venerdì 25 novembre 2005

Economist: "Berlusconi inadatto" ma la sinistra rischia la paralisi

Inchiesta del settimanale britannico sull'Italia: "Il premier dopo 5 anni ha ancora problemi con giustizia e conflitto di interessi"
"Se Prodi riuscisse a vincere troverà difficile introdurre riforme la coalizione abbraccia 9 partiti, molti contrari al cambiamento"
di GIOVANNI PONS


Il titolo dell'inchiesta dell'Economist "gioca" con il titolo del film di Fellini

MILANO - "Il giudizio dell'Economist sul signor Berlusconi è ben noto. Dichiarammo nell'aprile 2001 che era "unfit" (non adatto) a guidare l'Italia. Dopo cinque anni egli ha ancora problemi con la giustizia e ha fatto poco per risolvere il suo conflitto di interessi: inoltre, poiché il governo possiede la Rai, Berlusconi ora controlla o influenza il 90% della televisione terrestre (ma continua a lamentarsi delle critiche ricevute in Tv). Il nostro verdetto dell'aprile 2001 è confermato".

Parole secche contenute in un'inchiesta speciale del settimanale britannico sull'Italia condotta da John Peet e intitolata "Addio, Dolce vita" della quale hanno discusso ieri a Milano Mario Monti e Marco Tronchetti Provera. Tutti si sono dichiarati concordi su un punto: l'Italia ha estremo bisogno di introdurre riforme strutturali nel sistema ma nessuno sembra in grado di farle.

"È una sensazione agrodolce essere criticati dall'Economist. Il suo giudizio non va mitizzato né demonizzato, va semplicemente utilizzato e rischia di diventare il nuovo vincolo esterno dell'Italia", ha ricordato Monti. "Oggi la priorità è fare le riforme strutturali ma con la protezione dell'euro è più difficile creare un clima drammatico tale da far digerire politiche di rigore all'opinione pubblica".

Il ritratto dell'Italia proposto dall'Economist è senza dubbio acido. Il miracolo economico del dopoguerra è finito. La crescita media negli ultimi 15 anni è stata la più lenta d'Europa e ora rappresenta soltanto l'80% di quella del Regno Unito. Le piccole aziende familiari, spina dorsale del paese, sono sotto una crescente pressione, i costi salgono ma la produttività ristagna.

Con l'euro si è bloccata la valvola di sfogo delle svalutazioni, la competitività peggiora e le quote di export mondiale sono molto basse. Per produttività l'Italia è 47° al mondo, appena sopra al Botwana. Ma per fortuna gli imprenditori italiani non si scoraggiano.

"L'Economist - ha spiegato Tronchetti Provera - sembra fare una sintesi di quanto già scritto dalla stampa italiana, senza mettere in luce la parte positiva di un Paese che dà anche segni di ripresa". "L'Italia - ha proseguito il presidente di Telecom - ha avuto una caduta di credibilità che in parte sta recuperando ma bisogna fare di più, fare sistema e rimboccarsi tutti le maniche per dare fiducia, perché c'è possibilità di crescita: questo Paese può sorprendere".

Il caso Fazio di certo non ha aiutato all'immagine internazionale dell'Italia e Peet non ha mancato di sottolinearlo parlando di "credibilità fatta a pezzi dall'intransigenza del governatore". Una frase non degna di commento per l'unico banchiere in sala, Enrico Salza, presidente del Sanpaolo.

Il guaio, se si segue la visione proposta dall'Economist, è che Berlusconi ha perso l'occasione storica di promuovere una politica di privatizzazioni e liberalizzazioni e ora "molti dei suoi supporters si sentono delusi". Tuttavia non c'è tanto da sperare nel centrosinistra, favorito per la vittoria nel 2006. "Se Romano Prodi riuscisse a vincere - continua Peet nella sua analisi impietosa - troverà difficile introdurre riforme, se non altro perché la sua coalizione abbraccia non meno di nove partiti, molti dei quali si opporranno al cambiamento".

Cosa salvare? Oltre alla riforma delle pensioni e del lavoro, il ministro Moratti ha lavorato duro per promuovere la ricerca e migliorare le Università e ha pagato la politica estera al fianco degli americani. Sorprende che il turismo, per un Paese che ha tanto da offrire, sia così poco sviluppato. Non rimane che sperare "nell'estro, nell'inventiva e nella creatività degli italiani per salvare un Paese che è ancora ricco in tutti i sensi. A breve però ci sono buoni motivi per essere pessimisti".


http://www.repubblica.it/2005/k/sezioni/economia/economist/economist/economist.html

L'articolo di The Economist (in inglese) si trova qui

giovedì 24 novembre 2005

Daniela Mercury cancellata dal Natale in Vaticano

La brasiliana paga l'invito all'uso del preservativo contro l'Aids.
"Ribadisco il diritto a dissentire dalla Chiesa"

di Paolo Gallori


Già annunciata tra gli artisti internazionali del prossimo Concerto di Natale in Vaticano, la brasiliana Daniela Mercury, artista indipendente, impegnata nel sociale e vicina alla Chiesa Cattolica di Bahia, è stata cancellata dal cast. La ragione: aver messo la sua immagine e la sua musica a disposizione di una campagna per l'uso del preservativo come strumento di prevenzione dell'Aids promossa dal Ministero della Salute brasiliano.

Daniela, tra l'altro ambasciatrice dell'Unicef e dell'Unaids, il programma delle Nazioni Unite per la lotta all'Aids, ha diffuso una nota ufficiale in queste ore, lamentando l'esclusione: "Sono molto delusa di non poter rappresentare il mio Paese al Concerto in Vaticano e di non potermi esibire assieme a grandi artisti provenienti da tutto il mondo. Ma riaffermo il mio diritto di dissentire dalla posizione della Chiesa in qello che dice rispetto all'uso del preservativo come forma di prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse, come l'Aids. Per me il preservativo è uno strumento di protezione della vita".

Secondo il quotidiano brasiliano O Globo, la Mercury era stata invitata dal Vaticano cinque mesi fa. Il nome dell'artista figurava ancora in elenco lo scorso 11 novembre, quando la stampa era stata convocata per il 2 dicembre alla conferenza stampa di presentazione del Concerto di Natale in Vaticano, spettacolo che si terrà il giorno successivo nella consueta ambientazione della Sala Nervi. Era stato persino diffuso il contenuto della sua esibizione: le canzoni Águas de Março, Canto da Cidade oltre a due brani di musica sacra con l'accompagnamento dell'Orchestra Sinfonica di Palermo. Solo in questi ultimi giorni la Curia Vaticana deve aver scoperto il "misfatto" di cui si è resa colpevole la Mercury.

E' accaduto nel febbraio scorso, durante i giorni del Carnevale, quando il sesso occasionale diventa normalità in tutto il Brasile. Sugli schermi televisivi e alla radio passa un jingle musicato e cantato da Daniela Mercury e il suo trio elettrico. Lo slogan: "Vista-se! Use sempre camisinha!" (Stai attento! Usa sempre il preservativo). Il 7 febbraio Daniela e il suo trio erano addirittura scesi in strada a Salvador de Bahia, indossando magliette con lo slogan della campagna pro-preservativo impresso sul petto, percorrendo il circuito Barra-Ondina.

Torna alla mente il ricordo di Lauren Hill, la cantante afroamericana che nel 2003 aveva accettato l'invito al Concerto di Natale in Vaticano e che dal palco della sala Nervi aveva scandalizzato le più alte autorità spirituali della Chiesa Cattolica invitandole a chiedere perdono per i crimini commessi negli Usa dai preti pedofili. Momento che fu accuratamente tagliato dall'edizione televisiva dello show. La Chiesa Cattolica chiede all'Uomo di salvarsi dall'Aids con la castità e combatte l'uso del preservativo. Ma ha imparato ad apprezzare, a sue spese, il valore della "prevenzione". Ecco perché la Mercury non ci sarà.

(24 novembre 2005)

http://www.kwmusica.kataweb.it/kwmusica/pp_scheda.jsp?idContent=124855&idCategory=2028

martedì 22 novembre 2005

"Fa che questo Papa…

Ecco la lettera di Alessandro Santoro, prete delle Piagge in Firenze, uno di quelli veri, che sta in mezzo alla gente.



Fa che questo Papa

Caro Spirito Santo, mi rivolgo a te che sei datore di vita e soffio di speranza per l’umanità intera perché tu possa penetrare nelle stanze del potere ecclesiastico per restituire quell’”alito di vita” e di profonda compassione nel cuore di questo nuovo Papa e del suo entourage perché imparino ad ascoltare la tua voce e non continuino, una volta per tutte, a farsi trascinare nei tatticismi e negli intrighi di palazzo e di potere.

Fa che questo Papa sia a piedi scalzi, semplice e umile, che diventi compagno di strada e di vita di chi fa fatica e si sente escluso e oppresso, come del resto ha fatto Gesù che ha scelto la Galilea delle genti, luogo dell’esclusione e della emarginazione per ridare vita al mondo.

Fa che questo Papa abbia il coraggio di incarnarsi nella storia degli altri, che abdichi alla Verità assoluta che schiaccia e uccide e senta il bisogno di incontrare e nutrirsi delle Verità dell’altro. Dio non ha un nome, prende ed assume il nome dei volti e delle storie degli emarginati di questo mondo e nessuno detiene la verità di Dio e può pretendere di possederla.

Fa che questo Papa scenda nei bassifondi della storia, che abbandoni i palazzi del potere, che non viva più in Vaticano, luogo del potere curiale e torni ad essere il pastore di tutti, uomo tra gli uomini senza più nessuna enfasi trionfalistica. Non abbiamo bisogno di un Papa con strutture forti e apparati pesanti, proprie dei sovrani e dei potenti, ma di un Papa che si spogli di tutto quello che lo separa e lo divide dalle persone, che sappia lasciare tutto ciò che lo rende ricco e possa concedersi l’unica ricchezza possibile per chi si fa servo, quella in umanità.
Siamo stanchi dei troppi orpelli, troppi luccichii, troppi ori che appesantiscono la sua casa, ed è arrivata l’ora che il Papa possa prendere le distanze da questo sfarzo senza senso e che impari a vivere nella povertà senza ostentazioni.

Fa che questo Papa sia capace di Vangelo, testimone e profeta di un Vangelo possibile per tutti, che sappia piangere con chi piange, ridere con chi ride, soffrire con chi soffre.
Fa che sia intransigente solo nell’amore e continui a gridare forte contro tutte le guerre del mondo e possa aiutarci, e aiutare i grandi della terra, a considerare la guerra, le guerre e la corsa agli armamenti una assurda follia.
Fa che possa far diventare la guerra un tabù inaccettabile e cancelli l’ipocrisia assurda di chi, anche nella nostra Chiesa ritiene ancora plausibile una guerra giusta.

Fa che questo Papa sia capace di perdono, che non abbia paura a riconoscere la violenza e le violenze della nostra religione, che sappia soffiare nella nostre vite e nelle nostre comunità umane uno spirito di tenerezza, perché per tutti, chiunque sia, ci possa essere un pezzo di pane, una carezza, un abbraccio e una vera liberazione.

Fa che questo Papa non ci riempia di encicliche e di documenti, troppe parole hanno inchiostrato la nostra fede, fa che cresca nell’ascolto di quella parola di Dio che è la vita degli uomini e delle donne. L’unica parola possibile da rendere viva e vera nella nostra storia è quella del Vangelo.
Rendi questo Papa carico di utopia, capace di vedere oltre e di darci il coraggio di fare un passo più in là, un Papa meno maestro e più fratello, meno grande e più debole, meno forte e più dolce, meno sicuro e più compagno. Gesù sognava e praticava il sogno di Dio, fatto di una politica di giustizia, di una economia di uguaglianza e di un Dio pienamente libero; fà che negli occhi, nelle mani, nel cuore, nella pancia, nei piedi di questo Papa ci possa essere questo stesso sogno necessario perché questo nostro affaticato mondo riabbia la vita e “l’abbia in abbondanza”.

Fa che questo Papa abbia il coraggio di abbandonare i segni del potere e possa ritrovare e concedersi il potere dei segni, perché la nostra Chiesa possa spogliarsi della porpora e rivestirsi del grembiule, possa abbandonare i conservatorismi comodi al potere e recuperare la libertà piena e viva dei figli di Dio.

Fa che questo Papa ridia spazio e attualità alla rivoluzione del Concilio che voleva che le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini e dei poveri diventassero pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce del Vicario di Cristo e delle comunità cristiane. Le grandi aperture e novità del Concilio sono state tradite e burocratizzate, la tensione verso il nuovo si è persa nei meandri delle chiusure, delle prudenze e meschinità curiali.

Fa che questo Papa possa finalmente ridare spazio ad una collegialità vera, ad una chiesa Popolo di Dio, ad una comunione incarnata, ad una conversione senza mezze misure e compromessi. Dagli la forza ed il coraggio di proporre un nuovo concilio dove la Chiesa ripensi se stessa con il contributo vero e profondo di tutti, proprio di tutti.

Fa che questo Papa si apra all’idea di libertà e di responsabilità, che rinneghi una Chiesa moralista e sessuofoba, che possa dare spazio con pari dignità a tutte le relazioni affettive, a quell’amore plurale fatto anche di omossessuali, transessuali, divorziati, separati; è anche attraverso di loro che l’amore di Dio, così grande e universale ritroverà spazio nelle nostre comunità, troppo spesso abituate soltanto a giudicare e a condannare e non ad accogliere e a celebrare la vita.

Fa che questo Papa sappia riconoscere il valore imprescindibile delle donne, perché senza la loro sensibilità, la loro capacità di “precederci” e di amare con tenerezza, la Chiesa rimarrà sempre sterile ed incapace di futuro.

A Te Spirito Santo l’impegno di portare il respiro di tutti i piccoli e i poveri del mondo e soffiare questa brezza leggera dei perdenti e dei vinti nel cuore del Principe della Chiesa perché possa rinunciare ai titoli e alle lusinghe del Potere e possa farsi degno del Vangelo di libertà e di pace del nostro fratello Gesù di Nazaret.
Così lo sentiremo compagno e amico in questa avventura che è la vita.
Buon viaggio….”

Alessandro Santoro.

lunedì 21 novembre 2005

Basket: Swoopes tra confessioni e sogni: "Io, gay, a Taranto per lo scudetto"

Prima intervista italiana alla giocatrice della Pasta Ambra dopo la rivelazione della sua omosessualità che ha sconvolto gli Stati Uniti: « Vincerò anche qui con figlio e compagna al fianco»
dal nostro inviato a Taranto Michele Pennetti


Sheryl Swoopes è una leggenda, un monumento, a suo modo una saga, un mito trasversale. Sta al basket femminile come Michael Jordan a quello maschile. Non a caso è l'unica donna al mondo ad averlo sfidato nelle partite uno contro uno che tanto elettrizzano il pubblico americano, e non a caso la Nike ha lanciato una linea di scarpe con i loro nomi. Sheryl Swoopes è, senza tema di smentita o frontiere di disciplina sportiva, la più grande atleta che sia mai stata compresa nei ranghi di una squadra pugliese. Dopo una veloce esperienza a Bari risalente a una dozzina di anni fa, ora gioca con la Pasta Ambra Taranto che stasera, per la nona giornata del campionato di serie A1, ospita al Palamazzola ( ore 18) la Coconuda Maddaloni. Sheryl Swoopes, 34 anni e la palma universalmente ricevuta di più forte cestista del pianeta, è sbarcata di nuovo in Italia nove giorni fa dopo una fugace apparizione a settembre per firmare il contratto e fare la conoscenza delle compagne di squadra. Nell'intermezzo ne ha approfittato per chiudere casa a Houston, dove con le Comets è stata per anni stella di prima grandezza, e sconvolgere gli Stati Uniti con la seguente ammissione: « Sono gay, non voglio più nasconderlo. Dopo averlo detto, attendo nei miei riguardi maggiore rispetto. In America tale fenomeno è tabù nell'ambiente afro- ispanico, a differenza di quanto avviene tra i bianchi. Lo chiedo soprattutto per il bene dello sport. Spero che queste dichiarazioni non sporchino la mia immagine di modello per molte ragazze americane » . Preparati i bagagli, Sheryl è volata a Taranto con la sua compagna Alisa Scott, ex assistente allenatrice delle Houston Comets, e con il figlio Jordan di otto anni, piccola peste, avuto dall'ex marito con il quale ha divorziato sei anni fa. I tre, una famiglia a tutti gli effetti, abitano insieme in un appartamento non lontano dal centro. Da quando ha reso pubblico il suo coming out , la sua omosessualità, questa è la prima intervista italiana rilasciata dalla Swoopes. Negli Stati Uniti la sua rivelazione ha avuto un'eco incredibile, in Italia le sue parole sono diventate vangelo su tutti i siti internet dedicati ai gay. Perché ha deciso di uscire allo scoperto? E perché solo adesso e non prima? « Nel mio Paese sono una persona molto chiacchierata. Il basket è uno sport importante, dall'enorme seguito popolare » . Un po' come il calcio in Italia.

« Il livello di passione probabilmente è lo stesso. Si discute di pallacanestro in tv, alle radio, sui giornali, alle fermate della metropolitana. Normale che, essendo io una giocatrice di basket, tante attenzioni siano rivolte pure alla mia sfera privata » . E' stato per liberarsi dai « curiosi » che ha vinto le ultime resistenze? « No. " Olivia", una linea americana di crociere riservata esclusivamente a coppie omosessuali e che in passato si è fatta rappresentare da Martina Navratilova, mi ha proposto un contratto da testimonial. Accettandolo, ho colto la palla al balzo per svelare questo mio segreto, anche per una questione di onestà. Sono un personaggio pubblico, non aveva più senso continuare a negare l'evidenza » . Da quanto tempo condivide la relazione sentimentale con la sua attuale compagna? 34ANNI Sheryl Swoopes in lunetta ( foto Ingenito) « Con Alisa stiamo insieme da sette anni » . A Taranto società, allenatore, compagne di squadre e tifosi come l'hanno presa? « Sono stata accolta magnificamente.

Credo che basti questo per dire che non c'è stato nessun problema. Così come non ci saranno problemi in futuro. Punto » . A Bari, dodici anni fa, la parentesi fu breve e infelice. Con tre ori olimpici, un titolo mondiale e tre titoli WNBA vinti in carriera, oltre ad essere nominata per due volte ( 2000 e 2002) miglior giocatrice del campionato americano, perché una campionessa del suo calibro decide di tornare in Puglia e di partecipare ad un campionato nel quale può far canestro anche scalza e con una benda sugli occhi? « Sono trascorsi molti anni da allora.

Era il 1993. Ero giovane. Da quel momento in poi sono cambiate tante cose. Quella di Bari non è stata sicuramente un'esperienza positiva. Quando però ho saputo che a Taranto l'allenatore era Nino Molino, la persona con la quale a Bari mi ero trovata meglio, non ho esitato ad accettare l'offerta. Mi è stato prospettato un progetto ambizioso. Infatti la squadra è composta da ottime giocatrici. Mi sono detta: perché non riprovare? » . L'avvio, tuttavia, non è stato dei più incoraggianti. E' ancora convinta che quel progetto prospettatole sia realmente ambizioso? « Credo che ci sia da lavorare. Il gruppo è formato da atlete di talento e dotate di buona tecnica, ma per arrivare lontano serve un costante impegno in palestra. Abbiamo bisogno di tempo per crescere. Per puntare a qualcosa d'importante, è necessario creare un ottimo gruppo dentro e fuori il parquet. Poi tutto si fa più semplice, la strada imbocca la discesa » . E' ritenuta all'unanimità la giocatrice che ha scritto le pagine più belle nella storia del basket femminile. Cosa manca ancora a Sheryl Swoopes per sentirsi definitivamente realizzata sotto il profilo professionale? « Una vittoria in Europa. Ecco cosa mi manca. Mi piacerebbe vincere un trofeo in un altro continente, dopo essermi tolta innumerevoli soddisfazioni negli Stati Uniti. Magari regalare a Taranto il secondo scudetto. Sono qui per questo, oltre che per il piacere di conoscere posti nuovi, gente nuova, altre culture. Mi considero una privilegiata. Osservo e guardo il mondo inseguendo un pallone su un campo di basket » . Chi è Sheryl Swoopes fuori dal parquet? « Una donna, credo una buona madre, un'amica. Una persona normalissima, con i suoi pregi e i suoi difetti. Adoro stare a contatto con la gente. Amo la vita, specialmente in questo momento » . Perché, forse con la sua clamorosa rivelazione si è scrollata di dosso un peso che stava diventando insostenibile? « No, sono semplicemente serena. Ho accanto a me le persone alle quali voglio bene. Di più non posso chiedere » .

http://www.gaynews.it/view.php?ID=35035

domenica 20 novembre 2005

Lo Stato laico in salsa vaticana

di EUGENIO SCALFARI

Con gli accenti virili che gli sono propri quando afferma principi e valori nei quali crede profondamente George Bush ha ricordato al Partito comunista cinese e al governo di Pechino le loro inadempienze verso i diritti umani. Non poteva fare diversamente nel momento in cui metteva piede sul territorio della nuova potenza mondiale che nel giro di pochi anni sarà il vero "competitor" degli Stati Uniti mettendo fine al regime unipolare seguito alla caduta del Muro di Berlino.

Non è detto che il suo ammonimento cada nel vuoto anche se al momento la risposta del suo interlocutore sarà sdegnosa. Il governo di Pechino sta già allentando la stretta dogmatica e ideologica sui popoli che abitano quell'immenso territorio; man mano che il "risparmio forzato" e l'accumulazione del capitale procederanno, la macchina del benessere diffuso produrrà i suoi inevitabili effetti, sia pure con modalità che derivano dalla storia e dalla collocazione geopolitica della Cina.

Ma pensare che l'evoluzione oltre che economica anche politica del gigante asiatico attenui la sfida che esso lancerà all'America è pura illusione.
La storia non è affatto finita nel 1989, anzi non ha mai prodotto tante novità e suscitato tanti problemi come in questi ultimi quindici anni. Il tempo scorre sempre più rombante e veloce e chiede strategie adeguate di fronte all'irruzione di masse immense, portatrici di nuovi bisogni, nuove identità, antiche e profonde frustrazioni, intollerabili disuguaglianze.

L'Occidente rischia d'arrivare sfiatato e sfiduciato a questi decisivi appuntamenti ed è proprio George Bush il simbolo più eloquente di quest'affanno politico e morale. La sua credibilità in patria è precipitata ai minimi termini. La guerra irachena a tre anni dal suo inizio è impantanata. Il terrorismo incombe nella capitale e su un terzo del paese. La guerra civile non è un'ipotesi da scongiurare ma una realtà attuale fin d'ora. La stragrande maggioranza degli iracheni percepisce l'armata americana come un corpo di spedizione ostile e ne auspica entro breve tempo il ritiro.



L'opinione pubblica americana, d'altra parte, si è spostata su posizioni che sono esattamente l'opposto di quelle di appena un anno fa, il trionfo elettorale che premiò il presidente con un secondo mandato sembra ormai un reperto archeologico. L'esportazione della democrazia in Iraq produrrà nel migliore dei casi una fragile teocrazia sciita insidiata da avversari occulti e palesi.

Ma gli esiti sono altrettanto deludenti in Afghanistan, nel Kosovo, in Bosnia. E' di ieri la denuncia di Emma Bonino secondo la quale a Kabul si è passati dalla teocrazia talebana alla "narcocrazia": metà del reddito di quel paese proviene dalla coltivazione e dal commercio della droga. In Kosovo la situazione è identica a dispetto della presenza dell'Onu, in Bosnia l'equilibrio etnico è pura finzione.

Dell'Africa, orientale e occidentale, meglio non parlare tanto è disperata la situazione che vede, oltre ai genocidi, alle guerre tribali, alle epidemie e alla fame, anche l'espandersi rapido della schiavitù quasi-legale, dall'Abissinia al Ciad, al Niger, alle coste della Guinea.
Se vogliamo guardare la realtà, con occhi non offuscati dalla propaganda, questo è lo stato dei fatti. Le periferie assediano il centro quando non diventino centro esse stesse. Bisogna esser ciechi per non vederlo.

* * *

Nel frattempo noi ci balocchiamo. Abbiamo un capo del governo che - gli siano rese grazie - ci fa almeno divertire. L'altro ieri, per festeggiare la "devolution" che ha scompaginato con metodo e norme incostituzionali, l'unità del paese, l'autonomia del Parlamento, il funzionamento del governo e il ruolo del capo dello Stato, ha ballato insieme ai parlamentari leghisti, sul motivo di "chi non salta comunista è". I commessi del Senato erano esterrefatti ed esilarati da quello spettacolo che può andare in scena soltanto nel Parlamento italiano. Uscito di lì si è proclamato santo; forse è per ottenere la canonizzazione ufficiale che ieri ha fatto visita a Benedetto XVI. Poi ha sillabato davanti ai microfoni e ai taccuini dei giornalisti che il suo programma di legislatura "è stato attuato al cento per cento". Quel programma, per chi non lo ricordasse, lo impegnava ad abbassare le tasse e la pressione fiscale, recuperare la sicurezza di persone e cose, effettuare un grandioso programma di opere pubbliche, rendere rapida ed efficiente la giustizia, riformare scuola e università.

Al cento per cento fatto. Lui lo dice e bisogna pur credergli anche perché ce lo raccomanda la sua mamma. In realtà, come provano tutte le statistiche ufficiali disponibili, i primi quattro punti sono stati interamente mancati, l'ultimo (la riforma della scuola e dell'università) non è stata che una rispolverata della riforma Berlinguer accentuandone il peggio e attenuandone il meglio.
Ma dicevo: lui almeno ci fa divertire. Vi par poco con questi chiari di luna?

* * *

Pier Ferdinando Casini, diciamolo, è assai meno divertente. Dopo aver votato, con tutti i suoi della gloriosa Udc, per ben quattro volte di seguito (due alla Camera e due al Senato) la legge di riforma costituzionale (detta "devolution") non ha fatto passare dieci minuti per dichiarare che a lui quella legge piace pochissimo e comunque ci sarà tra breve il referendum per il quale il bel Pier lascerà ai seguaci libertà di coscienza. Segno che finora quella coscienza qualcuno gliel'aveva sequestrata (salvo che al roccioso Tabacci che ha votato contro salvandosi l'anima).

L'arcano si è capito rapidamente. Il giorno dopo il cardinal Ruini ha rudemente criticato la "devolution" dicendo che questa volta i vescovi non daranno indicazioni di voto nel referendum. Detto da lui significa pur qualcosa. Astinenza da un vizio? Incoraggiamento a votare contro la legge? Ruini questa volta si asterrà dall'intervenire, ma quella legge la critica, accidenti se la critica.

La sinistra questa volta lo ha applaudito, ma commette secondo me un errore. Come ha scritto giustamente Berselli su Repubblica di ieri, Ruini non può e non dovrebbe cimentarsi con le leggi della Repubblica italiana. Non lo fa Ciampi, che è il capo dello Stato e può soltanto rifiutare la firma quando vi sia palese incostituzionalità.

Ma Ruini invece entra nel merito, mi piace quell'articolo, mi preoccupa quell'altro, suggerirei questo, sconsiglierei quest'altro, e tutti a dirgli bravo.
Diciamo la verità: Ruini è un impiccione nel senso che si impiccia di cose che non lo riguardano. Che direste, ripeto, se Ciampi si comportasse allo stesso modo? E che direbbe Ruini se un ministro, un prefetto, un ambasciatore, insomma un pubblico funzionario del nostro Stato dichiarasse che la Conferenza episcopale è un organismo non democratico, non trasparente, che svolge male il suo lavoro? Credo che quel ministro, quel prefetto, quell'ambasciatore se la passerebbero molto male. La loro carriera ne soffrirebbe un bel po'. Perché noi siamo uno Stato laico in salsa vaticana. E anche questo è un dato di fatto.

* * *

Mi perdoni, Eminenza, se le lancio ancora una pallottola di carta, di quelle che lei sa respingere con una racchetta da ping-pong: ho letto che lei è favorevole a inviare negli ospedali e nei consultori i militanti del comitato Scienza e Vita per convincere le donne che vi si recano a non abortire. Si vuole dunque impicciare anche dell'organizzazione ospedaliera? Non basta il ministro Storace che una ne fa e cento ne pensa? Dunque i volontari di Scienza e Vita. Sicuramente più efficienti delle suffragette dell'Esercito della Salvezza, che le loro musichette e i loro predicozzi le fanno rigorosamente sui marciapiedi di Londra.

Io me l'immagino quella povera donna col suo carico di dubbi e di dolori, che decide di abortire ed entra con passo timido e volto rattristato in un pubblico ospedale.
Sa che dovrà avere un colloquio preliminare col medico. Quel colloquio non solo se l'aspetta ma ci conta, ha ancora dubbi sul da fare e sul come fare, insomma nel novanta per cento dei casi arriva all'appuntamento col cuore in mano. E chi si trova davanti, nelle stanze e nei corridoi dell'ospedale o del consultorio? Un don Gelmini, un volontario di Scienza e Vita, di solito un po' fanatico, abbastanza intransigente, uno che può anche minacciarle descrivendole le pene dell'inferno. Li abbiamo visti e sentiti infinite volte in televisione, quelli di Scienza e Vita ai tempi del referendum sulla procreazione artificiale. La petulanza, la certezza incrollabile nella propria verità, non un dubbio, non un sorriso, la religione dell'embrione, magari con il nome Giuliano Ferrara scritto sulla maglietta.

Ci rifletta, gentile cardinale; ci rifletta anche lei ministro Storace. Perché se questa pratica prendesse piede, aspettatevi l'arrivo in forze di Pannella, Bonino e Capezzone. Predico che allora sarebbero guai seri. Il consultorio e l'ospedale rischierebbero di trasformarsi in una rovente "Samarcanda", in uno scatenato "Ballarò", in un "Otto e mezzo", in un "Porta a porta", con la paziente relegata in un angolo e le due contrapposte squadre ad accapigliarsi in mezzo ai letti di un pronto soccorso e di una astanteria.

Io, per me, starei coi radicali, anzi gli darei pure una mano per quel che posso, ma che c'entra questo con la 194 e il diritto all'aborto motivato in una pubblica struttura? Anche l'aborto lo vogliamo in salsa vaticana? Poi vi lamentate degli anticlericali. Ma siete voi che li volete.

Stiamo attenti e state attenti perché tutta questa storia rischia di finire molto male. Con tante grane, ci manca anche questa.

(20 novembre 2005)

http://www.repubblica.it/2005/k/sezioni/politica/berlupa/statolaico/statolaico.html

Cossiga sul Riformista inneggia a Zapatero contro le ingerenze "neotemporali" della chiesa cattolica

Nel sorprendente articolo Cossiga ci rivela che fu prima Pio XI e poi Pio XII a spingere i cattolici ad accettare il regime fascista e il regime nazista sciogliendo i partiti popolari


ALLORA VIVA ZAPATERO
DI FRANCESCO COSSIGA
Sono un cattolico-liberale, non adulto L'ingerenza della Chiesa non mi piace mai


Caro direttore, chiedo ospitalità al tuo giornale, perché uno dei non moltissimi giornali liberal del nostro paese, per esprimere il mio aperto e fermo dissenso dalla recente presa di posizione della Conferenza episcopale italiana sulla riforma costituzionale recentemente approvata dal Parlamento nazionale, dissenso che è dettato dall'essere io cattolico-liberale e quindi fermo sostenitore dello Stato laico, l'unico stato che nei tempi moderni credo conforme ai principi della libertà religiosa, libertà per i singoli e per le chiese e comunioni religiose e madre di tutte le libertà, nonché agli stessi principi cristiani. Il mio dissenso non è relativo al merito, poiché considero la riforma costituzionale del centrodestra una riforma cattiva e brutta quanto quella a suo tempo approvata dal centrosinistra con un colpo di mano negli ultimissimi giorni della legislatura, ma sul piano dei principi. Riconosco alla Chiesa cattolica, così come alle altre chiese e comunioni religiose, dalla valdese all'ebraica e anche all'islamica italiana, il diritto e anzi il dovere di esprimere il loro giudizio su leggi civili che ritengano non conformi ai principi etici da loro professati ed insegnati. Ma non credo sia conforme né alla laicità dello Stato - e la Repubblica italiana è uno stato laico -, né alla missione della Chiesa che essa si esprima e dia giudizi né di approvazione né di condanna su leggi civili meramente temporali, ancorché le ritenga con tanta superficialità in contrasto con quell'affermato e confuso principio di "solidarietà", che né la Chiesa né altri ha ancora ben spiegato che cosa giuridicamente significhi. Sembrerebbe esservi un grande e nostalgico ritorno alla teoria della «potestà indiretta della Chiesa nelle cose temporali», in forza della quale, in nome dell'«utilità per la Chiesa», indifferentemente, papa Leone XIII impose ai cittadini cattolici francesi di «fede» monarchica di accettare il regime repubblicano, e cercò quindi, senza riuscirvi, di imporre agli irlandesi di desistere dal loro impegno di massa e parlamentare per l'indipendenza contro il governo britannico, e più tardi papa Pio XI impose ai cittadini italiani democratici l'accettazione del regime fascista, ordinando l'esilio a don Luigi Sturzo, dopo averlo fatto dimettere da segretario del partito popolare italiano, democratico e antifascista, di cui si dispose lo scioglimento, e poi lo stesso papa Pio XI, successivamente pentitosi, e papa Pio XII, mai almeno apertamente pentitosi, imposero ai cattolici tedeschi l'accettazione del regime nazista, disponendo lo scioglimento del glorioso partito democratico-cristiano, il "Centrum", e ordinando al suo segretario monsignor Haas l'esilio in Vaticano. Interferendo nelle cose temporali, la Conferenza episcopale italiana rischia di far perdere credibilità e autorevolezza ai suoi interventi anche rispetto alle leggi civili, per motivi di carattere etico (lasciamo stare i vaghi motivi di carattere "sociale", dato che la Chiesa per essi è stata successivamente contro le libertà moderne, e in particolare fino al Concilio Vaticano II specificatamente contro la libertà religiosa, e poi a favore di esse, contro i regimi di sovranità popolare, democratici e rappresentativi, e successivamente a favore di essi, prima decisamente antiebraica, e poi, salvo il periodo da papa Giovanni Paolo II in poi, moderatamente tollerante verso gli ebrei, ma ancora meno verso gli israeliani. La vergogna è che i cosiddetti «laici» abbiano, nel silenzio dei «cattolici adulti» alla Prodi, alla Castagnetti, alla Enrico Letta e alla Rosi Bindi, "urlato" alla «ingerenza» del cardinal Ruini, quando criticò il progetto prodiano di introduzione dei pacs, e adesso plaudano a quella che è una vera e propria ingerenza, solo perché critica nei confronti del centrodestra. È una vergogna che però non mi meraviglia, solo che pensi di quanto la vittoria di Romano Prodi e del suo centrosinistra sia stata tributaria e possa anche domani esserlo, all'ingerenza politica di molti, anzi di moltissimi vescovi. Ma se il prezzo da pagare per la laicità dello Stato e per la difesa della missione della Chiesa italiana contro tentazioni o derive neo-temporaliste è l'introduzione del matrimonio tra non eterosessuali, ebbene: viva Zapatero! Dio mi perdonerà!

http://www.gaynews.it/view.php?ID=35024

Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

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