sabato 29 settembre 2007

Senato USA approva la legge che include l'omofobia tra i reati di intolleranza

Ma i repubblicani chiedono a Bush di fermarla con il veto


Il Senato ha approvato ieri un'appendice alla legge federale sui reati di intolleranza che include tra i soggetti passivi di tali crimini anche gli gay e le lesbiche. Come riportato dal Washington Post, la legge risale al 1968 e punisce i reati commessi per motivi di intolleranza relativi alla razza, religione e nazionalità, ma fino ad oggi non garantiva alcuna tutela all'omosessualità. Con l'emendamento del Senato la definizione di crimini di intolleranza potrebbero dunque estendersi ulteriormente includendo il sesso di una persona, il suo orientamento e identità sessuale.

Il partito repubblicano ha dichiarato che cercherà di eliminare l'estensione in sede di negoziazione finale in Congresso, ma in caso di fallimento si rivolgerà al presidente George W. Bush esortandolo ad opporre il veto. Dall'altra parte, il partito democratico ha difeso il provvedimento, ricordando che è rivolto a combattere una forma di terrorismo, provocato dall'intolleranza nei confronti delle diversità.

Il provvedimento è stato chiamato The Matthew Shepard Act in onore del giovane ragazzo gay picchiato e lasciato morire in un recinto nei pressi di Laramie, nel Wyoming nel 1998


http://www.gaynews.it/view.php?ID=75394

venerdì 28 settembre 2007

La Chiesa costa allo Stato 4 miliardi di euro ogni anno

L'otto per mille, le scuole, gli ospedali, gli insegnanti di religione e i grandi eventi
di CURZIO MALTESE


"Quando sono arrivato alla Cei, nel 1986, si trovavano a malapena i soldi per pagare gli stipendi di quattro impiegati". Camillo Ruini non esagera. A metà anni Ottanta le finanze vaticane sono una scatola vuota e nera. Un anno dopo l'arrivo di Ruini alla Cei, soltanto il passaporto vaticano salva il presidente dello Ior, monsignor Paul Marcinkus, dall'arresto per il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. La crisi economica è la ragione per cui Giovanni Paolo II chiama a Roma il giovane vescovo di Reggio Emilia, allora noto alle cronache solo per aver celebrato il matrimonio di Flavia Franzoni e Romano Prodi, ma dotato di talento manageriale. Poche scelte si riveleranno più azzeccate. Nel "ventennio Ruini", segretario dall'86 e presidente dal '91, la Cei si è trasformata in una potenza economica, quindi mediatica e politica. In parallelo, il presidente dei vescovi ha assunto un ruolo centrale nel dibattito pubblico italiano e all'interno del Vaticano, come mai era avvenuto con i predecessori, fino a diventare il grande elettore di Benedetto XVI.

Le ragioni dell'ascesa di Ruini sono legate all'intelligenza, alla ferrea volontà e alle straordinarie qualità di organizzatore del personaggio. Ma un'altra chiave per leggerne la parabola si chiama "otto per mille". Un fiume di soldi che comincia a fluire nelle casse della Cei dalla primavera del 1990, quando entra a regime il prelievo diretto sull'Irpef, e sfocia ormai nel mare di un miliardo di euro all'anno. Ruini ne è il dominus incontrastato. Tolte le spese automatiche come gli stipendi dei preti, è il presidente della conferenza episcopale, attraverso pochi fidati collaboratori, ad avere l'ultima parola su ogni singola spesa, dalla riparazione di una canonica alla costruzione di una missione in Africa agli investimenti immobiliari e finanziari.

Dall'otto per mille, la voce più nota, parte l'inchiesta di Repubblica sul costo della chiesa cattolica per gli italiani. Il calcolo non è semplice, oltre che poco di moda. Assai meno di moda delle furenti diatribe sul costo della politica. Il "prezzo della casta" è ormai calcolato in quattro miliardi di euro all'anno. "Una mezza finanziaria" per "far mangiare il ceto politico". "L'equivalente di un Ponte sullo Stretto o di un Mose all'anno".

Alla cifra dello scandalo, sbattuta in copertina da Il Mondo e altri giornali, sulla scia di La Casta di Rizzo e Stella e Il costo della democrazia di Salvi e Villone, si arriva sommando gli stipendi di 150 mila eletti dal popolo, dai parlamentari europei all'ultimo consigliere di comunità montane, più i compensi dei quasi trecentomila consulenti, le spese per il funzionamento dei ministeri, le pensioni dei politici, i rimborsi elettorali, i finanziamenti ai giornali di partito, le auto blu e altri privilegi, compresi buvette e barbiere di Montecitorio.

Per la par condicio bisognerebbe adottare al "costo della Chiesa" la stessa larghezza di vedute. Ma si arriverebbe a cifre faraoniche quanto approssimative, del genere strombazzato nei libelli e in certi siti anticlericali.

Con più prudenza e realismo si può stabilire che la Chiesa cattolica costa in ogni caso ai contribuenti italiani almeno quanto il ceto politico. Oltre quattro miliardi di euro all'anno, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La prima voce comprende il miliardo di euro dell'otto per mille, i 650 milioni per gli stipendi dei 22 mila insegnanti dell'ora di religione ("Un vecchio relitto concordatario che sarebbe da abolire", nell'opinione dello scrittore cattolico Vittorio Messori), altri 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità. Poi c'è la voce variabile dei finanziamenti ai Grandi Eventi, dal Giubileo (3500 miliardi di lire) all'ultimo raduno di Loreto (2,5 milioni di euro), per una media annua, nell'ultimo decennio, di 250 milioni. A questi due miliardi 600 milioni di contributi diretti alla Chiesa occorre aggiungere il cumulo di vantaggi fiscali concessi al Vaticano, oggi al centro di un'inchiesta dell'Unione Europea per "aiuti di Stato". L'elenco è immenso, nazionale e locale. Sempre con prudenza si può valutare in una forbice fra 400 ai 700 milioni il mancato incasso per l'Ici (stime "non di mercato" dell'associazione dei Comuni), in 500 milioni le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, in altri 600 milioni l'elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che gestisce ogni anno da e per l'Italia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini. Il totale supera i quattro miliardi all'anno, dunque una mezza finanziaria, un Ponte sullo Stretto o un Mose all'anno, più qualche decina di milioni.

La Chiesa cattolica, non eletta dal popolo e non sottoposta a vincoli democratici, costa agli italiani come il sistema politico. Soltanto agli italiani, almeno in queste dimensioni. Non ai francesi, agli spagnoli, ai tedeschi, agli americani, che pure pagano come noi il "costo della democrazia", magari con migliori risultati.

Si può obiettare che gli italiani sono più contenti di dare i soldi ai preti che non ai politici, infatti se ne lamentano assai meno. In parte perché forse non lo sanno. Il meccanismo dell'otto per mille sull'Irpef, studiato a metà anni Ottanta da un fiscalista all'epoca "di sinistra" come Giulio Tremonti, consulente del governo Craxi, assegna alla Chiesa cattolica anche le donazioni non espresse, su base percentuale. Il 60 per cento dei contribuenti lascia in bianco la voce "otto per mille" ma grazie al 35 per cento che indica "Chiesa cattolica" fra le scelte ammesse (le altre sono Stato, Valdesi, Avventisti, Assemblee di Dio, Ebrei e Luterani), la Cei si accaparra quasi il 90 per cento del totale. Una mostruosità giuridica la definì già nell'84 sul Sole 24 Ore lo storico Piero Bellini.

Ma pur considerando il meccanismo "facilitante" dell'otto per mille, rimane diffusa la convinzione che i soldi alla Chiesa siano ben destinati, con un ampio "ritorno sociale". Una mezza finanziaria, d'accordo, ma utile a ripagare il prezioso lavoro svolto dai sacerdoti sul territorio, la fatica quotidiana delle parrocchie nel tappare le falle sempre più evidenti del welfare, senza contare l'impegno nel Terzo Mondo. Tutti argomenti veri. Ma "quanto" veri?

Fare i conti in tasca al Vaticano è impresa disperata. Ma per capire dove finiscono i soldi degli italiani sarà pur lecito citare come fonte insospettabile la stessa Cei e il suo bilancio annuo sull'otto per mille. Su cinque euro versati dai contribuenti, la conferenza dei vescovi dichiara di spenderne uno per interventi di carità in Italia e all'estero (rispettivamente 12 e 8 per cento del totale). Gli altri quattro euro servono all'autofinanziamento. Prelevato il 35 per cento del totale per pagare gli stipendi ai circa 39 mila sacerdoti italiani, rimane ogni anno mezzo miliardo di euro che il vertice Cei distribuisce all'interno della Chiesa a suo insindacabile parere e senza alcun serio controllo, sotto voci generiche come "esigenze di culto", "spese di catechesi", attività finanziarie e immobiliari. Senza contare l'altro paradosso: se al "voto" dell'otto per mille fosse applicato il quorum della metà, la Chiesa non vedrebbe mai un euro.

Nella cultura cattolica, in misura ben maggiore che nelle timidissime culture liberali e di sinistra, è in corso da anni un coraggioso, doloroso e censuratissimo dibattito sul "come" le gerarchie vaticane usano il danaro dell'otto per mille "per troncare e sopire il dissenso nella Chiesa". Una delle testimonianze migliori è il pamphlet "Chiesa padrona" di Roberto Beretta, scrittore e giornalista dell'Avvenire, il quotidiano dei vescovi. Al capitolo "L'altra faccia dell'otto per mille", Beretta osserva: "Chi gestisce i danari dell'otto per mille ha conquistato un enorme potere, che pure ha importantissimi risvolti ecclesiali e teologici". Continua: "Quale vescovo per esempio - sapendo che poi dovrà ricorrere alla Cei per i soldi necessari a sistemare un seminario o a riparare la cattedrale - alzerà mai la mano in assemblea generale per contestare le posizioni della presidenza?". "E infatti - conclude l'autore - i soli che in Italia si permettono di parlare schiettamente sono alcuni dei vescovi emeriti, ovvero quelli ormai in pensione, che non hanno più niente da perdere...".

A scorrere i resoconti dei convegni culturali e le pagine di "Chiesa padrona", rifiutato in blocco dall'editoria cattolica e non pervenuto nelle librerie religiose, si capisce che la critica al "dirigismo" e all'uso "ideologico" dell'otto per mille non è affatto nell'universo dei credenti. Non mancano naturalmente i "vescovi in pensione", da Carlo Maria Martini, ormai esiliato volontario a Gerusalemme, a Giuseppe Casale, ex arcivescovo di Foggia, che descrive così il nuovo corso: "I vescovi non parlano più, aspettano l'input dai vertici... Quando fanno le nomine vescovili consultano tutti, laici, preti, monsignori, e poi fanno quello che vogliono loro, cioè chiunque salvo il nome che è stato indicato". Il già citato Vittorio Messori ha lamentato più volte "il dirigismo", "il centralismo" e "lo strapotere raggiunto dalla burocrazia nella Chiesa". Alfredo Carlo Moro, giurista e fratello di Aldo, in uno degli ultimi interventi pubblici ha lanciato una sofferta accusa: "Assistiamo ormai a una carenza gravissima di discussione nella Chiesa, a un impressionante e clamoroso silenzio; delle riunioni della Cei si sa solo ciò che dichiara in principio il presidente; i teologi parlano solo quando sono perfettamente in linea, altrimenti tacciono".

La Chiesa di vent'anni fa, quella in cui Camillo Ruini comincia la sua scalata, non ha i soldi per pagare gli impiegati della Cei, con le finanze scosse dagli scandali e svuotate dal sostegno a Solidarnosc. La cultura cattolica si sente derisa dall'egemonia di sinistra, ignorata dai giornali laici, espulsa dall'universo edonista delle tv commerciali, perfino ridotta in minoranza nella Rai riformata. Eppure è una Chiesa ancora viva, anzi vitalissima. Tanto pluralista da ospitare nel suo seno mille voci, dai teologi della liberazione agli ultra tradizionalisti seguaci di monsignor Lefebrve. Capace di riconoscere movimenti di massa, come Comunione e Liberazione, e di "scoprire" l'antimafia, con le omelie del cardinale Pappalardo, il lavoro di don Puglisi a Brancaccio, l'impegno di don Italo Calabrò contro la 'ndrangheta.

Dopo vent'anni di "cura Ruini" la Chiesa all'apparenza scoppia di salute. È assai più ricca e potente e ascoltata a Palazzo, governa l'agenda dei media e influisce sull'intero quadro politico, da An a Rifondazione, non più soltanto su uno. Nelle apparizioni televisive il clero è secondo soltanto al ceto politico. Si vantano folle oceaniche ai raduni cattolici, la moltiplicazione dei santi e dei santuari, i record di audience delle fiction di tema religioso. Le voci di dissenso sono sparite. Eppure le chiese e le sagrestie si svuotano, la crisi di vocazioni ha ridotto in vent'anni i preti da 60 a 39 mila, i sacramenti religiosi come il matrimonio e il battesimo sono in diminuzione.

Il clero è vittima dell'illusoria equazione mediatica "visibilità uguale consenso", come il suo gemello separato, il ceto politico. Nella vita reale rischia d'inverarsi la terribile profezia lanciata trent'anni fa da un teologo progressista: "La Chiesa sta divenendo per molti l'ostacolo principale alla fede. Non riescono più a vedere in essa altro che l'ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo". Quel teologo si chiamava Joseph Ratzinger.


(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)
http://www.gaynews.it/view.php?ID=75391

Iran. Diritti umani, appello di Arcigay

Più saranno i sottoscrittori dell'appello, maggiori saranno le possibilità di incidere politicamente
di Luca Trentini

Ciao a tutti,

da alcuni mesi Arcigay è mobilitata in una campagna di denuncia della terribile situazione dei diritti umani in Iran.

Dopo la nostra azione di denuncia, che ha portato ad una discussione in Commissione esteri della camera e alla condanna delle esecuzioni capitali del regime iraniano, e dopo la mobilitazione per Pegah Emambakhsh abbiamo pensato di lanciare una petizione per la libertà in Iran.

Insieme ad Arcilesbica e all'Associazione Lamanicatagliata abbiamo attivato un sito www.dirittiumani-iran.org dove tutti possono sottoscrivere un appello al governo (che vi allego qui sotto) affinchè si pongano in atto azioni concrete per la tutela dei diritti umani fondamentali in quel paese.

E' naturale che più saranno i sottoscrittori dell'appello, maggiori saranno le possibilità di incidere politicamente e mettere in campo iniziative che possano denunciare una situazione drammatica per tutte le minoranze di quel paese.

Per questa ragione chiedo la vostra collaborazione per la massima diffusione di questo appello e per la pubblicizzazione del sito sia tramite le vostre mailing list, che attraverso i contatti stampa, gli amici, le associazioni, i partiti, gli esponenti del mondo politico, istituzionale o associativo, i blog ed i siti delle vostre associazioni.

Non si tratta solo di tutelare le molte vite umane che sono in gioco, la posta è ben più alta. Il rischio concreto è che se non ci sarà una mobilitazione di coscienze qui in
occidente i dissidenti iraniani, lasciati soli, saranno sempre più spinti a chiedere l'intervento armato di Bush, che sembra non vedere l'ora di aprire un nuovo fornte di guerra con l'Iran.

So che questo può sembrare uno strumento piccolo, ma è pur sempre l'occasione per fare qualcosa di concreto.

Rimango a disposizione per qualsiasi tipo di informazione, chiarimento o contributo che possano portare al successo di questa iniziativa.

Vi ringrazio fin d'ora per l'impegno che vorrete riservare a questa importante campagna per i diritti umani.

Buon lavoro!


Luca Trentini
Responsabile nazionale Arcigay
Diritti umani e Lotta alla violenza

mercoledì 26 settembre 2007

Rendere pubblica l'omosessualità non è reato

Scrivere di qualcuno che è gay non costituisce reato. I giudici di Milano assolvono così Lina Sotis (Corriere della Sera), che aveva rivelato la convivenza del marito di Marina Berlusconi con un uomo


«Nella società attuale non è né culturalmente né giuridicamente giustificato alcuno stigma in relazione all'omosessualità o all'essere omosessuale». Ciò che va tutelato, dunque, è solo la «libertà di un individuo di fare pubblica dichiarazione della propria omosessualità (outing) [sic, NdT] o meno, e non la segretezza dell'omosessualità, che costituirebbe, invece, uno stigma aggiuntivo».

Lo scrivono i giudici della seconda sezione civile d'appello di Milano nel motivare la sentenza con cui, riformando il verdetto di primo grado, hanno assolto la giornalista del Corriere della Sera Lina Sotis e l'allora direttore Ferruccio De Bortoli, accusati entrambi di illecita diffusione di notizie riservate su Angelo Villa (noto chirurgo plastico che si era attribuito l'intervento di lifting di Silvio Berlusconi salvo poi smentirlo), in passato convivente di Maurizio Vanadia, poi marito di Marina Berlusconi.

In tutte le sue difese Villa non ha negato la convivenza di svariati anni con Maurizio Vanadia, poi marito di Marina Berlusconi, e visto che entrambi «sono due affermati professionisti», la decisione di convivere non poteva trovare giustificazione in esigenze di contenimento della spesa per l'alloggio (come può accadere tra gli studenti universitari) «e poteva avere solo la giustificazione di una scelta di tipo affettivo, frutto di affinità ed elezione».

Non si vede dunque in quale reato siano incorsi, rendendo pubblica una convivenza, «il Corriere della Sera e la sua migliore firma di articoli di costume».

http://tinyurl.com/36y938

martedì 25 settembre 2007

Ahmadinejad: in Iran non esistono omosessuali

In un intervento alla Columbia University il presidente dell`Iran ha negato l`esistenza di omosessuali, quindi delle tante esecuzioni. E poi non capisco perchè non si possa dissentire dall`Olocausto.


C'erano migliaia di attivisti gay con foto delle esecuzioni di giovani omosessuali ad accogliere ieri Ahmadinejad alla Columbia UNiversity. Ma se questo poteva immaginarlo, il presidente dell'Iran non si aspettava parole tanto forti dal presidente dell'università. "Non credo che Ella avrà il coraggio intellettuale di rispondere alle domande che le ho appena formulato. Lei esibisce tutti i tratti di un dittatore meschino e crudele".<

Ad Ahmadinejad però il coraggio non manca, così sorridendo con un ghigno ha parlato di sè come uomo di pace ed ha accusato la stampa di stravolgere le sue dichiarazioni su Israele. Certo poi ha precisato: "non vedo perchè non si possa esprimere voci di dissenso sull'esistenza dell'Olocausto" anche perchè "sono i palestinesi a pagare il prezzo dell'Olocausto. Sia un referendum a decidere se Israele deve esistere" ha detto il presidente iraniano prima di rispondere alla domanda sul trattamento degli omosessuali e le esecuzioni capitali. "Noi abbiamo l'impiccagione, voi l'iniezione letale. E' la stessa cosa". Poi tocca ai gay: "noi in Iran non abbiamo omosessuali come avete voi nel vostro paese. Non abbiamo questo fenomeno, non so chi vi ha detto questo. La nostra nazione è libera".

E' stata Human Rights Campaign a prendere la parola per ricordare al Presidente ricordando gli atti di terrore, i pestaggi e le esecuzioni a cui sono stati sottoposti più di 4mila tra ragazzi gay e lesbiche uccisi dal 1978.

http://www.gay.tv/ita/magazine/we_like/dettaglio.asp?i=4703

Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

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