Inchiesta del settimanale britannico sull'Italia: "Il premier dopo 5 anni ha ancora problemi con giustizia e conflitto di interessi" "Se Prodi riuscisse a vincere troverà difficile introdurre riforme la coalizione abbraccia 9 partiti, molti contrari al cambiamento" di GIOVANNI PONS Il titolo dell'inchiesta dell'Economist "gioca" con il titolo del film di Fellini MILANO - "Il giudizio dell'Economist sul signor Berlusconi è ben noto. Dichiarammo nell'aprile 2001 che era "unfit" (non adatto) a guidare l'Italia. Dopo cinque anni egli ha ancora problemi con la giustizia e ha fatto poco per risolvere il suo conflitto di interessi: inoltre, poiché il governo possiede la Rai, Berlusconi ora controlla o influenza il 90% della televisione terrestre (ma continua a lamentarsi delle critiche ricevute in Tv). Il nostro verdetto dell'aprile 2001 è confermato". Parole secche contenute in un'inchiesta speciale del settimanale britannico sull'Italia condotta da John Peet e intitolata "Addio, Dolce vita" della quale hanno discusso ieri a Milano Mario Monti e Marco Tronchetti Provera. Tutti si sono dichiarati concordi su un punto: l'Italia ha estremo bisogno di introdurre riforme strutturali nel sistema ma nessuno sembra in grado di farle. "È una sensazione agrodolce essere criticati dall'Economist. Il suo giudizio non va mitizzato né demonizzato, va semplicemente utilizzato e rischia di diventare il nuovo vincolo esterno dell'Italia", ha ricordato Monti. "Oggi la priorità è fare le riforme strutturali ma con la protezione dell'euro è più difficile creare un clima drammatico tale da far digerire politiche di rigore all'opinione pubblica". Il ritratto dell'Italia proposto dall'Economist è senza dubbio acido. Il miracolo economico del dopoguerra è finito. La crescita media negli ultimi 15 anni è stata la più lenta d'Europa e ora rappresenta soltanto l'80% di quella del Regno Unito. Le piccole aziende familiari, spina dorsale del paese, sono sotto una crescente pressione, i costi salgono ma la produttività ristagna. Con l'euro si è bloccata la valvola di sfogo delle svalutazioni, la competitività peggiora e le quote di export mondiale sono molto basse. Per produttività l'Italia è 47° al mondo, appena sopra al Botwana. Ma per fortuna gli imprenditori italiani non si scoraggiano. "L'Economist - ha spiegato Tronchetti Provera - sembra fare una sintesi di quanto già scritto dalla stampa italiana, senza mettere in luce la parte positiva di un Paese che dà anche segni di ripresa". "L'Italia - ha proseguito il presidente di Telecom - ha avuto una caduta di credibilità che in parte sta recuperando ma bisogna fare di più, fare sistema e rimboccarsi tutti le maniche per dare fiducia, perché c'è possibilità di crescita: questo Paese può sorprendere". Il caso Fazio di certo non ha aiutato all'immagine internazionale dell'Italia e Peet non ha mancato di sottolinearlo parlando di "credibilità fatta a pezzi dall'intransigenza del governatore". Una frase non degna di commento per l'unico banchiere in sala, Enrico Salza, presidente del Sanpaolo. Il guaio, se si segue la visione proposta dall'Economist, è che Berlusconi ha perso l'occasione storica di promuovere una politica di privatizzazioni e liberalizzazioni e ora "molti dei suoi supporters si sentono delusi". Tuttavia non c'è tanto da sperare nel centrosinistra, favorito per la vittoria nel 2006. "Se Romano Prodi riuscisse a vincere - continua Peet nella sua analisi impietosa - troverà difficile introdurre riforme, se non altro perché la sua coalizione abbraccia non meno di nove partiti, molti dei quali si opporranno al cambiamento". Cosa salvare? Oltre alla riforma delle pensioni e del lavoro, il ministro Moratti ha lavorato duro per promuovere la ricerca e migliorare le Università e ha pagato la politica estera al fianco degli americani. Sorprende che il turismo, per un Paese che ha tanto da offrire, sia così poco sviluppato. Non rimane che sperare "nell'estro, nell'inventiva e nella creatività degli italiani per salvare un Paese che è ancora ricco in tutti i sensi. A breve però ci sono buoni motivi per essere pessimisti". |
http://www.repubblica.it/2005/k/sezioni/economia/economist/economist/economist.html
L'articolo di The Economist (in inglese) si trova qui