giovedì 9 marzo 2006

Mussolini a Vladimir Luxuria: "Meglio fascista che frocio"

A 'Porta a porta' l'europarlamentare insulta il candidato di Rifondazione
La replica: "Una caduta di stile che rivela la loro vera identità"




ROMA - Un durissimo scambio di battute, condito da una battuta finale che farà polemica: "Meglio fascista che frocio". La frase è stata rivolta da Alessandra Mussolini a Vladimir Luxuria, nel corso della trasmissione Porta a porta, ospiti anche il ministro della Giustizia Roberto Castelli e il leader dell'Italia dei valori, Antonio Di Pietro.

E' la prima volta che il candidato di Rifondazione entra nel salotto di Bruno Vespa. Alessandra Mussolini è arrivata in ritardo rispetto all'inizio della registrazione, e con l'umore pessimo per via dell'inchiesta sulle intercettazioni. Ma a quindici minuti dall'inizio della trasmissione, il primo a rivolgersi direttamente a Luxuria è stato il Guardasigilli. Che lo chiama ripetutamente "signor Guadagno", cioè con il vero cognome di Luxuria.

"Se mi chiama signor Guadagno per offendermi, non attacca", replica il candidato di Rifondazione. "Non voglio offendere il signore - incalza Castelli - ma mi dica come chiamarlo: lui, lei...". L'altro taglia corto, con una battuta: "Mi dia del loro".

Ma sono semplici schermaglie rispetto all'affondo finale della Mussolini. Partita già con il piede sbagliato, fin dal principio: "Mi scusi - dice - non voglio essere offensiva, ma che vuol dire transgender? Transgender, transgendarmi, sembra Schwarzenneger... Usiamo termini italiani", chiede sorridendo a Luxuria.

Ma gli argomenti in scaletta non favoriscono l'incontro fra culture e storie diverse. Sui Pacs monta il conflitto, con Mussolini e Castelli da un lato, schierati per dimostrare che la legge dell'Unione toglierà diritti ai bambini, e dall'altro Luxuria e Di Pietro decisi nel respingere il parallelo sostenendo che la legge sarà una conquista di civiltà per tutti.

"Non voglio essere dipinta come nemica dei bambini, non siamo gli Attila arrivati a distruggere", si difende Luxuria, mentre Di Pietro sottolinea: "Lei non mangia i bambini, il vostro è un falso problema".

I Pacs lasciano il campo al tema dell'immigrazione. Mussolini elenca i rischi dell'immigrazione clandestina e, a quel punto, Di Pietro le dà della "fascista". "E me ne vanto", risponde gridando l'onorevole. "Una che si vanta di essere fascista, mi preoccupa - aggiunge Luxuria - ci metterete al confino?". "A me - replica Mussolini - preoccupa chi brucia le bandiere, chi grida "dieci, cento, mille Nassyria, vergogna, vergogna, vergogna".

Bruno Vespa in evidente difficoltà non riesce a fermare l'ira della parlamentare e in un istante si passa dal "vergogna" all'insulto. E rivolta a Luxuria: "Si veste da donna e pensa di poter dire quello che vuole. Meglio fascista che frocio!". Impassibile, il candidato di Rifondazione si limita a fare la conta delle "battutacce" rivolte dai politici ai gay: "Dopo il culattone di Tremaglia, il frocio della Mussolini. Grazie". E aggiungerà, parlando con i giornalisti all'uscita degli studi Rai di via Teulada: "Non pensavo che ci fosse questa caduta di stile. Probabilmente è un atto rivelatore della loro identità".

(9 marzo 2006)
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Eco: "Al popolo della sinistra dico la nave sta affondando, votate"

Intervista al professore: "Io all'estero se vince il Cavaliere?
Il fatto è che dovrebbe conviverci la maggioranza dei cittadini"
"Italiani sempre più poveri, Berlusconi è più ricco"

di ALBERTO STATERA


Apocalittico, noblesse oblige, l'appello di Umberto Eco - con Claudio Magris l'intellettuale italiano più conosciuto nel mondo - per "Libertà e Giustizia", dall'angoscioso titolo: "9 aprile, salviamo la democrazia". Viene subito da chiedere impertinentemente all'autore di "Apocalittici e Integrati": ci perdoni, professor Eco, se Berlusconi in cinque anni ha già compiuto quasi tutte le nefandezze possibili, facendo "precipitare l'Italia spaventosamente in basso", che cosa potrebbe fare di peggio? Chissà, invece, che in una resipiscenza ad uso della storia, magari per una lastra encomiastica sul mausoleo nel parco di Arcore, non perseguirebbe stavolta la santità. Figurarsi se Eco non sta al gioco: "Anche san Francesco e sant'Agostino gozzovigliavano, andavano a donne e poi diventarono santi. Ma per Berlusconi non ci conterei".

Allora, per favore, ci sceneggi il panorama "drammatico" che si profila in caso di vittoria berlusconiana, con Previti, i reduci di Salò, Calderoli, Mediaset, Mediolanum, Generali, le banche...
"Conferma delle leggi ad personam, peggioramento di altre leggi, attacco finale alla magistratura, sfracello definitivo di Montesquieu e della divisione dei poteri. Ulteriore arricchimento personale. Negli ultimi cinque anni gli italiani si sono impoveriti e non arricchiti. Il presidente del Consiglio si è arricchito in modo esponenziale, un caso unico al mondo per dimensioni. In una parola, declino inarrestabile del paese, un declino da cui sarebbe impossibile risollevarsi".

Ma il premier ha appena concionato al Congresso con buon successo, Hillary Clinton si è persino commossa.
"Hillary Clinton teneva d'occhio il suo elettorato italiano, è sotto elezioni anche lei. La nostra immagine all'estero in questo momento è penosa, benché Berlusconi esibisca la sua amicizia con Bush e con Putin. Va in America e dice: avevo consigliato a George di non invadere l'Iraq. E lui l'ha invaso. Va da Putin e dice: Vladimir è il mio miglior amico. E quello gli taglia il gas. Va da Gheddafi e quello minaccia stragi o, come minimo, gli chiede un'autostrada di risarcimento. Deve essere andato da Chirac, se quello gli ha bloccato le acquisizioni dell'Enel. Come si muove fa danni".

Professor Eco, Magris dice che il 9 aprile bisogna puntare sui delusi di destra e parlare ai berlusconiani senza disprezzarli.
"Sulla gravità del momento con Magris abbiamo un'identità di vedute, semplicemente è come se ci fossimo messi d'accordo, lui cerca di far ragionare quelli che hanno votato Berlusconi e io mi rivolgo invece ai delusi della sinistra".

Disprezza chi ha votato per Berlusconi?
"Per carità. Dico solo: amici voi vi sbagliate, ma io non mi rivolgo a voi perché tanto voi non mi leggete, lo ha detto Berlusconi quando ha affermato che non gli importa nulla di quel che scrivono i giornali perché il suo elettorato guarda solo la televisione. Io mi rivolgo a quei quattro gatti che mi leggono, ai quali dico: guardate che il momento è tragico, non tacete, non vi estraniate anche se non siete contenti del centrosinistra. Non è puzza sotto il naso, ma realismo".

Anche lei è stato zitto a lungo.
"Ho appena pubblicato un libro, "A passo di gambero", dove raccolgo gli allarmi che in questi sei anni ho lanciato su Repubblica, L'espresso e altri giornali. Questa è la prova che gli intellettuali non servono a niente. O forse che non sono solo gli elettori di Berlusconi a non leggere i giornali. Ma pazienza, bisogna continuare a fare il proprio dovere".

Insomma, lei rivendica il diritto di strapazzare quei milioni che hanno votato Berlusconi?
"Scusi, uno che ha vissuto sotto il fascismo aveva o no il diritto (anzi il dovere) di dire che quelli che andavano a piazza Venezia ad applaudire il duce sotto il balcone erano fanatici o ingannati? E io se ritengo che qualcuno sbagli ho il diritto e il dovere di dirlo. E' il mio mestiere: se i miei studenti sbagliano all'esame e io lascio perdere sono un disonesto".
A proposito di puzza sotto il naso, D'Alema che in tivù maneggia la politica come "arte alta", con un ghigno che può sembrare di superiorità professorale, come può affascinare la casalinga di Voghera?
"Ma no, quello è un fatto caratteriale. E poi Prodi non ghigna, anche se è professore. E Fassino nemmeno".

Insomma, professor Eco, con Magris vi siete divisi il mercato. Lui con i vessati berluscones, lei con il pigro popolo di sinistra.
"Alla prima riunione di "Libertà e Giustizia" Magris ha detto: questo governo ha superato i limiti della decenza. Ho sottoscritto e sottoscrivo. Se dovesse continuare quest'opera di disgregazione dello Stato non so cosa potrebbe succedere".

Che cosa?
"Mi chiedo, per esempio, come possano alcuni organi dello Stato, che hanno continuato eroicamente a mantenersi fedeli alle istituzioni, resistere ancora cinque anni a tutti gli incoraggiamenti all'illegalità, compresa l'assoluzione all'evasione fiscale, con cui il paese è stato bombardato. Così rischiamo che si ammali tutto lo Stato".

Non è che nella cosiddetta Prima Repubblica non avesse un sacco di malanni.
"Sì ma la Democrazia cristiana ha governato per cinquant'anni nel rispetto della Costituzione. Da cinque anni, invece, siamo alla distruzione sistematica dei rapporti tra poteri costituzionali".

Va bene, lo scenario apocalittico è chiaro. Facciamo quello integrato. Prodi, in caso di vittoria, reggerà la leadership con Bertinotti, Mastella, i verdi, i comunisti italiani, i sindacati, i girotondini?
"Se la nave affonda non è il momento di chiedersi se i marinai alle scialuppe remeranno bene. Anzitutto occorre abbandonare la nave. Rispetto al peggio del peggio, meglio rischiare qualche difetto. Magari Prodi non riuscirà a mantenere qualcuno degli impegni presi. Ma Berlusconi non ne ha mantenuto neanche uno".

In compenso, lei non ci priverà della sua concittadinanza, non andrà all'estero come farebbe se vincesse Berlusconi?
"Guardi che mi hanno fatto pronunciare una specie di minaccia di cui in fondo non importerebbe niente a nessuno. In realtà io stavo parlando a una platea a cui ho detto, ventilando altri cinque anni di sfacelo, "pazienza per me che sto andando in pensione e potrei pure andarmene all'estero, ma la maggioranza di voi in questo paese deve vivere"".

E a questi che dice?
"Lancio, appunto, un appello al popolo di sinistra incerto, nello stile di uno di quelli che risuonarono nel 1948: "Vota anche tu, se no i cavalli cosacchi faranno il bagno nelle acquasantiere di San Pietro"".

(9 marzo 2006)
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mercoledì 8 marzo 2006

Calce e martello

Da Betlemme a Waterloo
di Marco Travaglio



Ormai è una via di mezzo fra Zelig e Forrest Gump. Non c'è epoca storica, da Betlemme a Waterloo, dal Manzanarre al Reno, che non l'abbia visto protagonista. L'altra sera il Bellachioma Tour ha fatto tappa a Telelombardia, dove però s'è verificato un imprevisto: gli intervistatori non erano suoi dipendenti. Dunque i conduttori Emanuela Ferri e David Parenzo e gli ospiti Cresto-Dina di Repubblica, Oddo del Soviet-24 ore e persino Paragone della Padania gli facevano domande e quando diceva una stronzata - cioè quasi sempre - glielo facevano cortesemente notare (in rappresentanza della ditta c'era il solo Belpietro, visibilmente spaesato fra tanti giornalisti). È stata un'esperienza inedita, che ha piacevolmente sorpreso il pubblico (120mila telespettatori solo in Lombardia). Ma anche un pericoloso precedente: se passa l'idea che si possono fare domande al premier, chissà dove andremo a finire.

Lui, all'inizio, si comporta come se fosse a Porta a Porta. «Le famiglie italiane si indebitano? Bene, è perché hanno fiducia nel futuro». Imbarazzo in studio. «Montezemolo parla a nome suo, non degli industriali. Io con industriali che la pensano come me» (tipo Gnutti e Fiorani, per dire). Il suo italiano è il solito:
personalizzato, fra un «i capogruppi» e un «museo di piante in Sardegna» (per non parlare dell'aiuola dei quadri e della serra di sculture). Poi la politica estera, la sua passione. «Gheddafi ci chiede una strada che colleghi l'Egitto alla Tunisia: impegno da migliaia di miliardi che stiamo discutendo». Pare che abbia proposto al colonnello un Contratto con i Libici, ma quello non ha abboccato: «Vedere strada, vendere cammello». Ora gli manderà Lunardi, il ministro con il buco intorno: già allo studio un emendamento alla legge Grandi Opere per un tunnel sottomarino Tripoli-Kiev, modesta deviazione della Transiberiana.

Il Cavalier Zelig sfodera un'altra specialità: l'economia. Crescita zero? Centomila posti di lavoro persi in un anno? Niente paura: «Ai lavoratori che guadagnano poco la risposta dell'imprenditore Berlusconi è: cercate di guadagnare di più. Un padre di famiglia sa cosa deve fare ci sono mille modi per incrementare le proprie entrate. Io, durante la guerra, aiutavo gli ambulanti al mercato e alla fine andavo a raccogliere la carta per strada, la mettevo nella vasca da bagno e la facevo asciugare facendo delle palle che poi vendevo per accendere le stufe. Poi mi han regalato una macchina fotografica e, per arrotondare, andavo a fare fotografie ai funerali e ai matrimoni». Ora che è cresciuto (si fa per dire), le palle le vende agli italiani. Resta da capire come facesse a lavorare al mercato durante la guerra (iniziata nel 1940), essendo nato nel 1936: papà Luigi e mamma Rosa lo mandavano a scaricare le casse a 4 o 5 anni? Ma questo è sfruttamento del lavoro minorile, roba da telefono azzurro.

Storia e geografia. Gli domandano dove diavolo sia quel famoso cimitero dei marines sulle cui tombe - come ha narrato ai figuranti del Congresso Usa - «da bambino giurai fedeltà alla libertà e alla democrazia». Contrordine: non era bambino, «avevo circa 20 anni». Il camposanto è quello «di Nettuno ad Anzio» (gli sfugge che una cosa è Nettuno, una cosa è Anzio): «Mio padre era un estimatore di De Gasperi e partecipava a iniziative che questi faceva a Roma. Una volta mi condusse al cimitero Usa. Fu nel 1956-57». Sventuratamente De Gasperi era già morto da due o tre anni, essendo spirato il 19 agosto 1954.

Alla fine, alcuni prodotti tipici della casa: l'elogio dell'evasione fiscale, il vanto di aver «sgominato le Br» con le nude mani, senza contare «l'arresto di 203 terroristi internazionali e 111 interni» (tutta opera sua) e l'ennesimo annuncio dell'imminente «sondaggio americano che ci dà al sorpasso» (li dà in testa da un mese, da prim'ancora di esser fatto, ma ancora non s'è visto). Quanto al caso Mills, «ho giurato sui miei figli che non sapevo nulla di quei soldi.
E poi, per definizione, il presidente del Consiglio non può mentire, altrimenti va a casa. Giuro qui davanti alle telecamere che io non ne sapevo nulla». I figli, comprensibilmente, l'hanno pregato di non giurare più sulla loro testa e lui giura sulle telecamere. Tanto, eccezionalmente, non sono le sue. «Mills non lo conosco». Però assicura che «non si è separato da Tessa Jowell per questa vicenda» (non lo conosce, ma sa addirittura perché si separa). Gran finale è sui comunisti: «Hanno ancora il simbolo della falce e marcello». Dice proprio così: marcello. Il primo Dell'Utri non si scorda mai.

da l'Unità

La scelta del 9 aprile

Centrosinistra e centrodestra al voto
di Paolo Mieli


A dispetto di quel che da tempo attestano, unanimi, i sondaggi, il risultato delle elezioni che si terranno il 9 e 10 aprile appare ancora quantomai incerto. È questo un buon motivo perché il direttore del Corriere della Sera spieghi ai lettori in modo chiaro e senza giri di parole perché il nostro giornale auspica un esito favorevole ad una delle due parti in competizione: il centrosinistra. Un auspicio, sia detto in modo altrettanto chiaro, che non impegna l’intero corpo di editorialisti e commentatori di questo quotidiano e che farà nel prossimo mese da cornice ad un modo di dare e approfondire le notizie politiche quanto più possibile obiettivo e imparziale, nel solco di una tradizione che compie proprio in questi giorni centotrent’anni di vita.

La nostra decisione di dichiarare pubblicamente una propensione di voto (cosa che abbiamo peraltro già fatto e da tempo in occasione delle elezioni politiche) è riconducibile a più di una motivazione. Innanzitutto il giudizio sull’esito deludente, anche se per colpe non tutte imputabili all’esecutivo, del quinquennio berlusconiano: il governo ha dato l’impressione di essersi dedicato più alla soluzione delle proprie controversie interne e di aver badato più alle sorti personali del presidente del Consiglio che non a quelle del Paese. In secondo luogo riterremmo nefasto, per ragioni che abbiamo già espresso più volte, che dalle urne uscisse un risultato di pareggio con il corollario di grandi coalizioni o di soluzioni consimili; e pensiamo altresì che l’alternanza a Palazzo Chigi - già sperimentata nel 1996 e nel 2001 - faccia bene al nostro sistema politico. Per terzo, siamo convinti che la coalizione costruita da Romano Prodi abbia i titoli atti a governare al meglio per i prossimi cinque anni anche per il modo con il quale in questa campagna elettorale Prodi stesso ha affrontato le numerose contraddizioni interne al proprio schieramento.

Merito, questo, oltreché di Romano Prodi, di altre quattro o cinque personalità del centrosinistra. Il leader della Margherita Francesco Rutelli, che ha saputo trasformare una formazione di ex dc e gruppi vari di provenienza laica e centrista in un moderno partito liberaldemocratico nel quale la presenza cattolica è tutelata in un contesto di scelte coraggiose nel campo della politica economica e internazionale. Piero Fassino, l’uomo che più si è speso per traghettare, mantenendo unito e forte il suo partito, la tradizione postcomunista nel campo dominato dai valori di cui sopra. I radicalsocialisti Marco Pannella e Enrico Boselli che con il loro mix di laicismo temperato e istanze liberali rappresentano la novità più rilevante di questa campagna elettorale. Fausto Bertinotti, il quale per tempo ha fatto approdare i suoi alle sponde della nonviolenza e ha impegnato la propria parte politica in una nitida scelta al tempo della battaglia sulle scalate bancarie (ed editoriali) del 2005.

Noi speriamo altresì che centrosinistra e centrodestra continuino ad esistere anche dopo il 10 aprile. E ci sembra che una crescita nel centrodestra dei partiti guidati da Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini possa aiutare quel campo e l’intero sistema ad evolversi in vista di un futuro nel quale gli elettori abbiano l’opportunità di deporre la scheda senza vivere il loro gesto come imposto da nessun’altra motivazione che non sia quella di scegliere chi è più adatto, in quel dato momento storico, a governare. Che è poi la cosa più propria di una democrazia davvero normale

08 marzo 2006
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Editoriali/2006/03_Marzo/08/scelte.shtml

martedì 7 marzo 2006

9 aprile, salviamo la democrazia

Umberto Eco e l' impegno di LeG, per convincere i delusi della sinistra


Siamo di fronte a un appuntamento drammatico. Dal 2001 a oggi l'Italia è precipitata spaventosamente in basso quanto a rispetto delle leggi e della Costituzione, quanto a situazione economica e quanto a prestigio internazionale. Se dovessimo avere altri cinque anni di governo del Polo, rappresentati di fronte al mondo dai Calderoli e dalle ultime leve (appena arruolate in Forza Italia) dei più impenitenti tra i reduci di Salò, il declino del nostro Paese sarebbe inarrestabile e non potremmo forse più risollevarci.
Quindi l'appuntamento del 9 aprile è diverso da tutti gli altri appuntamenti elettorali del passato: in quelli si trattava di decidere chi avrebbe governato senza sospettare che un cambio di governo avrebbe messo a repentaglio le istituzioni democratiche. Ora si tratta invece di salvare queste istituzioni.
In questo frangente i partiti di opposizione cercano, come è ovvio, di catturare il voto degli indecisi che nelle scorse elezioni avevano votato Polo e che si sono sentiti traditi. I partiti fanno il loro dovere, ma ritengo che rivolgendoci ai soci e ai simpatizzanti di Libertà e Giustizia occorra fare un altro ragionamento.
Uno dei rischi maggiori di queste elezioni non sono solo gli indecisi che hanno votato a destra la volta scorsa (i quali si sposteranno secondo dinamiche difficilmente controllabili, per fede o per pigrizia continueranno a votare come prima, o rinunceranno a votare). D'altra parte il loro numero, come mostrano i sondaggi, è oscillante. Io ritengo che il popolo di Libertà e Giustizia debba invece impegnarsi non per convincere gli indecisi di destra ma i delusi della sinistra.
Li conosciamo, sono molti e non è in questa sede che si possono discutere le ragioni del loro scontento. Ma è a costoro che occorre ricordare che, se si lasceranno trascinare da questo scontento, collaboreranno a lasciare l'Italia in mano di chi l'ha condotta alla rovina. Non c'è scontento, per quanto giustificabile, che possa stare a pari con il timore di una fatale involuzione della nostra democrazia, con l'indignazione che coglie ogni sincero democratico di fronte allo scempio che si è fatto delle leggi, della divisione dei poteri, del senso stesso dello Stato. E' questo che ciascuno di noi deve ripetere agli amici incerti e delusi. E' proprio da loro e dal loro impegno che dipenderà se l'Italia eviterà di essere ancora per cinque anni territorio di rapina da parte di difensori dei loro privati interessi..
Se pure questi amici ritengono di nutrire senso critico ed equanimità (perché è segno di senso critico ed equanimità - direi di onestà intellettuale - saper criticare la propria parte, e neppure il sito di Libertà e Giustizia si è sottratto a questo dovere), in questo momento essi debbono sacrificare i loro sentimenti e unirsi a tutti noi nell'impegno comune.
E' in questa azione di convincimento che consiste il dovere e la funzione di quanti hanno partecipato in questi anni alla discussione che Libertà e Giustizia ha svolto e fatto svolgere. Ora la nave potrebbe affondare. Ciascuno deve prendere il proprio posto.
Umberto Eco

Hanno aderito all'appello i garanti di Libertà e Giustizia:
Gae Aulenti
Giovanni Bachelet
Enzo Biagi
Claudio Magris
Guido Rossi

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domenica 5 marzo 2006

Cinque anni vissuti nel vagone di coda

di EUGENIO SCALFARI


ANCORA per un po' il circo politico vivrà di sondaggi, poi arriverà finalmente il giorno del voto e si vedrà se la realtà effettiva sarà eguale o diversa da quella virtuale.

L'ultimo della serie, pubblicato ieri da Repubblica, è stato effettuato da Demos-Eurisko su un campione di 1500 persone nel periodo 27 febbraio-1 marzo e vede in testa di cinque punti il centrosinistra. Confrontato con il precedente del 14-15 febbraio, il vantaggio della coalizione guidata da Prodi è cresciuto dello 0,7 per cento. In quindici giorni non è poco, anche se le cifre non scontano ancora i possibili effetti del viaggio americano di Berlusconi (ma neppure i dati Istat sulla crescita zero del Pil e la perdita di oltre centomila posti di lavoro). Chi vivrà vedrà. Ma intanto ci sono alcuni aspetti del sondaggio che si prestano a qualche considerazione.

Alla domanda "chi dia maggiori garanzie di lavorare nell'interesse di tutti" il 41,3 per cento degli intervistati indica Prodi e il 28,3 Berlusconi.
Ancora più schiacciante è il divario nella successiva domanda "chi tutela di più le persone deboli e bisognose": Prodi registra il consenso del 44,2 mentre Berlusconi incassa uno striminzito 26 per cento.

Altre domande danno esiti opposti. "Chi tiene più unita la propria coalizione?": Berlusconi 42,4 Prodi 27,9; "chi sa parlare meglio alla gente?": Berlusconi 54,3 Prodi 25,9. Un record, anche se viene fatto di pensare che se il metro di giudizio decisivo fosse fondato su questo quesito Benigni darebbe forfait a tutti e forse Bonolis e Baudo supererebbero il presidente del Consiglio. Ma gli italiani non hanno bisogno di comici o di presentatori, il 9 aprile sceglieranno il capo del governo e sanno che un Paese non si governa con le battute.

La domanda su chi dei due riuscirà a rilanciare l'economia dà un risultato alla pari; l'altra su chi ha meglio affermato la presenza dell'Italia nel mondo vede Berlusconi in vantaggio. Esaminiamo queste due risposte che ci fanno entrare nel merito della discussione. E cominciamo dall'ultima.

Quando Berlusconi formò il suo governo nel giugno del 2001 ereditò in politica estera una situazione di notevole prestigio in Europa - dovuta anche all'ingresso dell'Italia nella zona Euro - e ottimi rapporti con gli Stati Uniti dell'era clintoniana e con la Comunità internazionale rappresentata dall'Onu. Eravamo presenti in Bosnia sotto la bandiera delle Nazioni Unite e in Kosovo sotto quella della Nato.

In Medio Oriente in amichevole equilibrio con Israele e con l'Autorità palestinese. In cinque anni molte cose sono cambiate. Il terrorismo ha fatto la sua cruenta comparsa sulla scena mondiale, Bush ha lanciato la terza guerra mondiale per debellarlo, ha sgominato con l'appoggio compatto del mondo intero il regime dei talebani in Afghanistan. Poi, un anno dopo, lanciò la guerra preventiva contro l'Iraq dividendo la Comunità internazionale e l'Europa e cavalcando la contrapposizione tra Occidente e Islam radicale.

Berlusconi scelse di slancio di fiancheggiare Bush insieme a Blair e ad Aznar. Si creò la coalizione dei volenterosi.

L'Onu si spaccò. L'Europa si spaccò. A tre anni e mezzo da quelle vicende e da quella scelta quali sono i risultati? In positivo una forte amicizia con Bush e con l'America conservatrice. In negativo una perdita secca d'influenza in Europa aggravata dal fatto che per cinque anni il governo italiano non ha fatto altro che picconare poteri e autorità della Commissione europea puntando su una sempre maggiore libertà di movimento dei governi nazionali a danno dell'unità economica e politica dell'Europa. Salvo accorgersi proprio in queste ultime settimane che l'Europa è il solo scudo per noi, vaso di coccio, sia in economia, sia rispetto alle crisi del Medio Oriente, sia nella questione dell'immigrazione.

L'alleanza tra Europa e Usa è certamente un punto fermo e imprescindibile, ma la marginalizzazione italiana in Europa è il risultato negativo della politica estera berlusconiana. Dell'Europa siamo parte integrante, tra i sei paesi che la fondarono. Quella è la piattaforma sulla quale dobbiamo muoverci e farci valere. In economia e in politica. Da questo punto di vista l'azione italiana è stata un fallimento che neppure la vittoria della Merkel in Germania ha migliorato.

Se poi consideriamo la posizione italiana in Medio Oriente, il quadro diventa ancora più fosco. Siamo in Iraq da tre anni e mezzo. Per aiuti umanitari? Briciole. Per istruire la polizia irachena e la guardia nazionale?

Il comandante in capo americano in Iraq ha dichiarato pochi giorni fa: "Non esiste un solo battaglione iracheno che sia in grado di opporsi efficacemente alla guerriglia se non fosse aiutato dalle truppe della coalizione. Allo stato dei fatti le cose stanno così".

Ho riportato testualmente: non un solo battaglione. Sapete perché? Perché polizia ed esercito iracheni sono stati costituiti inquadrando entro un'apparenza legale le milizie armate dei vari partiti: milizie fedeli all'ayatollah al Sistani, milizie fedeli al mullah Muqtada al Sadr, milizie curde e perfino milizie sunnite. Esse partecipano agli scontri con le bande di guerriglia non già per impedirli ma per alimentarli. Ecco perché una polizia irachena e un esercito iracheno non esistono: sono composti da bande di fazione alle quali non abbiamo un bel niente da insegnare.

Sicché l'Iraq, pur dopo elezioni che hanno registrato notevole affluenza, resta un pantano dal quale non si verrà fuori se non tra cinque anni e forse più a meno di non decidere seguendo il metodo di Zapatero.

Quali vantaggi ha ricavato l'Italia dalla scelta "americana" di Berlusconi (al netto della medaglia "endurance freedom" ricevuta dal "premier" nel salone della portaerei "Intrepid")? Nessun vantaggio. I paesi europei che non hanno mandato truppe in Iraq possono negoziare con l'America con buone chance di successo per i loro interessi. Noi no, abbiamo dato e non ricevuto. Salvo l'appoggio elettorale di Bush a Berlusconi. Ad personam ancora una volta perché questo è il canone berlusconiano di governo e di vita. Saggiamente alla domanda "chi darà maggiori garanzie di tutelare l'interesse di tutti" solo il 28 per cento degli interpellati ha fatto il suo nome.

Ma c'è l'economia e qui le note sono ancor più dolenti. Sono di due giorni fa le cifre consuntive dell'Istat per il 2005. Il Pil non è aumentato neppure di uno 0 virgola, è rimasto immobile come già lo era stato nel 2003. I consumi sono addirittura andati indietro dello 0,1 per cento sull'anno precedente. L'avanzo primario, che il centrosinistra lasciò al 5,6 del Pil, è sceso allo 0,6 e nei primi due mesi dell'anno in corso è andato sotto zero.

La produzione industriale è ferma o recede. L'occupazione stabile è diminuita di centomila unità. La bilancia commerciale registra un vistoso passivo. Il fabbisogno di cassa è in aumento e infatti il debito pubblico cresce per la prima volta dal 1993. Siamo di nuovo al 108 per cento sul Pil e il trend prevede quota 110 per la fine dell'anno.

Aggiungo che questi catastrofici risultati sono stati attenuati spostando al 2007 e al 2008 spese già previste e scritte con apposite leggi: aumento di pensioni, sconti contributivi, passaggio del trattamento di liquidazione ai fondi pensione con relativi compensi alle imprese, bonus di vario tipo a categorie di anziani e di bebè. Il tutto senza alcuna copertura. Ultimo e clamoroso esempio: il decreto sul condono dei contributi previdenziali degli agricoltori, fervorosamente voluto dal ministro Alemanno e respinto dal Quirinale perché avrebbe causato al bilancio una perdita di 5 miliardi di euro. Cinque miliardi, diecimila miliardi di lire, quasi l'entità d'una manovra finanziaria.

Si dirà che anche il programma di centrosinistra prevede costose misure per rilanciare un'economia che non riesce ad intercettare la ripresa di Eurolandia, già in atto nel resto del continente. Ma non è vero. Il programma di Prodi ha indicato le possibili fonti di copertura: taglio di tutti gli incentivi alle imprese a fronte del taglio di 5 punti del cuneo fiscale; revisione degli studi di settore sui redditi provenienti dal terziario commerciale; soprattutto recupero di larghe fasce di lavoro nero e di reddito sommerso.

Generalmente l'opinione pubblica e anche gli specialisti sono scettici sul possibile recupero del sommerso, l'esperienza infatti è stata finora negativa. Ma non perché sia impossibile l'emersione dal nero. Non ci sarebbe niente di più facile, basterebbe servirsi delle pagine gialle degli elenchi telefonici.

In realtà finora quella lotta non si è voluta fare perché avrebbe creato problemi di occupazione e anche di esistenza di imprese.

Problemi seri ma governabili con piani a medio termine guidati da agenzie pubbliche di coordinamento. Questa questione sarà decisiva e può caratterizzare una riforma duratura del fisco, tale da consentire un investimento che abbia le caratteristiche di una scossa sul rilancio della domanda.

Resta il grande tema d'un aumento della produttività e della competitività del sistema Italia, che langue da molti anni. Ne ha parlato ieri il neogovernatore della Banca d'Italia Draghi e ha detto sagge parole. La responsabilità principale incombe sulle imprese, con le innovazioni di prodotto, lo stimolo della concorrenza e un mercato che si liberi dai vincoli e dal protezionismo che ancora lo opprimono.

Ai governi spetta la responsabilità di liberalizzare il sistema e di elevare l'efficienza dei servizi, specie di quelli dei quali le imprese sono gli utenti principali a cominciare dall'energia, dai trasporti e naturalmente dalla scuola. Pubblica soprattutto.

Ce la possiamo fare, ha detto Draghi, ma ha aggiunto: "Il tempo è breve" e si riferiva all'aumento dei tassi da parte della Banca centrale europea. Per gli altri paesi di Eurolandia, già in corsa per la ripresa, un aumento dei tassi nominali che li porti a misura dell'inflazione corrente mantenendo così i tassi reali intorno allo zero, non rappresenta alcun handicap. Ma non per l'Italia, dove l'assenza di un avanzo primario rende il bilancio estremamente vulnerabile e il peso degli interessi sul debito schiacciante.

Il tempo è breve. Per questo (mi permetto di aggiungere) ci vuole un cambiamento. Cambiamento di musica e di suonatori.

Post scriptum. Diliberto. Vuole incontrare Berlusconi in un pubblico dibattito. Là dove spetta unicamente al leader del centrosinistra confrontarsi con il suo avversario sulla base di regole stabilite in comune, il segretario dei Comunisti italiani si alza sulla punta dei piedi per farsi notare e si prenota al posto di Prodi.

Berlusconi ovviamente ne sarebbe felice. Scontrarsi con la sinistra radicale che pretendesse di parlare a nome di tutta l'Unione per lui è il cacio sui maccheroni.

Diliberto avrà spero notato di essere sempre inserito nei pastoni televisivi nonché invitato ai vari talk show. Il motivo non dovrebbe sfuggirgli: ciò che dice fa molto comodo alle emittenti di centrodestra. Se un Diliberto non ci fosse i vari Vespa delle nostre televisioni se lo inventerebbero.

Perciò Diliberto meno parla e meglio fa, più parla e più fa danno. Ogni mezzo per cento che riuscisse a guadagnare al suo partito procura almeno il doppio di perdita alla coalizione di cui anche lui fa parte. Perciò se Diliberto chiederà a Prodi "vengo anch'io" nell'interesse comune bisognerà rispondergli "no tu no". E se poi nemmeno lo chiederà ma ci andrà, bisognerà dirglielo lo stesso. Un po' di umiltà non guasterebbe.

(5 marzo 2006)
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Sex crimes and the Vatican

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