In un'intervista all'Unita Rosario Crocetta, sindaco dichiaratamente omosessuale di Gela, denuncia chi lo ostacola anche dentro il centrosinistra
di Saverio Lodato
Ha rivoltato Gela, facendola diventare tutto tranne che un mito negativo. Ha rivoltato Gela, facendo diventare l’antimafia, nella città di una delle mafie più feroci, moneta di uso corrente. Ha rivoltato Gela, licenziando assessori che, essendo avvocati, pensavano non ci fosse conflitto nel difendere il cliente nello stesso processo in cui il Municipio si era costituito parte civile. Ha rivoltato la Gela dell’appalto facile pretendendo e imponendo la presenza della forza pubblica durante l’espletamento delle gare d’appalto. Ha scandalizzato tutti, a Gela, denunciando che gli appalti del Petrolchimico erano in mano alla mafia. Non ha un carattere facile.
Il sindaco di Gela Crocetta parla l’arabo, l’inglese e il francese. È dei Comunisti italiani. Vive blindato. Ha fatto della lotta alla mafia un punto quasi d’onore: «E da qui cominciano i miei guai. Perchè anche a sinistra mi dicono: la lotta a Cosa Nostra va bene, però... Credo che certa politica mi voglia far fuori dai giochi»
Conosce tre lingue, l'arabo, l'inglese, il francese, ma quella che parla meglio è la lingua del rigore e dell'intransigenza. Eppure, tutto questo, in molti non glielo vogliono riconoscere.
Wilkipedia, che secondo la recente diatriba fra appassionati sarebbe un'enciclopedia addirittura più informata della Treccani (ma noi non siamo all'altezza di sapere se sia davvero così) lo ha definito il «primo sindaco di una città che nella storia d'Italia si sia dichiarato omosessuale».
Curiosamente, di Rosario Crocetta, 55 anni, primo cittadino a Gela - 80 mila abitanti, terra promessa del sogno petrolifero di Enrico Mattei - avamposto maleodorante di un recente Far West siciliano, a far notizia è sempre stato il suo essersi proclamato gay, piuttosto che la lunga lista dei primati che vi abbiamo enunciato. Ma quello di cui oggi vi parleremo non è il curriculum politico e umano di Crocetta, bensì le difficoltà che incontra, uno come lui, anche negli ambienti di una certa sinistra siciliana. Le difficoltà che provengono da un'area che, almeno sulla carta, dovrebbe guardare con simpatia al suo ruolo e al suo lavoro.
Crocetta, per chi non lo sapesse, appartiene ai Comunisti Italiani, dopo una lunga militanza prima nel Pci, poi in Rifondazione Comunista. E curiosamente a far la guerra a Crocetta sono sia gli appartenenti al suo partito, sia qualche esponente Ds siciliano che ha sempre considerato la lotta alla mafia poco appetibile elettoralmente.
Crocetta, problemi con la sinistra siciliana?
«Quando venni eletto sindaco a Gela, l'11 marzo 2003, volli segnare subito la mia discontinuità anche rispetto alla precedente amministrazione di centro sinistra. Per carità: un amministrazione che aveva ottenuto risultati significativi ma che, negli ultimi tempi, era stata attaccata proprio dai Ds per scarsa attenzione verso la lotta alla mafia. E io ritenni necessario un impegno eccezionale su questo fronte. E cominciarono i miei guai».
Quali guai? Troppa lotta alla mafia?
«Proprio così. Infatti venni immediatamente accusato di aver dato troppo peso a questo argomento. Accusa totalmente ingenerosa».
Perché?
«Perché in questi tre anni di mia amministrazione, non abbiamo fatto antimafia di facciata, ma interventi concreti sul terreno dello sviluppo, della legalità e della giustizia sociale. Abbiamo appaltato opere per centocinquanta milioni di euro. Abbiamo studiato un grande progetto di riqualificazione urbana, pronto ormai per essere eseguito, che ridisegnerà il volto del centro storico e dei quartieri abusivi di Gela. È in dirittura d'arrivo il piano regolatore inesistente dal 1969. Siamo l'unica città siciliana che ha abolito gli articolisti facendoli diventare tutti lavoratori a tempo pieno».
Ma allora, Crocetta, non di sola mafia e antimafia sta vivendo la sua amministrazione?
«Mi fa arrabbiare tremendamente, quando, anche in ambienti di sinistra, sento dire: la lotta alla mafia va bene però…»
Però che?
«Nel però è implicita la convinzione che la questione della mafia in Sicilia sia una questione come tante altre. Invece è la questione. Ad esempio, a Gela siamo in piena crisi idrica. L'altro giorno vengo a scoprire che dei 140 litri di acqua al secondo, che vengono inviati su uno dei serbatoi di accumulo della città, ben 20 litri vengono rubati per alimentare alcuni laghetti artificiali delle campagne di proprietà di alcune famiglie mafiose. Così si scopre che i gelesi non hanno acqua a sufficienza, perché la mafia ruba l'acqua. Allora la questione legale finisce con il coincidere con la questione sociale e con quella economica. E ciò accade in tutti i campi».
Secondo questa sua visione, mi par di capire che la lotta alla mafia dovrebbe essere un gigantesco collante per unire questioni sociali, politiche, economiche, altrimenti non risolvibili?
«Infatti. Bisogna capire che in alcune realtà del Mezzogiorno la mafia non è il cancro inserito all'interno di un corpo sano, ma un autentico sistema di metastasi. In Sicilia, la mafia attraversa la politica, l'imprenditoria, settori di società civile, e una politica sana non può limitarsi alla gestione dell'esistente, ma deve essere profondamente rivoluzionaria mettendo in discussione i nodi di questi rapporti. Altrimenti non riesci neanche ad avere l'acqua per lavarti».
Lei è stato ripetutamente minacciato di morte, anche di recente.
«Non sono argomenti di cui mi piace parlare. È certo che ho misure di sicurezza particolarmente alte e dure per la mia vita privata che da tre anni è quasi inesistente».
All'indomani delle ultime elezioni regionali, Calogero Speziale, vice presidente Ds all'Assemblea regionale siciliana, e Salvatore Morinello, ex deputato regionale dei Comunisti Italiani, hanno raccolto firme di diversi consiglieri comunali del centro sinistra, e persino di assessori della sua giunta, per chiedere le sue dimissioni da sindaco. Come se lo spiega?
«Me l'aspettavo. C'è da dire che in casa Ds le forti reazioni che ci sono state hanno rasserenato un po' il clima come anche la reazione di Oliviero Diliberto. Ma per tornare alla sua domanda. Sapevo che il sostegno alla mia amministrazione sarebbe rimasto in piedi sino allo svolgimento di tutte le tappe elettorali. Infatti, a Gela, nelle elezioni comunali il centro sinistra aveva il 38 e 50 contro il 48 e 50 che avevo raggiunto io al primo turno, a parte una lista mia di ragazze e ragazzi che prese il 5%. L'anno dopo, alle elezioni provinciali, dopo la mia elezione, il centro sinistra supera il 52%. Insomma: in tutti gli appuntamenti elettorali il centro sinistra supera pienamente il 50% e il risultato a favore di Rita Borsellino, a Gela, è fra i più alti dell'intera Sicilia. Altro che antimafia di facciata».
Sospetta di non servire più?
«Un po' sì. Secondo un certo modo di concepire la politica, sì. Non ci sono appuntamenti elettorali imminenti e qualcuno sta pensando di togliere di mezzo un rompipalle. Ma Gela e la Sicilia hanno bisogno di vera lotta alla mafia. E su questo è impossibile tornare indietro».
saverio.lodato@virgilio.it
da l'Unità del 19/07/2006
mercoledì 19 luglio 2006
"La mia lotta alla mafia che divide la sinistra"
lunedì 17 luglio 2006
Cassazione: "Dare del frocio è reato, chiaro l'intento di deridere"
La Suprema Corte riforma la sentenza di assoluzione del giudice di pace di Teramo
"Si ravvisa nel termine una palese volontà di scherno"
ROMA - Dare del "frocio" a qualcuno è un reato. Lo sostiene la Cassazione in una sentenza appena pubblicata: "Si ravvisa nel termine frocio un chiaro intento di derisione e di scherno espresso in forma graffiante". La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul parere di un giudice di pace di Teramo che riteneva invece la parola non offensiva.
Un quarantenne abruzzese era stato denunciato nel maggio 2005 per aver rivolto a un suo conoscente l'epiteto incriminato. Il giudice lo aveva assolto ma la parte civile, insieme al pubblico ministero, erano ricorsi alla Cassazione. Oggi il pronunciamento della Suprema Corte: "La sentenza del giudice di pace è contraria alla logica ed alla sensibilità".
Accogliendo le richieste dei ricorrenti, la quinta sezione penale della Suprema Corte presieduta da Bruno Foscarini, ha annullato la decisione rilevando che il giudice di pace "ha svalutato la portata lesiva della frase pronunciata dall'imputato". Quella del collega abruzzese, spiegano i supremi giudici nella sentenza 24.513, è una decisione contraria "alla logica ed alla sensibilità sociale che ravvisa nel termine 'frocio' un chiaro intento di derisione e di scherno, espresso in forma graffiante".
I giudici di Piazza Cavour hanno rinviato gli atti al giudice di pace di Teramo che dovrà riesaminare la vicenda tenendo conto del loro pronunciamento.
(17 luglio 2006)
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