sabato 20 novembre 2004

Il vescovo di Ivrea: "Strumentalizzato chi vive la tendenza omosessuale"

Mons. Miglio: "L'insegnamento cristiano non propone due etiche diverse. Non si è peccatori per le proprie pulsioni..."

Placatesi in parte le polemiche che hanno accompagnato il "caso" Buttiglione alla Commissione Europea, vorrei richiamare per un momento l'attenzione su coloro che in qualche modo sono stati strumentalizzati e penalizzati, anche se indirettamente, cioè le persone che vivono la tendenza omosessuale. La vicenda della Commissione Ue è molto più complessa, come si è potuto constatare, con risvolti di politica europea e italiana, e anche interni al mondo cattolico, ancora una volta interpellato sul senso della laicità, sulla sua estensione, sul modo di essere in politica da cristiani, sui pregiudizi anticattolici e antifamiglia (che ci sono), senza trascurare le reazioni e i pareri sui problemi etici evocati, per i quali un inaccettabile relativismo etico è emerso chiaramente anche in certe voci cattoliche, ai vari livelli.

Il caso però è esploso con il riferimento all'omosessualità, per poi spostare l'attenzione sugli altri aspetti sopra citati, lasciando le persone che vivono tale condizione ancora una volta con l'impressione di essere usate o come bandiera o come capro espiatorio. Non mi riferisco tanto ai gruppi organizzati, che sanno difendersi da soli, o piuttosto, magari senza volerlo, contribuiscono ad appesantire l'etichettatura e la ghettizzazione. Parlo soprattutto di chi vive nella sua privacy i propri sentimenti, affetti, pulsioni, ecc. - come tutti gli altri d'altronde -, e che per un corto circuito informativo che ha sintetizzato le dichiarazioni dell'on. Buttiglione nella parola "peccato", rischia di sentirsi ancora una volta marchiato e condannato senza appello.

Va allora ricordato con forza che l'insegnamento cristiano in materia non definisce le persone come "peccatori" in base alle loro tendenze e pulsioni, le cui origini restano discusse e spesso inspiegabili, e sono fonte di grandi sofferenze. Ciò va tenuto presente, e va pure tenuto presente che l'insegnamento cristiano e i documenti della Chiesa non propongono due etiche diverse, una per omosessuali e una per eterosessuali. Qualche volta nelle discussioni si ha davvero l'impressione che qualcuno pensi questo, mentre il discorso è un altro: la via della castità matrimoniale per chi è nel matrimonio, e la via della castità celibataria per chi non si sposa, vuoi per scelta vuoi per altre cause. Per tutti e due gli stati di vita la strada insegnata è quella di sempre, senza ammiccamenti nè prematrimoniali nè extramatrimoniali, pur con tutta la misericordia per la debolezza delle persone, e senza dimenticare gli altri comandamenti, come invece un recente passato faceva.

Dunque tendenza omosessuale non è uguale a peccato. L'impegno allora è quello di ricostruire una cultura della sessualità che risponda al progetto di Dio: cultura, oggi, diametralmente opposta a quella conclamata da quasi tutti e praticata da molti. Ci stimola a lavorare in questa direzione soprattutto il deserto affettivo in cui vengono a trovarsi molti che credevano di aver intrapreso la strada della vera libertà. Per questa ricostruzione siamo chiamati in causa tutti, sposati e celibi, consacrati e non: riproporre una cultura che sia di rispetto per il corpo ed il cuore, di umiltà di fronte al progetto del Creatore, di realismo di fronte alla fragilità umana, di speranza e di gioia di fronte agli esempi di donne e di uomini che hanno conosciuto e testimoniato profondamente l'Amore in un modo che non è neppure paragonabile ad un uso della parola amore che troppo spesso contrabbanda delusione, solitudine e violenza.

Dalla Rivelazione Biblica cristiana non ci viene indicata l'etica dei divieti, ma una proposta di vita piena, che passa anche attraverso la croce, e che se richiede delle rinunce lo fa alla luce della parabola, piccola ma preziosa, dell'uomo che vende tutti i suoi averi perchè ha scoperto un tesoro nel campo.

+ Arrigo Miglio
vescovo di Ivrea

http://www.gaynews.it/view.php?ID=30002

venerdì 19 novembre 2004

Poliziotto gay prosciolto dall'accusa di simulazione di reato

Oggi l'udienza davanti al gup che si e' conclusa con il proscioglimento

Gli elementi raccolti non sono sufficienti a sostenere l' accusa. Con questa motivazione il gup di Roma Renato Croce ha prosciolto un agente di polizia, E.D.C., di 33 anni, destituito dal servizio, dalle accuse di simulazione di reato e favoreggiamento in relazione a una aggressione che aveva denunciato di avere subito nella propria abitazione nel settembre dello scorso anno.

Secondo il circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, l' agente sarebbe stato licenziato perche' omosessuale e da ''vittima di una aggressione sarebbe diventato accusato e perseguitato per il suo orientamento sessuale''.

I fatti sui quali ha deciso il giudice risalgono all'11 settembre del 2003. E.D.C. denuncio' di essere stato aggredito, malmenato e derubato da due uomini nella sua abitazione. Furono i vicini a dare l' allarme e chiamare la polizia, che trovo' il giovane agente, a terra, insanguinato.

Gli investigatori portarono via dall' appartamento della vittima un computer e, dai dati nello stesso contenuti, scoprirono il suo essere omosessuale.

La svolta alla vicenda fu data dal licenziamento dell' agente e dall' accusa che gli e' stata contestata. Non aggressione subita, ma simulazione di reato e favoreggiamento.

Secondo l' accusa, infatti, l' episodio era da ricondurre a un gioco erotico finito tragicamente. Il favoreggiamento contestato, invece, faceva riferimento al fatto che, secondo l' accusa, E.D.C. non rivelo' l'identita' degli uomini che lo avrebbero aggredito.

''Sono contentissimo per questa decisione - ha detto il poliziotto - la magistratura mi ha confermato che era giusto crederci. Certo e' che la polizia non si e' comportata bene con me, soprattutto in sede di indagine. Ora ho ricorso al Tar contro il mio licenziamento e spero che mi reintegreranno nel mio incarico. La polizia e' la mia vita''.

In giudizio, oggi, c' era anche una seconda persona. Si tratta di un romeno (da subito irreperibile) che, per l' accusa, sarebbe stato uno dei due aggressori, e percio' accusato di lesioni personali gravissime. Anche in questo caso il gup ha pronunciato sentenza di proscioglimento.

Anche Francesco Paolo Del Re, del direttivo del circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, a conclusione dell' udienza ha espresso la sua soddisfazione per l' esito del processo preliminare. ''Il problema posto era molto grosso - ha detto - secondo noi questo episodio e' da riconoscersi come elemento di discriminazione contro il mondo gay. Il Mieli andra' avanti per la sua strada. Abbiamo chiesto un incontro in questura per chiedere delucidazioni in merito alla decisione di questo licenziamento. Vedremo cosa ci risponderanno''.

http://www.gaynews.it/view.php?ID=29978

Intervista al poliziotto gay

Intervista con l'agente di polizia buttato fuori perché omosessuale. "Ora indagano su di me e non su chi mi ha colpito". "Nonostante l'Europa, le discriminazioni sono tante".

ROMA - Lo identifichiamo come Emanuele, non perché, a differenza di Dario Mattiello non desideri parlare con noi, ma per non esporlo a condizioni sfavorevoli. Lui che di sfavori ne ha subìti e continua a subirne perché gay in divisa, perché stanco di nascondersi dietro un'onorabilità che non gli compete. Così, dopo il caso Buttiglione, Tremaglia e Fisichella, l'uomo gay si ritrova a fare i conti non solamente con le discriminazioni a tutto tondo, ma anche con l'ingiustizia che sovrasta l'elemento omosessuale e ne fa persecuzione. Per questo, siamo grati a Emanuele per quest'incontro.

Emanuele, come stai?

Diciamo bene, perché son riuscito a sopportare con la dignità mai venuta meno tutto quello che mi sta succedendo.

Raccontaci la tua vicenda.

L'11 settembre del 2003 ho conosciuto due ragazzi stranieri che mi hanno chiesto ospitalità. Avevo messo tutte le cose importanti dentro una cassaforte. Alle nove del mattino seguente, i due mi chiedono di essere accompagnati in centro a Roma. Chiedo loro più tempo per riposare ancora ma alla fine, continuando a sentirli parlottare, mi alzo.

Ti sembravano strani, aggressivi?

No, assolutamente no. Dopo aver ripreso gli oggetti e chiusa la cassaforte sento colpirmi pesantemente alla testa e perdo i sensi.

Ricordi se ti hanno colpito entrambi?

Ho capito, successivamente dopo, che entrambi mi stavano massacrando di botte colpendomi al naso e alle mascelle, entrambi rotti. Ho saputo successivamente che il primo colpo mi è stato dato con un trapano.

Immagini per quale motivo ti abbiano aggredito?

Non lo so davvero. Forse, in semicoscienza mi stavano chiedendo la combinazione della cassaforte, forse avevano visto le divise di polizia nell'armadio, qualche mia foto, non lo so davvero. E' probabile che volessero beni di consumo di mia proprietà.

Cosa è avvenuto dopo?

In un barlume di lucidità ho iniziato a chiedere aiuto. Mi hanno udito i vicini e la baby sitter della bambina di mia sorella che abita al piano di sotto, mentre allertavano il 113. E' stata la mia salvezza, perché i due sono fuggiti. Ero in uno stato davvero pessimo.

Cosa è successo all'arrivo dei tuoi colleghi?

Dopo le prime domande, hanno preso il mio computer. Non capivo, visto che ero parte lesa. Da lì hanno scoperto che ero omosessuale e le indagini hanno preso una piega completamente diversa.

Rispetto all'aggressione subìta.

Sì! Hanno ipotizzato che ci fosse un reato "virtuale"; che con i due aggressori stavamo facendo un gioco erotico condordato, sfuggito di mano. Non solo: mi è stato ipotizzato che io volevo proteggere i due miei aggressori non svelando la loro identità.

Hai dichiarato loro la tua omosessualità?

Sì, quando son venuti ad interrogarmi in ospedale. La cosa che non capisco è che hanno iniziato a indagare su di me, tralasciando di occuparsi della ricerca dei due che mi avevano fatto finire in ospedale. Hanno pure scoperto che avevano fatto delle telefonate in Romania, insomma avevano degli elementi per poter rintracciare almeno una delle due persone. Dico: indagate pure su di me, ma fatelo anche con chi mi ha ridotto in questo stato. Invece, sono stato maltrattato verbalmente e interrogato in maniera severa. Al mio avvocato hanno detto che i due probabilmente avevano lasciato l'Italia, mentre io ho avuto modo di vedere uno dei due aggressori che si è dato alla fuga non appena mi ha rivisto.

Che brutta vicenda Emanuele.

Non capisco perché si sono scagliati contro di me, colpevole di essere solamente un omosessuale. Invece, mi trovo licenziato e con un processo in corso.

Qual è l'accusa?

Favoreggiamento e simulazione di reato.

Qual è la condizione degli omosessuali in divisa?

Eventuali altri gay, credo vivano la loro condizione sessuale abbastanza male, anche se nessuna legge ci vieta di non essere eterosessuali. Come ben sai, bisogna avere comportamenti che nulla hanno poi a che vedere con la tua vera personalità e scelta di vita.

Tu, come hai vissuto da poliziotto gay?

Nascondendo la mia identità di gay, tranne a un paio di colleghe con cui ero in confidenza e amici a cui voglio bene. Gli altri, al di là dei sospetti, non sapevano nulla, o forse lo sapevano per un fatto di tantissimi anni fa.

Cosa era successo?

Ero stato fermato in un luogo di battuage, a Valle Giulia. Avevano passato le informazioni, ma non ho ricevuto alcun tipo di richiamo. Ma da quel momento non ho avuto vita facile. Dicono che ho avuto comportamenti gravissimi dal '98, guarda caso proprio quando sono stato fermato a Valle Giulia. Sarà anche quella discriminazione? Credo di sì.

Cosa ti aspetti?

Non lo so; forse che le cose prendano verità e che la gente comprenda che chi è omosessuale, nonostante l'Europa, viene ancora discriminato, violentato, licenziato e messo alla gogna. E poi, questo mio gesto, spero, aiuti altri a uscire allo scoperto.


http://it.gay.com/view.php?ID=19426

Sme, la Presidenza del Consiglio chiede la condanna di Berlusconi

Al processo è il giorno delle parti civili. L'avvocato dello Stato Salvemini: "Il passaggio di soldi dimostra la corruzione"
La difesa: "Una arringa esclusivamente politica, è stato nominato dalla precedente maggioranza"



MILANO - La presidenza del Consiglio chiede la condanna di Silvio Berlusconi e danni per un miliardo di euro. E' questo il risultato di una giornata paradossale nell'ambito del processo-stralcio Sme, che vede il premier imputato di corruzione in atti giudiziari. Il paradosso è: Silvio Berlusconi contro Silvio Berlusconi, la presidenza del Consiglio contro il presidente del Consiglio. Ciò accade perché oggi ha parlato in aula l'avvocato dello Stato Domenico Salvemini, che appunto rappresenta la parte civile per Palazzo Chigi. Solo che la costituzione della parte civile avvenne all'epoca del governo D'Alema, mentre ora a guidare il governo c'è Berlusconi.

A riconoscere l'eccezionalità della situazione è stato lo stesso Salvemini. Prendendo la parola all'inizio dell'udienza, l'avvocato ha riconosciuto che si tratta di "un fatto singolare", che "ha molto colpito l'opinione pubblica". E prima di entrare nel vivo del suo intervento, ha fornito una spiegazione davanti ai giudici della prima sezione penale del Tribunale di Milano: "Giuridicamente rappresento la presidenza del Consiglio, e quindi un soggetto giuridico diverso dalla persona fisica del presidente del Consiglio". Il quale, ha concluso l'avvocato, "è qui difeso dai suoi legali e dunque in questo processo rappresenta la parte dell'imputato".

L'avvocatura dello Stato ha chiesto la condanna di Berlusconi con un risarcimento "in via equitativa" di 1,1 milioni di euro ed una provvisionale "immediatamente esecutiva" di 300mila euro.

"Qui non è contestata una corruzione qualsiasi - dichiara Salvemini - ma il mercimonio dell'attività di un giudice. Un caso eclatante di corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio. Non una corruzione generica ma generalizzata di un giudice".

Nel corso della sua arringa, Salvemini ha puntato l'indice sul movimento di cospicue somme di denaro (434 mila dollari nel marzo 1991) da conti esteri riconducibili alla Fininvest, verso il giudice Squillante e altri tra giudici e avvocati, per dimostrare che Silvio Berlusconi avrebbe corrotto i magistrati. "Il denaro - ha detto l'avvocato dello Stato - è partito dal gruppo imprenditoriale per arrivare sui conti esteri di un magistrato. Questo porta ad affermare che quel magistrato era al servizio della Fininvest". "Siccome - ha continuato Salvemini - non è stata trovata una causale lecita perché i soldi dovessero andare da Fininvest a Squillante, anzi da Silvio Berlusconi al giudice Squillante, la deduzione logica è che questi fossero il pagamento di una corruzione".

Il legale ha contestato anche le spiegazioni, secondo cui una parte cospicua del denaro potrebbe essere riconducibile ad onorari, versati a Cesare Previti (circa 16 miliardi) in qualità di legale del gruppo: "Di parcelle non c'è traccia, e anche la spiegazione che fossero soldi in nero non regge. Non c'è alcuna documentazione del lavoro che Previti avrebbe svolto all'estero per meritare quei soldi - ha precisato Salvemini - e lo stesso Silvio Berlusconi non ci ha affatto parlato di un ruolo straordinario di Previti: era uno dei quasi 100 legali di Fininvest".

Allo stesso modo, secondo l'avvocato, non reggerebbero le spiegazioni di un giro di "compensazioni" tra i protagonisti della vicenda, per l'acquisto di alcuni appartamenti mai portato a termine: "E' tutto non credibile". Secondo Salvemini, invece, vi furono rapporti tra Berlusconi e Squillante fin da quando, nel 1985, il giudice assolse l'attuale premier in un processo per l'installazione di alcuni ripetitori avvenuta, secondo l'accusa, irregolarmente.

Contesta l'arringa di Salvemini Niccolò Ghedini, uno dei difensori di Silvio Berlusconi, e la definisce "politica". "L'avvocato dello Stato - dice Ghedini - è stato nominato dalla precedente maggioranza, oggi opposizione, e sta facendo un intervento squisitamente politico. Le accuse sono gravi ma sono sbagliate. E' un intervento squisitamente politico".
(19 novembre 2004)

http://www.repubblica.it/2004/k/sezioni/cronaca/bocassini/smecivile/smecivile.html

È diventata una sgradevole tradizione in Italia....

«È diventata una sgradevole tradizione in Italia: ogni anno Silvio Berlusconi annuncia che il taglio delle tasse si farà l'anno dopo. Come se non bastasse l'economia è stagnante. Il famoso contratto con gli italiani si è rotto».

The Wall Street Journal, editoriale, 17 novembre

mercoledì 17 novembre 2004

Un uomo che legge ne vale due

Fungheggiano in Italia mille iniziative e progetti per incentivare la lettura: è una geografia di splendide invenzioni
di Umberto Eco

Recentemente, in un'indagine dell'Eta Media Research era stato sottoposto a un campione un questionario letterario con quattro risposte possibili (alla Amadeus). Alla domanda cosa fosse il Decamerone, solo il 21 per cento rispondeva che si tratta di un libro di novelle, il 14 diceva che era un tipo di autobus, il 29 che era un appartamento di dieci stanze e il 36 che era un vino rosso.

Su Primo Levi il 33 per cento asseriva che aveva raccontato la vita dei derelitti in Sicilia, ma in compenso il 28 acconsentiva a che i Malavoglia fossero un gruppo di studenti alla vigilia della prima guerra mondiale. Ho particolarmente apprezzato che ben il 18 per cento riconoscesse che sono l'autore de 'Il nome della rosa' (è moltissimo, se il il test valesse per i sei miliardi di abitanti del pianeta avrei circa un miliardo di affezionati) ma il dato più significativo è che il 47 per cento ritiene che l'autore sia Sean Connery.

Queste notizie venivano offerte la settimana scorsa a Bari, insieme con altre, più note, sulle percentuali assai scarse di 'lettori forti' nel nostro paese (i 'deboli' sono quelli che hanno preso in mano un solo libro in un anno, ma poteva essere anche un manuale di cucina). Fortunatamente venivano discusse in un contesto che animava le migliori speranze. Da qualche anno Giuseppe Laterza ha fatto nascere i Presìdi del Libro nelle Puglie (ormai 26 centri, di cui uno al confine con la Basilicata) ma ormai l'idea attecchisce anche in Piemonte e altrove.

Nonostante le differenze organizzative, adattate ai vari luoghi, questi presìdi sono gruppi di iniziativa che, in collaborazione con biblioteche e librerie quando ci sono, ma anche là dove non c'è niente, raccolgono gente, in gran parte giovani, a parlare o a sentire parlare di libri, a discutere di quanto hanno letto, a dialogare con autori su temi fissi. L'iniziativa è bella e consolante, perché funziona, ma Giuseppe e Alessandro Laterza hanno ritenuto che fosse venuto il momento di porre a confronto tanti altri progetti che fungheggiano (non esagero) nel nostro paese.

E così per due giorni, al Kursaal di Bari, ecco circa 150 invitati (ma il pubblico in sala era assai più ampio) che costituivano il meglio dell'editoria italiana, librai e bibliotecari e i loro rappresentanti nazionali, organizzatori di giornate che suscitano intorno ai libri delle manifestazioni che mi permetterò di chiamare quasi oceaniche, come il festival della letteratura di Mantova, il festival di filosofia di Modena, il salone del libro di Torino, e poi premi illustri come lo Strega, il Grinzane, il Nonnino, i responsabili delle pagine culturali dei giornali, i sostenitori di molte di queste avventure educative come la Compagnia di San Paolo o la Telecom, sino agli inventori di progetti apparentemente minori ma non meno significativi, quali a esempio il Libro in spiaggia di Grado, che porta i libri e li fa leggere a chi riposa sotto l'ombrellone.

Mi riesce difficile citare tutti i 'racconti' che si sono uditi in quei due giorni, perché saranno intervenuti, per una decina di minuti ciascuno, più di una cinquantina di testimoni qualificati, ognuno con una storia diversa, dal racconto di come funziona una biblioteca modello a Pesaro a quello di un gruppo di pediatri che sta insegnando ai genitori, insieme alle altre cose essenziali per la crescita di un bambino, come abituarlo a toccare e vedere dei libri sino dall'età pre-scolare, il più presto possibile. Né poteva mancare 'Fahrenheit', la bella trasmissione di Radio Tre che invita i suoi ascoltatori ad abbandonare i libri che amano sulle panchine, o sugli autobus, perché altri li trovino e si sentano invogliati a leggerli. D'altra parte il titolo della manifestazione era 'Passaparola' perché talora, più della pubblicità o delle recensioni, è il passaparola dei lettori che fa vivere un libro.

Ne veniva fuori una geografia di splendide invenzioni, talora sostenute da enti locali, talora nate senza chiedere aiuto a nessuno, a livello di volontariato, tutte (direi) all'insegna implicita di quel motto di Valentino Bompiani (che non so se sia stato citato, perché talora sono uscito per sgranchirmi le gambe o a prendere un caffè), 'Un uomo che legge ne vale due'. Lamentata l'assenza di almeno due ministri che della lettura dovrebbero preoccuparsi, naturalmente c'è stato dibattito acceso sui libri distribuiti dai giornali, sulla minaccia alle librerie che viene dalla pratica indiscriminata delle fotocopie o dall'idea di scaricare testi scolastici da Internet, e su tanti altri problemi che sono all'ordine del giorno, e che talora hanno opposto diverse visioni, timori o speranze.

Ma anche i disaccordi erano, oltre che educati, propositivi, ed è stato bello vedere tante persone, dai vertici della Mondadori, della Rcs o delle Messaggerie Italiane sino allo sconosciuto ed entusiasta educatore di una provincia remota, stare insieme per far crescere in Italia un pubblico di lettori.
Lontano, intanto, su un'isola lontana, altri Famosi stavano insegnando che per valere due basta accoppiarsi. Il che sarebbe anche biologicamente vero, se non lo facessero per finta, davanti a spettatori che non hanno tempo per leggere.


L'espresso

Denuncia del Circolo Mario Mieli: "Poliziotto licenziato perché gay"

L'uomo sarebbe stato derubato e picchiato nella sua casa
Da qui la scoperta della sua omosessualità e la rimozione


ROMA - Sarebbe stato licenziato dalla polizia perché gay. La denuncia arriva dal circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, che ha raccolto la testimonianza di un agente di polizia e che ora lo sta assistendo legalmente. Un caso la scoperta dell'omosessualità di E.D. "L'uomo - raccontano al Mario Mieli - è stato aggredito, malmenato e derubato da due individui. I vicini allarmati hanno chiamato le forze dell'ordine che lo hanno rinvenuto in un lago di sangue". Sono scattate le indagini, il computer della vittima è stato controllato e dall'esame dei dati in esso contenuti, gli investigatori avrebbero scoperto l'omosessualità di E.D.

"Da qui la vicenda ha subito una svolta a dir poco sconcertante - denuncia il circolo Mario Mieli - E.D. è stato licenziato. Da vittima è stato ritenuto complice e accusato di simulazione di reato perché invece di aggressione l'episodio è stato qualificato come gioco erotico pericoloso finito tragicamente e da lui stesso consapevolmente organizzato. Le accuse sono di favoreggiamento, poiché a detta dei colleghi la vittima sarebbe restia a rivelare l'identità degli individui che lui continua a dichiarare ignoti".

Il circolo Mario Mieli, "di fronte a questo palese e grave atto di discriminazione e di infamia" è intenzionato a chiedere alle forze di polizia, che in passato si sono spesso dimostrate sensibili a tutelare la popolazione gay, un incontro per chiedere chiarimenti sulla vicenda "affinché venga fatta luce e giustizia su comportamenti e azioni discriminatorie e diffamanti".

Sconcerto tra le associazioni omosessuali. "E' una tendenza pericolosa, un attacco ai gay, nato con i casi di Buttiglione e Tremaglia - dice Imma Battaglia, leader dell'associazione DìGayProject - ora si attacca uno dei problemi principali che spingono i gay a non dichiararsi: la preoccupazione di perdere il lavoro. Il lavoro e la famiglia sono i capisaldi attorno ai quali ruota la forza delle persone. Se una persona può essere licenziata in quanto gay, torniamo indietro di 30 anni".

Secondo l'esponente del movimento omosessuale "episodi come questo rischiano di vanificare le conquiste che in questi anni il movimento omosessuale ha fatto". Battaglia ricorda poi il recente caso di Dario Mattiello, che sarebbe stato licenziato da Domenico Fisichella, perché era stata pubblicata una sua foto al GayVillage: "Perché in questo caso la sinistra non si è mobilitata? Anche questo episodio dimostra che dobbiamo stare allerta e non abbassare la guardia".
(17 novembre 2004)

http://www.repubblica.it/2004/k/sezioni/cronaca/poli/poli/poli.html

martedì 16 novembre 2004

Consulta: Toscana; udienza su voto a immigrati e convivenze

Lo Statuto della Regione impugnato da governo, sentenza tra circa un mese

I punti dello statuto della Regione Toscana impugnati dal governo sono undici, ma durante l'udienza di stamani davanti alla Corte Costituzionale accusa e difesa si sono sfidate soprattutto sulle prime due questioni, sicuramente le piu' spinose: il diritto di voto agli immigrati residenti e il riconoscimento delle altre forme di convivenza al di fuori del matrimonio. La decisione della Consulta dovrebbe arrivare tra circa un mese, forse anche prima di Natale, e sara' scritta dal giudice costituzionale Piero Alberto Capotosti.

In poco piu' di un'ora l'avvocato dello Stato, Giorgio D'Amato, e il difensore della Regione Toscana, Stefano Grassi, hanno fatto riferimento a numerosi articoli della Costituzione e a precedenti sentenze della Consulta per dimostrare tesi opposte.

D'Amato, a nome della presidenza del Consiglio, ha insistito sull'illegittimita' di quella parte dello statuto che promuove il diritto di voto agli immigrati. In questo modo - ha affermato - si viola innanzitutto l'art.48 della Costituzione, che riserva ai cittadini l'elettorato attivo. Di piu': ''La regione - ha aggiunto D'Amato - crede di salvarsi l'anima affermando'' che questo diritto di voto viene promosso ''nel rispetto dei principi costituzionali'': ma ''come si puo' rispettare la Costituzione se la si vuole modificare?''.

Anche per quanto riguarda il riconoscimento delle forme di convivenza al di fuori del matrimonio, ci sarebbe stata un' ''invasione di campo'' da parte della Regione dal momento che - ha fatto notare l'avvocato dello Stato - lo statuto prevede il riconoscimento ''tout court di tutte le altre forme di convivenza, quindi anche quella tra omosessuali''. In sostanza, per D'Amato la Regione Toscana intende ''stabilire una garanzia diversa e ultronea'' rispetto a quella fissata dalla Costituzione. Lo dimostra il fatto - ha aggiunto - che nell'ordinamento statale le coppie omosessuali non sono riconosciute, mentre per quanto riguarda le unioni di fatto eterosessuali la tutela e' limitata alla prole.

La difesa della Regione Toscana ha invece insistito che sul voto agli immigrati, sulle convivenze, sul rispetto dell'ambiente e sulla tutela del patrimonio storico-artistico, lo statuto utilizza il verbo ''promuovere'', per cui non si tratterebbe di disposizioni con valore precettivo ma soltanto programmatico. ''Questo statuto - ha detto l'avvocato Grassi - non puo' modificare la Costituzione. Inoltre la Regione si e' attenuta ai principi fissati dalla Corte Costituzionale''. Il difensore della Regione ha colto l'occasione per far riferimento a una recente sentenza della Consulta (n.2 del 2004) che ha riconosciuto la legittimita' dell'esistenza, accanto ai contenuti necessari degli statuti regionali anche dei contenuti che indicano aree di prioritario intervento politico o legislativo.

Grassi ha quindi ribadito la tesi della ''genericita' '' per quanto riguarda le altre forme di convivenza che non siano il matrimonio: ''il termine riconoscimento e' generico. Perche' bisogna subito parlare di riconoscimento dei diritti agli omosessuali? La Regione Toscana - ha concluso - e' aperta alla realizzazione dello stato sociale ed e' aperta a far fronte a una serie di situazioni di bisogno: la convivenza e' tra queste''.

http://www.gaynews.it/view.php?ID=29943

Tanto rumore per pochi euro

L'abbassamento delle tasse sarà poco più che simbolico e non servirà a Silvio Berlusconi, come il precedente, per ottenere nuovi consensi
di Claudio Rinaldi

Il 2004 passerà alla storia come l'anno del grande abbaglio fiscale. Silvio Berlusconi, che per tre anni si era pressoché dimenticato di aver promesso 'meno tasse per tutti', ha riscoperto il tema quando si è reso conto, in marzo, che la sua popolarità era in declino. Che a quel punto si affidasse un po' alla demagogia era ovvio e perdonabile. Ma dopo le sconfitte elettorali di giugno e di ottobre la sua predicazione sulle tasse è diventata ossessiva, asfissiante, totalitaria. Culminando, all'indomani del 2 novembre, in un teorema che perfino il chiarissimo professor Domenico Siniscalco si è rassegnato a ripetere con la diligenza di uno scolaretto: George W. Bush "ha vinto perché ha fatto una politica fiscale espansiva, che ha aumentato il reddito disponibile delle famiglie".
Ebbene, il premier e il suo ministro si illudono se davvero credono che qualche sconticino sulle imposte possa rilanciare le fortune della Casa delle libertà. Si può anzi osservare, parafrasando Winston Churchill, che mai tante parole sono state sprecate così a lungo per così poco.

1. Ai due volenterosi tagliatori di tasse sfugge, innanzitutto, che la riconferma del presidente degli Stati Uniti non ha avuto molto a che fare con quella che in loro appare ormai una fissazione senile. Come risulta da un sondaggio che nessuno ha contestato, soltanto cinque elettori Usa su cento ritenevano che le tasse fossero l'argomento cruciale; per il 21 per cento contavano di più i valori morali, per il 20 l'economia, per il 19 il terrorismo, per il 15 l'Iraq, per l'8 la sanità. Eppure gli americani avevano fama di persone assai sensibili alle ragioni dei loro portafogli. E gli sgravi di Bush erano di una generosità inusitata: 1.350 miliardi di dollari in dieci anni, il 2,5 per cento del prodotto interno lordo.

2. Al confronto, quelle che intende elargire Berlusconi non sono che squallide mance. Nell'insieme equivarranno allo 0,5 del Pil, e il loro impatto sui singoli cittadini sarà trascurabile. La stragrande maggioranza dei contribuenti, il 97 per cento, guadagna infatti non più di 33.500 euro all'anno; per tutti costoro i risparmi generati dalla riforma berlusconiana non supereranno i 500 euro annui, grosso modo il prezzo di un ottimo pullover. Possibile che le masse se ne sentano gratificate al punto da riversare valanghe di voti sul sedicente benefattore? Concluderanno piuttosto che la montagna delle chiacchiere sulle tasse ha finito per partorire un topolino.

3. Se riflettesse sulle sue disavventure recenti, del resto, Berlusconi capirebbe subito che i suoi taglietti fiscali non sono l'arma letale dei suoi sogni. Nel gennaio 2003 ne attuò uno da 6 miliardi di euro circa, simile a quello ora in discussione; purtroppo per lui, non se ne accorse nessuno. Ciò non ha impedito al premier, in vista delle ultime europee, di tappezzare i muri del paese di poster che recavano una scritta trionfalistica, '28 milioni di italiani pagano meno tasse'. Il risultato dell'irritante vanteria è stato il crollo di Forza Italia dal 29 al 21 per cento dei suffragi.

4. Ma a confermare l'irrilevanza economico-politica del 'secondo modulo della riforma fiscale', come pomposamente viene definito, è soprattutto il paragone con gli obiettivi enunciati nel Contratto con gli italiani dell'8 maggio 2001.
In base all'incauto documento, per i redditi fino a 100 mila euro si sarebbe dovuto versare al fisco un modestissimo 23 per cento; dal 1 gennaio 2005 invece questa aliquota di favore si pagherà soltanto fino a 27 mila euro o giù di lì, mentre al di là di tale soglia scatterà un più pesante 33 per cento, che diventerà un 39 a partire dai 35 mila euro.
Quanto ai redditi di oltre 100 mila euro, essi avrebbero dovuto essere assoggettati all'aliquota massima del 33 per cento; invece verranno tassati al 39, senza contare l'ulteriore balzello eufemisticamente detto 'contributo etico'. Ce n'è abbastanza perché quanti tre anni e mezzo fa abboccarono all'amo forzista adesso si sentano presi in giro.

Se proprio vuole fare tesoro della lezione dell'amico George W., dunque, a Berlusconi conviene meditare su altri capitoli. Per esempio sul trattamento inflitto da Bush all'avversario John Kerry, dipinto spregiativamente durante la campagna come "il più liberal di tutti i senatori". Nel campo degli attacchi personali, in fondo, il nostro presidente del Consiglio è stato un pioniere: chi non ricorda le sue invettive contro i presunti comunisti? Non era una tattica particolarmente elegante, ma dava i suoi frutti. E forse era meno volgare della parola d'ordine di oggi, 'Lasciare più soldi nelle tasche degli italiani'.

Tratto da L'espresso

Iraq: Amnesty teme gravi violazioni delle leggi di guerra a Falluja

Amnesty International teme fortemente che le leggi di guerra sulla protezione dei civili e dei combattenti continuano a essere violate a Falluja. Numerose decine di civili sono stati uccisi nel corso degli scontri tra le forze statunitensi e irachene da un lato e i gruppi di insorti dall'altro. L'organizzazione per i diritti umani ritiene che le vittime civili siano state uccise in violazione del diritto umanitario, come risultato della mancata adozione da entrambe le parti delle necessarie precauzioni per proteggere coloro che non prendono parte ai combattimenti. La situazione umanitaria nella citta' irachena appare precaria.

Il 9 novembre un missile di provenienza incerta ha colpito una clinica, uccidendo almeno venti dipendenti e decine di altri civili. Lo stesso giorno, un bambino di 9 anni e' stato ferito da una scheggia che lo ha colpito allo stomaco: i suoi genitori non hanno potuto portarlo in
ospedale a causa degli scontri in corso ed e' morto dissanguato poche ore dopo. Una donna e le sue tre figlie sono morte nel bombardamento della loro casa.

L'11 novembre la tv britannica Channel Four ha mostrato un soldato Usa che sparava contro un combattente ferito, non inquadrato dalle telecamere, per poi allontanarsi dicendo 'Se n'e' andato!'. Secondo il diritto umanitario le forze statunitensi hanno l'obbligo di proteggere gli avversari messi fuori combattimento. Amnesty International ha sollecitato le autorita' Usa ad aprire un'inchiesta immediata su questo episodio.

Amnesty International ha notato con preoccupazione che i portavoce militari Usa hanno fornito le stime del numero di insorti uccisi "centinaia, a quanto pare" ma non delle vittime civili. L'organizzazione rinnova l'appello a entrambe le parti di prendere ogni misura possibile per risparmiare la popolazione civile.

Gli insorti hanno a loro volta violato il diritto internazionale. In un caso, alcuni iracheni sono usciti fuori da un edificio mostrando una bandiera bianca. Quando un marine si e' avvicinato al gruppo, altri iracheni hanno aperto il fuoco contro di lui. Inoltre, secondo un ufficiale statunitense, gli insorti avrebbero nascosto armi nelle moschee e nelle scuole: il 10 novembre, effettivamente, gli insorti hanno aperto il fuoco da una moschea.

Tutte le violazioni del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto umanitario devono essere sottoposte a indagine e i responsabili di attacchi illegali, compresi gli attacchi deliberati contro la popolazione civile, gli attacchi sproporzionati e gli attacchi indiscriminati e dell'uccisione di persone ferite devono essere portati di fronte alla
giustizia.

Lunedi' 8 novembre oltre 10.000 soldati Usa e 2.000 militari iracheni hanno lanciato l'attacco su Falluja, che era nelle mani degli insorti dal mese di aprile. Almeno la meta' della popolazione aveva lasciato la citta'; tuttavia, decine di migliaia di civili si trovavano ancora nelle
proprie abitazioni al momento dell'attacco. Secondo le notizie ricevute da Amnesty International in citta' c'e' penuria di cibo, acqua, medicinali ed elettricita' e molti feriti non possono ricevere i soccorsi a causa dei combattimenti.

Il 4 novembre Amnesty International aveva ricordato agli Usa e al governo ad interim iracheno il loro obbligo di osservare in ogni circostanza le norme del diritto internazionale dei diritti umani e delle convenzioni del diritto umanitario di cui sono parti, cosi' come le norme del diritto consuetudinario che sono vincolanti per tutti gli Stati. L'organizzazione aveva sollecitato i gruppi armati operanti a Falluja a rispettare a loro volta gli obblighi del diritto umanitario.

Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste:
Amnesty International Italia - Ufficio stampa
Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it

domenica 14 novembre 2004

I fantasmi di Falluja le speranze in Palestina

di EUGENIO SCALFARI

Bush e Blair hanno sintetizzato i contenuti del loro primo incontro dopo la vittoria elettorale (di Bush) con due affermazioni destinate a rassicurare i loro rispettivi popoli e anche il resto del mondo: in Iraq si sono fatti sostanziali progressi verso la pace e la democrazia anche se probabilmente la violenza nei prossimi mesi aumenterà ancora; in Medio Oriente, dopo la morte di Arafat, riprenderà il negoziato tra Israele e i palestinesi con l'obiettivo di far nascere lo Stato di Palestina nel 2008.

La prima affermazione è menzognera, la seconda è possibile ma non probabile. Il nuovo Stato palestinese, stando alla road map varata nel 2002 e arenatasi dopo pochi mesi, avrebbe dovuto veder la luce nel 2005.
L'obiettivo è stato spostato in avanti di tre anni. L'ostacolo Arafat è stato rimosso dalla natura (salvo eventuali risultati dell'autopsia, semmai si farà, che dovessero provare che la natura è stata "aiutata") ma si tratta ora di vedere se la successione alla guida dell'Autorità palestinese sarà sufficientemente flessibile e riuscirà a far cessare l'intifada e gli attentati, come chiede Sharon prima di riaprire le trattative, oppure no.

E fino a che punto Bush potrà e vorrà moderare la linea dura del premier israeliano. Ricordo a questo proposito che subito dopo l'attentato alle Torri gemelle, l'11 settembre del 2001, il presidente americano e il suo fedele alleato britannico posero al primo posto della loro agenda antiterroristica la soluzione del conflitto palestinese. Ma pochi mesi dopo l'agenda era già cambiata: al primo posto balzò la guerra afgana e subito dopo quella irachena mentre la road map finì nel cestino dei rifiuti. Oggi si riparte da zero, con il sollievo dell'assenza forzosa di Arafat, tre anni perduti, un carico innumerevole di vittime, un deposito di odio e di violenza centuplicato. E la guerra irachena ancora e sempre più drammaticamente in corso.

In queste condizioni non c'è alcun rapporto tra le ottimistiche dichiarazioni di Bush e di Blair e la cruda realtà dei fatti.

* * *

La battaglia di Falluja è praticamente finita ieri sera, dopo cinque giorni di furiosi combattimenti preceduti da bombardamenti "mirati" effettuati da bombardieri B52, da cacciabombardieri e da folte squadre di elicotteri, sei dei quali sono stati abbattuti dagli insurgents (il termine è quello usato correttamente dai comandi Usa).

Stando ai predetti comandi i caduti americani sarebbero una trentina, i feriti più di un centinaio, gli insurgents rimasti sul terreno circa mille.
I capi nemici insieme al grosso degli insorti sono sfuggiti per tempo fin dal primo giorno di battaglia.
Di vittime civili non si parla. Nessuna? Centinaia? Migliaia? Non se ne sa nulla perché i comandi Usa su questo delicatissimo tema hanno calato fin dall'inizio una coltre di assoluto silenzio. Giornalisti in campo non ce n'era nessuno. Pochissimi embedded, cioè affidati alle cure degli uffici stampa militari nelle retrovie e strettamente diffidati di inoltrarsi e verificare direttamente i dati e i fatti.

Osservatori dell'Onu totalmente assenti. Altrettanto assenti la Croce Rossa internazionale e Amnesty. Verità sigillata. Eppure il tema è essenziale e dovrà in qualche modo venire alla luce: quante sono state le vittime civili nella battaglia di Falluja e quante in tutto l'Iraq dall'inizio della guerra in poi? È mai possibile che la più grande democrazia del mondo e il suo alleato britannico abbiano sequestrato in modo così totale la verità dei fatti?

Qualche spiraglio è comunque emerso. Lasciamo pure da parte l'inchiesta condotta da due agenzie di analisi demografiche, una americana e l'altra svizzero-inglese, che qualche settimana fa arrivarono alla conclusione di centomila iracheni caduti dall'inizio della guerra. Era frutto di comparazioni statistiche sui dati disponibili dello stato civile del Paese e non di verifiche sul campo.

Ma a Falluja erano rimaste in città da 50 a 80 mila persone, tra cui almeno la metà composta di donne vecchi e bambini. La Mezza Luna Rossa ha lanciato due giorni fa (terzo giorno di battaglia) un appello disperato affermando che cinquantamila civili erano a rischio di vita a causa degli stenti, mancanza d'acqua, di medicine, blocco totale degli ospedali e dei posti di pronto soccorso. Impossibile prestare cura alle centinaia di feriti. Impossibile far affluire cibo, medicine ed équipe mediche poiché i cordoni militari attorno alla città impedivano l'entrata dei soccorsi.

La Mezza Luna Rossa, diceva quell'appello, aveva comunque organizzato un convoglio di tre camion guidati da un medico iracheno in partenza da Bagdad e diretto a Falluja, che avrebbe tentato di entrare nella città sperando che i comandi Usa l'avrebbero permesso.
L'appello, rilanciato da alcune agenzie di stampa internazionali e ripreso da pochissimi giornali, è stato completamente ignorato dalle nostre emittenti Rai e Mediaset. Comunque dopo l'altro ieri non se n'è più saputo niente né risulta nulla dagli ospedali di Falluja e dai pochi medici rimasti nella città, la quale per altro è in gran parte ridotta ad un cumulo di macerie.

Fino a quando il popolo americano, quello europeo e i Paesi arabi e musulmani tollereranno un così vergognoso sequestro di informazioni e di verità? Fino a quando l'Onu resterà anch'essa inerte e silente? Intanto Bagdad è un inferno, Mosul (la terza città dell'Iraq dopo la capitale e dopo Bassora, con 2 milioni di abitanti) è caduta sotto il controllo degli insurgents, in tutte le città del triangolo sunnita gli attentati si susseguono e la guerriglia infuria soprattutto contro la polizia e la guardia nazionale irachene. Segni di nuova insorgenza emergono anche a Kerbala e a Najaf, la città santa sotto il controllo sciita dell'ayatollah Al Sistani.

Progressi sostanziali? Elezioni a gennaio? Il premier provvisorio, Allawi, ha decretato il coprifuoco di sessanta giorni in tutto il Paese; dovrebbe dunque scadere ai primi di gennaio. Come si potrà organizzare in regime di coprifuoco e in presenza di una guerra civile che miete vittime in tutto l'Iraq centrale, una campagna elettorale? Almeno un simulacro di campagna elettorale? Le liste degli aventi diritto al voto? I seggi e gli scrutatori? I comizi? Le liste dei candidati? Di tutto ciò nessuno parla, ma il grottesco della situazione sta nel fatto che anche su questa delicatissima questione nessuno pone domande. Non c'è un giornale, un'emittente televisiva, un'organizzazione internazionale, Onu, Unione europea, Lega Araba, nessuno che ponga domanda.

L'Italia è potenza occupante a tutti gli effetti, con tremila uomini sul terreno. Ha quindi titolo per porre queste domande al governo provvisorio iracheno. Ma non lo fa. Se ne guarda bene. Allawi ieri è arrivato di sorpresa a Nassiriya per salutare il nostro contingente. Ha comunicato che la nostra presenza è utilissima e indispensabile e che durerà ancora a lungo anche dopo le elezioni. Saluti e baci e se n'è andato. Domande? Naturalmente nessuna.

Martino, Pera, Casini, lo stesso Berlusconi, a intervalli relativamente frequenti a ridosso di elezioni nostrane, arrivano, mangiano il rancio e ripartono. Domande? Alcuna. Delle elezioni irachene, delle vittime irachene, delle città irachene bombardate, della ricostruzione nelle zone passabilmente pacifiche, il Sud sciita, il Nord curdo, nessuno sa nulla. È fantastica questa noncuranza. Questa cinica indifferenza.

Progressi sostanziali. Dunque Bush sa e Blair sa. Ma non vanno al di là del sostantivo "progresso" e dell'aggettivo "sostanziale". Qualche cifra? Qualche cenno geografico? Una specifica dei lavori in corso? Il silenzio è d'oro. Forse le informazioni sono ammassate a Fort Knox, insieme ai lingotti d'oro della Federal Reserve. Evviva la trasparenza, evviva la democrazia.

* * *

Israele. I palestinesi. Il futuro Stato di Palestina.
Sharon è pronto a riprendere i negoziati di pace. Arafat è morto. Ricominciamo. Nel frattempo ritirerà (ci riuscirà?) settemila coloni dagli insediamenti ai bordi della Striscia di Gaza. Unilateralmente, cioè senza discuterne con l'Autorità palestinese. Gaza resterà un immenso campo profughi di oltre duecentomila anime (anime si fa per dire) in mezzo al deserto, con Israele a Est e l'Egitto a Ovest.

In Cisgiordania i coloni di Israele sono oltre duecentomila. In via di ulteriore espansione. L'esercito di Israele vigila, ovviamente, sulla loro sicurezza. Il muro la cui costruzione continua li circonda e li include. A zigzag, come le spire d'un gigantesco pitone.
Quello che resta fuori dal muro dovrebbe essere il territorio del nascente Stato palestinese. Gaza? Sta laggiù, un po' più avanti verso destra. Non comunicante.

Bene. Sharon è comunque pronto a riprendere in mano la road map ma, ovviamente, a condizione che l'Autorità palestinese abbia prima disarmato o comunque rese inoffensive la fazioni armate, Hamas, Jihad palestinese e le brigate di Arafat, cioè i terroristi che hanno preso il nome del raìs scomparso, braccio armato di Fatah.

Gli osservatori e i giornalisti embedded (ormai abbondano dovunque e chi non è embedded peste lo colga) sostengono che la transizione da Arafat ai suoi successori è avvenuta con meravigliosa rapidità e generale concordia. Affermano anche che è in crescita Abu Mazen, il moderato che firmò la road map due anni fa ma poi dovette dimettersi per dissensi col raìs ancora vivo e vegeto. Con ogni probabilità sarà lui a guidare il suo popolo, fazioni armate comprese, verso la pace.

Anche noi lo speriamo. Gli israeliani sono stanchi, i palestinesi ancora di più. La pace la vogliono tutti. Forse è la volta buona. Si odiano ancora? Sì, si odiano più che mai. La pancia dei due Paesi odia l'altra. Alcune élite predicano la reciproca fratellanza, ma appunto sono élite.

Certo, se Abu Mazen, Abu Ala, i moderati, i ragionevoli, crescono in prestigio e popolarità, forse ce la faremo. Il primo è il capo dell'Olp, cioè dell'organismo che raccoglie tutti i partiti palestinesi. Il secondo è il primo ministro del governo provvisorio. In teoria hanno già in mano la piena rappresentatività istituzionale; debbono solo vedersela confermata dalle elezioni che si terranno anch'esse - vedi caso - ai primi di gennaio insieme a quelle irachene. Sempre che Sharon consenta che si svolgano, perché adempiere alle procedure pre-elettorali ed elettorali se Israele non lo consentisse è impensabile dato il frazionamento del territorio, i posti di blocco, i coloni, eccetera eccetera.

E il terrorismo e la rappresaglia antiterrorista. Se non fosse drammatico anzi tragico, bisognerebbe qui ricordare l'antica filastrocca: dimmi tu chi è nato prima sarà l'uovo o la gallina? Così tra terrorismo e rappresaglia: l'uno si vendica dell'altra e viceversa, in un ciclo infinito, in un eterno ritorno dell'eguale.
Però, oltre ad Abu Mazen capo dell'Olp, nel nuovo triumvirato istituzionale installato dopo la morte di Arafat c'è anche un terzo personaggio. Si chiama Farouk Kaddumi, cui è stata consegnata (o si è preso) la guida di Fatah.

Kaddumi vive da undici anni a Tunisi, non ha mai approvato gli accordi di Oslo e tutto ciò che ne è seguito e non seguito. È intransigente. Non procederà senza l'accordo di Hamas e della Jihad. D'altra parte, allo stato dei fatti, è il solo che possa convincere questi due gruppi non diciamo a deporre le armi ma a farle tacere per consentire il negoziato. A certe condizioni. Quelle di Kaddumi non sono quelle di Abu Mazen.
Al Fatah è il maggior partito palestinese. Diciamo che rappresenta il 95 per cento dell'Olp. L'Olp senza Fatah è una scatola vuota. Se guardiamo alle cariche istituzionali, l'uomo forte non è Abu Mazen ma Farouk Kaddumi.

È anche quello che ha in mano i soldi di Arafat, a parte i dollari rimasti alla vedova. C'è un quarto personaggio, ancora più popolare di Kaddumi tra i palestinesi arrabbiati, ed è Marwan Barghuti, che sta da un anno nelle prigioni di Israele condannato cinque volte all'ergastolo. Potrebbe anche candidarsi al ruolo di presidente dell'Autorità palestinese. Potrebbe essere eletto. Che succederebbe in quel caso? Il successore di Arafat eletto dal popolo in prigione a vita nelle carceri di Israele? È difficile che avvenga perché i palestinesi sono stanchi. Ma vedete bene che il rebus resta un rebus anche dopo la morte del raìs, anzi è più rebus di prima.

Certo, se Bush batterà il pugno... Se imporrà a Sharon... Se inonderà di dollari Gaza e i sindaci della West Bank... Se minaccerà e magari manderà una forza d'interposizione.... Se le Chiese evangeliche lo sproneranno... Se i neo-con gli suggeriranno... Se Blair...

No, Blair no. Blair non conta più niente. Sta con le sue truppe a Bassora e non se ne può andare se non insieme a Bush. Se se ne andasse prima dovrebbe far fagotto il giorno dopo abbandonando Downing Street.
Perciò Blair è il fox-terrier di Bush o poco più.
(14 novembre 2004)

http://www.repubblica.it/2004/k/sezioni/esteri/iraq37/speranze/speranze.html

Usa, Europa Italia

di Furio Colombo

Parliamo ancora di elezioni americane? Sì, perché il ritorno di Bush alla Casa Bianca è, per tutto il mondo, un importante evento degli Stati Uniti, difficile da giudicare, con molti aspetti e attese e previsioni che riguardano, interessano (o preoccupano) tutti, e comunque rispecchiano di un profondo cambiamento americano, forse il suo futuro.
Per l’Italia è un’altra cosa. Qui la vittoria di una metà dell’America sull’altra viene vista con lo stesso occhio con cui i marajà indiani fedeli alla Corona inglese studiavano e si comunicavano le vicende di Londra nel secolo scorso. Allora, all’epoca dell’impero inglese, la domanda era: in che senso questa o quella decisione della Corona inglese ci giova, allarga la nostra ricchezza e il nostro potere?

L’Italia coloniale di Berlusconi - esperienza nuova per un Paese non privo di orgoglio, come si è visto negli anni della Resistenza - ha seguito le elezioni e accolto il risultato con lo stesso spirito di Bombay e Calcutta ai tempi d’oro degli inglesi. E la stessa domanda: sarà questo il momento giusto per liquidare i nostri nemici, dichiarandoli nemici dell’impero?
Cito come evidenza il manifesto di Alleanza Nazionale che ha coperto i muri di Roma in questi giorni. Dice testualmente: «Bush vince in America, l’Ulivo fallisce nel mondo. Lasciamoli alla opposizione in Italia e nel Lazio».
In altre parole milioni di farmer dell’America profonda che credevano di avere scelto Dio e la Bibbia dando il loro voto per George Bush, hanno in realtà votato per riportare Francesco Storace alla presidenza della Regione Lazio.
E poi c’è, in esclusiva, la notizia che l’Ulivo fallisce nel mondo. An immagina di avere bisogno del fallimento mondiale dell’Ulivo (una visione drammatica che evoca l’esercito giapponese che incalza le masse cinesi in fuga) per tenere saldo il controllo del Lazio. E intende usare lo scudo di Bush e della sua rinnovata potenza per proteggere il marajà della Regione contro il perfido candidato dell’Ulivo che certamente porta guerra di civiltà.

Il manifesto che annuncia l’asse Bush-Storace e il fallimento mondiale dell’Ulivo, non è isolato, nel nuovo spirito di vittoria dei notabili coloniali di An. Un altro manifesto, questa volta sui muri dell’intera colonia, reca questa strana dicitura sovraimpressa - senza il minimo rispetto - a una bandiera italiana: «Ogni giorno 9.000 italiani non fanno girotondi ma difendono davvero la pace. Sono i nostri soldati in missione di pace nel mondo». Un partito di governo che si richiama al sentimento del patriottismo, rivela in un solo messaggio le seguenti tre fobie: contro la partecipazione alla vita pubblica di cittadini spontaneamente organizzati, contro vastissime e legittime manifestazioni per la pace (un modo serio e nobile, come hanno insegnato gli americani che si opponevano alla guerra in Vietnam, per riportare a casa i soldati vivi) e contro l’unirsi dei sentimenti di tutti gli italiani nel giorno del ricordo dei morti di Nassiriya. Qui c’è la volontà esplicita di un’Italia divisa che proclama nemici coloro che non si sono dichiarati subito e per sempre sudditi fedeli.

Trascuriamo la penosa mancanza di senso del rispetto ma anche dell’umorismo nel farci sapere che i soldati, che in Iraq sono stati mandati a una guerra feroce chiamata “missione di pace”, non fanno girotondi. Si tenga conto che i due penosi manifesti di cui abbiamo appena parlato sono del partito che sta per dare all’Italia il suo quarto ministro degli Esteri (vera celebrazione della continuità della maggioranza Berlusconi) dopo Renato Ruggiero, cacciato per competenza, dopo Silvio Berlusconi, che ha lasciato il posto dopo un anno, quando si è accorto che la sua immagine non era esportabile, dopo Franco Frattini, che ha dovuto essere inviato d’urgenza in Europa, quando l’Europa ha dichiarato inaccettabile un altro ministro di questo governo, nel corso del famoso e memorabile “caso Buttiglione”, triste capitoletto della storia italiana.
Viene a questo punto - i lettori lo sanno - la frase triste, ripetuta e vera, secondo cui certe cose possono accadere solo in questa Italia, mal vista da fuori, e senza finestre o feritoie per vedere la nostra vita da dentro, a causa del controllo totale del sistema delle informazioni, possedute o intimidite da una sola persona, che presiede anche il governo.

Per avere una conferma della solitudine italiana - che non pone un problema di destra e di sinistra ma descrive un isolato autoritarismo locale che purtroppo è malattia ricorrente nel nostro Paese - basterà prestare attenzione alla lettera aperta che il ministro degli Esteri francese Michel Barnier, ha inviato “a un amico americano” subito dopo la rielezione di Bush (Le Monde, 10 novembre). Si tenga conto, nel leggere i passi qui trascritti della lettera, che Barnier è ministro di un governo di destra, votato dagli elettori di destra (che però non vogliono avere niente a che fare con il loro Bossi, Jean-Marie Le Pen, che la destra, a causa della sua xenofobia, respinge fuori dal sistema di governo).
«Vorrei ricordare, per prima cosa, che le nostre relazioni politiche non riflettono la nostra interdipendenza economica. Infatti la maggior parte degli investimenti esteri in Europa proviene dagli Stati Uniti ed è vero anche il contrario. E anche: la maggior parte dei profitti delle imprese europee, realizzati all’estro giunge dagli Stati Uniti. E di nuovo è vero anche il contrario. Sì, dipendiamo gli uni dagli altri. Sì, la crescita americana traina la crescita europea. Sì, ma quando ogni giorno l’economia americana deve rifinanziare il suo enorme deficit della bilancia dei pagamenti, trova il credito e gli investimenti degli imprenditori europei. Ripeto la domanda: il dialogo politico fra Europa e America rispecchia o nega la nostra interdipendenza economica? Ci dite che il destino degli Stati Uniti nel mondo è quello di promuovere la democrazia. Vi rendete conto che la progressiva costruzione di un’Europa più forte e più unita, l’Unione Europea, attira a sé e ai suoi valori democratici un numero sempre più grande di Paesi che circonda la Ue? Rendetevi conto che l’America ha bisogno di una Europa capace e responsabile. E l’Europa ha bisogno di un’America impegnata negli affari del mondo. Parlo di un’America fedele al multilateralismo, dell’America che ha contribuito a far nascere le Nazioni Unite, un’America convinta che il mondo ha bisogno di regole, ma queste regole devono essere uguali per tutti».

Il confronto è facile e umiliante. Il ministro degli Esteri francese prende atto della vittoria di Bush e invece di dichiarare servizio e sottomissione, propone una alleanza alla pari, facendo notare la rete di nodi economici che impediscono a uno dei protagonisti di dichiararsi padrone della scena. Si rivolge al vincitore delle elezioni americane per chiedere realismo. Ricorda la parte più importante di un’alleanza pur motivata da tante ragioni morali e politiche: l’immenso contributo degli investimenti europei per riequilibrare e rendere meno drammatico il debito americano. Gianfranco Fini, che fra poco sarà il ministro degli Esteri italiano, autorizza il suo partito a trasformare due grandi fatti internazionali - la vittoria di Bush e la tragedia di Nassiriya - in due macchine di astio e disprezzo, pensato per dividere e contrapporre gli italiani, suscitare sentimenti velenosi dentro il Paese, senza alcuna nozione di ciò che è avvenuto nel mondo, senza alcuna visione del rapporto fra Italia e Europa, fra Europa e Stati Uniti, e con il resto del mondo.

È evidente che questa coalizione di governo non ha altro collante che l’aggressività verso i propri avversari politici. Per mantenere quell’unico legame ed evitare il rischio continuamente imminente di sfascio, la coalizione di Berlusconi è costretta a tenersi in un continuo stato di attacco, utilizzando - e facendo uguale - qualunque vicenda, dalla impossibilità a mantenere promesse continuamente ripetute e continuamente negate dai fatti, ai morti di Nassiriya, dalle umilianti brutte figure europee alla interpretazione da circo delle elezioni americane, dalla guerra contro le coppie di fatto e la procreazione assistita alla guerra in Iraq, dal dissesto dei conti pubblici allo scontro di civiltà. In tutti questi casi e negli infiniti altri che sono l’elenco di attività di governo in Italia, l’intento è sempre lo stesso: dividere, incattivire, mettere una parte del Paese contro l’altra, rendere impossibile ogni pausa di rasserenamento e di buon senso che dia spazio a momenti di vero governo e vero e normale lavoro politico. Ma per la coalizione di Berlusconi c’è un pericolo che essi vogliono evitare a tutti i costi. Interrompere l’aggressione e la rissa vuol dire obbligare ciascuna delle parti che formano la strana aggregazione a guardarsi in faccia e dirsi le ragioni per stare insieme. Non ne hanno che una, la sopravvivenza. La sopravvivenza richiede l’attacco. E poiché all’attacco (che deve essere rozzo e offensivo e continuo) devono partecipare tutti, diventa impossibile, sul campo, distinguere Udc e Lega, Follini e Calderoli, i Le Pen italiani e coloro che sono semplicemente persone di destra, chi è in politica per fare politica, chi è stato assegnato alla politica come a un ramo d’azienda. Comunque l’attacco, l’allarme, lo stato di emergenza, il clima di guerra, il sospetto di tradimento, l’accusa sanguinosa, la calunnia costante sono necessari per coprire il disastro clamoroso di tre anni di governo. Perciò i “guardiani della rivoluzione” (che quando non sono abbastanza guardiani, nelle Tv e nei giornali, vengono prontamente rimossi) non smettono mai il loro lavoro: tormentare con sempre nuovi pretesti di emergenza, di divisione, di attacco. Un giorno sono questioni di religione, un giorno sono rivelazioni strategiche, un giorno si sbandiera la finta economia o il finto amore americano. Poiché hanno il controllo totale, e sono capaci di una severa intimidazione di tutte le fonti di comunicazione, non c’è problema. La scelta, il capriccio, toccano a loro.

È un peccato, perché il quadro di ciò che accade diventa sgradevole e scostante. Non resta che lavorare nel modo più rigoroso e più coerente possibile per un ritorno a casa di Berlusconi. Riporterà l’Italia, all’istante, al livello di un Paese normale. Tutto il resto, per quanto grave e pesante e immerso in un mondo difficile, tornerà a diventare il lavoro di tutti i giorni. Senza la tassa di umiliazione, di ridicolo,di pericolo che Berlusconi impone da tre anni all’Italia.

Tratto da l'Unità del 14 novembre 2004

Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

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