venerdì 29 dicembre 2006

La parola diritti vi dice qualcosa?

I portavoce di GAYLEFT rispondono alla senatrice Serafini dalla prima pagina del Riformista


Caro direttore, il presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi nella consueta conferenza stampa di fine anno, alla domanda di un giornalista se dopo le aperture di Gianfranco Fini sulle unioni civili si poteva o meno andare verso una larga convergenza in Parlamento su questo tema ha risposto quasi seccato che questo certo sarebbe un bene, ma che il governo intende procedere «al riconoscimento dei diritti civili alle convivenze» con i «limiti e i confini precisi definiti nel nostro programma». Una risposta che la dice lunga sul fatto che su questo tema la priorità dei nostri leader non è certo quella di dare diritti a chi non ne ha, non è certo quella di aiutare «il nostro paese a fare un passo in avanti sulla strada della libertà e della tolleranza» (per citare le parole del tanto vituperato Zapatero), ma piuttosto quella di rassicurare i sedicenti teo-dem che neppure le aperture del “laicista” Fini porteranno mai il governo ad andare oltre i «limiti e confini» fissati nelle famose sette righe che il programma dell'Unione dedicò ai diritti dei conviventi. Viene quasi il dubbio che ormai i ruoli nella politica italiana siano saltati e che la destra, presa dall'ansia di accreditarsi come una destra moderna ed europea, stia ormai tentando di scavalcare sul tema dei diritti civili quella che Alfredo Reichlin sull'Unità di ieri paventava come «una sinistra vecchia, senza idee e senza orgoglio» in procinto di accordarsi con la Margherita per costruire il Partito democratico.

Questo dubbio diviene certezza con la lettura dell'intervista che la senatrice Anna Serafini, autorevolissima esponente dei Ds, ha rilasciato ieri al Riformista. Un'intervista sgradevole sia nei toni che nei contenuti, in cui la senatrice accusa gli omosessuali italiani di cercare attraverso la legge sulle unioni civili una presunta «rivalsa ideologica».

I sentimenti che proviamo quando sentiamo parlare i dirigenti del nostro partito di noi omosessuali, sono molteplici: rabbia, fastidio, stupore e anche un certo dolore allo stomaco. Ma è mai possibile che il più grande partito della sinistra italiana conservi dentro di sé questa grande soggezione alle gerarchie ecclesiastiche? Ma è mai possibile che ci si debba sempre avvicinare alle cose della vita con questa arroganza? Eppure la vita, per fortuna, ci richiama sempre alla semplicità, perché la vita, quella vera, è molto più semplice, migliore di quella che viene immaginata dentro le stanze di via Nazionale.

La classe politica italiana è bigotta e questo si sa. È sorprendente, infatti, come cerchi di usare termini astrusi per descrivere l'orientamento sessuale delle persone. Un termine che in Europa è nel lessico comune di tutti, nessuno si vergogna. Ebbene siamo stati descritti con “stili di vita”, “scelte di vita”, addirittura “forme di vita” (ectoplasmi forse?), e oggi Anna Serafini parla di «gusti o tendenze».

Ma che cosa si pensa della sessualità, che sia qualcosa che si compra al mercato? A etti, a chili? La sessualità è una parte importantissima della nostra esistenza, del nostro rapporto con il mondo. Una vita sessuale che corrisponde al nostro desiderio è fondamentale per il nostro equilibrio psichico, e merita rispetto. Come tutti noi omosessuali italiani, meritiamo rispetto, perciò invitiamo la classe politica ad astenersi dal parlare di cittadine e cittadini italiani in questo modo. Su una cosa concordiamo con Anna Serafini: la legge sulle unioni civili non potrà essere solo la legge per gli omosessuali.

Non è un caso che una delle prime proposte di legge su questo tema abbia visto come prima firmataria la compagna Nilde Jotti, per anni vittima dentro al Pci di un'odiosa discriminazione in quanto non era la “moglie regolare” di Togliatti, ma solo la compagna della sua vita. Ma non è un caso che già nella proposta di legge di Nilde Jotti gli omosessuali fossero ricompresi, in quanto storicamente se in questo paese si discute di coppie di fatto, ciò lo si deve innanzitutto all'iniziativa di un movimento come quello omosessuale che da oltre vent'anni dà battaglia su questo tema, e non certo all'iniziativa delle classi dirigenti della sinistra italiana, perennemente distratte da temi più importanti (o forse meno scottanti) di questo.

Ci piacerebbe poter discutere con la senatrice Serafini se ci sia più ideologia nelle rivendicazioni di un movimento che chiede diritti di cittadinanza per chi vive attualmente in completa clandestinità giuridica, oppure in chi vorrebbe impedire agli omosessuali, in barba agli ultimi trent'anni di studi sociologici, di considerare le proprie relazioni affettive come famiglie, in chi li accusa di voler distruggere la famiglia e la società, in chi li taccia quotidianamente di essere portatori di forme di amore deboli e deviate, o in chi afferma che non serve una legge per attestare le loro convivenze, perché basta la testimonianza del portinaio. Ma di cosa stiamo parlando, se non della dignità e dei diritti negati di milioni di nostri concittadini?

Temiamo che non ci resti che sperare in quella “umana pietà” che la senatrice Serafini non ha potuto negare neppure a Piergiorgio Welby.



Andrea Benedino e Anna Paola Concia
Portavoce nazionale Gayleft - Consulta lgbt Ds

http://www.gaynews.it/view.php?ID=71693

giovedì 28 dicembre 2006

Senatrice Serafini: davvero grazie!

Finalmente arriva la seconda puntata della coppia Fassino-Serafini che ci allieta con le sue belle posizioni
di Aurelio Mancuso

E la seconda bordata è finalmente arrivata! Me la aspettavo, anzi mi sono chiesto a lungo quando sarebbe giunta. Così la coppia Fassino – Serafini, continua a raccontarci cosa ne pensa dei Pacs e di tutti gli altri temi che dilaniano l’Unione, con uno stile davvero nuovo. Splendida la frase “L’importante è non caricare di ideologia la richiesta contenuta nel programma elettorale. E’ dannoso e antiriformista enfatizzare la battaglia omosessuale o trasformarla nella carta d’identità della legge.” Eccola qui la politica con la P maiuscola, quella che arriva, dopo che per decenni movimenti come quello gay si sono dannati per ottenere che perlomeno si discutesse di uno straccio di quadro legislativo a tutela delle coppie e delle persone, arrivano i professionisti, quelli che medieranno e avvertono: ora state calmi e ritiratevi in buon ordine. Chissà dov’era la senatrice Serafini in tutti questi anni? Da nessuna parte, perché non l’abbiamo mai vista ad un’iniziativa di sostegno delle nostre battaglie e non ce la ricordiamo ad ascoltare i drammi delle convivenze etero ed omosessuali. I gay, quindi, sono pericolosi perché, dopo aver svegliato la politica italiano dal torpore medioevale in cui è sprofondata ora hanno delle pretese anti riformiste, (leggasi estremiste) non compatibili con gli ovattati corridoi dei Palazzi Romani, al di qua e al di là del Tevere.

Ma certo la senatrice non può apparire troppo di destra e, quindi, sottolinea “E non perché le coppie omosessuali debbano restare fuori dal provvedimento, ma perché, come è bene che lo Stato riconosca dei diritti senza eccepire sui gusti e le tendenze (la coppia Serafini – Fassino proprio non ce la fa a declinare i termini orientamento sessuale) di che poi ne trae beneficiari, non cerchino una rivalsa ideologica”. Possiamo permetterci di chiedere di quale rivalsa parla la senatrice? Nemmeno la destra clericale italiana ha mai utilizzato questo argomento per opporsi al riconoscimento delle coppie di fatto. D’altronde quando le categorie politiche saltano e ci troviamo Gianfranco Fini che si rende disponibile a confrontarsi su una legge sulle convivenze, è chiaro che a sinistra si debbano mettere dei paletti, arginare la debordante ideologia omosessuale, che rischia di inondare il paese. Altro che non rinnovare la tessera ai DS, ci vorrebbero dei girotondi intorno alla coppia più potente della sinistra italiana, per ringraziarla delle confortanti uscite sui giornali.

Ancora una volta per accreditare la tesi che il movimento lgbt è estremista, si trattano i teo dem con simpatia, invitandoli alla mediazione affinché non si alimenti il pericolosissimo laicismo rabbioso delle frange settarie della sinistra. Ci piace farci cullare da tutti questi riconoscimenti politici, dalla constatazione che la nostra generosità e pazienza sono giornalmente squartate da irresponsabili dirigenti politici, che se ne fregano delle condizioni concrete delle persone e puntano tutto sul ristretto confronto tra i ceti politici dominanti. Per favore senatrice Serafini ci regali altri suoi approfondimenti; visto che Lei è la responsabile nazionale del settore infanzia ed adolescenza dei Democratici di Sinistra, ci spieghi perché certi cattivi soggetti fin da piccoli si diagnostica che diventeranno gay o lesbiche e, da qui una legge per correggerli con adeguate cure. In questo senso Le suggeriamo anche di confrontarsi con le riformiste e democratiche associazioni cattoliche impegnate sul tema, che fioriscono in ogni dove e, che sicuramente vorrà inserire nella Consulta che dirige! Grazie Signore Grazie!!!


http://www.gaynews.it/view.php?ID=71683



«ALL’INTEGRALISMO NON SI RISPONDE COL LAICISMO»
Anna Serafini, senatrice Ds, parla dei temi etici e del PD: «Su Welby troppa ideologia. Attenti a non fare dei Pacs una battaglia per gli omosessuali»

«Vedo un rischio enorme, che all’integralismo si risponda con il laicismo». Così Anna Serafini, senatrice dei Ds, già protagonista di uno dei passaggi parlamentari più agitati in tema di materie «eticamente sensibili», cioè il voto della commissione Sanità che smentiva il ministro Livia Turco sulle quantità minime di droga leggera, commenta un frangente politico sempre più caratterizzato da scontri su materie al confine tra politica, etica e religione: «Abbiamo bisogno - dice Serafini - di una concezione della laicità che permetta di tutelare i diritti individuali senza lacerare la società. Su coppie di fatto, procreazione assistita, testamento biologico, la nostra guida è trovare il terreno più avanzato di mediazione, eliminando qualsiasi tentazione di procedere a colpi di maggioranza. Servono compromessi: non ho paura di questa parola».

E, a proposito di compromessi, Serafini risponde a una serie di obiezioni piovute sulla sinistra, accusata da un parte della sua stessa base di non svolgere la sua missione storica a difesa delle libertà civili, dalle dorghe fino al caso Welby, passando per i contestatissimi Pacs. Welby, per esempio. C’è chi pensa che i radicali siano stati lasciati troppo soli nella loro battaglia. Serafini non raccoglie l’obiezione: «Le parole di Welby andavano ascoltate, ma non mi piace il risvolto politico e ideologico che ha preso questa vicenda personale. Quello che prevale in me è un sentimento di umana pietà». Una pietà che la Chiesa non ha avuto, negando a Welby i funerali, si diceva in piazza durante il rito civile delle esequie. «E’ mancata l’umana pietà», concede Serafini, prima di dirsi ottimista sull’iter della legge sul testamento biologico in dicussione in Parlamento: «Il confine tra eutanasia e accanimenti terapeutico può esser labile, ma invece è forte. Abbiamo bisogno di una legge che consenta a ciascuno di dichiarare anticipatamente la propria volontà di non essere più curato quando non sussiste alcuna possibilità di recupero».

Si parla molto di nuova «questione cattolica», ma per molti militanti questa espressione si traduce in una resa della sinistra alle regioni del moderatismo confessionale. «Questa - risponde Serafini - è un’idea sbagliatissima. Specie quando la si associa alla nascita del Partito democratico. Si tende a trascurare che se la Chiesa interviene così tanto nella sfera civile e politica è anche per i mutamenti epocali che stiamo vivendo, primo fra tutto il nuovo rapporto con l’Islam. Si dimentica anche che in Italia esiste una destra molto forte, che esercita una presa su una parte importante del cattolicesimo italiano in fatto di valori e stili di vita e non bisogna correre il rischio che questa presa si allarghi. Perché, al contrario, io credo che tra laici e cattolici del centrosinistra ci sia già un’unità di intenti molto forte, che va tradotta sul piano del metodo. In certi casi, il metodo è sostanza». Dunque, assicura Serafini, partirà il prima possibile il gruppo di lavoro parlamentare sulle materie «eticamente sensibili».

Ma, altra obiezione comune, siamo sicuri che le droghe o le coppie di fatto siano catalogabili sotto questa voce? Serafini non ha dubbi: «Non si può solo affermare la libertà di drogarsi, bisogna affrontare il tema della dipendenza e dei carichi che questa comporta sulla famiglia, la società. La non punibilità del consumo è il pilastro condiviso di tutta l’Unione, ma un conto è dire che il consumatore non va in galera, un altro è mostrare indifferenza rispetto al fatto che un giovane decida o meno di drogarsi. Su questo il personalismo cattolico è più efficace dell’indifferenza. Questi sono temi sentitissimi, e quando un tema penetra così a fondo nelle coscienze è già etico». E le coppie di fatto? L’impressione è che sui Pacs la coalizione possa restare paralizzata dai veti incrociati: «L’importante è non caricare di ideologia la richiesta contenuta nel programma elettorale. E’ dannoso e antiriformista enfatizzare la battaglia omosessuale o trasformarla nella carta d’identità della legge. E non perché le coppie omosessuali debbano restare fuori dal provvedimento, ma perché, come è bene che lo Stato riconosca dei diritti senza eccepire sui gusti o le tendenze di chi poi ne trae beneficio, allo stesso modo è bene che i benficiari non cerchino una rivalsa ideologica. Questo, per me, è un approccio riformista e liberal, tutt’altro che moderato». Aggiunge la senatrice ds: «Oggi il problema è coniugare le libertà individuali in un contesto che, coi progressi della scienza, sposta continuamente il confine di vita e morte. Scindere le prime dal secondo è un errore che porta a sconfitte come quella del referendum sulla legge 40, che andava fatto, ma che è figlio, oltre che di una brutta legge, anche di quindici anni di mancato dialogo». Infine, un’autodifesa personale: «Su queste vicende io - dice Serafini, consorte del segretario dei Ds Piero Fassino - sono stata attaccata in quanto “moglie di”, per una concezione arretrata della politica e del giornalismo. Se la penso come mio marito, ci accusano di familismo. Se la penso diversamente, invocano il familismo chiedendo a mio marito di accudirmi. Vorrei essere attaccata per gli errori che faccio in proprio, e lo stesso vale per Piero».

http://www.gaynews.it/view.php?ID=71682

martedì 26 dicembre 2006

Ho sognato che...

Ho sognato un bellissimo paese, ho sognato l’Italia, l’Italia che vorrei.


Gentilissimo direttore, stanotte ho fatto un sogno, un sogno strano che al risveglio mi ha lasciato un sapore amaro in bocca.

Ho sognato di essere impegnato in un grande movimento straordinariamente unito nelle sue differenze, unito nelle battaglie di civiltà, che sappia interporsi tra la comunità e la politica in un'ottica comune di accrescimento. Un movimento in lotta per i diritti, che non guardi in faccia a nessuno, che non si pieghi ai no e ai forse ma che sappia reagire con testardaggine e rilanciare costantemente la propria azione. Un movimento che sia un esempio per tutta la società, fatto di tante anime e sensibilità diverse che non si scontrano ma si incontrano per crescere insieme nel reciproco rispetto.

Ho sognato tutti i miei amici gay e le amiche lesbiche guardare in faccia i propri familiari, i propri amici, i propri colleghi con l'orgoglio di chi non ha più paura, di chi non deve e non vuole più nascondersi. Li ho sognati scendere in piazza senza vergogna: un grande fiume muoversi per le città italiane e tantissimi cittadini unirsi, lungo la strada, a questo corteo colorato. Ho sognato che la volontà di non dire «io sono gay» o «io sono lesbica» non sia una semplice scusa che nasconde la vergogna e la non completa accettazione di sé, ma solo il risultato di una società completamente aperta e tollerante e di gay e lesbiche completamente mature nel loro percorso.

Ho sognato un grande partito socialista fatto di persone con tante idee nuove e con tanta voglia di fare, fatto di giovani lontani dalle vecchie logiche politiche e impegnati per il bene comune. Un partito pronto a recepire i bisogni della società, di tutta la società e pronto a mettersi in discussione, libero da tutte le interferenze e con l'orecchio teso verso le voci dei cittadini. Alla guida di questo partito ho sognato un leader giovane e sfacciato che ci faccia innamorare di nuovo della politica e della partecipazione civile, quella vera.

Ho sognato anche di riconoscere, al braccio di ogni persona, una strana cicatrice simile a quella che aveva mio padre, ma questa volta a forma di fiocco, segno della vittoria dell'uomo sull'aids come allora fu sul vaiolo.

Ho sognato un bellissimo paese, ho sognato l'Italia, l'Italia che vorrei.

Poi, caro direttore, ho sognato anche di crescere e amare un figlio con il mio compagno, ma questa, ahimè, è un'altra storia.


Stefano Bucaioni
segretario Arcigay Perugia

http://www.arcigaymilano.org/dosart.asp?ID=27852

martedì 19 dicembre 2006

Grillini: fatto grave la chiusura di GAY.tv

L’esperienza di “Gay.tv” è durata cinque anni e ha dimostrato che una televisione dedicata alla comunità lgbt, ma aperta a tutti non solo è possibile o utile, ma addirittura può raggiungere livelli di eccellenza, con ascolti che raggiungevano il mezzio milione di telespettatori al giorno, e con l’esperienza di alcuni conduttori, che seguita la gavetta dal canale satellitare sono diventate star nazionali.

La chiusura di gay.tv è un danno grave per il panorama televisivo italiano, e naturalmente per la comunità lgbt italiana che perde una voce autorevole e uno strumento insostituibile di informazione ed espressione.

Per questo è auspicabile una campagna per il salvataggio dell’emettente televisiva. Pensiamo per esempio alla Rai, che potrebbe mettere a disposizione della Tv uno dei propri canali satellitari, o a Mediaset, che potrebbe decidere di investire in questo settore. Considerato poi, che il panorama della Tv è variegato, sarebbe interessante che anche altri operatori privati della Tv satellitare o in chiaro si interessassero alla vicenda.

Gay.tv ha dimostrato ampiamente la plausibilità di un canale a tematica lgbt aperto a tutti.

È necessario fare in modo che la domanda di spazio televisivo, che proprio gay.tv ha contribuito a rendere evidente, trovi capacità di investimento ed impegno da parte di grandi e piccole emittenti televisive.

Nei prossimi giorni proporrò un incontro ai vertici di Rai e Mediaset e di altre emittenti televisive sperando di trovare ascolto.

Vorrei esprimere, infine, il mio personale ringraziamento a Massimo Scolari, editore di gay.tv, per aver creduto ed investito nel settore e a tutti coloro che sono stati protagonisti di questa splendida stagione televisiva che spero non si concluda il 31 gennaio prossimo.


Franco Grillini
Deputato “Ulivo”
Presidente onorario Arcigay


http://www.gaynews.it/view.php?ID=71629

lunedì 18 dicembre 2006

GAY.tv chiude le trasmissioni TV il 31 gennaio 2007

L`editore Massimo Scolari annuncia in diretta ad Open Space la chiusura del canale: "E` stata un`esperienza indimenticabile. Ma siamo stati solo noi a investire".


SCRIVI UN'EMAIL A chiudiamo@gay.tv
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GAY.tv CHIUDE LE TRASMISSIONI TV »

lunedì 11 dicembre 2006

Chi non ama i diversi non è cristiano

di EUGENIO SCALFARI

Il fatto nuovo e rilevante di questi giorni è l'accordo tra il governo e la sua maggioranza, per una volta unanime, sul tema delle coppie di fatto. Dopo molti mesi durante i quali i problemi dell'economia e della fiscalità hanno interamente occupato la scena suscitando non piccola confusione ed eccitando egoismi corporativi che hanno messo a rischio ogni sentimento di solidarietà sociale e ogni visione di interesse generale, finalmente si sono cominciate ad affrontare questioni eticamente sensibili.

Sarò magari un laicista vituperando, di quelli contro i quali il Papa non cessa di lanciare ogni giorno il suo monotono anatema, ma a me pare che quell'accordo sulle coppie di fatto rappresenti una svolta positiva della quale si sentiva urgente bisogno. Tanto più positiva in quanto è stata voluta e sottoscritta anche da cattolici militanti di sicuri sentimenti democratici, che professano allo stesso tempo rispettosa attenzione ai valori della loro religione e a quelli altrettanto onorandi della Costituzione repubblicana, alla dignità della famiglia e ai diritti indiscutibili degli individui, al magistero della Chiesa e all'autonoma sovranità dello Stato.

L'accordo sulle coppie di fatto ha suscitato consensi e dissensi di vario tipo e colore. C'è chi l'ha giudicato un pericoloso arretramento dal punto di vista laico, chi una forzatura irritante e controproducente rispetto alla lenta evoluzione del costume e chi vi ha visto addirittura la mano del diavolo col suo puzzo di zolfo e le impronte del suo piede caprino.

Tralascio per il momento quest'ultimo tipo di reazione sul quale bisognerà tuttavia tornare perché coinvolge anche forze politiche di notevole rilievo. Prima conviene infatti esaminare il contenuto e il senso politico di quest'accordo e dell'ordine del giorno che lo contiene, votato all'unanimità dal gruppo senatoriale del centrosinistra e accolto all'unanimità dal governo nel quale siedono i rappresentanti di tutta l'Unione.



L'accordo prevede che entro il 31 gennaio sia presentato un disegno di legge sulle coppie di fatto nel quale vengano riconosciuti i diritti degli individui che abbiano deciso di vivere insieme stabilmente ma al di fuori del vincolo matrimoniale. Questi diritti riguardano aspetti rilevanti della convivenza, dall'assistenza reciproca tra i conviventi alle decisioni da prendere in casi di malattie di uno di essi, alla successione ereditaria, alla reversibilità della pensione, al pagamento degli alimenti in caso di separazione, all'uso comune dell'abitazione, ai diritti e doveri verso i figli e la loro educazione. Insomma tutti gli aspetti che configurano i rapporti interpersonali di una convivenza duratura, quale che sia l'età la razza la religione e il sesso dei due conviventi.



Questi i principi e i temi sui quali dovrà applicarsi la normativa della legge; il termine tassativamente indicato è, come s'è detto, quello del 31 gennaio 2007; il ministro incaricato di redigere il testo è la Pollastrini di concerto con la Bindi, ministro della Famiglia. Il Consiglio dei ministri, entro quella data, dovrà discutere e approvare il testo trasmettendolo poi al Parlamento per la sua trasformazione in legge dello Stato. I gruppi parlamentari dell'Unione sono tenuti a votare quel testo sulle cui finalità hanno già dato unanime e favorevole parere.



A me pare, da vecchio e vituperato laicista, che si tratti di un ottimo accordo né mi sembra possa essere criticato lo stralcio d'un articolo della Finanziaria sulla fiscalità successoria che il governo ha ritirato per reinserirlo più coerentemente nel disegno di legge in questione.



Capisco che i laicisti "arrabbiati" temano che il disegno di legge sia stravolto nel suo iter parlamentare sicché le componenti cattoliche del centrosinistra abbiano sottoscritto l'accordo incrociando nascostamente le dita per tradire poi la parola data nel momento conclusivo. Li capisco perché i laici di analoghe delusioni ne hanno sofferte non poche. Penso però che in questo caso il gioco valga la candela. Per due motivi importanti: è stato deciso di presentare una legge sulle coppie di fatto e non di considerarle vincolate soltanto da un semplice contratto privato; si è deciso altresì all'unanimità che la legge e le sue norme regolino tutti i tipi di convivenza indipendentemente dal sesso dei conviventi, riguardino cioè eterosessuali e omosessuali. L'unanimità raggiunta su questi due punti è essenziale. È chiaro che se qualcuna delle forze politiche si ritirasse dall'accordo già sottoscritto - obbedendo agli anatemi lanciati anche ieri dall'Osservatore Romano - ciò segnerebbe la fine dell'Unione e del governo che ne è l'espressione.

Perché la Chiesa cattolica dovrebbe opporsi ad una legge ispirata a questi principi? Perché non dovrebbe considerarla anzi come parte integrante e conforme al messaggio che emana dalla predicazione evangelica? Non è la tutela dei diritti individuali uno dei cardini di quel messaggio? Non è il rispetto della persona e la sua dignità? Non è l'includere una finalità dell'amore del prossimo e l'escludere un vero e proprio peccato di egoismo e di superbia? Non fu Gesù di Nazareth a salvare la peccatrice, a riscattare gli schiavi, ad amare i diversi e i deboli? Non è l'amore del prossimo ad aver reso grande il Cristianesimo e affidabili i veri cristiani anche da parte di chi non ne condivide la fede?

Ho letto ieri sulle pagine di Repubblica l'intervista di Ferzan Ozpetek, il regista di Fate ignoranti che pone, appunto, queste domande. Le condivido in pieno e penso che dovrebbero condividerle tutti i cristiani e tutti i cattolici. In particolare - e non si dica che è un paradosso - la gerarchia, i vescovi successori degli apostoli, il Papa vicario di Cristo. Dov'è l'amore? Dov'è l'inclusione? Dov'è la pietà?



I sacerdoti con cura di anime dovrebbero far sentire la loro voce su temi così coinvolgenti che arrivano nell'intimo della carne e dell'anima. Il laicato cattolico dovrebbe parlare e agire nella propria autonomia per il bene della Chiesa. Dov'è il coraggio cristiano per la difesa del prossimo?



S'invoca la famiglia, ma una legge equa sulla convivenza non mette a repentaglio alcuna famiglia. Io non credo che le famiglie in quanto tali si sentano in pericolo per la convivenza in quanto tale. Non credo che esista un problema di supremazia sociale tra famiglia e convivenza, tanto più di fronte ad una legge che non pretende di parificare quei due istituti. Non credo che i figli nati o comunque esistenti all'interno d'una convivenza debbano suscitare affetti e diritti minori dei figli nati all'interno d'una famiglia. E perciò pur non essendo cristiano ma apprezzando, rispettando e ammirando il messaggio evangelico, resto stupefatto e dolorosamente colpito dall'egoismo e dalla superbia e dalla sfrontata certezza con cui la gerarchia e coloro che ne seguono le prescrizioni si schierano in battaglia contro il riconoscimento d'un fatto che esiste, è un prodotto d'amore e che è ispirazione del diavolo voler cancellare, disconoscere, discriminare, punire.



Benedetto XVI parlando ieri ai giuristi cattolici ha pronunciato parole e concetti in gran parte già noti, sui quali ormai ritorna con insistenza.



Ha detto che la religione non può più esser considerata un fatto privato ma ha diritto di esprimersi nello spazio pubblico. Nessun laico dotato di ragione ragionante contesta questa affermazione cui anche di recente il presidente della Repubblica italiana, dichiaratamente non credente, ha dato il suo autorevole avallo.

Ha detto che la religione in quanto Chiesa organizzata e corpo visibile, ha il diritto di propagandare la (sua) verità in tutti i domini dell'etica ed anche della politica laddove essa incrocia temi eticamente sensibili. Nessuno contesta questa sua affermazione. Noi, laicisti vituperati, non solo non impediamo (non lo potremmo e non lo vogliamo) ma anzi desideriamo che la Chiesa parli e i cattolici si esprimano. Ci stupiamo anzi del loro silenzio ostile e del silenzio altrettanto ostile della gerarchia e del clero che cura (dovrebbe curare) le anime per il silenzio e l'ostilità contro i conviventi. Contro i diversi. Non sono anch'essi da considerare figli dell'unico Dio? C'è un'inquietante e ottusa mancanza di amore in questa brutale crociata indetta dalla gerarchia, che mette in dubbio l'autenticità del messaggio cristiano e rischia di trasformarlo in un fondamentalismo della peggiore specie.

Di questo noi non credenti ci rammarichiamo; in questo, lo ripeto, vediamo un peccato mortale di superbia e di orgoglio, una lacuna d'amore, una ferita profonda di quel messaggio che Gesù lasciò come retaggio ai suoi discepoli.



Mi stupisce che questo messaggio così platealmente tradito venga fatto proprio da cattolici che dicono d'esser pervasi dalla fede ancorché l'abbiano a loro volta tradita nei comportamenti della loro vita privata. L'hanno tradita in nome dell'amore e non saremo certo noi laici a censurarli. Tutt'altro. Ma non comprendiamo perché l'amore che li ha ispirati sia da essi stessi negato a tutti gli altri simili a loro. Questo sì, resta incomprensibile a meno di non pensare che la convenienza politica li accechi e getti polvere nei loro occhi.



Così ho ascoltato con stupore l'anatema di Pier Ferdinando Casini contro ogni legge che si occupi delle coppie di fatto e in particolare contro le coppie di fatto omosessuali. Quasi che l'omosessuale sia un reietto, un individuo residuale, una fonte di male per definizione, un aborto biologico da isolare. E tutt'al più da curare e redimere biologicamente.



È questo il preteso leader dei moderati e anzi dei liberali moderati? Se non mi trattenesse la tolleranza che è propria molto più dei laici che non dei cattolici ossessionati, pensando a personaggi che fanno della lotta alla convivenza uno slogan per una vergognosa crociata reazionaria direi "libera nos a diabolo". Non è con questo tipo di fedeli che la religione entrerà in contatto con la modernità e arginerà la secolarizzazione. Non è odiando l'amore diverso che si possa diffondere amore, perché l'amore non sopporta aggettivi come non li sopporta la libertà. L'amore è uno, è un sentimento ineffabile, nasce come e dove nasce e va sempre rispettato. Così come la persona. Avete combattuto per secoli, voi cattolici, contro lo schematismo dei manichei. State dunque attenti a non resuscitarlo nella vostra stessa anima, della quale forse dovreste avere maggior cura.

Post scriptum



Il ministro Livia Turco visiterà nei prossimi giorni Welby che invoca la morte dalla gabbia di dolore in cui da anni è rinchiuso. L'iniziativa del ministro è apprezzabile.



La Turco ha chiesto all'Istituto di Sanità di sapere se la situazione di Welby rientra nella fattispecie dell'accanimento terapeutico o in quella dell'eutanasia. Conoscere prima di decidere. Anche questo è apprezzabile. Ma il ministro Livia Turco ha detto che quando il responso del Consiglio superiore di sanità sarà dato e risultasse conforme ai desideri del paziente Welby, vedrà se sia il caso di proporre al Parlamento una legge in proposito.



Questo, onorevole ministro, non è affatto apprezzabile. È un atteggiamento da Ponzio Pilato. È furbesco, è ipocrita. Non è degno della sua integrità e onestà morale. È un tradimento della politica nel senso alto del termine. Se questo è il suo pensiero si risparmi quella visita al letto di un ammalato ingabbiato e torturato. Sarebbe solo un'esibizione umiliante per lei e una nuova pena per la vittima.



(la Repubblica, 10 dicembre 2006)

giovedì 23 novembre 2006

Deaglio: "Gola Profonda ci raccontò l'ira di Berlusconi a palazzo Grazioli"

Parlano gli autori di "Uccidete la democrazia!": "Adesso tanti ci scrivono la loro esperienza... E chiedono dove sono finite le loro schede bianche
"Volevamo fare un film diverso. Poi, quella notte, abbiamo visto troppe cose strane



ROMA - "Volevamo fare un altro film. Un film sulle elezioni che fosse un po' il seguito di quello su Berlusconi, che dicesse com'era andata a finire. Poi, in quella notte, abbiamo visto e sentito troppe cose strane e, nei giorni successivi tante altre circolavano e venivano raccontate su come il voto, forse, era stato manipolato. Così è nato un film completamente diverso".

Enrico Deaglio, Beppe Cremagnani e Ruben H. Oliva ci raccontano la storia di questo "Uccidete la democrazia!", di come è venuto fuori e a cosa può servire, adesso.
"Adesso vogliamo andare avanti con l'inchiesta. Anche perché abbiamo scoperto che tanta gente, tanti italiani qualsiasi, avevano avuto i loro privatissimi sospetti e si erano messi da parte dati, carte, documenti, testimonianze. E li mandano al nostro sito (www. uccidetelademocrazia. com) e vengono fuori altre cose incredibili. C'è chi è andato a controllare il dato del suo seggio e ha scoperto che a verbale c'erano 16 sede bianche, ma nel risultato finale ne risultano solo 6. Altri ci raccontano di aver votato scheda bianca e di aver poi scoperto che nel loro seggio risultano zero schede bianche".

Ma come è possibile che le Corti d'Appello, che hanno controllato la corrispondenza tra i verbali dei seggi e i risultati finali, non abbiano rilevato alcuna anomalia?
"E' la stessa questione che hanno posto i deputati di Forza Italia Calderisi e Taradash accusandoci di non conoscere le norme. In realtà, le Corti d'Appello hanno controllato i voti validi, non le schede bianche. Per un controllo definitiva bisognerebbe ricontare le schede bianche seggio per seggio e verificare se la somma corrisponde a quella ufficiale".

Magari, adesso, lo faranno. Voi cosa vi aspettate?
"Siamo i primi ad augurarci che lo facciano. Speriamo che le istituzioni arrivino a dirci che tutto è stato regolare o a spiegarci che cosa è davvero successo".

Avete detto che volevate fare un film diverso. Poi cosa è successo?
"E' successo che Ruben Oliva, quella notte girava per Roma e incontrava politici del centrosinistra stralunati e preoccupati o del centrodestra prima distrutti poi troppo sicuri. Come il responsabile elettorale di Forza Italia, Verdini che alle 15,30 dice: 'Non fidatevi di quello che state vedendo. Alla Camera sarà un testa a testa, si capirà con le successive proiezioni'. Come faceva? Aveva la palla di vetro?... Poi ci sono state le voci dei giorni successivi, quelle sui vertici di palazzo Grazioli... Così abbiamo provato a cambiare obiettivo".

Poi è uscito il libro "Il Broglio" di un anonimo che raccontava proprio queste cose. E voi?
"Noi abbiamo trovato una "Gola profonda", uno che quella notte c'era davvero. Era a palazzo Grazioli e quelle scene le ha viste. Ovviamente, non era disponibile a parlare in prima persona. Così abbiamo dovuto ricorrere a dei pezzi di fiction. Ma le cose che, nel film, dice De Capitani sono quelle che ci ha raccontato il nostro testimone. Poi abbiamo guardato meglio e abbiamo 'incontrato' diverse altre cose: la legge elettorale cambiata in tutta fretta, i 14 prefetti sostituiti a dieci giorni dalle elezioni, gli scrutatori organizzati da Forza Italia, la panzana della grande affluenza al voto. Dicevano che Berlusconi aveva vinto perché aveva votato più dell'83% degli elettori. In realtà, togliendo dalle liste i residenti all'estero che votavano per conto loro, gli elettori sono aumentati in percentuale ma diminuiti in numero assoluto

Cosa vi ha detto "Gola Profonda?"
"Che le visite di Pisanu a palazzo Grazioli sono state tre e che, a un certo punto, Berlusconi era furibondo. Rinfacciava a tutti i milioni che aveva speso per organizzare le falangi di scrutatori di Forza Italia, voleva congelare il risultato elettorale e accusare la sinistra di brogli. Diceva di aver pronto un decreto e che sarebbe andato al Quirinale per farselo firmare da Ciampi. Ma pare che il capo dello Stato gli fece sapere che non avrebbe firmato niente".

Ma perché tutto si bloccò a poche migliaia di voti dalla vittoria della Cdl?
"La risposta dovrebbe darla Pisanu. Forse si rese conto che la democrazia era rischio. Forse quelli del centrosinistra avevano subodorato qualcosa e glielo fecero sapere chiedendogli di rimettere subito a posto le cose. A questo proposito sarebbe interessante saper chi chiamò Minniti e cosa gli disse per tranquillizzarlo".

E perché, secondo voi, quelli dell'Unione non hanno denunciato niente?
"Chi può dirlo. Potrebbe aver avuto la prevalenza una considerazione etico-istituzionale. Se viene fuori una cosa del genere, chi andrebbe più a votare? Potrebbero aver deciso di tenersi una vittoria risicata e rischiosa per non mettere a repentaglio davvero la democrazia".

Nel film parlate del trucco informatico. E' davvero possibile?
"Gli esperti dicono di sì. Il programmino di Curtis potrebbe essere stato introdotto, fatto funzionare finché Pisanu o chi per lui ha scoperto tutto e, poi, fatto sparire senza lasciare traccia. Di più, chi l'ha introdotto potrebbe essere stato a sua volta imbrogliato da qualcuno che gli aveva detto che il programma serviva a qualche altro scopo del tutto lecito. Tra l'altro, il programmino cambia i voti solo quando arrivano al Viminale. Se qualcuno nella Prefettura di origine li vuole verificare di nuovo, tornano indietro puliti, uguali a quelli originali".

(23 novembre 2006)

http://tinyurl.com/yh97t9

La notte delle schede bianche scomparse. Brogli, l'inquietante ipotesi del film di Deaglio

Domani in edicola (Dvd con "Diario) "Uccidete la democrazia!" il film del giornalista
che ipotizza quello che potrebbe essere successo alle politiche dell'11 aprile scorso
Un "programmino" spostò le schede non votate a Forza Italia?
L'ira di Berlusconi, lo "stop" di Pisanu e un "Gola Profonda" racconta



ROMA - Caccia a Bianca, la scheda scomparsa. Come in un thriller, con il rischio di scoprire che le elezioni del 10-11 aprile 2006 sono state truccate e manipolate forse con un programmino elettronico inserito nel sistema del Viminale e, poi, fatto sparire senza lasciare traccia. Con il rischio di abbattere anche uno dei pochi tabù rimasti in questo paese: la sacralità del voto.

Eppure, Enrico Deaglio e Beppe Cremagnani, giornalisti di lungo corso, con la mano preziosa del regista Ruben H. Oliva, hanno provato a compiere a ritroso il percorso di quel voto: di quel lunedì 11 aprile quando i risultati partirono in un modo, cambiarono durante lo scrutinio con un ritmo graficamente incredibile e finirono, in una notte di tregenda, per sancire la risicatissima vittoria del centrosinistra. Il frutto del lavoro dei tre è un film che s'intitola "Uccidete la democrazia!", il settimanale "Diario" di Deaglio ne distribuirà il Dvd venerdì nelle edicole. L'operazione rischia di far scoppiare un notevole terremoto politico: già ieri sono partite richieste per una commissione d'inchiesta mentre il centrodestra affila le armi e minaccia querele. Ieri sera, alla proiezione organizzata al "Capranichetta" (due passi da Montecitorio) dall'associazione "Articolo 21" di Beppe Giulietti e Federico Orlando, c'era tanta gente e almeno una quindicina di parlamentari del centrosinistra compreso il portavoce di Prodi, Silvio Sircana.

Il film pone una questione tanto chiara quanto drammatica: le ultime elezioni politiche dovevano essere truccate trasformando le schede bianche in altrettanti voti a Forza Italia (gli unici due dati "sbagliati" dai sondaggisti), ma l'operazione venne fermata all'ultimo momento perché, probabilmente, lo stesso ministro degli Interni, Beppe Pisanu, se ne rese conto e la bloccò. La "rimonta truccata" del centrodestra, dunque si sarebbe arenata a poche decine di migliaia di voti dal sorpasso, col risultato e le conseguenze politiche che tutti conosciamo.


Ma Deaglio e i suoi vanno oltre e, grazie a una "Gola profonda" (magistralmente interpretata da Elio De Capitani, il "Caimano" di Nanni Moretti) raccontano anche quello che accadde nella notte: con i tre "viaggi" di Pisanu a palazzo Grazioli, l'ira di Berlusconi e il tentativo di far annullare le elezioni rifiutato da Ciampi. Sullo sfondo l'incredibile andamento del voto, l'angoscia e la confusione del centrosinistra che dura fino al momento in cui Marco Minniti (deputato Ds) arriva "trafelato" e agitatissimo al Viminale e, poi si placa quando riceve una telefonata. Una telefonata nella quale, qualcuno potrebbe avergli fatto sapere che il giochetto era stato scoperto e che Pisanu aveva deciso di intervenire. Solo allora, Piero Fassino, con aria quasi mesta e occhi spaventati annuncia a una piazza sull'orlo della disperazione, che il centrosinistra ha vinto le elezioni " con venticinquemila voti" di differenza.

Qui, il film lascia aperta una domanda: perché il centrosinistra se aveva scoperto o, quantomeno capito l'imbroglio, non ha reagito e denunciato? Perché si è lasciato strappare dal Cavaliere anche questa arma? Una risposta, secondo gli autori, potrebbe stare nel timore dell'Unione di rovesciare il tavolo di finire per dare una mano a screditare tutto, a "uccidere davvero la democrazia".

Sullo sfondo si muovono altri personaggi. A partire dall'informatico americano Clinton Curtis che preparò un programmino che altri, a sua insaputa, usarono per truccare le elezioni in Florida nel 2001. Curtis, che oggi si batte per il "voto pulito", mostra e dimostra come, con l'elettronica, ormai, l'elettore conta davvero poco. Il potere ce l'ha chi i voti li conta e può manipolarli nel mondo virtuale dei sistemi informatici. Perché la carta delle schede sulla quale il cittadino segna o non segna (scheda bianca) il suo voto, finisce chissà dove. I risultati ufficiali sono costruiti con l'elettronica e con l'elettronica si può fare tutto. Compreso prendere i voti di una città come Roma e modificarli nel trasferimento dalla Prefettura al Viminale in modo che un certo numero di schede bianche "trasmigrino" a una delle due coalizioni in lizza determinandone la vittoria. Nel film, Curtis, intervistato da Deaglio, fornisce una dimostrazione di come questo si possa ottenere con una certa facilità: "Bastano quattro o cinque persone - spiega - e senza lasciare la minima traccia".

E quella che Deaglio e Cremagnani chiamano la "grande centrifuga": il misterioso "buco nero" che si sarebbe mangiato oltre un milione di schede bianche trasformandole in voti per Forza Italia. Una centrifuga che ha "lavato" l'Italia dando vita a un risultato che gli esperti definiscono "incredibile" se non impossibile. Nel 2001, infatti, le schede bianche totali furono 1 milione e 692mila (4,2%); nel 2006 sono scese a 445 mila. Non solo, alle politiche del 2001, ogni regione aveva una sua percentuale "caratteristica" di "bianche": oscillante dal 2 all'8 per cento. Questa volta no: la percentuale, oltre a scendere ai minimi (1,1%), si appiattisce e diventa praticamente la stessa in tutte le regioni. Come se gli italiani della Campania si fossero messi d'accordo con quelli del Piemonte o della Liguria.

Politica o fantapolitica? Adesso il film è pubblico. Basteranno gli anatemi o le querele per spegnere il suo inquietante messaggio? Partiranno le inchieste? E, soprattutto, sapremo mai davvero cosa è accaduto la notte dell'11 aprile? E il Viminale (dove oggi comanda il centrosinistra), tirerà fuori i dati ufficiali delle schede bianche? Perché oggi, a sei mesi dalle elezioni, quei dati non ci sono. Sul sito del Ministero degli Interni si trovano i risultati delle elezioni, i voti per i partiti e gli eletti. Ma il dato delle "bianche" e delle "nulle" non c'è, non si trova. In passato questi numeri erano noti e ufficiali un mese dopo il voto. Se li conosciamo è solo perché qualcuno è riuscito ad averli per vie traverse. Il Viminale ci fornisce solo le schede bianche del 2001: solo la prima parte di un paragone impossibile. Un paragone che, a questo punto, andrebbe fatto a partire dalle buste che contengono davvero "Bianca" e le sue compagne per vedere se il loro numero corrisponde al risultato ufficiale o se qualcuno ci ha messo in mezzo un programmino come quello di mr. Curtis.

(23 novembre 2006)

http://tinyurl.com/u8guk

sabato 18 novembre 2006

I cattolici della Rete contro Banfi: "Oscurate la fiction omosessuale". Diamoci da fare contro la censura, scriviamo anche noi alla Rai.

E' protesta contro il telefilm in onda il 20 novembre su Rai Uno
L'attore fa il padre di una lesbica sposata, in Spagna, con la compagna
Email e siti per dire no al programma: "Scrivete alla Rai"
di CLOTILDE VELTRI


LINO Banfi, nei panni del padre di una ragazza lesbica che si sposa con la sua compagna, non è tollerabile. Perché la fiction verrà trasmessa sulla Rai in prima serata, perché la vedranno i bambini che, dio solo sa, cosa potranno pensare. "Noi questo non lo possiamo permettere...Per questo propongo di tempestare la Rai con emails di protesta, chiedendo lo spostamento in seconda serata (quantomeno!) della fiction...". E' questo, in sostanza, il senso della protesta che sta motando nei siti internet di area cattolica. La polemica riguarda, appunto, il telefilm prodotto dalla tv pubblica, protagonista il "nonno Libero" nazionale, alias Lino Banfi, la cui messa in onda è prevista per lunedì 20 novembre su RaiUno.

La trama è semplice: Riccardo (Banfi) è un agricoltore del sud di sani principi che va a trovare la figlia in Spagna e scopre che la ragazza è lesbica. Non solo: è sposata con la sua compagna. Dopo varie peripezie e diffidenze l'uomo accoglierà di buon grado l'omosessualità della ragazza, facendo prevalere l'affetto sul pregiudizio. Ce n'è abbastanza per far scattare la censura da parte dei cattolici che non apprezzano l'apertura della Rai al mondo gay.

Soprattutto se il programma coinvolge un attore popolare e familiare come Banfi. Soprattutto se in prima serata, quindi in fascia protetta. La campagna contro la fiction si combatte a suon di email e di blog. Le prime chiedono ai destinatari di unirsi alla crociata per far slittare la programmazione o, addirittura, per annullarla.

Perché già nonno Libero aveva esagerato inneggiando - nella fiction "Un medico in famiglia" - "alle famiglie 'aperte e allegre', dove regna l'allegria, la mancanza della mamma è surrogata da nonni e tate premurose, dove il padre si sposa la zia e insieme spariscono per lunghi mesi, lasciando la famiglia nelle mani di questo instancabile nonno, che denigra la scuola libera, inneggia al sindacato come risolutore di tutti i mali e si sposa la consuocera borghese per redimerla".
Il limite, secondo il sito Culturacattolica.it, sarebbe già stato abbondantemente superato, se non fosse che Banfi adesso obbliga i pubblico ad accogliere con simpatia il matrimonio tra due lesbiche. Prosegue il sito: "Nonno Libero, si lancia in un'altra operazione di 'marketing culturale', con la prossima fiction in onda su Rai Uno, il 20 novembre, in prima serata, dal titolo "Il padre delle spose".

Perché, si legge ancora: "Una cosa è accogliere la figlia lesbica e un'altra è dire che il matrimonio tra due omosessuali e due eterosessuali è la medesima cosa. Io voglio protestare, perché questo continuo far passare in televisione l'idea, che tutte le unioni possono essere equiparate, è una forzatura innaturale. Non sospenderanno certo la fiction per le nostre proteste, ma far sentire la nostra voce, chiedere lo spostamento in seconda serata e magari disdire il canone Rai potrebbe essere utile".

L'anatema è assicurato. Ma restare a guardare passivamente non basta. Bisogna scrivere alla Rai, protestare, farsi sentire. Ecco quindi che i difensori della morale cattolica chiedono di inviare messaggi alla Rai in cui si invita a far slittare il programma o a depennarlo.

La crociata ovviamente ha immediatamente scatenato le contromosse dei laici della Rete innescando una vera e propria rincorsa al messaggio alla Rai. Il blog Pennarossa ha promosso una campagna per sostenere Banfi e la sua fiction politically correct. Lo stesso ha fatto Ivan Scalfarotto, già candidato della società civile alle primarie dell'Unione, oggi autore di un blog.

(18 novembre 2006)
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martedì 14 novembre 2006

Scene da un matrimonio... lesbico

Lino Banfi, dopo Un difetto di famiglia, torna a occuparsi di omosessualità nel ruolo del papà di una lesbica in Il padre delle spose dove ha voluto recitare con la sua vera figlia Rosanna
di Roberto Schinardi


È uno splendido settantenne, Lino Banfi, vera e propria istituzione di un cinema popolare che ha fatto di un carattere molto tipizzato, la maschera del meridionale spesso ruvido e diretto, un personaggio che è entrato nel cuore di intere generazioni di immigrati e non. Un ruolo che sembrerebbe lontano anni luce dal mondo queer. Eppure, dal gradasso puerile di ruoli superetero in titoli trash e pecorecci quali La dottoressa ci sta col colonnello o La ripetente fa l’occhietto al preside (i nomi dei suoi personaggi, Anacleto Punzone e Rodolfo Calabrone, son tutto dire!), il nostro Pasquale Zagaria da Andria, provincia di Bari, è passato a titoli impegnati per la televisione con un occhio particolare per le tematiche glbt. Ecco arrivare su Raiuno la miniserie Il padre delle spose, diretta da Lodovico Gasparini, in cui Lino veste i panni di un vedovo pugliese che scopre di avere una figlia lesbica, Aurora (la sua vera figlia Rosanna), fidanzata con una donna spagnola, Rosario, reduce da un divorzio e con una bambina (Mapi Galan). Lo abbiamo contattato dopo una giornata lavorativa nei panni del celebre Nonno Libero sul set della fortunata sitcom Un medico in famiglia, arrivata alla quinta stagione. “Il padre delle spose” nasce da una sua idea, anche se la sceneggiatura è stata poi sviluppata da Paola Pascolini, Fabio Leoni e Giancarlo Russo… Fin da ragazzo avevo quest’idea di parlare di un mondo che non mi apparteneva ma mi incuriosiva e attraeva. A quei tempi non c’era questa nobile parola, gay, ma solo versacci e parolacce. Mi ricordo di un signore che aveva più di trent’anni quando io ne avevo quattordici ed era sempre messo da parte. I nostri genitori dicevano di non parlare con quello “un po’ così”. Questo proibizionismo mi ha sempre dato fastidio. Mio padre, pur essendo un contadino non colto, non mi ha mai impedito di frequentarlo. Quell’uomo mi intenerì molto, mi disse che era nato con gli ormoni sbagliati di sua sorella gemella. Che ci poteva fare? Sono passati gli anni e nella mia vita ho avuto tantissimi colleghi gay per i quali ho avuto tanto rispetto ed affetto. Un giorno un giornalista mi fece una domanda a bruciapelo: “Come reagiresti se ti accorgessi che tuo figlio è gay?”. Risposi: “Non farò una festa da ballo ma neanche ne faccio un dolore”. Lui ribatté: “Non me lo aspettavo da te, da una mentalità meridionale”. A quel punto mi resi conto che se per i gay abbiamo usato duemila termini assolutamente vezzeggiativi, per le lesbiche, al contrario, non esistono alternative. Dopo l’avvento di Zapatero decisi di affrontare direttamente l’argomento. Scrissi subito di getto venti pagine e mi domandai: “Chi può intepretare questo film?”. E la risposta che mi diedi fu: “Io e Rosanna”. E così è nato “Il padre delle spose”. Ora l’abbiamo finito, è venuto molto bene e ne emerge un grande amore di padre nonostante una "mente chiusa" tipicamente meridionale. Ma è vero che ci sono alcune scene con violenti alterchi tra padre e figlia? Sì, due o tre volte si dice anche la parola "stronzo". Questo film secondo me è forte, un vero "cazzottone". C’è una lite terribile che abbiamo girato nella piazza del paese. Rosanna doveva sputare tutta la sua rabbia e io, per caricarla, la feci arrabbiare veramente dicendole: “Guarda che è tardi, io di straordinari non ne faccio” aggiungendo qualche termine volgare. Lei ha spalancato gli occhi. A quel punto ho fatto cenno al regista di riprendere e lei ha così potuto sfogarsi completamente. Ma recitare questi ruoli vi ha fatto rivivere veri contrasti del vostro rapporto famigliare? Io e Rosanna abbiamo sempre avuto un rapporto forte, quasi carnale. Abbiamo litigato, ma siamo sempre rimasti molto uniti. Io l’ho seguita in tutte le occasioni, ho persino assistito ai suoi due parti cesarei. E come racconterà ai suoi nipoti questa storia d’amore al femminile? Loro sono talmente moderni! Rosanna ha spiegato a Virginia che quando loro si baciano è perché nella loro famiglia di mamme ce ne sono due e non una sola e lei ha commentato: “Vabbe', vuol dire che invece di un regalo me ne faccio fare due”. So che lei è favorevole ai Pacs ma più reticente riguardo alle adozioni omosessuali: come mai? È una questione più difficile. Io sono ambasciatore dell’Unicef e ho visto da vicino quanto sia complesso per una coppia etero adottare bimbi, ancor più se di un’altra nazione. Direi di fare un po’ con calma, facciamo i primi passi e poi valutiamo. È un po’ come dire: con questo film apro un tipo di libro che è indubbiamente interessante. Vediamo dove ci porta. Ma sinceramente, nella sua famiglia, non ci sono mai stati casi di omosessualità? Sì, abbiamo avuto il caso di una nostra cugina. Io fui il primo a capirlo. Aveva modi mascolini e io dicevo al mio fratello più grande questo termine, "lesbica", che neanche lui capiva. Era un po’ come "presbite", pensavamo fosse un difetto fisico. E se ne rese conto anche mia madre che non aveva studiato per niente e metteva la firma con la croce. Persino mio padre aveva capito, ma allora c’era una discrezione che impediva di parlarne. Com’è cambiata la sua personale percezione dell’omosessualità nel corso del tempo, divenendo celebre? Nel mondo dello spettacolo è sempre stato tutto molto più semplice. La difficoltà stava nel farlo capire a chi non ne faceva parte. Certo, ora se ne può finalmente parlare. Ma per la mia generazione è stato un cammino lungo. Lei è sempre stato molto amato dalla comunità gay. Come se lo spiega? Sì, anche Franco Grillini mi ha lodato. I gay hanno una sensibilità in più, in qualunque settore. C’è qualcosa in più nella ricezione del carattere, intuiscono sempre qualche elemento in più. Io ho una tesi a riguardo: secondo me questa lotta interiore che comunque c’è tra i due sessi, il maschile e il femminile, porta a un arricchimento. Con me i gay si sono sempre confessati. Io credo comunque che in ognuno di noi ci sia un’omosessualità latente. Quando mi travestivo da donna pretendevo i tiranti, il trucco eccessivo e con bellissime donne come la Fenech o la Bouchet trovavo sempre la scusa che loro si innamoravano della mia dolcezza visto che non sono bello fisicamente. Eppure non ero mai né sfottente né esasperato. Mi racconti un po’ del ballerino che si innamorò di lei… Non ricordo il nome, ne avevo ben otto a Stasera Lino. L’ho chiesto recentemente a Franco Miseria, ma neanche lui si rammenta chi fosse. Fu una cosa carina, tenera e dolce. Gli dissi che mi dispiaceva dargli una delusione ma comunque questo sentimento provato nei miei confronti mi fece piacere. Lei aveva affrontato la questione gay anche in un’altra sitcom nel 2002, Difetto di famiglia… Sì, interpretavo il fratello di Manfredi che alla fine ne accetta l’omosessualità. Ho sempre cercato di analizzare la mentalità di chi non vuole vedere o comprendere il prossimo. Manfredi allora aveva già ottant’anni e, da grande attore qual era, dimostrò un garbo incredibile, non faceva mai un gesto fuori posto. Mi confidò che nella sua gioventù aveva conosciuto molti omosessuali e mi accennò a una specie di amore a prima vista da parte di Visconti quando gli fu presentato. Due anni prima, in Piovuto dal cielo, lei divideva la scena con un personaggio transessuale… Mi ricordo di questo trans alto, bello e di grande simpatia. Abbiamo girato a Torino. L’ho rivisto a Roma, lavorò anche in Difetto di famiglia con Manfredi. Io facevo il portiere di un palazzo e l’unica persona con cui avevo piacere di parlare la mattina presto era proprio lui. Ma lei stesso è stato gay sul grande schermo, vero? In Dio li fa e poi li accoppia di Steno facevo un gay salumiere che si andava a confessare da Johnny Dorelli e lui sbottava: “Ma che vuoi da me?”. Io ero innamorato di un uomo ma non ero corrisposto e volevo indossare da morto un vestito da sposa. Mi inventai alcune cose: per esempio l’idea che quando moriamo andiamo tutti in paradiso, etero e gay. Avevo reso tenero questo personaggio nella sua esasperazione. Uno dei ruoli che è entrato nell’immaginario collettivo è però quello del commissario etero Auricchio scambiato per omosessuale in Fracchia la belva umana... Quella è stata una forma di difesa. L’ho fatto per proteggere i gay. Già a Canale 5 quando fui scritturato da Berlusconi per Risatissima difesi la categoria dei carabinieri facendo un monologo di barzellette in uniforme. Girammo la scena al ristorante "La Parolaccia" di Roma. Quando partì il “Benvenuto a ‘sti frocioni…” il celebre “Arrestate questo stronzo” mi venne automatico e feci un cenno a Neri Parenti. A quel punto mi inventai completamente il “Non sono ricchione, non sono frìfrì… e ti faccio un culo così!”. Anche il finale de L’allenatore nel pallone è stato inventato di sana pianta da me per l’occasione. Nella sua lunga carriera non si contano i ruoli en travesti, spesso puri escamotages per conquistare prede femminili… Sono stato vestito anche dalle sorelle Fontana e ho indossato veri tailleurs! Ne L’inviato molto speciale pretendevo assolutamente i tacchi a spillo. Ho fatto il maggiordomo gay sia con Alvaro Vitali e Nadia Cassini che in un film con la Bouchet in cui ero il cugino di Solenghi. Appena vedevo una donna nuda partiva il gioco del ribrezzo e degli ammiccamenti. E che pensa dei travestimenti plateali, per esempio, durante i Gay Pride? Ecco, in quel caso credo che l’ostentazione dovrebbe stare a latere. Penso che in medio stat virtus, non bisognerebbe esasperare il travestimento in pubblico, si strumentalizza facilmente. Dopo Il padre delle spose quali lavori l’attendono? Per Nonno Libero questo sarà l’ultimo anno, vista l’età e dato che ogni serie mi occupa dagli otto ai nove mesi. Poi con Gerry Scotti ho fatto il film per la tv, Il mio amico Babbo Natale. Seguirà una fiction che parla di come, in alcuni ospizi, le persone anziane non vengono trattate affatto bene.


http://www.gaynews.it/view.php?ID=71083

sabato 11 novembre 2006

Berlusconi usò l'8 per mille per la guerra in Iraq

«L'otto per mille originariamente doveva essere devoluto tutto agli aiuti al terzo mondo, alla cultura e a cose di questo genere. Poi una parte venne utilizzata per le missioni all'estero. E una parte anche per l'Iraq». Giuseppe Vegas, vice-ministro dell'Economia nell´ultimo governo Berlusconi, conferma candidamente quanto già denunciato il 2 luglio 2005 da l'Unità e adesso riproposto anche da Giulia Maria Mozzoni Crespi, presidente del Fai (Fondo per l´ambiente italiano): l'otto per mille che i cittadini italiani hanno voluto assegnare al restauro dei beni culturali, alla lotta alla fame, all´assistenza ai rifugiati, e alle calamità naturali, è andato invece a finanziare la missione militare in Iraq.

«Era stata sottratta una parte originariamente poi il resto è stato lasciato per le varie scelte che son state fatte sull'otto per mille» spiega il senatore di Forza Italia. Ma, in concreto, quanto andò all'Iraq? Chiedono i giornalisti all´ex sottosegretario «Attorno a un terzo, circa 80 milioni», ammette candidamente Vegas.

La notizia dell´uso improprio dell´8 per mille è stata rilanciata in mattinata dal presidente del Fai: «Mi ha colpito quello che mi ha detto Enrico Letta, e cioè che l'otto per mille che i cittadini italiani hanno assegnato all'arte, alla cultura e al sociale è stato attribuito alla guerra in Iraq e solo una minima parte è stata data per combattere la fame nel mondo – ha detto Giulia Maria Mozzoni Crespi in apertura di un convegno sulla tutela dei beni ambientali – Letta lo aveva detto in una conferenza, ma mi ha riferito desolato che era stato pubblicato solo in un trafiletto da un quotidiano».

In effetti lo scorso 31 agosto il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Enrico Letta, al termine di una riunione del Consiglio dei ministri, aveva dichiarato che l´esecutivo, affrontando la questione dell'8 per mille per quel che riguarda la quota statale, aveva scoperto un "buco" di diversi milioni: «Questa quota, all'incirca 110 milioni di euro, con le Finanziarie degli anni scorsi è stata decurtata, e i fondi usati per altri scopi – disse Letta - Per questo abbiamo trovato soltanto 4,7 milioni di euro su gli oltre 100 che dovevano essere disponibili».

http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=60970

mercoledì 8 novembre 2006

Luca e Francesco, sposati due volte

Torino, la coppia omosessuale sposata con rito cattolico in Italia, per la prima volta, nel 1978. Ora sono convolati in Spagna.
Don Franco: "Li sposai in clandestinità"
Il prete 'ribelle' sospeso a divinis continua a celebrare messa
"La fede è superiore alla dottrina della Chiesa. L'amore è un dono di Dio"

di ALBERTO CUSTODERO


LUCA e Francesco sono gli unici gay al mondo ad essersi sposati due volte. Il loro primo matrimonio è stato religioso, celebrato in totale segretezza, il 4 febbraio del 1978, a Pinerolo (nel Torinese), da un sacerdote, don Franco Barbero. Il secondo - in piena ufficialità - che li ha resi legalmente "coniugi" (formula che sostituisce un improbabile marito e moglie), si è svolto in Spagna grazie alla recente legge che autorizza i matrimoni gay.

Luca e Francesco, quando sono stati dichiarati "sposi" da don Franco, avevano rispettivamente 27 e 31 anni, il primo era commesso in un negozio di alimentari, il secondo professore di lettere al liceo. Un paio di anni fa, sapendo che il governo laico di Zapatero, in una cattolicissima Spagna (dopo Belgio e Olanda), di lì a poco avrebbe reso legali i matrimoni omosessuali, si sono trasferiti nei pressi di Malaga, sulla Costa del Sol, per diventare cittadini spagnoli.

E così, a maggio di quest'anno, 10 mesi dopo l'approvazione della legge Zapatero, nel municipio di una cittadina dell'Andalusia si sono giurati fedeltà per la seconda volta. Oggi (uno 59enne, l'altro 55enne, entrambi in pensione), sono forse i primi omosessuali italiani a essere stati dichiarati "coniugi" in Spagna. A raccontare la loro lunga storia d'amore durata 28 anni e "consacrata" da due matrimoni, uno cattolico e l'altro laico, il primo clandestino, il secondo alla luce del sole, è il sacerdote pinerolese.

Don Franco, tre anni fa, per la sua teologia che considera "non trasgressione, ma oltrepassamento" della dottrina cattolica (è per una rilettura dei dogmi alla luce del vangelo e dei priblemi della società contemporanea), fu sospeso a divinis da Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, oggi papa.

Nonostante quel provvedimento che suscitò molto clamore negli ambienti del cattolicesimo progressista italiano, il prete "ribelle" ("ma non gay", precisa), fondatore della comunità di base "Viottoli", continua a celebrare messa come se nulla gli fosse successo rifacendosi al dogma cattolico (semel sacerdos, semper sacerdos), secondo il quale chi un giorno è stato ordinato sacerdote, lo rimane per sempre.

"Ricordo quel 4 febbraio di 28 anni fa come fosse ieri - racconta don Franco - la cerimonia, segreta, è stata semplice, colorata da qualche mazzo di fiori, ma senza
festa, né canti, né musica. Solo tanta gioia intorno al tavolo nella sede della comunità. Eravamo in 5, Luca e Francesco, i due testimoni (uno dei due era un omosessuale che aveva sofferto le pene dell'inferno per essere stato relegato fra gli 'impuri'), e io, in camice e stola. Fu una celebrazione normale, con la
comunione sotto le due specie, e il solito calice".

Non fu certo facile, per un don Barbero allora trentanovenne (oggi ne ha 68), due anni prima della Fondazione Sandro Penna, il primo movimento omosessuale italiano voluto da Angelo Pezzana, compiere un gesto così azzardato e così contrario alla dottrina della Chiesa. "Quel matrimonio - ricorda il sacerdote - rappresentava per gli 'sposi' e per me una scelta convinta e felice che vivemmo come fosse una cosa naturale. Nel febbraio del 1978, però, era un
fatto che non potevo comunicare a nessuno. Segretissimo".

I tempi, allora (a Torino s'inziavano i processi alle Bierre di Curcio, il 16 marzo ci sarebbe stato il sequestro Moro), non erano ancora maturi per parlare di "matrimoni omosessuali". "Per questo - ha aggiunto il sacerdote - era un episodio da chiudere. Noi della comunità di base eravamo impegnati nella lotta contro il concordato e la Dc in quella contro il terrorismo. Il vaticano (dopo la dichiarazione 'Persona Humana' di Paolo VI), era ostile agli omosessuali e a nulla era valso lo 'strappo' dell'Associazione dei teologi americani che pubblicò 'La sessualità umana'. Anche avessi voluto, non avevo interlocutori".

Don Franco non si fermò con Luca e Francesco. "Dopo il primo episodio - racconta - continuai a essere sollecitato a celebrare segretamente matrimoni. Fra l'83 e l'84 ne feci in tutto una sessantina in regime di totale clandestinità non solo fra maschi, ma anche fra donne. Qualcuno aveva portato il papà, pochissimi la mamma".

Il prete pinerolese ha sempre avuto la consapevolezza che difronte alla legge della Chiesa quei matrimoni non fossero riconosciuti. "Ero cosciente - ha confessato - di compiere un rito gravemente peccaminoso. E le coppie gay lo erano di fare un atto non valido". Perché, allora, li celebravano? Ecco la "teologia" sui matrimoni gay del prete "ribelle". "Per noi, la fede è superiore alla legge ecclesiastica che va presa per quello che vale visto che non è mai uguale nel tempo. Noi, con tranquillità, diciamo: una cosa è la dottrina della Chiesa, un'altra il dono di Dio della fede che libera dall'obbedienza - e in questo caso schiavitù - della norma. Ebbene, quando due uomini o due donne
hanno capito che quel loro amore è un dono di Dio, davanti a lui ritengono di essersi sposati. È questo il significato che i gay danno alla cerimonia nuziale che
non ha valore di fronte alla legge civile, ma costituisce un cammino di fede".

(8 novembre 2006)
http://tinyurl.com/ycrcp3

lunedì 6 novembre 2006

Dov'è finito l'architetto del ponte?

di Curzio Maltese

La destra scialacqua, la sinistra è chiamata a risanare i conti. Il meccanismo dovrebbe essere ormai chiaro. Un lettore mi ha ascoltato raccontare in tv la storia del ponte sullo Stretto e siccome il programma era satirico mi chiede se avessi scherzato. Niente affatto.

Dopo tanti proclami alla nazione, demonizzazioni degli oppositori "nemici del progresso", il bilancio è questo: il governo Berlusconi ha buttato a mare seicento o settecento milioni di euro per non cominciare neppure i lavori.

Il conto è rapido. Oltre 150 milioni sono stati sprecati per gli studi preparatori, in laute consulenze agli amici degli amici per studiare fra l'altro il "flusso dei cetacei fra Scilla e Cariddi", "l'mpatto psico-socio-antropologico dei lavori sulla popolazione locale". Una montagna di 126 chili di carta che giace negli uffici del ministero. Un altro centinaio di milioni per l'esproprio dei terreni, nel tripudio delle cosche. Ed è da record la penale che lo Stato dovrà pagare all'impresa appaltatrice, l'Impregilo: 388 milioni di euro. Il ponte doveva essere una delle più grandi opere pubbliche d'Europa ed è invece la truffa del secolo.

Si poteva immaginare che non si sarebbe mai fatto? Si doveva. I mercati ne erano sicuri. Quando l'Impregilo vince l'appalto, il titolo crolla in borsa di quasi il 6 per cento. Appena il Parlamento decide che non si farà nulla, la quotazione schizza in alto. Nessuno ha mai creduto che il lavoro si sarebbe fatto. Tutte le imprese straniere si erano ritirate dall'asta, dove la vittoria dell'Impregilo era annunciata, fra l'altro, da una telefonata dell'amministratore delegato Savona, intercettata per caso dai magistrati di Monza: "Tranquilli, l'appalto è nostro, me l'ha giurato Dell'Utri".

Il mondo dell'architettura internazionale è impazzito per capire come gli italiani potessero credere al progetto. In particolare i giapponesi, massimi esperti, che vantano il ponte più lungo a una campata, l'Akashi Kyokyo, 1960 metri. Volevano farci passare una linea ferroviaria, ma gli ingegneri hanno spiegato che non esistono materiali in grado di reggere una struttura simile: sarebbe crollato tutto.

Il ponte sullo Stretto avrebbe dovuto essere lungo quasi tre chilometri e mezzo e con due linee di ferrovia, non una. Chi era l'autore di una simile meraviglia? Renzo Piano, Richard Rogers, Norman Foster? Macchè, un certo William C.Brown, nipote di un più famoso William H.Brown che ha progettato un paio di ponti in Africa ai tempi delle colonie. Un carneade mai nominato da nessuna rivista di architettura del Pianeta. Due architetti italiani, Ugo Rosa e Domenico Calandro, hanno lanciato una "caccia a mister Brown" e hanno scritto l'esilarante diario su Internet. Pare che sia scomparso qualche mese fa.

Nessun architetto serio avrebbe mai messo la firma su quel progetto. Ma per Marcello Dell'Utri e Pietro Lunardi non era un problema.


dal Venerdì di Repubblica del 3 Novembre 2006

sabato 4 novembre 2006

Elezioni 2006, l'ombra dei brogli

di Roberto Cotroneo


Tutto in una notte. Il vero o il falso, i dubbi, le certezze, le dimostrazioni scientifiche, e poi i programmi ai computer, il lavoro al Viminale, gli sguardi tesi dei leader della sinistra, e di quello del centrodestra. E poi Berlusconi, e Prodi, e quel pasticciaccio brutto delle elezioni di aprile. Quando vinse il centrosinistra, ma per pochissimo.
Quando in un giorno soltanto si passò da cinque punti percentuali di differenza a quei risicati 25mila voti. Da una vittoria netta di Prodi, annunciata, ribadita, e riconfermata, ogni giorno della campagna elettorale da tutti i sondaggisti, alla vittoria per una manciata di schede, che ha cambiato il destino del governo di Prodi, e soprattutto della stabilità politica nel nostro Paese. Che cosa è successo se lo è chiesto Enrico Deaglio, direttore di «Diario».

Che sul pasticciaccio brutto di piazza del Viminale ha girato un film, intitolato: "Uccidete la democrazia. Memorandum sulle elezioni di aprile", che sarà allegato alla rivista in Dvd il prossimo 24 novembre. E prima di lui se lo sono chiesti tre giornalisti, nascosti dietro lo pseudonimo di «Agente italiano» che hanno scritto un libro di fantapolitica, chiamiamola così, con nomi di maniera, per sostenere che al Viminale quella notte si consumò il delitto perfetto. Ovvero si spostarono i voti delle schede bianche in direzione non tanto della Casa delle Libertà, ma in direzione esclusiva di Forza Italia.

Fantapolitica, volumi che non hanno autori, dicerie, voci. Ma non solo: anche notizie, dettagli e storie molto limpide che qui vanno raccontate. Che cosa è successo? Deaglio non ha nessuna intenzione di anticipare tutti i contenuti del suo dvd, denominato "docu-thriller" prima del 24 novembre, ma già sul numero di "Diario" di oggi spiega una cosa: «c'è un tabù, le elezioni sono il modo per attuare la democrazia in un paese democratico.
Alterare i risultati delle elezioni è un modo per negare la democrazia. Il tabù in questo modo è infranto». Procediamo con ordine, e vediamo cosa può essere accaduto.

10 aprile. Ore 15.00 cominciano gli exit polls e poi nelle ore a seguire le proiezioni elettorali. Il centrosinistra parte subito con una vittoria netta, ma con il passare delle ore questa vittoria netta si assottiglia in un modo costante. Per semplificare, ogni ora che passa il centro sinistra scende di 0,5 e il centro destra sale di 0,5. I dati ufficiali del ministero dell'Interno, non ancora resi noti fino ad oggi, dicono una cosa. Le schede bianche delle ultime politiche sono state 400 mila. Un dato molto basso, di solito, in tutte le consultazioni elettorali sono molte di più. Quante di più? Nel 2001 erano 1.600.000. Quattro volte di più. Si potrebbe dire che nelle ultime elezioni, lo scontro radicale tra i due schieramenti ha convinto gli astensionisti più indefessi, e ha fatto diminuire il dato delle schede bianche? Difficile che sia accaduto fino a questo punto. Ma le vie degli elettori sono infinite.

Peccato però che a questo dato fortemente anomalo, se ne aggiunga un altro, che sfiora la fantascienza. I dati delle schede bianche, da che mondo e mondo, non sono mai omogenei se li si considera regione per regione. Per cui se a Milano nel 2001 si astennero il 6 per cento degli elettori, a Napoli si arrivò al 10, e a Torino al 3, etc. etc. Tutto questo dipende dal fatto che l'Italia è un paese molto diverso regione per regione, pochissimo omogeneo.

Cosa succede nelle elezioni del 2006? Secondo i dati del Viminale, non solo le schede bianche sono soltanto 400.000, ma la percentuale delle bianche, in tutte le regioni italiane, per la prima volta nella storia, è costante, tra l'1 e il 2 per cento in tutte le città e in tutte le regioni.

Questo numero è ancora più clamoroso delle 800mila schede in meno del 2001.
Perché numericamente è una probabilità quasi impossibile, ed è più facile vincere al superenalotto, piuttosto che si verifichi una eventualità di questo genere. Allora? Deaglio nel suo film, girato assieme a Beppe Cremagnani, parla con tecnici, politici, giornalisti, esperti di informatica, e cerca di trasformare la fantapolitica in politica vera e propria. Certo, Fassino quella notte era molto teso. Pisanu sembra abbia avuto uno scontro durissimo con Berlusconi. Il motivo? Si dice che Berlusconi volesse invalidare le elezioni, e chi li conosce bene dice che
tra Pisanu e Berlusconi da quella notte di aprile c'è il gelo totale.

Ma è difficile capire cosa sia successo. Facile capire invece perché è proprio sulle schede bianche che si gioca la partita. Quando le prefetture passano, elettronicamente, i voti al Viminale, le schede bianche diventano un dato di nessun interesse, perché non entrano nel conteggio della suddivisione dei seggi. A quel punto basta inventare un piccolo software capace di deviare i dati delle schede bianche a un raggruppamento politico, in modo automatico, e il gioco è fatto. Nel film di Deaglio Clint Curtis, esperto informatico americano, candidato per i democratici, ex repubblicano, lo mostra in pratica. In mezz'ora scrive il programma, e fa vedere come funziona. Utilizza anche un margine di casualità il suo programma, nel senso che le sequenze numeriche delle schede, hanno delle pause, poi accelerano, e non si comportano in modo uniforme. Dando la sensazione di un conteggio realistico e in progress. E il risultato è assai verosimile.

Deaglio assicura che il finale del suo film sarà molto sorprendente e adesso non intende rivelarlo, e c'è da chiedersi se sarà un fuoco di paglia o una bomba politica dalle conseguenze imprevedibili? L'americano Curtis sostiene che quel genere di broglio è come il delitto perfetto. E soprattutto si sa molto bene che è pressoché impossibile ricontare tutte le schede, anche se si volesse. Solo che le previsioni degli exit polls hanno sbagliato soltanto due dati. Due soli, in quella benedetta notte. Il primo è il dato delle schede bianche: se ne aspettavano 1.200.000. Il secondo è il dato di Forza Italia, inferiore al risultato. Secondo Deaglio lo scontro di quella notte tra Pisanu e Berlusconi concerneva esattamente questo argomento, e questi dati. Quella notte, Marco Minniti, entrando agitato e scuro in volto al Viminale, disse: "ci stanno rubando le elezioni". Ma a questo punto bisogna chiedersi due cose, che una risposta non ce l'hanno, o se ce l'hanno entrano veramente nella fantapolitica più bizzarra. Perché, se il programma funzionava così bene, non ha funzionato anche per i 25 mila voti che hanno fatto la differenza? E dunque: perché non si poteva finire l'opera? Seconda domanda: perché Berlusconi ha continuato a ripetere per giorni e giorni che voleva che si ricontassero tutte le schede? La seconda domanda può avere una risposta più facile. La miglior difesa è l'attacco. E va bene. Ma la prima rimane un mistero della Repubblica, che forse Deaglio ci svelerà il prossimo 24 novembre. O forse non verrà mai svelato da nessuno. Come nessuno potrà mai dire che queste non siano altro che congetture. Fantapolitica, roba buona per i dietrologi, da aggiungersi ai tanti misteri della notte della Repubblica, che non a caso apre la sua storia del dopoguerra con un ipotetico broglio sul Referendum Istituzionale. Mistero o no, fantasia o no, rimane certo il fatto che il programma per alterare i dati è un giochetto da ragazzi e soprattutto che nelle elezioni del 2006 quelli che hanno lasciato in bianco la scheda erano pochissimi, e in perfetto equilibrio, come una
magia elettorale che non è mai riuscita in nessun paese normale. Sempre che l'Italia si possa considerare un paese normale...

martedì 31 ottobre 2006

Madrid, sui diritti di donne e gay lezioni obbligatorie a scuola

Il governo Zapatero introduce la materia "Educazione alla cittadinanza".
di ALESSANDRO OPPES


MADRID - Le proteste delle organizzazioni degli insegnanti cattolici e dei gruppi vicini ai settori più conservatori della Conferenza episcopale hanno rafforzato José Luis RodrÍguez Zapatero nella sua convinzione: per combattere l'omofobia è necessario che i ragazzi apprendano la tolleranza sui libri di scuola. La nuova materia di studio "educazione alla cittadinanza" - inserita nella legge di riforma della scuola che toglie all'insegnamento della religione il valore di disciplina computabile per la valutazione dell'alunno - spiegherà i vari tipi di famiglia esistenti in Spagna: monoparentale, formata da coppie gay o da coppie di fatto. L'unico risultato delle proteste è stato una leggera modifica del testo di legge: mentre nella prima bozza si parlava di "tipi di famiglia", nella redazione finale si fa riferimento a "la famiglia nell'ambito della Costituzione spagnola". Ma la sostanza resta esattamente la stessa. Tanto più che nei nuovi libri di testo si farà riferimento anche al "rifiuto della discriminazione per ragioni legate all'orientamento affettivo-sessuale". Non manca poi la critica a diversi tipi di pregiudizi, come quelli "omofobi e sessisti". Il Partito Popolare sostiene che l'introduzione di questa materia di studio apre la strada all'indottrinamento degli alunni, e i vescovi hanno invitato i genitori degli studenti all'obiezione di coscienza. Ma la polemica nasce da lontano, dal dibattito che precedette l'approvazione - a giugno dello scorso anno - della legge che riconosce il diritto al matrimonio tra due persone dello stesso sesso. E proprio sull'utilizzo del termine matrimonio, i settori più conservatori della Chiesa cattolica, insieme al Partito Popolare, arrivarono a mobilitare centinaia di migliaia di persone in piazza. Ora le nozze gay sono ormai un dato di fatto - che trova d'accordo almeno il 70 per cento degli spagnoli - e si è già celebrato persino il primo matrimonio tra due militanti omosessuali del Pp, con numerosi dirigenti del partito tra gli invitati. A differenza dell'ora di religione, relegata a materia facoltativa, l'educazione alla cittadinanza è obbligatoria e valutabile, e verrà inserita nei programmi di studio a partire dal prossimo anno scolastico. La formula scelta dal legislatore, quella di "famiglia nell'ambito della Costituzione spagnola", si spiega secondo diversi giuristi con riferimento all'articolo 32 della Carta costituzionale del 1978: quello che afferma che "la legge regolerà le forme di matrimonio". Dal momento che le nozze gay sono ormai legge dello Stato, sarà dovere degli insegnanti non tralasciare di parlarne davanti agli alunni delle scuole secondarie. La filosofia scelta dal governo socialista è quella di fare in modo che "la gioventù apprenda a convivere in una società pluralistica e globalizzata" e "sviluppare la riflessione degli alunni" su temi come "le relazioni personali, i diritti e i doveri dei cittadini, i valori democratici attuali e gli impegni come cittadini di un mondo globalizzato".


da la Repubblica del 31/10/2006
http://www.gaynews.it/view.php?ID=70922

lunedì 30 ottobre 2006

Radio2 inaugura una fiction gay

Da lunedì 6 novembre Radio2 trasmetterà la prima commedia radiofonica con un protagonista gay, si tratta di “Nessuno è perfetto”



Da lunedì 6 novembre Radio2 trasmetterà la prima commedia radiofonica con un protagonista gay, si tratta di “Nessuno è perfetto”. Fra i temi affrontati nella sit-com, sempre ironicamente , ma con grande libertà espressiva, c’è tutto quello che fa parte della vita quotidiana: dai rapporti di coppia mediati dal cellulare, al problema del non-lavoro; dalla diseducazione dei figli, al gioco della finanza creativa e cretina; dalla smania di rimanere giovani e belli, a quella di diventare anche famosi. Cinquanta puntate di un quarto d’ora circa con la regia di Paolo Modugno e interpretate da un grande cast di attori disposti a misurarsi con un moderno modello produttivo di fiction seriale. Il cast artistico e’ composto da Maria Amelia Monti nel ruolo di Adele, il cui marito si scoprirà gay ed innamorato di Daniele Formica (Moreno); Caterina Guzzanti (Dani); Sabrina Impacciatore (Giusi); Giancarlo Ratti (Giorgino); Nanni Baldini (De Marchis); Max Pajella (filippino).

http://www.gaynews.it/view.php?ID=70909

domenica 29 ottobre 2006

Niente tassa sulle rassegne stampa. Eliminato l'art. 34 del collegato alla finanziaria

La Camera ha infine soppresso, nel testo approvato venerdì scorso, l'art. 34 del collegato alla finanziaria (decreto-legge 3 ottobre 2006 n. 262).

Il disegno di legge di conversione del decreto legge 262/2006 passa ora al Senato per l'approvazione definitiva.

Ricordiamo che l'art. 34 interveniva sull'art. 65 della legge sul diritto d'autore (l. 22 aprile 1941, n. 633).

L'art. 65 disciplina la riproduzione di articoli di attualità di carattere economico, politico o religioso disponendo che essi "possono essere liberamente riprodotti o comunicati al pubblico in altre riviste o giornali, anche radiotelevisivi, se la riproduzione o l'utilizzazione non è stata espressamente riservata, purché si indichino la fonte da cui sono tratti, la data e il nome dell'autore, se riportato".

Si tratta di una disposizione volta evidentemente a tutelare l'interesse generale alla circolazione delle idee senza nel contempo sacrificare i diritti degli editori cui vengono comunque riconosciuti da un lato la facoltà di rendere riservata la riproduzione degli articoli pubblicati, dall'altro il diritto di vederne indicata la fonte e la paternità.

L'art. 32 del decreto legge 262/2006 modificava la citata disposizione aggiungendo questo comma:

" I soggetti che realizzano, con qualsiasi mezzo, la riproduzione totale o parziale di articoli di riviste o giornali, devono corrispondere un compenso agli editori per le opere da cui i suddetti articoli sono tratti. La misura di tale compenso e le modalità di riscossione sono determinate sulla base di accordi tra i soggetti di cui al periodo precedente e le associazioni delle categorie interessate. Sono escluse dalla corresponsione del compenso le amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 dell'articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29."

Il Decreto Legge modificava dunque, capovolgendone il senso, l'art. 65 della legge sul diritto d'autore.

Per un'idea del dibattito scatenatosi all'indomani dell'entrata in vigore del decreto legge, può leggersi l'articolo No al pizzo sulle rassegne stampa (Punto Informatico, 6 ottobre)

La relatrice del disegno di legge di conversione, Laura Fincato, ha così commentato la decisione di elminare l'art. 34, in Commissione Bilancio: “...sulla comunicazione e sull'informazione dobbiamo essere più attenti; torneremo su queste questioni con altre scelte, decisioni ed interventi, anche legislativi, che possano dare spazio e vigore al settore”.


http://www.giurdanella.it/mainf.php?id=7658

venerdì 27 ottobre 2006

Linux day 2006 in Italia, è la festa del pinguino

Si celebra domani in oltre 100 città italiane la festa del sistema operativo gratuito e libero. In prima fila: enti, scuole e università
di FRANCESCO CACCAVELLA


LINUX celebra la sua festa. L'appuntamento, per la sesta volta in Italia, è fissato per il 28 ottobre in oltre 100 città italiane. Un giorno intero per mostrare che cosa è e come può essere utilizzato il sistema operativo open source, gratuito e alternativo a Microsoft Windows. Da Udine ad Agrigento, tutti coloro che hanno voglia di saperne di più sul sistema del pinguino o che vorranno farsene installare una copia sul proprio computer, potranno rivolgersi ai Lug (Linux user group) della propria città e assistere a seminari, installazioni guidate e dibattiti.

La festa non è però dedicata al solo sistema operativo. Vero fine delle manifestazioni è la divulgazione dei principi che regolano lo sviluppo del software libero, il modello di progettazione di applicazioni che offre a tutti la libertà di modificarne parti per adattarlo alla propria volontà. Chi usa software libero sa cosa usa, perché può prendere visione del codice con cui è stato costruito il programma, e spesso non deve pagare nulla, perché libera è la sua distribuzione. Enti statali, scuole, università da tempo ne hanno sperimentato la bontà e adesso ne predicano la divulgazione.

Non a caso sono proprio enti, scuole e università che mettono a disposizione i luoghi dove gli interessati potranno recarsi per partecipare alla festa del pinguino. A Roma il Linux day è patrocinato dall'università "La Sapienza" e dal Comune, a Trento dalla provincia e dal comune, a Foggia e in decine di altre località lo stesso. L'ingresso, in tutti i casi, è libero e aperto a chiunque ed è gradita, come recita un manifesto fra i tanti, la "creatività".

Chi arriverà con un computer portatile potrà lasciarlo in mano agli organizzatori e farsi installare una delle versioni di Linux, magari mantenendo anche Windows. E' l'installation party, previsto in quasi tutti i luoghi del Linux day. A Roma, vista la grande richiesta, per partecipare è adesso necessaria la registrazione. A Trento una sala dell'evento sarà dedicata esclusivamente a mostrare, per l'intera giornata, i processi di installazione.

Sarà naturalmente il software il grande protagonista della giornata. A Mantova sono previste postazioni libere per usare un sistema Linux aggiornato con gli ultimi software per la navigazione, per la videoscrittura e per la comunicazione in rete. A Teramo i partecipanti riceveranno un CD con l'ultima versione di OpenOffice, l'alternativa gratuita a Office di Microsoft. Ad Avellino ad essere regalato sarà un CD con la distribuzione Ubuntu, una delle versioni più semplici e usabili disponibili gratuitamente. In molti eventi sono previsti seminari sugli usi dei software open source più noti: OpenOffice e Firefox tra tutti.

Una gran parte della giornata sarà dedicata ai seminari e ai dibattiti, con al centro i temi più delicati sulla privacy. A Napoli, durante il Linux Day organizzato al centro sociale Officina 99, il pomeriggio sarà dedicato a come difendere la propria privacy sulla rete usando software open source, mentre la mattina del Linux Day di Pescara e il pomeriggio di quello di Ancona sarà dedicata alla discussione sul Digital Right Management (DRM) il sistema di protezione dei diritti digitali. A Potenza, a Firenze e a Pisa si parlerà invece di Trusted computing mentre a Piacenza un'ora sarà dedicata alla navigazione anonima attraverso la rete Tor. A Bari, al Politecnico, la giornata ha un titolo evocativo ""Free your Mind, Free your Spirit": tra i seminari spicca quello sulla quasi necessità etica e pratica - da parte di enti di ricerca e università - di utilizzare software libero.

In molti luoghi è prevista la proiezione di film sul mondo open source: a Roma, Potenza e a Napoli (presso il Napoli Hacklab) sarà proiettato Revolution OS II, il documentario italiano che ripercorre le tappe di successo del software libero e il cui autore sarà presente alla festa di Cosenza. Chi parteciperà al Linux Day di Teramo potrà invece assistere a Geek-Geek un cortometraggio, come recita il sito, "sulla 'vità di due geeks, che sperano di guadagnare tramite un sito di vendita di t-shirts online".

Non mancheranno i temi più classici, come l'uso del software libero nella Pubblica Amministrazione: a Trento ("Collaborazione tra Scuola e Software libero"), Teramo ("Un'esperienza di free-software nelle scuole"), Potenza ("Software libero nella Pubblica amministrazione"), Salerno ("Linux a scuola: l'importanza dell'adozione del software open-source"), Casalecchio di Reno ("Un laboratorio scolastico rimesso a nuovo. Il software libero per il riutilizzo di hardware obsoleto"). Da segnalare anche il seminario di Ferrara dedicati alla sostenibilità ambientale del materiale informatico riciclato e quello di Foggia dedicato a "Linux nel rispetto dell'ambiente", mentre chi volesse conoscere i vantaggi dell'uso di Linux in azienda dovrebbe rivolgersi al Lug di Genova che dedicherà all'argomento un'intera giornata.


I programmi e i dettagli per raggiungere le sedi del Linux day sono disponibili sulle pagine di ogni singola manifestazione. Tutti gli eventi previsti sono raccolti dal sito della Italian Linux Society, l'associazione che coordina le varie giornate.

(27 ottobre 2006)
http://tinyurl.com/yzreaq

E il Cavaliere ereditò auto blu e superscorta

In cinque anni per la flotta di «auto blu», 115 nell'autoparco di Palazzo Chigi, sono stati spesi 7 milioni di euro. Il boom dei voli


MILANO - Non si fidava, il Cavaliere, del suo successore. E così, mentre ancora stava a Palazzo Chigi in attesa di lasciare il posto a Romano Prodi, avrebbe deciso di darsela da solo, la scorta per il futuro: 31 uomini. Più la massima tutela a Roma, Milano e Porto Rotondo. Più sedici auto, di cui tredici blindate. Il minimo indispensabile, secondo lui, di questi tempi.

Un po' troppo, secondo i nuovi inquilini della Presidenza del consiglio. Che sulla questione, a partire da Enrico Micheli, avrebbero aperto un (discreto) braccio di ferro con l'ex-premier. Guadagnando finora, pare, solo una riduzione del manipolo: da 31 a 25 persone. Quante ne aveva il "bersaglio Numero Uno" Yasser Arafat, ricorda Massimo Pini, il giorno che andò a visitare Bettino Craxi. Certo, qualcuno ricorderà a Berlusconi quanto disse ai tempi in cui aveva deciso col ministro dell'Interno Claudio Scajola di tagliare il numero degli scortati. Tra i quali, come rivelarono mille polemiche e le intemerate di Francesco Saverio Borrelli, c'era anche il pm dei suoi processi, Ilda Boccassini, che si era esposta contro la mafia in Sicilia. Disse che per molti la scorta era "solo uno status symbol" usato "impropriamente, magari sgommando". E si vantò, giustamente, di aver sottratto alla noia di certe inutili tutele "788 operatori di polizia dirottati così in altri settori per garantire una maggiore sicurezza dei cittadini".

Né val la pena di ricordare che, ai tempi in cui le Br ammazzavano la gente per la strada e i politici erano esposti come mai prima, il presidente del consiglio Giulio Andreotti viaggiava con scorte assai più contenute: «Mia moglie a Natale faceva un regalino a tutti, e certo non erano molti». E' vero: è cambiato tutto. E la scelta di ridurre drasticamente le spese per proteggere gli ex-capi del governo fatta da Giorgio Napolitano quando stava al Viminale, appare lontana anni luce. Berlusconi è stato il premier che ha appoggiato fino in fondo Bush, ha schierato l'Italia nelle missioni in Afghanistan e in Iraq, si è battuto in difesa della sua idea di Occidente con una veemenza (si ricordi la polemica sulla "superiorità sull'Islam") che lo ha esposto non solo ai fanatici come quel Roberto Dal Bosco che gli tirò in testa un treppiede ma all'odio di tanti assassini legati ad Al Qaida. Garantirgli la massima tutela è un dovere assoluto. Punto e fine. Il modo in cui si sarebbe auto-confezionato questa tutela, invece, qualche perplessità la solleva.

Il 27 aprile, cioè diciassette giorni dopo il voto e prima che Romano Prodi si insediasse, la presidenza del consiglio stabiliva che i capi del governo "cessati dalle funzioni" avessero diritto a conservare la scorta su il tutto il territorio nazionale nel massimo dispiegamento. Altri dettagli? Zero: il decreto non fu pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» e non sarebbe stato neppure protocollato. Si sa solo che gli uomini di fiducia "trattenuti" erano 31. Quelli che con un altro provvedimento il Cavaliere aveva già trasferito dagli organici dei carabinieri o della polizia a quelli del Cesis. Trasferimento che l'allora presidente del Comitato di controllo sui servizi Enzo Bianco, appoggiato dal diessino Massimo Brutti, aveva bollato come "illegittimo". Scoperta la cosa all'atto di insediarsi come sottosegretario con delega ai "servizi" al posto di Gianni Letta, Enrico Micheli avrebbe espresso sulla faccenda l'irritazione del nuovo governo. E dopo una lunga trattativa sarebbe riuscito a farsi restituire, come dicevamo, sei persone.

Quanto alle auto, quelle "prenotate" dall'allora presidente sarebbero come detto 16, delle quali 13 blindate. Quasi tutte tedesche. Resta la curiosità di sapere se vanno o meno contate tra quelle del parco macchine di Palazzo Chigi. Così stracarico di autoblu che il grande cortile interno non può ospitarne che una piccola parte. Il resto sta in via Pozzo Pantaleo 52/E, una strada fuori mano alle spalle di Trastevere, nel quartiere portuense. Serve una macchina? Telefonano: "Mandate un'auto, per favore". Se non c'è traffico, una mezz'oretta. I ministri sparpagliati qua e là che fanno riferimento a Palazzo Chigi, non sono pochi: Linda Lanzillotta (Affari Regionali), Giulio Santagata (Attuazione del programma), Luigi Nicolais (Riforme e Innovazioni nella pubblica amministrazione), Barbara Pollastrini (Pari opportunità), Emma Bonino (Politiche europee), Vannino Chiti (Rapporti con il Parlamento) Rosy Bindi (Politiche per la famiglia) e Giovanna Melandri (Politiche Giovanili e Sport). Ma le autoblu a disposizione, comprese le due Maserati in dotazione a Prodi e Micheli, sono una marea: 115. E il bello è che sono già calate: fino al 17 maggio erano 124.
Costi? Una tombola. Nel solo 2005, per "acquisto, manutenzione, noleggio ed esercizio dei mezzi di trasporto nonché installazione di accessori, pagamento dei premi assicurativi e copertura rischi del conducente e dei trasportati, spese per permessi comunali di accesso a zone a traffico limitato", quel parco di autoblu ci è costato 2 milioni e 152 mila euro, 400 mila in più rispetto alle previsioni. Ai quali vanno sommati gli stipendi degli autisti, presumibilmente gravidi di straordinari. Un anno eccezionale? Niente affatto: la fine di una rincorsa. Nel 2001, per le stesse cose, erano stati spesi 940 mila euro. Nel 2002 un milione e 389 mila. Nel 2003 un milione e 322 mila. Nel 2004 un milione e 800 mila. Una progressione inarrestabile. Fatte le somme, dal 2001 al 2005 dalle casse di palazzo Chigi sono usciti per le autoblu 7 milioni 603 mila euro. Pari a 14 miliardi e 721 milioni di lire. Eppure, per i viaggi appena più lunghi, devono aver anche volato. Lo dicono i bilanci: per "noleggio di aeromobili per esigenze di Stato, di governo e per ragioni umanitarie e spese connesse all'utilizzo dell'aereo presidenziale" sono stati spesi nel solo 2005 due milioni e 150 mila euro. Il quadruplo del 2002, quando i voli della presidenza ci erano costati 577.810 euro. Sarà stata colpa del caro petrolio...

Sergio Rizzo
Gian Antonio Stella
27 ottobre 2006
http://tinyurl.com/y6g7ao

Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

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