
(12 dicembre 2004)

http://www.repubblica.it/2004/l/sezioni/politica/dellutri/gustiscalfari/gustiscalfari.html

Intorno a Prodi

di Furio Colombo

Non c'è bisogno di commentare la sentenza Dell'Utri. È come una lapide. Basta leggerla.
Non c'è bisogno di riparlare della cosiddetta assoluzione di Berlusconi annunciata da tutti i telegiornali e giornali italiani. Berlusconi è stato riconosciuto responsabile di «corruzione semplice» (pagamento diretto di danaro a un giudice) solo perché al tempo della imputazione del reato non esisteva la «corruzione giudiziaria», diventata materia di reato solo dopo l'inizio di quella umiliante vicenda.

Non c'è bisogno di ripetere ciò che l'ex presidente Cossiga ha detto in Italia, ma che chiunque avrebbe detto in Europa e in America: il portatore di una simile ombra dovrebbe dimettersi. Sappiamo di vivere in un contenitore stagno chiamato Italia, in cui non circolano libere informazioni. C'è una sola porta, una sola estrema uscita di sicurezza: il voto. Berlusconi lo sa e sta cercando con tutti i mezzi di cui dispone di sigillare quella porta. Vediamo.

***

Con uno scatto di vitalità, il capo del governo, di Forza Italia e di Mediaset ci ha fatto sapere che la campagna elettorale è iniziata. È la sua campagna elettorale. Riguarda se stesso. Cerca il trionfo, non solo la vittoria. Chiede il potere permanente, non un rinnovo dell'alternanza. Immagina, e si aspetta, il dominio pieno e completo sui suoi alleati. Quanto ai partiti e ai dirigenti di quei partiti, li vede come vassalli, valvassini e valvassori, destinati a popolare la sua corte, con buoni vantaggi personali, ma un destino di ubbidienza, come si è visto in quest'ultimo periodo. C'era maretta, c'erano spunti di ribellione. Uno scatto del capo-padrone li ha messi tutti in riga e ha chiuso definitivamente il discorso, intruppando ciascuno, anche coloro che avevano affidato ai media sproporzionati messaggi di indipendenza, nella casella prestabilita. Quanto ai cittadini, lui li vede e li indica sempre come «il pubblico» da cui esige esclusivamente applausi.

Molti italiani (tanti da far stare continuamente sul chi vive il personaggio di cui parliamo) lo sanno ma non amano parlarne. Conoscono il piglio deciso e la forza di Berlusconi, pensano che non sia il caso di dire apertamente quello che pensano, hanno visto che non è andata bene a chi ci ha provato, per quanto illustre. Chi ti protegge, se i suoi ti attaccano?
E ormai sappiamo che lo fanno sempre, subito, in tanti, e senza scrupoli.

Sentite che cosa è stato prontamente scritto contro Romano Prodi, ex presidente della Commissione Europea e leader di tutta l'opposizione italiana, quando si è permesso di dire che le «camicie azzurre» di Berlusconi, militanti a pagamento secondo l'annuncio dato da Berlusconi stesso, sono «mercenari»: «Si può rispondere a Prodi che quando uno definisce mercenari i militanti del partito di maggioranza (si noti il riferimento deliberato alla sacralità di quel partito, ndr) egli si qualifica politicamente come un fior di mascalzone, punto e basta» (Il giornale, 6 dicembre).

***

Ma il silenzio degli italiani per molti necessario (pensiamo a tutti coloro che lavorano nell'informazione e in tutti i tipi di strutture pubbliche) per altri consigliato dalle circostanze, non impedisce che essi (probabilmente in numero molto grande, se e quando troveranno il coraggio di dirlo) si rendano conto di un fatto che è sotto gli occhi di tutti. Non c'è nulla, nella irresistibile ascesa di Silvio Berlusconi, che riguardi l'Italia e gli italiani. Hanno capito tutti, anche i meno esperti di questioni fiscali, la natura esclusivamente personale ed elettorale del cosidetto «taglio delle tasse», che ha richiesto una monumentale alterazione dei conti, ha reso giustamente sospettosi i controllori europei, ha spostato e aumentato la pressione fiscale in altri punti, pur di costruire un piedestallo elettorale per il solo Berlusconi. La sarabanda della cosidetta assoluzione nel processo Sme è nella stessa linea e con lo stesso stile del lavorare esclusivamente per il trionfo personale di Berlusconi. Prima della sentenza è stata massacrata la giustizia italiana per diminuire il danno e disporre di accuse contro i giudici in caso di condanna. La giustizia è stata massacrata in decine di dichiarazioni più degne di una tifoseria che dei commenti politici a un evento giuridico anche dopo la sentenza. È cominciata una nuova danza di guerra intorno ai «giudici politicizzati», definizione che sta per «nemico» e riguarda chiunque osi sfidare il capo in nome delle prerogative del ruolo di giudicare, dunque di una fondamentale libertà costituzionale.

Anche le proposte violente e di scontro con cui Berlusconi esige l'abolizione della «par condicio» (ultima tenue legge che dà una voce a chi non possiede o controlla tutti i mezzi di comunicazione) e la immediata modifica della legge elettorale (caso gravissimo di cambiamento delle regole mentre la gara è in corso) non hanno nulla a che vedere con interessi, ansie, problemi e drammi dell'Italia che Berlusconi governa.

In un Paese emarginato, impoverito, senza produzione, senza esportazione, senza consumo, in cui tutti i servizi e le prestazioni dei servizi diminuiscono, Berlusconi continua nella lunga serie di leggi che riguardano solo lui, prima nei suoi interessi economici, poi nelle sue avventure giudiziarie, adesso per la sua nuova strategia: salire da solo, grazie ad appositi cambiamenti delle leggi e alla intimidazione dei suoi stessi alleati, in un punto di comando incontrastato. Persino coloro che non si considerano anti-berlusconiani o che non vogliono avere il feticcio del pro e del contro, finiscono per vedere il tratto più stravagante e più tipico di questo modo di governare. Berlusconi usa l'Italia per se stesso, ignora il Paese e i suoi cittadini, mobilita tutto il potere che riesce ad accumulare (moltissimo, in una quantità unica al momento) più tutte le risorse del Paese stremato per servire se stesso, la sua presunta grandezza, la sua immagine esasperata del leader che non è.

***

Parte di qui la campagna elettorale dell'opposizione, dell'Alleanza guidata da Romano Prodi. Le difficoltà, come tutti sanno, non sono poche, la coalizione non si è ancora saldata, lo strabismo tormenta ancora i partiti e gruppi e leader che dovranno apparire non solo accostati ma uniti, non solo desiderosi del buon risultato, ma davvero capaci di collaborare. Mancano gli ingredienti della generosità, che induce ciascuna parte o gruppo o leader a dare all'impegno comune, prima di chiedere per il tornaconto del proprio gruppo. Manca la visione per capire e per far capire che stiamo attraversando un momento molto pericoloso della storia italiana. Ma ci sono due grandi punti di forza che consentono di cominciare subito. C'è Romano Prodi alla guida dell'Alleanza, in coincidenza con ciò che lui è stato e che rappresenta. E c'è la possibilità di segnare con forza la differenza. Di là, nella maggioranza, è in gioco la gloria e il piedistallo di uno. Di qua è in gioco l'Italia.

Nessuno, nell'Alleanza guidata da Prodi, contrapporrà ai penosi manifesti «Forza Silvio» che cominciano a vedersi in Italia, la celebrazione di qualcuno. La grande carta che l'opposizione unita può giocare da subito è che è finito il carnevale. E che le «camicie azzurre», in ogni caso mercenarie, secondo la natura mercantile del mondo di Berlusconi, hanno un brutto suono di estraneità alla democrazia. Sono la forza fisica e materiale di chi dispone solo di forza fisica e materiale. Se il protagonista della campagna elettorale, dal lato dell'opposizione unita e guidata da Prodi, è l'Italia, diventa facile e istantaneo il pensiero che la spaccatura del Paese - incattivimento, aggressione, uso spregiudicato di tutti i mezzi - è altrove. È dove si ramazzano risorse, si accatastano ricchezze, si altera l'immagine dell'interesse nazionale, si rompono e si creano alleanze, al servizio di una sola persona. E tutto avviene al solo scopo di creare un fastidioso museo con dentro uno che nel mondo non conta niente ma in Italia pesa abbastanza da affondare il Paese. L'Italia che non cresce, come denunciano insieme sindacati e imprenditori, quando si troverà accanto una alleanza di leaders e di esperti che promette di governare il Paese, e non per glorificare una sola, ingombrante straricca persona incapace di dedicarsi ad altro e non a se stesso, si renderà conto che una alternativa esiste e che è realistica.

La gente giovane, a parte i mille ragazzi che per qualche mese saranno assunti da Berlusconi (e forse anche loro) vedranno che il futuro c'è, se non si gettano sul loro percorso le scorie di vanità, illegalità, prepotenza e incompetenza che hanno raso al suolo le potenzialità del lavoro.

I nuovi venuti, gli emigranti, che in intere aree del Paese sono indispensabili, a patto che vi siano leggi umane, comprensibili e utili (sia alla protezione che al clima di civiltà) non saranno più visti da cittadini male informati e impauriti come il nemico e il pericolo. Perché un governo umano e intelligente evocherà il successo multirazziale, multireligioso, multiculturale degli Stati Uniti, dovuto all'accettazione e alla integrazione. Lo stato sociale, nella incarnazione più nobile che ha migliorato in modo incredibile le condizioni della vita nel mondo democratico, tornerà ad essere un valore, non un bunker da far saltare.

Quanti sono gli italiani che continuano a sentirsi europei e legati all'Europa e umiliati dal ministro della Giustizia che obbedisce alla Lega Nord ma non alla Costituzione, non ai legami e impegni internazionali dell'Italia e rifiuta di accogliere le leggi della Unione (per esempio il mandato di arresto europeo, respinto con gesto e motivazioni ridicole dal ministro leghista?). Questi italiani, che forse non sono una minoranza, hanno adesso una casa in cui Romano Prodi non è soltanto il simbolo d'Europa, ma il leader capace di cancellare la brutta figura degli insulti al deputato Schultz, della vasta collezione di brutte figure ai Summit del mondo, di umiliazioni per l'Italia fatte di corna, di barzellette e di canzonette.

L'Italia abbandonata di proposito da Berlusconi nelle mani di An, della Lega, della Udc siciliana che, con diversi progetti armonizzati dall'interesse comune, hanno spezzato e diviso l'Italia, devastato la sua Costituzione, sostenuto l'illegalità del Nord e del Sud, favorito le violazioni, le prepotenze, le guardie padane, le mafie, adesso ha un punto di riferimento serio, adulto, maturo, a cui guardare per liberarsi dal carnevale cattivo scatenato su tutti gli aspetti della vita italiana da Berlusconi e dai suoi cori a pagamento.
È vero, è il momento in cui il confronto si fa serio, perché è troppo drammatico ciò che è in gioco. Ma è seria, per fortuna, la coalizione di salvezza che adesso gli italiani hanno accanto. Intorno a Prodi, per liberare l'Italia dall'incubo.

da l'Unità del 12 dicembre 2004

Due Palasport due Italie

di CURZIO MALTESE

SE FOSSE stato un duello all'americana forse non avrebbe vinto nessuno. Ciascuno ha parlato alla propria gente senza provare a inseguire l'ipotetico centro moderato. Di certo nel confronto a distanza fra Romano Prodi e Silvio Berlusconi si sono scontrati due mondi, stili, visioni così inconciliabili che sembra incredibile possano convivere nello stesso paese. In realtà i due leader parlano di due Italie diverse.

Non è soltanto questione di idee, programmi o valori. Il realismo di Prodi contro i sogni di Berlusconi, l'elogio (inattuale) della moralità politica opposto al fastidio per ogni regola, l'europeismo integrale dell'uno e l'antieuropeismo ormai viscerale dell'altro. No, qui non tornano proprio i conti, le cifre, i dati reali (o virtuali?) snocciolati dai due palchi.

Prodi descrive un'Italia che sta perdendo tutti i treni del mercato globale. È la nazione che cresce meno in Europa, perde maggiori quote di mercato internazionale, investe di meno sul futuro e sui giovani, "costretti a vivere da adolescenti fino a trentacinque anni". Un sistema depresso all'interno da una lunga stagnazione, dove le famiglie cominciano a faticare per arrivare alla fine del mese. Ma anche un Paese in declino all'esterno, in Europa e nel mondo dove l'Italia di Berlusconi è vista come un'Italietta impazzita dietro a un demagogo miliardario, troppo anomala per potervi fare affidamento e per giunta mosca cocchiera dell'America di Bush.

Al contrario l'Italia di Berlusconi è una specie di Paese delle meraviglie, invidiato o almeno stimato dal resto del mondo. Un'economia brillante e competitiva che ha creato in pochi anni un milione di posti di lavoro, ridotto le tasse, accresciuto il benessere delle famiglie, disseminato il futuro di progetti e di cantieri. Grazie a un governo, il suo, che ha "fatto più riforme di tutti gli altri governi del dopoguerra messi insieme", rilanciato l'economia e il ruolo di potenza dell'Italia nel mondo. E grazie in particolare a un uomo, inutile dire chi, che ha mantenuto tutte le promesse.

Dalla riduzione delle tasse fino alla sicurezza, con un calo dei reati di "oltre il dieci per cento" in tre anni (senza contare l'azzeramento dei suoi personali) e nonostante Previti e Dell'Utri gli remassero contro. In quest'Italia quasi perfetta il premier ammette l'esistenza di qualche problema, dovuto al fastidioso permanere di alcuni elementi di disturbo che sfuggono al suo controllo. Fra questi l'opposizione, i sindacati, una certa magistratura, ampie parti del codice civile, penale e della stessa Costituzione, la par condicio, il trattato di Maastricht e in genere l'Europa, più talvolta gli alleati di governo.

Se gli italiani affidassero a Berlusconi la metà del Paese non ancora di proprietà, le cose andrebbero del tutto a posto. Queste le due visioni d'Italia del capo del governo e del capo dell'opposizione. Ora, un conto è non condividere programmi, valori, scelte.

Accade in ogni democrazia del mondo. Abbiamo appena visto nella più grande, gli Stati Uniti, l'esempio di una radicale contrapposizione su tutto fra i due sfidanti, dalla guerra al ruolo dello Stato fino ai diritti civili. Altro è guardare dalla finestra e dire "piove" e "no, c'è il sole". Bush e Kerry litigavano sull'interpretazione dei dati economici ma non si sono messi a dare i numeri ciascuno a suo modo.

La ragione, il buon senso e gli istituti di ricerca seri portano a vedere nel discorso di Prodi un principio di realtà che forse sfugge al rivale. Il Professore ha in questo il vantaggio di tornare dall'Europa dove la visione del declino italiano è piuttosto univoca.

Berlusconi gode però il vantaggio, assai più concreto in termini elettorali, di fare politica in un sistema dove l'informazione è del tutto virtuale (e virtualmente sua).
L'uno insomma si sforza di trovare il "messaggio" da comunicare agli elettori mentre l'altro punta tutto sull'accumulo e il controllo del "mezzo". Sarà il leit motiv di tutta la lunga e durissima campagna elettorale.

Prodi alla ricerca di una verità che possa bucare gli scenari di cartapesta del rivale e Berlusconi che fa fuori direttori di notiziari e giornali, strangola la par condicio, butta sul piatto della bilancia il peso del danaro col quale può comprare spazio, sfornare un milione di cartelloni e di spot.

Con una campagna elettorale così concepita, più che voler entrare nel direttorio dell'Onu c'è da temere di finire nell'elenco dei Paesi sorvegliati durante il voto dai caschi blu.

Nel quadro un po' mesto della lotta politica italiana c'è almeno un elemento di progresso, uno solo. Le vicende giudiziarie, dopo un decennio, sono uscite dall'agone. Né Prodi né Berlusconi hanno citato e usato le sentenze dei tribunali. Il Professore ha preferito volare alto, parlando della moralità, senza cedere alla cattiva tentazione di sfruttare la condanna a Dell'Utri.

Berlusconi pure ha smesso i panni della vittima perché in fondo gli è andata bene. E poi perché anche in Italia un presidente del consiglio sfuggito sei volte alla condanna per la prescrizione e con i due bracci destri carichi di anni di galera, in fondo fa meglio a cambiare discorso.
(12 dicembre 2004)

http://www.repubblica.it/2004/k/sezioni/politica/proditorna/palacurzio/palacurzio.html

Cattolici, la vera discriminazione

Un lettore scrive al Corriere della Sera e propone ironicamente Grillini per la predica domenicale

Buttiglione afferma che verso i cattolici esiste una discriminazione e forse ha ragione, i cattolici sono gli unici consultati per ogni questione che non sia la matematica pura. Lui è stato così discriminato che era lì in diretta 3 ore a commentare il Gay pride romano del 2000.

Se questa è discriminazione come lui vuol far credere, Busi dovrebbe essere il corrispondente dal Vaticano e la messa domenicale sarebbe commentata da Grillini, e sarebbe tutto molto più istruttivo e divertente; poi Villella dell'Unione Atei avrebbe una rubrica fissa in Tv, Piero Angela mostrerebbe cosa c'è dietro i "miracoli" e qualche antropologo smonterebbe la Chiesa.

Quanto alla religione quella cattolica è l'unica - u-n-i-c-a - ad avere uno Stato, addirittura all'Onu, quindi con dei trattati internazionali che ad essa e al povero Buttiglione concedono dei privilegi più unici che rari. Il pregiudizio esiste, ma di che tipo è?

Massimo D'Angeli

http://www.gaynews.it/view.php?ID=30280

Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

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