sabato 26 febbraio 2005

Cari lettori

Non sappiamo, e non c’interessa sapere se definire una mascalzonata la puntata sul G8 di Genova di “Punto e a capo” sia fare del giornalismo molto massimalista oppure poco riformista. È stata una mascalzonata di regime (sì, di regime) punto e basta.

Non capiamo (o forse lo abbiamo capito troppo bene), come mai la maggior parte dei giornali italiani abbia occultato quanto l’avvocato Mills ha dichiarato al “Guardian” sulle operazioni fittizie, con ipotesi di frode fiscale, per destinare ai figli di Berlusconi parte del capitale Mediaset. Noi lo abbiamo pubblicato con il rilievo dovuto perché stiamo, e continueremo a stare dalla parte del “Guardian”, dell’”Independent”, dell’”Economist”, de “L’Observateur”, de “El Pais” e di tutta la libera stampa internazionale che da quattro anni descrive esterrefatta il dramma di un grande paese sottomesso agli interessi, spesso poco chiari, di un piccolo uomo.

Ci dispiace che tra l’Unione e i radicali non sia stato raggiunto il tanto auspicato, da noi, accordo elettorale. E se hanno sbagliato i radicali, lo scriveremo. E se ha sbagliato l’Unione lo scriveremo con maggiore dipiacere, come si fa con gli amici più cari, perché noi vogliamo che l’Unione vinca e governi l’Italia.

Se il governo di Israele e quello dell’Anp decidono di investire coraggio, prestigio e futuro per un nuovo rapporto che possa finalmente portare alla creazione di due stati che potranno vivere in pace, noi siamo con il governo d’Israele e con il governo palestinese perché siamo per la pace (e se all’ambasciatore d’Israele viene impedito di parlare all’Università di Firenze, gli esprimiano viva solidarietà perché noi siamo contro l’intolleranza e la stupidità).

Abbiamo voluto fare qualche esempio di quello che l’«Unità» vuole continuare a essere, a beneficio, anche, di quei giornali (pochi per fortuna) che davanti alla staffetta tra Furio Colombo e Antonio Padellaro hanno cominciato a ricamare merletti su possibili riposizionamenti della nuova direzione. Nell’immaginare un giornalismo popolato di camerieri sull’attenti tenuti, in cambio della cadrega, all’osservanza delle istruzioni per la servitù, costoro probabilmente riflettono all’esterno la loro triste condizione umana e professionale. Se non fosse il giornale libero che è l’«Unità», probabilmente, non avrebbe avuto i problemi che ha (la pubblicità negata, soprattutto) e di cui Furio ha scritto nell’editoriale di mercoledì scorso come meglio non si poteva. La libertà di stampa non è l’esercizio di una virtù ma il perseguimento di una necessità. Lo ha detto Paolo Mieli quando è ritornato alla direzione del «Corriere della sera» che la libertà di stampa è un potere per contrasto: se la stampa è compiacente essa finisce molto rapidamente per non contare più nulla, per non avere più potere. E allora: quali giornalisti e quale giornale, degni di questo nome, possono desiderare di non contare nulla?

Personalmente ho sempre considerato con un certo divertimento i buoni propositi dei direttori freschi di nomina: una grandinata di faremo e diremo da lasciare tramortiti i lettori (immancabile la frase: staremo dalla parte dei cittadini e fuori dal palazzo). Un tale guarnimento di parole mi viene risparmiato dal fatto che ricoprendo da quattro l’incarico di condirettore di questo giornale credo, in qualche modo, di avere già fatto e già detto quel che basta per essere giudicato.

Tuttavia, qualche punto fermo va ribadito. L’indiscutibile successo di questa «Unità» risorta dalle ceneri si deve, prima di tutto e prima di tutti, a Furio Colombo. Del resto, è quanto c’è scritto nelle centinaia di lettere e di messaggi di stima e di affetto che stanno arrivando in redazione e che solo in parte riusciamo a pubblicare. A proposito di questi quattro anni, Furio ha scritto di una conduzione del giornale «molto legata e molto unita», ed è una verità di cui lui e io siamo particolarmente orgogliosi; poi ha annunciato che resterà per continuare a scrivere articoli che saranno simili a quelli che ha già scritto prima e che «hanno tanto irritato Berlusconi e il suo personale». Chi temeva per l’identità e la continuità del giornale può sentirsi, dunque, rassicurato.

Qualche parola, infine, sui problemi dietro l’angolo. Il direttore dell’«Unità» si trova al centro di un triangolo della fiducia (nella speranza non diventi un triangolo delle Bermude) formato dalla proprietà, dalla redazione, dai lettori.

Non è formale il ringraziamento ai consiglieri di amministrazione della Nie per la fiducia che mi hanno accordato, e per tutto ciò che hanno fatto e che faranno per l’autonomia di questa storica testata.

I colleghi della redazione, che al successo di questa «Unità» hanno contribuito con grande passione, si esprimeranno quanto prima sulla nuova direzione, speriamo positivamente.

I lettori, infine, anche se evidentemente tutte le righe che precedono è a loro che sono dedicate. Nell’alluvione di messaggi che stiamo ricevendo, la stragrande maggioranza manifesta preoccupazione, a anche amarezza, per quanto sta accadendo all’«Unità»; ma, nello stesso tempo, conferma piena fiducia nel giornale. Poi ci sono alcuni (pochi) così preoccupati che la linea del giornale possa appiattirsi, scolorirsi, perdere vigore da prendere in considerazione la possibilità di non comprarci più. A loro chiediamo se hanno visto venerdì sera Antonio Polito ospite della puntata di «Otto e mezzo» dedicata all’«Unità» discettare sul futuro di questo quotidiano. Che il direttore del «Riformista» prevede essere un grigio futuro di giornale trasformato in una sorta di bollettino di partito. Non si comprende quale interesse avrebbero mai i Ds a normalizzare un giornale che rappresenta l’opinione forte di tutta l’opposizione, alla vigilia di una stagione elettorale decisiva. E, infatti, oltre che impossibile sarebbe assurdo. E infatti il ragionamento di Polito è più sottile: far sì che l’«Unità» così accuratamente diffamata possa subire una tale emorragia di copie da ridursi rapidamente a testata marginale; cosicché il foglio arancione possa in qualche modo prenderne il posto.

Insomma, non comprando più l’«Unità» quei lettori arrabbiati di cui sopra, oltre a danneggiare il giornale che dicono di amare, finirebbero per fare il gioco di chi questo stesso giornale vuole indebolire, ma per le ragioni politiche esattamente opposte. Quindi, cari lettori che ci volete lasciare la richiesta di tenere duro, di giudicare l’«Unità» sui fatti e non su timori immotivati, non è una petizione per sostenere questa direzione ma è il solo modo che abbiamo per darvi ragione.

Da l'Unità del 26/02/2005

venerdì 25 febbraio 2005

«Punto e a capo», squadrismo tv contro la sinistra

di Anna Tarquini

Pensavamo di aver visto tutto, ma Punto a Capo di giovedì sera ha superato qualsiasi immaginazione. È andato in onda lo squadrismo in tv, è andato in onda un processo postumo al G8, ma soprattutto alla sinistra e senza contraddittorio possibile. L’inchiesta, come l’ha chiamata Masotti, aveva un titolo: «Genova G8, lezione di guerriglia urbana».

Le prove: qualche filmato inedito sugli scontri, ma soprattutto tre registrazioni di telefonate e una e-mail, secretate dai magistrati di Cosenza che stanno indagando su una decina di no global. Atti che non potrebbero nemmeno esser pubblicati e che vengono trasmessi in diretta tv nell’ora di massimo ascolto. Non sono previsti filmati con le cariche della polizia ai manifestanti, ai sessantenni scesi in piazza con i giovani e alla gente comune. Non si dice che a Genova è in corso un processo che vede decine di agenti di polizia, compresi i vertici del Viminale, accusati di falso e lesioni gravi.

Inizia così Masotti. Inizia con la faccia che sembra uno smacco: «Abbiamo documenti scottanti, e-mail che vi faremo vedere per dare un contributo alla verità. Ma noi non siamo giudici, non siamo qui per questo». Una pausa e precisa: «Avevamo invitato Agnoletto insieme al ministro Gasparri che tra poco sarà coin noi. Ma un’ora e mezzo prima dell’inizio della trasmissione ha declinato l'invito». Legge la motivazione: «Indipendentemente dal fatto che, come lei ben sa, la legge italiana vieta la diffusione di materiale depositato in sede di indagine prima che sia giunto a conclusione il processo di appello - scrive Agnoletto - per quanto mi riguarda non condivido e non mi sono mai arreso all'idea che i processi, prima ancora che in tribunale, si svolgano negli studi televisivi». Non commenta oltre e passa a Caruso, il leader dei no global napoletani che non ha invitato e che non è nemmeno in collegamento telefonico. «Caruso mi preannuncia querela. Ma anche noi staremo a vedere cosa succederà».

Stacco, parte il filmato con una manifestazione di piazza. Non è una manifestazione qualsiasi e non è il G8. È il corteo di sabato scorso per la liberazione di Giuliana Sgrena. La telecamera inquadra Caruso e un gruppo di disobbedienti. In sottofondo si sentono le loro voci scherzare con l’operatore «Ti ammazziamo, ti ammazziamo, sei della Digos». E la risata di un bambino. Poi l’obiettivo inquadra Caruso che sfila pacificamente dietro uno striscione mentre viene intervistato. Masotti commenta fuori scena: «Ecco quali sono le frasi che usano, ecco come si comportano alle manifestazioni». Poi ammicca al pubblico: «Consigliamo questo programma ad un pubblico adulto». È il momento, Masotti tira fuori lo scoop, quell’intercettazione che nessuno dovrebbe avere. Per loro è la prova. È il 18 luglio alle 17.46, Caruso parla con un giornalista a proposito della zona rossa posta a protezione dell'area del vertice e spiega: «ma noi andremo oltre la zona rossa. Cioè, se ci saranno altri muri che non saranno di ferro, saranno umani». Quanto all'eventualità di «superare prima degli altri muri, non è questo il problema, l'abbiamo preventivato. Cioè che c'era prima un muro che è fatto appunto... che costa 24 milioni al mese senza gli straordinari, che è fatto coi manganelli, coi caschi».

La scena si apre sullo studio. Sono presenti Barbara Palombelli, Marco Rizzo, Diaconale e il ministro Gasparri. Non c’è Casarini, non c’è Caruso. «Ecco - sorride Masotti - abbiamo visto la preparazione alla guerriglia urbana, chiedo a Rizzo (Comunisti italiani) un commento». «La prima cosa che mi viene da dire della vostra trasmissione è che state violando il segreto istruttorio e lo state facendo in televisione - dice - Mi viene da rilevare la gravità della modalità con cui avete usato le intercettazioni». Interviene Palombelli: «Prendo le distanze dalla trasmissione e da Rizzo, anche perché in questo momento dovremmo pensare al Santo Padre». Masotti a Diaconale: «Avresti pubblicato questo materiale?». «Sì, l’avrei pubblicato».

È la volta di Gasparri: «Sentire le affermazioni di Caruso e Cesarini nei filmati è come fare un’intervista. Quello che dobbiamo rilevare è che c’è una contiguità tra la sinistra e i movimenti. Vogliamo ricordare il consigliere D’Erme che è stato arrestato per una manifestazione non global?». Il ministro di An non parla molto perché arriva la seconda prova, l’altra intercettazione e gli altri filmati. La telefonata è delle 23.48 del 16 luglio 2001, e a pochi giorni dal G8 di Genova. Francesco Caruso parla con Pietro: «C'è anche il Black Bloc qui con noi - dice Caruso - allo stadio Carlini ci stanno i Black Bloc, svedesi, inglesi che vogliono fare come Goteborg, cioè vogliono fare una cosa assieme sul livello della disobbedienza....». Il filmato riprende le devastazioni di Genova e Caruso che parla: «La città è grande - dice al megafono in piazza - ci sono mille vie e ognuno è libero di manifestare come crede». Parlano ancora la Palombelli, e Diaconale che dice: «C’è una verità oggettiva, la violenza di Genova è stata organizzata. E c’è una verità giudiziale che ha colpito soprattutto o poliziotti». Masotti interrompe: «C’è soprattutto un rapporto con i black bloc che è stato sempre negato». Lo ferma Rizzo, l’unica controparte: «A Genova è stato ucciso un ragazzo e questo non è stato proprio detto in trasmissione. A Genova ci sono delle indagini dei magistrati sui pestaggi, quella banda vestita di nero che sembrava uscita dalla Rinascente, quella che avete fatto vedere adesso perché non l’ha fermata nessuno? E Fini, perché Fini era nella caserma dei carabinieri quel giorno?». La risposta non arriva. La trasmissione viene interrotta per un collegamento sul Papa. Quando si torna in studio c’è solo posto per Gasparri. L’ultimo insulto: «Qui parliamo di violenza e toni di violenza usati dall’Unità e dal suo direttore che dopo una vita passata come dipendente della Fiat nei C.d.A. e nei paradisi fiscali, quasi per farsi perdonare è diventato estremista»

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=41078

lunedì 21 febbraio 2005

Primarie in Toscana: più di 150mila al voto

Domenica 20 febbraio 287 comuni della Toscana hanno votato per le prime elezioni primarie ufficiali nella storia della Repubblica italiana, in vista delle regionali del 3 e 4 aprile. E' infatti la prima volta che i partiti, in seguito all'approvazione del nuovo Statuto e della nuova legge elettorale toscani, possono utilizzare questo strumento per designare i candidati all'interno delle proprie liste.

I Democratici di sinistra sono stati gli unici ad avvalersi delle primarie, aperte al voto di tutti i residenti nella regione. Settantatre gli esponenti del partito guidato in toscana da Marco Filippeschi, candidati per i 63 posti che ai DS spettano nelle liste di Uniti nell’Ulivo. Nel dettaglio 17 a Firenze, 6 ad Arezzo, 4 a Grosseto, 6 a Livorno, 7 a Lucca, 3 a Massa Carrara, 7 a Pisa, 5 a Pistoia, 4 a Prato e 4 a Siena. Fra di loro le donne sono 35, quasi la metà, mentre sono 12 i ragazzi provenienti dalla Sinistra Giovanile.

L’affluenza è stata altissima, superiore alle aspettative. Hanno votato infatti in più di 150 mila (secondo una stima dei Ds), di cui solo un terzo iscritti allla Quercia e che rappresentano circa il 21% dei voti presi dai Ds alle precedenti regionali toscane. Alti picchi di affluenza sono stati rilevati, oltre che nel capoluogo di Regione in cui hanno votato in 44.000, anche ad Arezzo e a Pisa, le città in cui i 'duelli' tra candidature forti si sono più sentiti e a Lucca (12.000 di cui solo 2000 iscritti alla Quercia). In Toscana elezioni primarie autogestite, si erano svolte anche nel ’95 e nel 2000. In quell’occasione, nonostante fossero presenti 350 seggi in più, l’affluenza fu di 70.750 di cui (34.000 circa iscritti ai DS e 36.000 non iscritti).

La grande affluenza è stata valutata positivamente anche dalla Regione, che ha sostenuto le spese ed ha organizzato e controllato lo svolgimento del voto e l' esito della consultazione nelle 603 sezioni distribuite nelle 10 province e nei 287 comuni del territorio.

«L’esperimento della legge regionale per le primarie - dice Marco Filippeschi - è riuscito. Abbiamo superando da soli e di gran lunga la partecipazione della Puglia dove le primarie le aveva fatte l'intero centrosinistra con grande battage mediatico nazionale. La Toscana può essere fiera di questa esperienza che costituisce anche una spinta positiva alla lista unitaria dell'Ulivo e a Claudio Martini».

«E' un'ottima partenza, segno che ai toscani piace partecipare - ha dichiarato Claudio Martini, presidente della Regione Toscana - ed è un risultato incoraggiante visto che si tratta della prima esperienza assoluta e a cui ha partecipato un solo partito, i Ds. Se anche gli altri partiti sia del centrosinistra che del centrodestra avessero fatto altrettanto, tutta la politica avrebbe dato un segnale di apertura e di incoraggiamento alla partecipazione degli elettori».

http://www.dsonline.it/stampa/documenti/dettaglio.asp?id_doc=23464

Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

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