venerdì 16 giugno 2006

Pacs, il ministro Pollastrini "Penso a legge su unioni di fatto"

ROMA - Il ministro Barbara Pollastrini aderisce al Gay Pride in programma domani a Torino. In una lettera agli organizzatori, in cui il ministro per i diritti e le pari opportunità spiega i motivi della sua adesione alla manifestazione, la Pollastrini annuncia che sta "pensando ad una legislazione umana e saggia per le unioni di fatto, omosessuali e non, cosa che sta a cuore a voi e a molti di noi. Penso ad urgenti provvedimenti sul lavoro. Mi riferisco - precisa il ministro - a una politica di risanamento che sia tutt'uno con innovazione, giustizia sociale e talenti. E cioè esprima un'idea di crescita ispirata ad una visione dinamica, tollerante, umana della società".
(16-06-2006)
http://tinyurl.com/rhqj8

La scelta oscurata

Referendum: se per la Rai va tutto bene
di Giovanni Sartori


Tanto tuonò che piovve. A quanto pare il mio editoriale sul referendum in televisione del 13 maggio ha tanto tuonato da scatenare una grandinata. Il grandinatore massimo è l’ex ministro delle Riforme Calderoli che dichiara che io sono «come Moggi», che «mento sapendo di mentire ». Come Moggi proprio no: io sono più bello. E poi come fa il nostro a sapere che so di mentire? È anche indovino? Legge nel mio animo? Io indovino non sono, però so che io non ho nessun interesse a mentire, mentre Calderoli sì: se perde rischia di dover tornare all’odontoiatria. Ma anche Calderisi e Taradash ci vanno con la mano pesante. Sartori, dichiarano, «racconta bugie colossali», perché non è vero che nella riforma costituzionale del 2001 la sinistra aveva eliminato il bicameralismo perfetto e incluso la riduzione del numero dei parlamentari. Povero me. Scrivo un pezzo per spiegare che il quesito referendario non chiede ai votanti un paragone tra il 2001 e il 2005 (ma invece di soppesare i pro e i contro del testo del 2005), e la nostra coppietta mi accusa proprio di questo e dimentire su questo. Invece, e ovviamente, io faccio riferimento alle proposte della sinistra nella successiva legislatura, a cominciare dal disegno di legge (al Senato) n.ro 2320 dell’11 giugno 2003 nel quale si propone un Senato federale che superi «le incongruenze e gli appesantimenti dell’attuale bicameralismo perfetto», e una riduzione dei senatori a 200 (invece di 252) e dei deputati a 400 (invece di 518). Potrei citare altri testi. Ma già si intende che le «bugie colossali » sono di altri, non mie.
Tanto tuonò che piovve. Ma c’è anche il detto inverso: tuonò parecchio, ma non piovve per niente. In barba ai miei tuoni il consiglio di amministrazione della Rai mi fa sapere che tutto è ben fatto e va bene così. Questo «non ricevere» è stato votato, si noti, all’unanimità, e quindi anche dalla sinistra. Il che mi lascia impavido, visto che per me le costituzioni non sono né di destra né di sinistra (dal che consegue che farei le stesse riserve se il testo fosse di D’Alema-Fassino). Però mi fa specie che ai «sinistri» in Rai sfugga che il No è promosso dai loro. Vogliono perdere? Se lo meriterebbero. Torno a spiegare. Il mio argomento è che un referendum deve strutturare una scelta; e il mio lamento è che la Rai non lo fa. La Rai illustra il testo del Polo; un testo che incorpora, ovviamente, le tesi del Polo. E le controtesi? Le critiche? Non ci sono. La Rai sostiene invece che ci sono, perché dopo il suo raccontino intervengono un sinistro e un destro con pistolotti prefabbricati di 10-30 secondi. Ma le spade non si incrociano mai. Uno dice che il popolo comanderà, l’altro che la devolution costa troppo.
I due interventi non si controbattono, possono essere entrambi faziosi, e quindi lasciano il tempo che trovano. Quel che non capisco è se i vertici Rai fanno le gattemorte, oppure se proprio non sanno come fare meglio. Il messaggio che di fatto arriva al pubblico dal servizio pubblico è che il Polo vuole cambiare, vuole un governo forte e durevole, vuolemeno costi e meno parlamentari, e così via di belluria in belluria. Invece i fautori del No cosa vogliono e cosa propongono? La Rai tace e non spiega che i due fronti vogliono entrambi le suddette bellurie, ma con metodi e strumenti diversi. I votanti indecisi questo lo sanno? Dalla Rai assolutamente no.

Corriere della Sera, 16 giugno 2006
http://tinyurl.com/qoydy

giovedì 15 giugno 2006

Referendum: la TV inganna

Rai e Mediaset disorientano gli italiani
di GIOVANNI SARTORI

L'incombente referendum sulla nuova costituzione investe argomenti molto difficili. I più non li capiscono, e quindi se ne disinteressano. A torto perché una scelta sbagliata danneggerà tutti, ivi inclusi i disinteressati. Ma tant'è. Il referendum è indetto, e il dovere della Rai come servizio pubblico è di spiegarlo onestamente e imparzialmente. Come? Come si fa? La nostra tv non lo ha mai fatto, probabilmente nemmeno sa come farlo, e comunque se ne impipa. In Saxa Rubra l'imparziale è un imbecille; l'intelligentone si schiera e, se l'azzecca, viene debitamente ricompensato dal vincitore. Da aprile il vincitore è cambiato. Ma il nuovo vincitore continua a sonnecchiare, consentendo così che il referendum costituzionale sia gestito, senza nemmeno cambiare un guardalinee, dalla tv colonizzata da Berlusconi.
Facendo un passo indietro comincio da questa domanda: qual è il problema che viene specificamente posto da un referendum? In questo contesto non si tratta più di descrivere un testo ma di strutturare una scelta. Perché è meglio approvare? Perché è meglio rifiutare? Questo è il quesito posto agli italiani, e questo è il quesito che il nostro cosiddetto servizio pubblico pervicacemente elude.
Pilucco tra i vari spot e filmatini che per dovere di ufficio mi sono dovuto sorbire in questi giorni. Un tema molto insistito, non a caso, è quello della riduzione del numero dei parlamentari. Il tema è popolare e gli strateghi al servizio di Sua Emittenza hanno capito che è più facile da vendere agli ignari di tutto. E così si ripete a distesa che i deputati passeranno, con la riforma, da 630 a 518 e i senatori da 313 a 252. Vero o falso? Semi-vero, e quindi semi- falso. E anzi più falso che vero. Non solo perché la sinistra ha proposto un taglio più drastico, ma anche perché ne propone l'attuazione subito mentre la destra la rinvia addirittura al 2016. Mediaset, poi, è ancora più imbrogliona. Perché nella sua animazione di questo punto le figurine dei parlamentari si trasformano in simboli dell'euro. Come per dire: votate Sì e risparmierete soldi. E questa non è una mezza verità ma una sicura falsità.
Secondo esempio: il bicameralismo perfetto (paritario). La riforma Bossi- Berlusconi lo ha eliminato. Ma lo aveva anche eliminato prima la sinistra. Sul che la Rai tace, mentre il problema dovrebbe essere di chi lo abbia sostituito peggio. Imperturbato lo spot Rai illustra così: «La riforma prevede tre tipi di leggi», norme approvate soltanto dalla Camera (alle quali però il Senato federale può proporre modifiche); secondo, norme approvate soltanto dal Senato federale (alle quali la Camera può anch'essa proporre modifiche); e infine «norme che disciplinano norme sia dello Stato e delle Regioni». Quasi tutti i costituzionalisti hanno detto che questo è un caos ingestibile. Ma questo non va detto. I vari Mimun, Mazza, Giuliana Del Bufalo, o chi per loro (non so chi confezioni queste pillole papaverine) si chiamano fuori dichiarandosi «neutrali».
Neutrali? Per carità. Un referendum è come ricorrere a un tribunale. La destra ha imposto la sua riforma, la sinistra la contesta. Nel tribunale si devono udire entrambe le parti, e poi il giudice (il demos
votante) decide. Ma il nostro referendum sta procedendo inaudita altera parte, senza contraddittorio. A me sembra incredibile, oltreché vergognoso. Eppure sino al momento nel quale scrivo il consiglio di amministrazione della Rai e il suo presidente Petruccioli hanno fatto finta di non vedere che «mamma Rai» sta disorientando gli italiani con un'informazione che è, in realtà, disinformazione.

Gay Pride: Sì di Bertinotti e Bonino, proteste cattoliche

Sabato il corteo a Torino, aderiscono presidente della Camera e ministro. La Margherita: era meglio evitare
di Gian Guido Vecchi



MILANO - Che ci fosse un filo di disagio lo si è capito quando la giunta torinese di centrosinistra, considerata l’ansia della Margherita, non ha concesso il parco Colletta per il gran finale del Gay Pride nazionale di sabato sera, «problemi di inquinamento acustico», tutti spostati a Collegno. Il filosofo Gianni Vattimo ancora se la ride, «è fantastico, quel parco confina pure col cimitero, non credo che i poveri defunti avrebbero obiettato sul rumore; e poi andiamo, è tutto l’inverno che passiamo dalle notti bianche olimpiche alle feste dei tifosi, mi sembra un po’ come arrestare Al Capone per evasione fiscale».


ADESIONI - Sforzo lodevole ma inutile, peraltro. Perché poi salta fuori che l’appello «Esserci è diverso, io ci sarò!», l’adesione «al più importante appuntamento della comunità gay lesbica bisessuale e transessuale», è stato firmato tra gli altri dal presidente della Camera Fausto Bertinotti e dal ministro Emma Bonino. Che la Rosa nel Pugno sfilerà con un suo carro drappeggiato di slogan come «No Vatican No Taleban» e «Nessun Pacs indietro» e domani presenterà «alcune proposte di legge sul tema», informa Daniele Capezzone, «con buona pace dello strano ostracismo degli ultimi tempi». E allora, va da sé, i cattolici dell’Unione, Margherita in testa, un po’ si agitano. Niente a che vedere con quello che Storace sibilò su Katia Bellillo per il Gay Pride del 2000 a Roma, «il ministro a una sfilata è una cosa immonda!». D’altra parte Bertinotti e Bonino, a quanto pare, non potranno essere fisicamente presenti.


PROTESTE - Però, sospira Pierluigi Castagnetti, sarebbe stato meglio evitare: «Viviamo in un momento di relazioni difficili con la Chiesa italiana e il mondo cattolico, il governo ha bisogno di rasserenare il clima: ferma restando la laicità dello Stato sono molto preoccupato, proprio adesso mi sembra inopportuno, chi ha responsabilità istituzionali dovrebbe ispirarsi a un di più di prudenza per non aumentare le incomprensioni». Castagnetti, tra l’altro è pure vicepresidente vicario della Camera. L’adesione della terza carica dello Stato? «Dò per scontato che sia a titolo personale, certo non coinvolge la responsabilità delle istituzioni...». L’appello, del resto, non precisa, e poi non fa molta differenza: «Noi abbiamo chiesto una firma, che certo è un invito ad esserci», sorride la portavoce del Gay Pride, Roberta Padovano, «e il fatto che un ministro e la terza carica dello Stato abbiano aderito ha un valore simbolico e politico molto importante, è chiaro».

Ecco, appunto. C’è poco da discettare, considera il senatore Luigi Bobba, anche lui della Margherita: «Prodi aveva detto ai ministri "testa bassa e pedalare", non parlate e lavorate, e questo mi pare un po’ il contrario, no?». Le considerazioni si ripetono, «ci vorrebbe prudenza, responsabilità, andrebbe scelta la strada del confronto piuttosto che procedere per strappi che in fin dei conti servono solo ad alzare steccati». Anche se, geme il compagno di partito Enzo Carra, «temo che ormai prendersela per queste cose sia inutile, perché ognuno fa come gli pare». Il che potrebbe anche andare bene, «come cattolico liberale io rispetto le opinioni altrui: purché gli altri rispettino le mie senza bollarmi come uno della lobby di Ruini e robe del genere, però».


TRANVIERI - Comunque il sindaco Sergio Chiamparino non andrà alla sfilata, «di tutto il Gay Pride è la manifestazione che mi convince meno», e non manderà il Gonfalone. Delusioni, discussioni come da copione. Meno male che c’è Vattimo: «Il Gonfalone? Le dirò, non mi scandalizza: mica è il 25 Aprile, solo una manifestazione di un rispettabile gruppo di cittadini che vuole riconosciuti alcuni diritti. Un po’ come fosse un corteo di tranvieri».


dal Corriere della Sera del 15/06/2006

Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.