I giornalisti di San Francisco gliel'hanno chiesto : come ci si sente al posto che fu del cardinale Ratzinger, il "Rottweiler di Dio"? E Lui : "beh, io mi sento più un Cocker"
Il Corriere della Sera
Un americano all'ex Sant'Uffizio: il Papa un rottweiler? Io un cocker
Benedetto XVI nomina Levada, di San Francisco, suo successore Il video contro il Gay Pride di Roma, le lotte per l'assistenza sanitaria I giornalisti di San Francisco gliel'hanno chiesto subito: come ci si sente al posto che fu del cardinale Ratzinger, il "Rottweiler di Dio"? E lui ha disteso un sorriso ironico sulla faccia paffuta, "beh, io mi sento più un Cocker Spaniel che un Rottweiler!". Se c'è una cosa che l'arcivescovo William Joseph Levada non regge sono le etichette, lo chiamavano " conservative " e lui scuoteva la testa, "le etichette sono una peste!, ogni volta cercano di classificarti in base a un modello secolare già definito, "conservatore o liberal ", per la società americana non è facile comprendere la Chiesa...". Certo, la stampa Usa lo definisce un "ortodosso" e in fondo ci mancherebbe altro, per chi guida l'ex Sant'Uffizio si tratta tutto sommato del requisito minimo: deve fare, come dire, il suo mestiere. Ma la novità essenziale nella nomina di Levada sta altrove. Perché Benedetto XVI aveva davanti a sé una scelta delicatissima, si trattava di trovare qualcuno che gli succedesse come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede: la responsabilità che l'allora cardinale Ratzinger aveva sostenuto per più di ventitré anni. Mica per niente si erano fatti nomi di grandi teologi come il cardinale Christoph Schönborn o l'arcivescovo Bruno Forte. In questo senso Levada, 69 anni a giugno, laureato in teologia magna cum laude alla Gregoriana e poliglotta (parla sei lingue, compreso l'italiano), non ha certo problemi: tra l'altro ha fatto già parte della Congregazione dal '76 all'82 e soprattutto - con la supervisione di Ratzinger - è stato assieme a Schönborn uno dei principali estensori del nuovo Catechismo della Chiesa cattolica promulgato da Giovanni Paolo II. Così la sorpresa - relativa: il suo nome circolava dal 3 maggio, quando il Papa lo ha ricevuto in udienza - sta piuttosto nell'origine del nuovo Prefetto: mai era accaduto che un americano occupasse quel posto, per di più un americano della West Coast. L'arcivescovo Levada è nato e ha studiato a Long Beach, ha frequentato il seminario a Los Angeles. Californiano da quattro generazioni, viene da una famiglia di immigrati portoghesi e irlandesi. Se il problema della Chiesa, specie in Occidente, è confrontarsi con il mondo moderno, la scristianizzazione, le altre fedi e i non credenti, il nuovo Prefetto dell'ex Sant'Uffizio è vissuto nel posto giusto al momento giusto. La realtà del cattolicesimo americano, in questo senso, è pionieristica e William Joseph Levada, prima di andare a San Francisco, nel '95, aveva guidato dall'86 anche l'arcidiocesi di Portland, Oregon, il primo Stato che negli Usa ha legalizzato l'eutanasia. Quindi l'arrivo a "Frisco", città dell'avanguardia americana dai tempi dei beat , la libreria City Lights di Ferlinghetti e le caves raccontate da Kerouac nei Sotterranei , letteratura e vita, "una poesia di Baudelaire non vale il suo dolore, avrei preferito fosse felice", e ancora la rivolta dei campus, il pacifismo, i diritti civili, la rivoluzione sessuale e quella informatica. Tutto questo, senza contare che San Francisco è la culla del movimento gay. Negli anni del suo episcopato c'è un episodio rivelatore del carattere di Levada: risale al '96, quando l'allora sindaco Will Brown, democratico, fece una legge che obbligava le società in affari con il Comune a garantire la copertura sanitaria anche alle coppie omosessuali. Per le associazioni caritative cattoliche c'erano in ballo contratti da cinque milioni e mezzo di dollari. E l'arcivescovo non fece barricate né riconobbe le coppie gay: invocò per la Chiesa il diritto alla libertà d'espressione e obiettò che la copertura sanitaria era un diritto per ogni cittadino, non solo per le coppie etero o gay, "e i figli, e le pensione anziane a carico?". La mossa funzionò: incontrato il sindaco, trovarono il compromesso. Del resto, il "conservative" Levada è uno che ha definito la mancanza di assistenza sanitaria per tutti "una vergogna nazionale". Il cardinale Pio Laghi, che Giovanni Paolo II mandò da Bush come "inviato speciale" in missione diplomatica, sorride: "Non corrisponde a nessuno dei ritratti che lo dipingono come intransigente. Certo, non è uomo che venga a patti con la verità, e come si potrebbe? Ma è una persona di grande cultura e buon senso, davvero un uomo di Dio che sa gestire molto bene le situazioni, senza rigidità, cercando sempre di risolvere i conflitti con misura e rispetto". Rigoroso e pragmatico. Gli attacchi, chiaro, non gli sono mancati. Alla vigilia del Gay Pride di Roma, nel 2000, inviò in Vaticano una cassetta che mostrava militanti vestiti da preti e suore impegnati a mimare le più svariate prestazioni sessuali e orge nel corteo del '98 a San Francisco, "mi meraviglio che il governo italiano non abbia impedito la manifestazione a Roma - disse - non sapete cosa vi aspetta, fermatevi sull'orlo del burrone!". Ieri l'Arcigay lo ha dipinto come "un campione della sessuofobia e omofobia militante". Nel 2004, inoltre, gli avvocati di alcune vittime di pedofilia in Oregon hanno sostenuto che non aveva fatto abbastanza, quand'era vescovo, per proteggere i bambini dai preti pedofili. "Accuse false e fuori misura", ha replicato. Del resto contro di lui non ci sono mai state contestazioni e anzi Levada ha fatto parte della commissione vaticana istituita dopo lo scandalo degli abusi sessuali per risollevare la Chiesa americana, anche agli occhi dei fedeli. La sua nomina, in questo senso, è un segnale importante. Lui stesso ha detto ieri che si farà "portavoce" dei fedeli Usa. A San Francisco si presentò così: "Ho la responsabilità di custodire il magistero della Chiesa, e spero di essere compassionevole, vicino alla gente, ai loro problemi e difficoltà". Con buona pace delle etichette: conservatore, progressista? "Considero me stesso come un uomo che sta nel centro esatto della strada, dove dovrebbe restare un vescovo". Gian Guido Vecchi.
Il Foglio
William Joseph Levada nuovo prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede
Il neo-prefetto non ha mancato di far sentire il suo dissenso nei confronti delle autorità municipali favorevoli al matrimonio gay... Benedetto XVI ha scelto il suo successore alla guida dell'ex Sant'Uffizio. Il nuovo prefetto sarà William Joseph Levada, 69 anni il prossimo 15 giugno, dal 1995 arcivescovo di San Francisco. Secondo il cardinale di Genova Tarcisio Bertone, la nomina potrebbe essere resa pubblica già oggi. Quello di Levada è un nome a sorpresa ma non troppo. Sulla stampa anglosassone non era passato inosservato il fatto che martedì scorso, tra i primi a essere ricevuti dal nuovo Papa in udienza privata c'era stato proprio l'arcivescovo di San Francisco. Levada è una vecchia conoscenza di Ratzinger. Dal 1976 al 1983 ha lavorato come officiale all'ex Sant'Uffizio. Dal 1986 al 1992 è stato l'unico statunitense a far parte del Comitato redazionale che ha scritto il Catechismo della Chiesa cattolica, Comitato che ha lavorato sotto la supervisione di una Commissione cardinalizia guidata proprio da Ratzinger. Dal 2000 era membro della Congregazione deputata a difendere e promuovere la dottrina cattolica. Originario di Long Beach, californiano di quarta generazione, Levada ha sangue portoghese e irlandese nelle vene. Ordinato sacerdote in San Pietro nel 1961, dopo aver lavorato nella Curia romana è diventato vescovo ausiliare di Los Angeles, quindi arcivescovo di Portland in Oregon e poi arcivescovo di San Francisco dove è succeduto a John Raphael Quinn, uno dei presuli più liberal dell'episcopato americano. Quella di Levada con San Francisco è stata una convivenza difficile ma senza eccessive polemiche. Il neo-prefetto non ha mancato di far sentire il suo dissenso nei confronti delle autorità municipali favorevoli al matrimonio gay. Nel febbraio dello scorso anno Levada ha espresso il suo appoggio a un emendamento costituzionale che stabilisca esplicitamente che può definirsi matrimonio solo una unione tra un uomo e una donna, un atto sottoposto a lunghe procedure del Congresso e degli Stati e che il Senato americano ha già insabbiato. Negli ultimi anni ha invocato la rinascita di un'apologia cattolica e ha auspicato un atteggiamento più aggressivo nei confronti dell'invadenza delle sette protestanti in America Latina. Levada però non può essere etichettato come un esponente dell'ala più conservatrice dell'episcopato statunitense. Nella biografia sul sito della sua diocesi si ricorda che a inviarlo a Roma fu il cardinale Joseph Bernardin, storico leader della Conferenza episcopale statunitense di tendenze progressiste. Lo scorso anno poi Levada ha preso le distanze da quei suoi confratelli che avevano impostato una linea dura nei confronti dei politici cattolici abortisti minacciandoli di privarli della comunione. Quella di Levada, che non è ancora cardinale, sembra essere una scelta personalissima di Benedetto XVI, che lo ritiene pienamente affidabile e non considera ostativa la mancanza in Levada di una forte formazione accademico-teologica e canonistica.
Gazzetta del Sud
È considerato un teologo raffinato e un tenace conservatore
L'arcivescovo di San Francisco guiderà la Congregazione per la dottrina della fede Levada, rigido e pragmatico Marco Bardazzi NEW YORK ? È considerato un teologo raffinato e un tenace conservatore, ma ammiratori e avversari gli riconoscono anche una passione per il pragmatismo. È questa dote che permise per esempio all'arcivescovo William Levada, nel 1997, di chiudere con un compromesso un difficile braccio di ferro con l'amministrazione di San Francisco, che voleva far adeguare la Chiesa a una legge sul riconoscimento della copertura sanitaria per le coppie omosessuali. L'arcivescovo scelto da Papa Benedetto XVI come proprio successore alla guida della Congregazione per la dottrina della fede, ha alle spalle venti anni di esperienza come guida dei cattolici in due diocesi difficili come San Francisco e Portland (Oregon) e ha trascorso sei anni all'ex Sant'Uffizio. Sotto la guida dell'allora cardinale Joseph Ratzinger, Levada è stato anche tra gli estensori del nuovo Catechismo. A San Francisco, città-laboratorio per le nuove legislazioni a favore dei gay e a Portland, nello stato che per primo negli Usa ha legalizzato l'eutanasia, Levada ha tenuto un atteggiamento rigido sulle grandi battaglie, ma quasi sempre aperto al dialogo. Il più celebre dei suoi confronti con le autorità locali avvenne tra il 1996 e il '97, quando l'allora sindaco della città del Golden Gate, Willie Brown, varò una legge che intendeva mettere San Francisco ? una delle città più progressiste d'America ? all'avanguardia nazionale sul tema dei diritti degli omosessuali. La legge prevedeva l'obbligo, per chi voleva fare affari con il Comune, di garantire copertura sanitaria ai dipendenti sia per le coppie eterosessuali, sia per quelle omosessuali. Levada si oppose, nonostante il rischio di veder saltare contratti per 5,5 milioni di dollari l'anno per società caritative cattoliche legate all'arcidiocesi. Applicare la legge significava riconoscere di fatto la legalità delle unioni gay, a cui la Chiesa si oppone. L'arcivescovo decise di invocare la violazione dei diritti costituzionali della Chiesa previsti dal Primo emendamento (libertà d'espressione) e sostenne poi di ritenere che l'assistenza sanitaria fosse un diritto per tutti i cittadini, non solo per coniugi e conviventi, accusando l'amministrazione di discriminare per esempio figli o persone anziane a carico. Il sindaco Brown, dopo un iniziale irrigidimento, alla fine accettò di incontrare Levada e stipulò un compromesso che ha evitato alla Chiesa di doversi adeguare alla legge sui gay. Monsignor Levada è nato il 15 giugno 1936 a Long Beach, in California, pronipote di immigrati con sangue irlandese e portoghese. Dopo aver studiato a Roma ed essere stato ordinato sacerdote in San Pietro nel 1961, ha avuto incarichi prima in California e poi, dal 1976, alla Congregazione per la dottrina della fede, dove è rimasto fino al 1982. Nel 1986 è diventato arcivescovo di Portland e nel 1995 è stato trasferito a San Francisco. Parla sei lingue, tra cui l'italiano.
L'Unità
Benedetto XVI: subito l'iter della canonizzazione. Due parroci gli chiedono: che facciamo con i divorziati?
CITTÀ DEL VATICANO Per Giovanni Paolo II inizia subito l'iter per la canonizzazione. Non si attenderanno i cinque anni dalla sua scomparsa previsti dal diritto canonico. L'annuncio è stato dato ieri da Benedetto XVI, vescovo di Roma, durante il suo incontro con il clero romano tenutosi nella Basilica di san Giovanni in Laterano. È nelle prerogative del pontefice derogare da questa regola. Un record assoluto. «Vox populi, vox Dei» ha commentato il cardinale Josè Saraiva Martins, prefetto della Congregazione per le cause dei Santi. È stata accolta così la richiesta scandita già durante le esequie di Karol Wojtyla, quel «Papa-santo» e che ha raccolto plausi in tanti ambienti e in tutto il mondo. Ora si aprirà il procedimento per «accertare» la santità di Giovanni Paolo II che ha un suo percorso preciso, dalla nomina del postulatore alla definazione dell'elenco di coloro saranno chiamati a testimoniare «sulle virtù eroiche» di Giovanni Paolo II. Con i suoi tempi.
Ma questa non è stata l'unica decisione presa dal pontefice. Ieri papa Ratzinger ha nominato il suo successore alla Congregazione per la Dottrina della Fede e, come era nelle previsioni, ha scelto l'arcivescovo di san Francisco, mons. William Joseph Levada. Ha colto nel segno chi ha considerato un'investitura l'averlo ricevuto in udienza tra i primi, già il 3 maggio, appena dopo la sua elezione. Così un americano sarà alla guida del principale dicastero della Curia romana, quello che vigila sull'ortodossia teologica e, dopo lo scandalo dei preti pedofili che ha sconvolto la Chiesa statunitense e non solo quella, ha la gestione diretta dei casi di molestie sessuali che hanno per protagonisti clero e religiosi. Mons. Levada, 68 anni, non è un teologo, ma gode della massima fiducia del pontefice-teologo. Ha collaborato a lungo con l'allora cardinale Joseph Ratzinger ed è stato il solo nordamericano chiamato a collaborare alla stesura del nuovo Catechismo della Chiesa cattolica. Per 6 anni ha lavorato all'ex sant'Uffizio. L'arcivescovo di san Francisco ha fama di conservatore «illuminato», impegnato contro i preti pedofili e i movimenti gay molto forti in California, è stato nella commissione mista Vaticano-episcopato Usa impegnata a definire una posizione concordata sulla vicenda. Viene considerato uomo capace di ascolto.
Nella giornata di ieri di Benedetto XVI è stato importante anche l'incontro che il «vescovo di Roma» ha avuto con il suo clero, con i parroci, i religiosi e le religiose, i diaconi della sua diocesi.
Nelle due ore trascorse nella sua cattedrale di san Giovanni in Laterano il Papa ha ricordato le ragioni di fondo della scelta sacerdotale. Lasciato alle spalle «il tempo della crisi di identità che ha travagliato tanti sacerdoti», anche se «rimangono ben presenti però quelle cause di deserto spirituale che affliggono l'umanità del nostro tempo e conseguentemente minano anche la Chiesa che vive in questa umanità» il pontefice ha ricordato che per superare le «insidie» ancora presenti «è indispensabile ritornare sempre di nuovo alla radice del nostro sacerdozio» che è una sola: Gesù Cristo Signore». «In Lui si compie la salvezza del genere umano». Da qui il richiamo all'obbedienza a Cristo e del clero ai loro vescovi. In modo «libero», poi sono arrivate le domande dei preti romani al loro vescovo. Tanti temi toccati. Molti hanno riguardato i drammi dell'uomo nella società contemporanea con i quali il sacerdote si misura ogni giorno. Due parroci hanno posto il problema dei credenti divorziati «loro malgrado» cui sono negati i sacramenti. Un dramma cui porre rimedio.
http://www.gaynews.it/view.php?ID=32216
sabato 14 maggio 2005
L'antigay Levada nuovo Prefetto per la Dottrina della Fede
venerdì 13 maggio 2005
Svelato il vero scopo della missione italiana: "Siamo a Nassiriya per il petrolio"
La missione "Antica Babilonia" e il petrolio di Nassiriya
In un dossier del governo scritto sei mesi prima della guerra si indicava la provincia irachena come località strategica per l'Italia
Peacekeeping e business: un'inchiesta di Rai News 24 va alle origini della missione italiana in Iraq
ROMA - Siamo in Iraq per il petrolio. Certo anche per scopi umanitari e di salvaguardia dell'immenso patrimonio archeologico di quel paese - non a caso la missione si chiama "Antica Babilonia" - ma l'oro nero c'entra e come.
L'inchiesta di Sigfrido Ranucci, in onda oggi su Rai News 24, documenti alla mano, prova a dimostrarlo. E non sarebbe nemmeno un caso che i nostri militari siano stati dislocati a Nassirya e non altrove, perché il capoluogo della provincia sciita di Dhi Qar era proprio il posto in cui volevamo essere mandati. Perché? Perché sapevamo quanto ricca di petrolio fosse quella zona. In gran parte desertica, ma letteralmente galleggiante su un mare di quel preziosissimo liquido che muove il mondo.
Un vecchio accordo tra Saddam e l'Eni, che risale a metà degli anni Novanta, per lo sfruttamento di un consistente giacimento (2,5-3 miliardi di barili) nella zona di Nassiriya induce quantomeno a sospettarlo. Così come qualche dubbio lo insinua lo studio commissionato dal ministero per le Attività produttive, ben sei mesi prima dello scoppio della guerra, al professor Giuseppe Cassano, docente di statistica economica all'università di Teramo. Un dossier nel quale si conferma che non dobbiamo lasciarci scappare l'occasione in caso di guerra di basarci a Nassiriya, "se non vogliamo perdere - scrive Cassano - un affare di 300 miliardi di dollari".
Qual è il problema?, si chiederanno molti. In fondo che male c'è se dopo aver preso parte a una missione così onerosa e rischiosa, alla fine ce ne viene qualcosa? Salvaguardare "anche" il buon andamento dei nostri affari petroliferi, suggerisce il sottosegretario alle Attività Produttive Cosimo Ventucci, intervistato da Ranucci, è una scelta "intelligente".
Certo, bastava ammetterlo - questa la tesi di Ranucci - e rispondere alle interrogazioni parlamentari in materia senza nascondersi dietro formule di circostanza. Ammettere che in realtà la ragione petrolio era tanto più importante di quella umanitaria: "Ho cercato di occuparmi di progetti di ricostruzione - denuncia Marco Calamai, che ha lavorato con il governatore di Nassiriya per un periodo - ma la ricostruzione non è mai veramente partita. L'America esporta la democrazia a parole, in effetti ne ha impedito la crescita dal basso".
I nostri carabinieri hanno pertanto scortato barili di petrolio e sorvegliato oleodotti. E la strage di Nassiriya, come ha scritto il corrispondente del Sole24 Ore Claudio Gatti all'indomani dell'attentato, non era diretta contro il nostro contingente militare, ma contro l'Eni.
D'altronde, l'Iraq è la vera cassaforte petrolifera del pianeta. Con scorte che secondo Benito Livigni, ex manager dell'americana Gulf Oil Company e successivamente dell'Eni, sarebbero superiori a quelle dell'Arabia Saudita: "Secondo una stima le riserve dell'Iraq ammonterebbero a 400 miliardi di barili di petrolio, e non i 116 dei quali si è sempre parlato. Nel Paese ci sono vaste zone desertiche non sfruttate".
(13 maggio 2005)
http://www.repubblica.it/2005/e/sezioni/esteri/iraq53/petroliorai/petroliorai.html
giovedì 12 maggio 2005
Nozze gay in Spagna, il Re firmerà, respinto l'appello della Chiesa
La monarchia spagnola è decisa e annuncia un rigoroso rispetto della Costituzione: Ratificherò la legge socialista"
MADRID - Re Juan Carlos non si lascia coinvolgere nello scontro fra governo socialista e chiesa cattolica e fa sapere che ratificherà la legge sul matrimonio omosessuale se questa sarà approvata dalle Cortes spagnole, malgrado un auspicio contrario espresso dai vescovi.
Un portavoce della Casa Reale ha detto all'Ansa che il re "adempirà rigorosamente" le sue funzioni costituzionali che prevedono la ratifica delle leggi approvate dal parlamento nazionale. "Non farà altro che agire con la costituzione in mano" ha detto il portavoce.
Ieri il quotidiano El Mundo aveva citato fonti della Conferenza episcopale che invitavano il re "in quanto cattolico" a far uso del diritto alla "obiezione di coscienza" e a non apporre la sua firma sul testo della legge che equiparerà l'unione fra omosessuali al matrimonio tradizionale. Quanto scritto dal giornale non aveva ricevuto smentite ufficiali.
Il portavoce della Conferenza, Josè Antonio Martinez Camino, facendo riferimento a una recente nota dei vescovi in cui si chiedeva agli spagnoli la disobbedienza civile contro l'applicazione futura della legge sul matrimonio gay, aveva detto a El Mundo che tale nota "stabilisce un principio generale" e "riguarda tutti i cattolici, insieme a tutte le persone con retta formazione morale".
E altre fonti episcopali avevano aggiunto che "se il re è cattolico, riguarda anche lui il diritto e il dovere all'obiezione di coscienza di fronte a una legge radicalmente ingiusta che corrompe l'istituzione del matrimonio".
Secondo il giornale la chiesa spagnola immaginerebbe uno scenario simile a quello belga del 1990 quando re Baldovino abdicò per 36 ore per non firmare, per "ragioni di coscienza", la legge sull'aborto approvata dal parlamento. "Che il re segua l'esempio di Baldovino" ha detto la fonte episcopale citata.
Ma la monarchia spagnola, come suo costume, sembra al riguardo voler prendere senza tentennamenti una strada diversa, e cioè quella del rigoroso rispetto della costituzione. E già il ministro della giustizia Juan Fernando Lopez Aguilar aveva ieri anticipato tale posizione dicendo di essere convinto che "il re di tutti gli spagnoli" adempirà "impeccabilmente" il suo dovere istituzionale. E aveva avvertito la chiesa cattolica a non fare "un cattivo servizio" al sovrano cercando di coinvolgerlo nel dibattito sul matrimonio gay.
La Conferenza episcopale, che già alla vigilia del voto nella camera bassa aveva chiesto ai deputati cattolici di votare contro la legge, in una nota del 5 maggio aveva invitato i cittadini a "rivendicare il diritto all'obiezione di coscienza" opponendosi sul piano pratico all'entrata in vigore della legge.
E alcuni sindaci del Partito popolare (Pp) avevano annunciato, già prima della nota e in risposta all'appello alla disobbedienza civile del cardinale Alfonso Lopez Trujillo, presidente del Consiglio pontificio per la famiglia, che erano pronti a opporsi all'inaccettabile matrimonio. In quella occasione il governo socialista aveva avvertito che nessun responsabile pubblico può opporsi a una legge dello Stato, ma oggi l'arcivescovo di Valladolid, Rodriguez Plaza, ha criticato tale posizione affermando che "l'obiezione di coscienza è un diritto delle persone e nessun governo può cancellarlo".
(12 maggio 2005)
http://www.repubblica.it/2005/e/sezioni/esteri/matrigay/matrigay/matrigay.html
mercoledì 11 maggio 2005
Appello alla comunità gay: l'8 per mille dell'IRPEF alla Chiesa Valdese
Anche quest'anno rinnoviamo l’indicazione a favore della "Chiesa valdese - Unione delle Chiese metodiste e valdesi" come destinataria dell'8 per mille dell'Irpef.
Lo facciamo innanzitutto per ricordare che anche in Italia vi sono Chiese cristiane che non hanno nulla a che fare con i continui attacchi della gerarchia vaticana contro le più importanti conquiste democratiche degli ultimi decenni in materia di diritti umani e civili.
L’ostilità della gerarchia cattolica (che decide in via esclusiva sulla ripartizione dei fondi conferiti a tale Chiesa) a ogni riconoscimento dei più elementari diritti dei cittadini omosessuali viene invece espressa sistematicamente perfino in occasione di ogni più banale manifestazione a sostegno dei diritti degli omosessuali. Tale ostilità si ripropone ostinatamente e con protervia con la richiesta rivolta a tutte le forze politiche di negare ogni riconoscimento dei diritti reclamati dalle associazioni gay ovunque nel mondo, e cioè di una completa tutela giuridica contro le discriminazioni e della parità di diritti per le coppie gay. E perfino con accostamenti diffamatori fra omosessualità e pedofilia, così frequenti nelle prediche e nella pubblicistica cattolica, come se non fosse proprio negli ambienti ecclesiastici cattolici (oltre che all’interno di famiglie eterosessuali) che si verificano più di frequente gli episodi di pedofilia. Questo arrogante spirito di rivincita contro le conquiste della modernità democratica è assecondato purtroppo da gran parte della classe politica italiana.
Ricordiamo ancora l'attacco alla scuola laica e la pretesa di clericalizzare il più possibile la scuola pubblica, sottraendole in pari tempo fondi e risorse a favore di quella confessionale; ricordiamo il boicottaggio di ogni seria campagna di prevenzione dell'Aids (anche in sede di conferenze internazionali, con il risultato di bloccare importanti campagne di prevenzione dell’Onu) e la pretesa di regolare ogni aspetto controverso dell’esistenza individuale (bioetica, eutanasia, ricerca scientifica sugli embrioni, limiti cervellotici e vessatori alla procreazione assistita) con l’imposizione autoritaria anche ai non cattolici e ai non credenti delle regole proprie della religione cattolica.
Quest’anno, attraverso l’indicazione di astensione nei referendum sulla procreazione assistita per far mancare il quorum e invalidare la consultazione, la Chiesa cattolica italiana ha dimostrato una volta di più non solo la sua volontà di imporre all’intera società italiana la propria morale confessionale, ma anche la volontà di farlo pur sapendosi minoranza: solo sommando i (mancati) suffragi dei propri sostenitori più acritici alle astensioni fisiologiche, i vescovi possono sperare di continuare a imporre la volontà di una confessione religiosa a un’intera popolazione che, su questo punto, come attestano tutti i sondaggi, ha opinioni maggioritariamente diverse e più rispettose della libertà individuale.
D’altra parte, i fondi attribuiti con il meccanismo dell'8 per mille alla Chiesa romano-cattolica sono in larga prevalenza destinati a scopi di culto, al pagamento degli stipendi dei sacerdoti e alla costruzione di nuovi edifici ecclesiastici, all’opposto di quel che lasciano intendere i tendenziosi messaggi pubblicitari della campagna cattolica sull’8 per mille. Viceversa, la gran parte delle altre confessioni religiose concorrenti alla ripartizione di tali fondi (a cominciare dalla Chiesa valdese, il cui rendiconto è visibile all’indirizzo http://www.chiesavaldese.org/pages/finanze/otto_mille.php) li destinano invece esclusivamente a finalità sociali e umanitarie. Nell’atmosfera di parossistica mobilitazione mediatica a sostegno delle posizioni vaticane in ogni campo, seguita alla morte di Giovanni Paolo II, la Rai era addirittura arrivata, nelle scorse settimane, a censurare in un primo tempo uno spot della Chiesa valdese sull’8 per mille che evidenzia questa differenza fra valdesi e cattolici nell’uso dei fondi in questione.
Dall'altro lato, neppure lo Stato merita la nostra generosità. Lo Stato è inerte per quel che riguarda la prevenzione dell'Aids e l’Italia è il solo paese dell’Europa occidentale che abbia escluso il finanziamento della distribuzione gratuita di preservativi come strumento di prevenzione, condannando migliaia di adolescenti italiani ogni anno a infettarsi e a contagiare a loro volta i loro partner. E, mentre preleva ai cittadini omosessuali lo stesso contributo fiscale imposto agli altri, nega loro non solo il riconoscimento della parità di diritti come individui e come coppie, ma perfino una legge che vieti le discriminazioni ai loro danni, come richiesto più volte dal Parlamento europeo: una legge come quelle vigenti in quasi tutti gli altri paesi dell’Europa occidentale e come quelle che vietano anche in Italia la discriminazione di altre minoranze. Addirittura, una direttiva europea mirante a combattere la discriminazione è stata “recepita” dall’attuale maggioranza parlamentare in modo così distorto – e illegale – da rendere possibili discriminazioni in precedenza vietate da norme di legge generali.
La Chiesa valdese e metodista ha invece da tempo avviato una seria e coraggiosa riflessione anche sul tema dell'omosessualità (come sulla bioetica e da sempre sulla laicità dello Stato e della scuola pubblica, e come anni fa sul tema del divorzio e su quello dell'aborto), fondata sull'esegesi biblica e sull'impegno civile, tesa a superare pregiudizi secolari, riflessione che si è manifestata in numerose occasioni e anche con la solidarietà sempre manifestata di fronte agli ostacoli frapposti dalla Chiesa cattolica al libero svolgimento delle nostre manifestazioni. Queste riflessioni che provengono da una Chiesa cristiana universalmente rispettata e riconosciuta sono preziose per noi nel confronto con chi vuole negarci pari diritti e pari dignità sociale sulla base di una presunta “naturale” illiceità della nostra identità personale e morale.
Anche, ma non solo, attraverso questo impegno di riflessione e di ricerca, questa minoranza significativa nella società italiana ha spesso dimostrato che anche in questo paese la fede religiosa può motivare scelte di libertà anziché di autoritarismo clericale.
La scelta sulla destinazione dell’8 per mille assume un particolare significato quest’anno, al culmine di un crescendo di delirio idolatrico da cui l’intera società italiana è stata investita dopo la morte di Giovanni Paolo II e l’elezione del suo successore. Sull’onda di un servilismo e di un’eccitazione mediatica e politica senza precedenti, si è smarrita ogni memoria del carattere laico delle istituzioni italiane, del profondo pluralismo culturale, politico e religioso della società in cui viviamo, del carattere estremamente controverso, perfino per gli stessi cattolici romani, dell’eredità del defunto Papa, pienamente condivisa dal nuovo soprattutto in materia di limitazione dei diritti civili. Si è perso in questi giorni, soprattutto, ogni rispetto per i milioni di cittadini che dissentivano dalle opinioni e dalle convinzioni della Chiesa di Roma.
http://www.gaynews.it/view.php?ID=32165
lunedì 9 maggio 2005
Benedetta primavera
di Giovanni Dall'Orto
L'affossamento della chiesa cattolica, inziato da Giovanni Paolo II, potrò essere concluso senza pericolosi ripensamenti.
Giovanni Paolo II era riuscito a soffocare nella chiesa cattolica qualsiasi fermento e apertura verso il mondo moderno. Oggi le gerarchie monopolizzano con pugno di ferro le decisioni; il dibattito è impossibile, chi dissente è messo a tacere o espulso. Le teorie che osavano mettersi dalla parte dei poveri, come la teologia della liberazione dell'America Latina, sono state sradicate.
Il risultato? In America Latina oggi i poveri stanno "votando con i piedi", passando a ritmo preoccupanti a sette protestanti non meno fanatiche, ma che almeno garantiscono un sostegno socio-economico ai senza-diritti. In Africa ci sono molte conversioni all'Islam per ogni conversione al cattolicesimo, ed oggi l'Islam ha ormai più fedeli del cattolicesimo.
Anche altrove la gente "vota coi piedi". Le chiese si svuotano. I cattolici italiani che andavano a messa almeno una volta alla settimana sono passati dal 36% del 1981 al 25,8% del 1999. In Germania e in Spagna sono arrivati ad appena 17% e 18,1%.
Le donazione dell'otto per mille alla chiesa cattolica sono scese dal 43,1% del 1990 al 31,4% del 1998.
Il numero dei sacerdoti diocesani italiani è sceso da 41.666 nel 1974 a 35.019 nel 2000. Il numero di sacerdoti ordinati è crollato da 918 nel 1966 ai 384 del 1978. E questo non è un fenomeno solo italiano: nel mondo il numero dei sacerdoti cattolici è sceso da 420.971 nel 1978 a 404.626 nel 1998, nonostante la l'esplosione mondiale della popolazione e quindi del numero totale dei cattolici. Né in futuro la situazione migliorerà: i seminaristi, in Italia, sono crollati da 30.500 nel 1962 a 9.853 nel 1978, fino a 5.349 nel 2000. Su sei ragazzi potenziali preti nel 1962, oggi cinque preferiscono altre scelte.
Concentratosi sulla visione medievale della sessualità, il papato ha collezionato una sconfitta dietro l'altra su tutti i fronti: aborto (due referendum persi), divorzio, e perfino omosessualità (si pensi alla sfida lanciata, e persa, col worldpride). In diverse città italiane i matrimoni civili hanno superato quelli religiosi. E la maggioranza degli italiani, compresi quelli di centrodestra, si dice favorevole a una legge sulle "unioni civili" aperta anche agli omosessuali.
Josef Ratzinger ha vegliato inflessibilmente, in quanto capo dell'(ex) Inquisizione, affinché la chiesa cattolica non deviasse mai da questa politica suicida. La sua elezione al papato è una garanzia del fatto che le chiese e i seminari termineranno di svuotarsi. Benedetto XVI potrà in compenso consolarsi con i politici italiani, pronti a leccare il pavimento davanti a lui qualunque cosa chieda. Ma i politici possono riempirgli le casse (e lo hanno fatto in abbondanza, negli ultimi anni!) ma non le parrocchie.
Visto il bilancio, resta ovviamente da chiedere ai gruppi di cattolici gay, che da 25 anni aspettavano la scomparsa di Giovanni Paolo II nella convinzione che il prossimo papa avrebbe portato a un'apertura, su quale "apertura" stessero delirando.
Ratzinger è l'autore di documenti talmente omofobi da scadere nel fanatismo religioso (vedi http://www.alleanzacattolica.org/temi/bioetica/cdf_omosessualita.htm e http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20030731_homosexual-unions_it.html).
Ci chiediamo allora cosa occorra per fare in modo che finalmente la loro voce di dissenso, anzi contestazione, anzi critica aperta, si senta finalmente, forte e chiara, qui ed ora.
http://www.gaynews.it/view.php?ID=32153
Effetto governo per Berlusconi: patrimonio familiare triplicato
Il boom del Cavaliere trainato dalla corsa di Mediaset in Borsa anche grazie alla legge Gasparri e ai guai della Rai
In undici anni di politica il valore è salito da 3 a nove miliardi
di ETTORE LIVINI
MILANO - L'economia italiana fatica a tenere il passo del resto d'Europa. Ma l'impero di Arcore - malgrado il prestito del suo timoniere alla politica - continua a non conoscere crisi: negli undici anni dedicati a Forza Italia e al governo, infatti, Silvio Berlusconi è riuscito a moltiplicare per tre il suo valore. A inizio '94 il suo patrimonio era di 3,1 miliardi. Oggi i beni di famiglia sono lievitati a 9,6 miliardi. Pari alla somma dei soldi custoditi nelle holding di controllo (980 milioni contro i 162 del '94) e delle quote in Mediaset, Mediolanum e Mondadori, cresciute in valore da 3 a 8,5 miliardi, compresi i 2 miliardi di liquidità appena incassati vendendo in Borsa il 16,6% delle tv.
Le fortune del premier - che Forbes cataloga oggi come il venticinquesimo uomo più ricco del mondo - sono passate indenni attraverso la frenata congiunturale, un quinquennio di interregno dell'Ulivo e lo sboom della bolla internet. Trainate da Mediaset che dal '94 - grazie anche al salvataggio di Rete 4 e alla resistenza "relativa" offerta dalla Rai - ha macinato record di audience, di utili e di raccolta pubblicitaria. Il suo valore - come ovvia conseguenza - è decollato: dalla quotazione a oggi i titoli delle tv del premier hanno guadagnato il 187%. Un'anomalia nel panorama dei media europei - l'indice che registra il valore in Borsa del settore è sceso da allora del 4% - e anche rispetto ai risultati di altre blasonate dinastie imprenditoriali italiane: nello stesso periodo la Fiat ha ridotto del 76% la sua capitalizzazione e il titolo Benetton ha perso il 24%. Il valore della quota Mediaset in tasca al premier è salito in undici anni da 2 a 6 miliardi, con Mondadori che nello stesso arco di tempo ha raddoppiato il suo valore e Mediolanum che lo ha addirittura triplicato.
Le attività operative hanno pompato verso Fininvest centinaia di milioni di cedole. E la holding di via Paleocapa, a sua volta, ha versato nelle casseforti personali di casa Berlusconi (in via di riorganizzazione per "sistemare" tutti e cinque i figli del premier) quasi 700 milioni dal '94 a oggi. Pari a uno "stipendio" medio mensile di 5,2 milioni di euro per il presidente del Consiglio. Questa pioggia di dividendi potrebbe gonfiarsi ancor di più quest'anno: malgrado la crisi dell'Italia Spa, infatti, Fininvest ha chiuso il primo semestre 2004 con oltre 400 milioni di utili.
Qualche rimpianto, però, rimane. Non tutte le avventure imprenditoriali dell'ultimo decennio hanno dato i risultati sperati. La spina nel fianco sono tre disavventure senza le quali il bilancio del premier avrebbe potuto essere ancora più rosa: l'investimento nelle tv tedesche di Kirch, le Pagine Utili e il Milan.
Queste tre partecipazioni, da sole, hanno bruciato un miliardo di euro, più dei soldi incassati da Fininvest con la quotazione di Mediolanum e Mediaset. Quasi 400 milioni sono spariti nel buco Kirch. Circa 300 sono andati in fumo nella sfida alle Pagine Gialle. Mentre la passione per i rossoneri (ripagata a suon di scudetti e coppe) è costata al premier dal '94 a oggi 230 milioni di euro.
Certo parte del merito del boom del conto in banca di Berlusconi va ai "supplenti" cui ha affidato i beni di famiglia, dai figli Marina e Piersilvio a Fedele Confalonieri. Ma un aiuto importante - sintesi di un conflitto di interessi mai risolto - è arrivato anche direttamente dai provvedimenti del governo. Magari non "ad hoc" come il salva-Previti o la Cirami, ma cavalcati a suon di milioni di risparmi dalle aziende di casa. Difficile quantificare quanto le "sbandate" della Rai targata centro-destra abbiano contribuito alle fortune di Mediaset. Ma gli esempi di ricadute dirette dell'attività politica sul patrimonio del premier sono tanti: la Tremonti uno e la Tremonti Bis hanno consentito a Mediaset di risparmiare oltre 150 milioni di imposte. Stesso discorso per il condono fiscale.
Certo Mediaset ha pagato 2 miliardi di tasse in 11 anni, ma Berlusconi si era pubblicamente impegnato a non utilizzare questo strumento per le società di casa. Peccato che dalle tv a Idra (la Spa che controlla Villa Certosa) quasi tutte le sue aziende ne abbiano beneficiato. In tutto sono stati versati 60 milioni circa per cancellarne 220 pretesi dall'erario. L'elenco degli "aiutini" dall'esecutivo è lungo: il salva-calcio ha consentito a Berlusconi di evitare di staccare un assegno di 242 milioni (la svalutazione dei giocatori ammortizzata in dieci anni). La riforma Tremonti sulla tassazione delle plusvalenze ha consentito di rimbalzo al premier di risparmiare 340 milioni di tasse sull'ultimo collocamento Mediaset. E la madre di tutte le riforme Tv, la legge Gasparri, "regala a Mediaset un bacino di crescita potenziale di 1-2 miliardi", come ha candidamente ammesso lo stesso Fedele Confalonieri. Forse - a undici anni dal primo successo elettorale e con un portafoglio che ha triplicato il suo valore - anche Berlusconi si è convinto che la politica è un calice meno amaro del previsto.
(9 maggio 2005)
http://www.repubblica.it/2005/e/sezioni/economia/patriberlu/patriberlu/patriberlu.html