La presidente risponde alle accuse del settimanale diocesano e della Margherita: sono laica non estremista.
di ETTORE BOFFANO
«Bresso come Pannella». Curia dixit: offesa, presidente?
«Nemmeno per sogno. Lo sanno tutti che sono stata radicale. Poi me ne sono andata, perché non condividevo proprio certe esagerazioni di Marco».
Quali?
«La droga, ad esempio. Io non sono per la liberalizzazione e non credo neppure tra quelli che vogliono rendere ancora più facile l´aborto».
Offesa, allora, perché la Voce del Popolo le lancia accuse di laicismo?
«Ohibò, e non lo sapevano che ero laica? Essere laici, nel senso di liberi, è la normalità. Invece, è sbagliato essere zelanti, baciapile insomma...».
Si spieghi meglio...
«Come la penso, lo sapevano tutti quando sono stata scelta, compreso Stefano Lepri. Dunque, se mi danno della laica, non mi arrabbio. Ciò che non posso accettare, invece, è che mi si faccia passare per un´estremista».
Credente, come Fassino?
«No, non lo sono. Ma non sono antireligiosa, comunque. Mi piacciono molto i valdesi, ad esempio».
Le accuse del giornale cattolico, però, sono circostanziate. Come si difende sulla pillola abortiva?
«Lo ripeto: io non voglio allargare le maglie della legge 194 e condivido di quella legge ogni elemento che propone alla donna percorsi che possano aiutarla a scegliere una via diversa dall´aborto. Ma quando una donna ha deciso, se esiste un metodo più dolce per eliminare al gravidanza, allora va difeso. Alla fine, forse lo ha capito anche Storace».
Non piacciono neppure le sue idee sui Pacs, quella sigla complicata che vuol dire patti civili di solidarietà. Chi ha ragione?
«Io, visto che ho solo chiesto a Prodi di inserirli nel suo programma di governo. So benissimo che questo tema deve essere deciso dallo Stato, ma sono pronta a far modificare anche le poche norme regionali che riguardano questo argomento».
E se la Chiesa torinese non è d´accordo?
«Non so che dire: per quanto riguarda i diritti civili io non sono intransigente: sono addirittura intrattabile. E sui diritti anche la Chiesa dovrebbe pensarla come noi: lasciare liberi i cittadini e poi chiedere a chi crede di essere coerente col Vangelo. Tutto qui».
Lepri le consiglia di parlare meno e di concordare la posizione quando si parla di etica. Ha ragione lui?
«Ma non scherziamo... Non sono argomenti del programma, non ho e non ho assunto vincoli politici. Per capirci: io su questi temi dico quello che penso, non quello che vuole qualcun altro. E poi le consultazioni le facciamo già, mi stupisce che si facciano polemiche su questo punto. Giuliana Manica ha presentato un progetto di legge dei Ds sulle pari opportunità. In Consiglio ne discuteremo con la maggioranza, medieremo, troveremo una linea comune».
Torniamo da dove eravamo partiti: l´Unione tratta con i radicali. Prodi tentenna, lei li vuole?
«Sono stata radicale, gliel´ho già ricordato e poi io volevo portarli addirittura nella mia coalizione. Però...»
Però?
«Però c´è Pannella. Che estremizza, esaspera, fa e disfa. Quasi sempre, alla fine, non accade nulla».
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"La Voce? Non l´ho letta" E Poletto fa il prudente
di PAOLO GRISERI
Nasce il partito del cardinale? L´arcivescovo Poletto ne farebbe volentieri a meno, attento com´è stato fino a ieri ad evitare confusioni pericolose tra insegnamento morale e battaglia politica. Non foss´altro per evitare una diminutio di ruolo: la recente contestazione a Ruini è la dimostrazione più evidente dei rischi che corrono i prelati quando dismettono i panni del loro magistero per adattarsi all´abito più prosaico di capipopolo. Così ieri, aprendo la due giorni di riflessione del clero, il cardinale si è ben guardato dal rinfocolare la polemica aperta dal suo settimanale contro il laicismo della giunta Bresso: «Non ho ancora letto l´articolo», ha precisato, «però su famiglia e procreazione la Chiesa ha il diritto e il dovere di dire la propria posizione. Una puntualizzazione solo apparentemente di forma. La Curia è in netto dissenso, come si comprende dall´articolo comparso su La Voce del Popolo, rispetto alle posizioni del centrosinistra su coppie di fatto, pillola abortiva, diritti civili degli omosessuali. Ma il cardinale ha preferito ieri non spingere oltre lo scontro evitando di sfiduciare la giunta regionale. Un passo che lo avrebbe posto nell´imbarazzante situazione di dover sposare, per gli automatismi del gioco politico, alleati assai più imbarazzanti. Con un tocco di spregiudicatezza il settimanale diocesano ha dipinto la giunta Bresso come ostaggio dei radicali: «La Regione di Pannella» , era il titolo dell´articolo. Ma il cardinale sa che, con analoga forzatura, sarebbe assai rischioso essere dipinti come «La Curia di Storace» . Il problema è che, a Torino come a Roma, i cattolici in politica sono uniti dalla crociata contro le coppie di fatto ma sono divisi su tutto il resto. E, a ben vedere, anche sulle questioni etiche presentano non di rado inquietanti differenze tra il dire e il fare, tra i principi proclamati e le scelte praticate. Perché, a Torino come a Roma, i partiti indicati dall´articolo della Voce del Popolo come i depositari naturali dell´insegnamento della Chiesa sono talvolta guidati da persone che attendono miracolistici annullamenti di matrimonio dalla Sacra Rota per regolarizzare le unioni di fatto nel frattempo costruite. Episodi della vita privata che diventano inevitabilmente pubblici quando i protagonisti si ergono a giudici delle pagliuzze altrui negando il diritto civile della chiarezza a chi compie le loro stesse scelte ma evita di nasconderle in confessionale. Campanelli d´allarme che consigliano alla Curia qualche prudenza nell´abbracciare in modo disinvolto questo o quell´esponente politico dell´area centrista.
Ma, nonostante queste cautele dell´arcivescovo, gli aspiranti militanti del partito del cardinale sono in continua crescita. Ubriacati dal successo del referendum sulla fecondazione assistita, si assiepano e fanno a gara nell´interpretazione autentica del pensiero della Chiesa e nella sua traduzione in proposte di legge, ordini del giorno, emendamenti. Dichiarava ieri, su questo giornale, il capogruppo regionale della Margherita che «la Curia ha diritto di prendere posizione. Se lo fa Bresso lo può fare anche la Voce del Popolo». Ci mancherebbe. Ma si torna al problema della «diminutio»: perché mettere sullo stesso piano una maggioranza politica e un settimanale diocesano su questioni che, oltretutto, dividono profondamente i cristiani? Che cosa risponderebbe il capogruppo della Margherita se un esponente della sua maggioranza decidesse di tradurre in legge, in tema di procreazione, l´insegnamento delle Chiese protestanti?
Il nodo vero, a Torino come a Roma ma soprattutto a Torino, è nell´afasia, nella mancanza di dibattito pubblico tra i cattolici torinesi sui temi della famiglia e della laicità dell´impegno politico. Per la Chiesa che fu del cardinale Pellegrino questo è un ulteriore campanello d´allarme: quell´afasia appiattisce i cattolici sulle posizioni delle gerarchie, spinge i loro rappresentanti a scimmiottare i vescovi traducendo in delibera le omelie e crea qualche imbarazzo ai cardinali, costretti ad arginare i continui tentativi di iscrizione a un partito che, forse, non vorrebbero guidare.
http://www.gaynews.it/view.php?ID=34370
sabato 1 ottobre 2005
Bresso: "Dico ciò che voglio. Sui diritti civili sono intrattabile"
Le strane coppie del polo
Nel governo sono molti i conviventi, temporanei o no, tuttavia strenui avversari dei Pacs
di Federica Fantozzi/Roma
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Mentre infuria la tempesta sui Pacs - osteggiati da Lega, Udc e parte di Fi, scomunicati dal cardinal Ruini come rovina-famiglie, derubricati a contratti amministrativi da Rutelli - una lettrice scrive: «Certo i redditi dei parlamentari non hanno bisogno dei Pacs».
Però i nostri eletti hanno già la possibilità di avvalersi dei relativi benefici: basta una semplice dichiarazione per estendere pensione e assistenza sanitaria al/la convivente.
Categoria questa che in molti - per scelta o lungaggini nello scioglimento del rapporto precedente - sperimentano. Così capita che quando Pierferdinando Casini chiede «rispetto per il suo diritto di dire laicamente no» ai Pacs, gli replichi «con rispetto» il Dl Mantini: «Casini che conosce la condizione dei conviventi e dei padri di fatto comprenda che i valori si tutelano senza ipocrisie...». Il cattolicissimo presidente della Camera convive obtorto collo: pendente la sua richiesta alla Sacra Rota di annullamento del matrimonio con Roberta Lubich (sposata dopo l'annullamento delle precedenti nozze di lei) da cui ha avuto due figlie adolescenti, è legato all'imprenditrice Azzurra Caltagirone e padre della piccola Caterina.
Il leader di Cl e "governatore" lombardo Roberto Formigoni che ritiene la posizione di Prodi sui Pacs «uno scivolone rivelatore di come l'Unione non voglia difendere la cellula fondamentale della società: la famiglia» 6 anni fa finiva sulla copertina di Novella 2000 accanto alla fidanzata Emanuela Talenti in lacrime.
Il Celeste e l'altissima indossatrice facevano coppia nelle occasioni sociali, trascorrevano le vacanze insieme ed erano dati per nubendi dai rotocalchi rosa: invece non fu così.
Nando Adornato, ex laico di sinistra convertito alla dottrina teo-con, ha precisato alla Stampa che lo inseriva tra gli «onorevoli conviventi» di essere «felicemente sposato da qualche anno». Negli scapigliati anni '70 invece, quando «la coppia simbolo erano Simone de Beauvoir e Sartre», preferiva la convivenza (da cui è nato un figlio oggi ventenne) rievocata in un'intervista a Maria Latella: «La coppia aperta che inferno».
La Lega è paladina della famiglia tradizionale «impostata su riconosciuti valori e responsabilità» con qualche incongruenza. Passi il decennio di convivenza di Umberto Bossi divorziato prima di impalmare Manuela Marrone in seconde nozze. Ma sarebbe interessante sapere cosa ne pensa Ruini del matrimonio celtico, con druido e altare a Odino e giuramento «sul fuoco che mi purifica», celebrato nel 1998 da Roberto Calderoli (oggi - che sollievo - regolarmente coniugato davanti a Dio).
Calderoli che aborre le coppie di fatto in quanto «atto contro natura e primo passo verso la dissoluzione di una società fondata sui valori» e non pensava che «per un pugno di voti il centrosinistra potesse cadere così in basso», 7 anni fa scambiava i braccialetti (mica gli anelli) con la poetessa Sabina Negri in abito celtico di Gattinoni color Padania in autunno, nella villa del calciatore Vialli: un simpatico rito pagano officiato da Formentini.
Nel '98 sempre con rito celtico Roberto Castelli, divorziato con un figlio, sposava a Pontida la giovane attivista Sara Fumagalli: nozze "regolarizzate" in comune quest'anno.
Dall'esilio dorato di Bruxelles riemerge Franco Frattini per ritenere «non necessaria» l'introduzione dei Pacs in Italia: «La mia opinione come cittadino è che non ce n'è assolutamente bisogno, tenderei a escluderli. La Costituzione va bene così, la legge è una buona legge». Frattini, separato con una figlia, già fidanzato con un paio di teleconduttrici, è stato goliardicamente salutato da Berlusconi a Gubbio: «Attente ragazze, so che Franco è tornato single...».
La nivea attrice Elisabetta Gardini, divorziata con un figlio, convive da anni con un regista, ma come portavoce azzurra ammonisce: «Con Prodi l'Italia imboccherebbe la deriva zapaterista anche sulle questioni eticamente sensibili».
Dal sacrificio della convivenza non si è salvato neppure Silvio Berlusconi: ottenuto il divorzio dalla prima moglie Carla Dall'Oglio ha sposato l'attrice Veronica Lario dopo 6 anni di convivenza. Dei tre figli avuti con lei, la primogenita Barbara è nata prima del matrimonio.
E dalla memoria storica rispunta il caso del Dc Alberto Michelini, strenuo custode della famiglia e caro all'Opus Dei. Il futuro deputato forzista visse un breve momento di imbarazzo quando, nel 1989, vennero resi inopinatamente noti i verbali dell'annullamento delle sue prime nozze. «L'uomo deve essere libero e non legarsi mai con alcun vincolo» confessava allora ai giudici della Sacra Rota (poi si risposò). Sua madre testimoniava: «Nostro figlio diceva sempre che non avrebbe mai sopportato una donna vicino per tutta la vita. Per questo con mio marito maturammo la convinzione che sposandosi faceva una buffonata». A diffondere i verbali fu un consigliere comunale missino, Tommaso Manzo, che così si giustificò: «Niente di personale, anche altri candidati Dc sono divorziati e risposati. Ma almeno non poggiano il proprio programma sulla difesa del matrimonio e della famiglia».
http://www.gaynews.it/view.php?ID=34374
giovedì 29 settembre 2005
Il «Guardian»: Berlusconi è troppo vecchio
«Il compleanno di Berlusconi richiama l'attenzione su una delle principali ragioni» per cui gli viene chiesto di lasciare: sta per compiere 69 anni, «alla fine della prossima legislatura ne avrà 74». Parola di uno dei più autorevoli quotidiani inglesi, il Guardian, che ieri. alla vigilia del gentiliaco del Cavaliere, gli "regala" un articolo sulle sue difficoltà politiche. «Un lifting al viso e un trapianto di capelli lo fanno sembrare di gran lunga più giovane della sua età - scrive - ma non possono cambiare il fatto che l'uomo più ricco d'Italia adesso ha superato l'età in cui la maggior parte dei politici corrono per un alto incarico». Non è questo l'unico fattore per cui il presidente del Consiglio appare «vulnerabile»: Berlusconi a Palazzo Chigi «è diventato esattamente l'opposto di quello che ci si aspettava fosse». Così, mentre ha imparato a essere un abile politico, «è stato disastrosamente incapace a gestire l'economia». Amara la profezia conclusiva per la CdL: «Con o senza il suo leader carismatico la destra avrà davanti una strada in salita per vincere le prossime elezioni».
http://www.articolo21.info/editoriale.php?id=1206
Tanti auguri, Dorian Gray
di Marco Travaglio
Domani il Cavalier Bellachioma compie i suoi primi 69 anni e questa rubrica, che gli deve molto, intende formulargli i più fervidi auguri. Ne ha bisogno. Vorremmo tanto dirgli “69 e non li dimostra”, ma proprio non si può. Perché fino a un mese fa l’aitante vegliardo era riuscito a mascherare l’età con ogni sorta di accorgimenti: dagli scattini atletici alle battute da playboy, dal fard al lifting, dalla lipo ai trampoli nei tacchi, dai due trapianti piliferi al botulino che, per un dosaggio eccessivo, gli ha trasformato la fronte inutilmente spaziosa in una calotta liscissima, tipo circolo polare artico o campo da hockey su ghiaccio. Il suo ritratto di Dorian Gray, tutto rughe, pappagorge e zampe di gallina, se ne stava buono buono in qualche anfratto sotterraneo del mausoleo di Arcore. Poi di botto, come in un film di Stephen King, gli è zompato addosso, scaricandogli sul groppone i suoi 69 anni, tutti insieme contemporaneamente. E stato quando, nella conferenza stampa dal titolo “Il ritorno di Tremonti”, Bellachioma salutava i giornalisti dopo un lungo monologo alla presenza muta di Fini e Follini. Non era previsto, come sempre, che i due proferissero verbo. Invece, quella sera, Follini parlò. Il giovine Udc che lui chiama “metastasi” comunicò davanti a tutti, di non esser d’accordo sul candidato unico del partito unico: cioè Lui. In quel preciso istante una lunga crepa si fece largo nell’armatura di fard a pronta presa che fodera il volto di Dorian Gray. E non ci fu verso di rimarginarla, nonostante le amorevoli cure delle badanti Bondi e Cicchitto. Che qualcosa si fosse rotto per sempre nel meccanismo frankensteiniano, si è capito giorni dopo, quando Bellachioma ha tentato di riprendersi con una barzelletta. Quella di Berlusconi che cammina sulle acque e tutti i giornali (comunisti) titolano: “Non sa neanche nuotare”. Tutt’intorno, il gelo, a parte qualche sorriso forzato delle guardie del corpo: l’aveva già raccontata nel ‘94. Ieri, in Senato, ci ha riprovato con quella del Paese sull’orlo del baratro e della sinistra che l’invita a fare un passo avanti. Sull’emiciclo è di nuovo calato un glaciale imbarazzo: la battuta l’aveva scartata Bramieri negli anni 50, perché troppo vecchia. Che Bellachioma non sapesse governare era noto anche ai suoi, ma che fallisse con le barzellette, è un ‘assoluta novità. D’altra parte, nel recente sfogo al fianco del devoto Adornato, l’aveva previsto lui stesso: “Quando vedrò che la mia immagine non corrisponde più a me stesso, allora esploderò”. Ecco, è esploso.
La sua immagine non corrisponde più al “se stesso “che aveva in mente Lui. Quel Se Stesso che firmava contratti con gl’italiani (peraltro assenti) sulla scrivania di Vespa; disegnava “grandi opere” dappertutto sulla lavagna di Vespa; prometteva “meno tasse per tutti”, “città più sicure”, “pensioni più dignitose”, “due milioni di posti di lavoro”, e, casomai avesse mancato più di una delle cinque promesse contrattuali, niente ricandidatura nel 2006. Poi cominciò a dire di essere “avanti col programma”, anzi di averlo “già realizzato tutto”. Ma, siccome la gente non abboccava nemmeno nei sondaggi, di punto in bianco il contratto sparì. E ora il suo Se Stesso degenere va in giro a ripetere un nuovo slogan elettorale, davvero accattivante: “A Palazzo Chigi non ho rubato, né messo le mani in tasca agli italiani, né usato giudici, servizi segreti o intercettazioni contro l’opposizione” Se è per questo, pare che non abbia nemmeno ammazzato nessuno. Ma basterà? Doveva dimezzare le tasse, ora si vanta di non averle aumentate. Doveva dimezzare i reati, ora si vanta di non averne commessi (in realtà prima li ha commessi, poi li ha depenalizzati). Si accontenta di poco, nella speranza che gli elettori facciano altrettanto. E’ una nuova forma di pubblicità progresso. Come se un ristoratore, per attirare clienti, affiggesse all’ingresso la scritta: “Venite, non abbiamo mai avvelenato nessuno“. O un barista scrivesse sull’insegna del locale: “Qui non pisciamo nel caffé”. O un aspirante chirurgo nel curriculum, si vantasse: “Non ho mai scannato nessuno”. O un impiegato dicesse a un colloquio di lavoro in banca: “Ho le carte in regola: non ho mai svaligiato caveau”. O un giovanotto, dovendo chiedere la mano della sua ragazza, rassicurasse il di lei padre: “Stia tranquillo, non sono solito stuprare bambini”. O un deputato imputato di corruzione si presentasse in tribunale col seguente alibi: “Non erano tangenti: era solo evasione fiscale”.
Cose inimmaginabili, soprattutto l’ultima.
Piccoli Vespini crescono
di Marco Travaglio
Due politici di destra e due di sinistra se la cantano e se la suonano chiacchierando del più e del meno in uno studio della Rai. Poi, a turbare la serenità del clima, interviene un giornalista vero e informato sui fatti, figura ormai desueta nel «servizio pubblico». E spiega che i processi a Berlusconi non si sono quasi mai conclusi con dichiarazioni di innocenza, ma quasi sempre di colpevolezza. Solo che il colpevole non è stato punito perché, una volta, ha abolito il suo reato; e, sei volte, è riuscito a trascinare il processo oltre i termini di prescrizione, dimezzati dal gentile omaggio delle attenuanti generiche. Lo spudorato cronista spiega poi che depenalizzare i bilanci falsi significa premiare i delinquenti e danneggiare le potenziali vittime, cioè i piccoli azionisti. In studio si scatena la bagarre. «Vergogna! Fazioso! Siamo garantisti! Non si può andare avanti così! Chi non ha condanne è innocente! Basta manette!», urlano Matteoli e Sacconi. Tempesta prontamente sedata dall'olimpico conduttore armato di vaselina: «Calma, quella sul falso in bilancio è un'opinione personale del giornalista… Berlusconi è stato sempre assolto e non è colpevole di niente. Ha ragione Matteoli: è innocente». Il giornalista vero scuote il capo. Sigla.
Che programma era? Tutti gli ingredienti - i politici che se la cantano, la rissa, il conduttore che tranquillizza, la sigla ecc. - farebbero pensare a "Porta a Porta". Tutti, salvo uno: la presenza del cronista informato sui fatti e per giunta parlante, che nel salotto di Vespa non è prevista: lì gli eventuali giornalisti sono generalmente disinformati sui fatti e per giunta silenti (qualcuno sospetta che si tratti di sagome di cartone). No, non era "Porta a porta". Era "Ballarò". Che non è condotto dal Vespa originale, ma dal Vespino "de sinistra": Giovanni Floris.
Il cronista è Luca Fazzo di Repubblica, uno dei migliori giudiziaristi d'Italia. L'hanno chiamato per raccontare i fatti e lui, ingenuamente, li racconta: innocente è chi non ha commesso reati, non chi li ha commessi ma l'ha fatta franca perché è passato troppo tempo o perché li ha aboliti per legge. Lavorando per un giornale serio, e non per la Rai, ha sempre pensato che i fatti siano una cosa e le opinioni un'altra. Era così anche in Rai, o almeno in certi programmi Rai, fino a quattro anni fa. Nell'aprile 2001 Michele Santoro invitò Marcello Dell'Utri a parlare del suo processo al "Raggio Verde". Dell'Utri raccontò che nel 1974, quando assunse il mafioso Mangano come "fattore" ad Arcore, questi era incensurato. Santoro diede la parola a Luisella Costamagna per leggere la fedina penale di Mangano, pregiudicato sin dagli anni 60. Dell'Utri dovette inventarsene un'altra. A questo servono i giornalisti. Non a dirigere il traffico delle opinioni, ma a fare domande e a controllare, per conto del pubblico, che le risposte siano esatte. Se non lo sono, se qualcuno tenta di mentire ai telespettatori non con opinioni legittime, ma con fatti falsi, il giornalista interviene e mette le cose a posto. Perciò, all'estero, i potenti, soprattutto i bugiardi, hanno paura dei giornalisti. In Italia domina il modello Vespa, che fa un altro mestiere. E tutto diventa opinabile, anche le sentenze, anche i fatti. Soprattutto i fatti. Ciascuno li racconta come gli pare. Alla fine un'opinione vale l'altra, anzi elide l'altra. Il Vespa di turno conserva il posto e fa carriera. Ci rimette soltanto il pubblico, che ne sa quanto prima. Cioè niente.
Per conoscere i fatti contenuti in una sentenza, c'è un sistema infallibile: leggerla. Se Floris avesse letto quelle a carico di Berlusconi,com'era suo dovere visto che se ne parlava a Ballarò, avrebbe saputo cosa dire mentre Fazzo raccontava e gli altri sbraitavano. Avrebbe potuto persino citare qualche brano, per esempio, della sentenza di Cassazione sui 21 miliardi versati da Berlusconi a Craxi tramite All Iberian: reato commesso ma prescritto. La parola "innocente" non c'è: «Le operazioni prodromiche ai finanziamenti estero su estero dal conto intestato alla All Iberian al conto di transito Northern Holding (di Craxi, ndr) furono realizzate in Italia dai vertici del gruppo Fininvest, con il rilevante concorso di Berlusconi quale proprietario e presidente… Non emerge negli atti l'estraneità dell'imputato», cioè di Berlusconi (22-11-2000). Nei trailer di Ballarò, Floris si vanta di «fare sempre le domande giuste». Il guaio è che non conosce le risposte. Molto meglio "Distretto di polizia" su Canale5. Lì, almeno, i colpevoli ogni tanto finiscono dentro.
http://www.articolo21.info/editoriale.php?id=1207
martedì 27 settembre 2005
La madre di un omosessuale scrive a Ruini
La lettera che segue è giunta firmata alla redazione dell'Unità ma per richiesta dell'autrice è stata omessa la firma
Caro Cardinale Ruini,
sono la madre di due ragazzi. Uno è omosessuale. Io e mio marito abbiamo cercato di educare i nostri figli al rispetto del prossimo e all'onestà. La famiglia è al centro della nostra vita. Circa un anno fa mio figlio di 20 anni ci ha detto (non così per caso ma in un momento di forte tensione) di essere gay. È stato un colpo al cuore, perché in quel momento ho visto un ragazzo, dolce e sensibile, fragile e impotente di fronte alle ostilità che avrebbe dovuto subire.
Quelle ostilità che nascono e fioriscono in una società che la pensa come lei (o come il ministro Calderoli, ma questa è un'altra storia). Dopo la rivelazione (meglio dire la chiarificazione diretta che qualche famiglia preferirebbe non avvenisse!) la prima domanda è stata la più scontata (me ne sono accorta dopo): ma ne sei proprio sicuro? «Sì, mamma», è stata la risposta. E ancora: «ho provato ad avere una ragazza (come noi sapevamo) ma poi per onestà ho interrotto la relazione», e ancora «io non volevo essere così» e queste parole mi risuonano continuamente nella mente provocandomi un nodo alla gola. Il suo racconto continua: «ci ho messo quasi otto anni per accettarmi e capire che sono normale».
Ed io pensando alla sua sofferenza non so darmi pace. Vedendo il mio sguardo smarrito ha continuato: «ma io sono quello che voi conoscete, sono così».
La nostra è una famiglia aperta ai problemi del mondo, a tavola si parla di tutto, ma questo è stato un segreto difficile da condividere proprio perché assorbiva il giudizio negativo di quella cultura intrisa di tutti quei pregiudizi che accomunano gli omosessuali alla diversità, ai pedofili, alla prostituzione e al peccato.
Lei non ha figli e non può capire.
L'associazione «Arci Gay» nasce circa 20 anni fa, dopo che due ragazzi omosessuali si suicidarono perché non riuscirono a sopportare le ingiurie della gente (perda un po' di tempo a guardare su internet...) e tanti altri lo hanno fatto ancora. È questo che vogliamo? Perché i nostri figli non possono vivere la loro vita con dignità, compresa quella sentimentale? Perché la sua voce non si alza contro gli stupri, il turismo sessuale, la pedofilia, la violenza dei padri alle loro figlie o alle loro mogli (dentro quelle famiglie che lei tanto invoca), contro la prostituzione minorile indotta da padri, mariti e fratelli! Queste sono le cose che insieme dovremmo combattere! Queste sono le vere cose contro natura! Per non parlare della guerra, che la nostra Costituzione proprio non contempla, ma anche questa è un'altra storia. Mio figlio non vuole vivere la sua vita, relegato agli ambienti gay, vuole potersi esprimere ovunque, frequentare qualsiasi luogo e poter fare qualsiasi lavoro. I gay si sono dovuti organizzare e per non sentirsi sempre emarginati hanno creato luoghi dove si ritrovano fra loro. Ora le cose stanno cambiando. Devono, cambiare! Alcuni luoghi sono aperti a tutti, è così che deve essere: i gay non devono vivere come se fossero dei derelitti della società, ma vivere nella società anche se non sono stilisti o altri personaggi famosi (per questi è più facile essere accettati perché ancora una volta, ipocritamente, la discriminazione più sentita è la ricchezza). Ho ancora qualche domanda da farle: perché devo considerare un mio figlio, figlio di un Dio minore? Perché devo pensare che uno dei miei figli non è normale? In base a quale legge divina o terrena?
Noi abbiamo insegnato ai nostri figli l'amore e il rispetto per l'espressione delle persone senza steccati e limiti per etnia, religione e orientamento sessuale. Mi creda, la Sua è una crociata, anche se secolare, sbagliata. Molti della sua Chiesa non la seguiranno, perché non vivono arroccati come lei in una torre d'avorio. Vivono nelle città e nei paesi. Lavorano e studiano, si divertono e soffrono a contatto con il mondo reale. Hanno amici, figli e parenti gay, quelli che hanno avuto il coraggio di «rivelarsi». Molti altri vivono una vita d'inferno, qui sulla terra, per colpa di tutti quelli che la pensano come lei! Forse il Dio che conosco io non è quello che conosce lei!
http://www.gaynews.it/view.php?ID=34316
domenica 25 settembre 2005
Quel genio che ha messo l'Italia in mutande
di EUGENIO SCALFARI
RICORDO molto bene quella sera del 25 luglio del '43. Avevo diciannove anni e passeggiavo con alcuni amici per il corso di Sanremo quando dagli altoparlanti installati in strada la voce dell'annunciatore scandì con tono ancora mussoliniano la notizia delle dimissioni del Duce e la nomina al suo posto del maresciallo Pietro Badoglio. Fummo tutti presi da un'ondata d'entusiasmo. A un soldatino di leva che passava di lì per rientrare in caserma offrimmo quasi di forza un frappè alla banana.
Solo alcuni anni dopo capii che i gerarchi che avevano votato in Gran Consiglio la sfiducia al Capo e l'appello al Re si aspettavano d'esser loro i protagonisti della transizione dalla dittatura alla democrazia. Dino Grandi pensava che Sua Maestà avrebbe chiamato lui a Villa Savoia per dargli l'incarico. Invece Sua Maestà, detto Sciaboletta, chiamò l'esercito per governare e i carabinieri per arrestare Mussolini. Lungi da me l'idea di confrontare situazioni non paragonabili e personaggi di tutt'altro conio. Ma una ragione c'è per associare alla situazione attuale quella di 62 anni fa: anche Casini e Follini (e in minor misura Fini) hanno operato in questi giorni per mettere fuori gioco Berlusconi pensando di prenderne il posto e portare la Casa delle libertà alla vittoria o almeno ad una decente sconfitta che salvi comunque il centrodestra dalla dissoluzione.
Questo tentativo finora ha partorito, dopo fortissime doglie, soltanto il topolino delle primarie che Berlusconi ha accettato mettendo però subito in chiaro che bisognerà intendersi sulla procedura. Ha anche anticipato che a suo parere si dovrebbero riunire in assemblea tutti gli "eletti" del centrodestra (parlamentari, sindaci, presidenti di Regioni e Province, eccetera) e votare il leader.
Sia questa o un'altra la procedura, poco importa. Lo scontro interno alla Casa delle libertà è stato già derubricato: non più sul nome del leader ma sulle regole con le quali sceglierlo. Gli interessati (Casini e Follini) hanno magnificato questo "topolino" come una vittoria campale della loro tesi.
"Si è passati", hanno detto, "dalla monarchia assoluta alla Repubblica o almeno alla monarchia costituzionale". E gran parte dei "media" hanno fatta propria quest'interpretazione aggiungendo che, quand'anche Berlusconi uscisse vincitore da queste fantomatiche primarie, non sarà più lui ma, appunto, un monarca costituzionale.
Mi permetto di dissentire totalmente.
Quanto al risultato, indipendentemente dalla procedura che sarà scelta, darei la riconferma di Berlusconi al 90 per cento.
Quanto al suo mutamento di immagine lo reputo impossibile al cento per cento. Un Berlusconi riconfermato dopo una competizione con i suoi alleati-avversari sarebbe più forte che mai per regolare i conti all'interno della coalizione.
Penso anche che il centrodestra sia, specie dopo la farsa finale Siniscalco-Tremonti-Fazio, in condizioni disperate, quale che sia l'uomo che ne guiderà le sorti da qui alle elezioni. Il progetto casinian-folliniano di esser loro a guidare la transizione non esiste. Hanno governato insieme, si sono insieme spartiti il potere, hanno votato allineati e coperti le stesse vergognose leggi e quindi - spero - affonderanno insieme. Potrebbe salvarli solo l'uscita immediata dall'alleanza e la presentazione solitaria alle elezioni. Ma questo non lo faranno mai.
* * *
Come non bastasse è tornato in campo Tremonti. Si è fatto perfino pregare.
Figurarsi. Ha posto condizioni. Ha obbligato Fini ad essere il suo principale sostenitore dopo che era stato lo stesso Fini a farlo defenestrare pochi mesi fa. Se la vendetta è un piatto che si mangia freddo, Tremonti l'ha gustato chambré. Forse più gustoso ancora.
Né è mancata l'ambita approvazione del Capo dello Stato, costretto anche lui dall'imminenza della legge finanziaria a fare buon viso a cattivissimo gioco. Perché Tremonti sarà pure un genio, come recita ad ogni cantone Cossiga l'emerito, ma se c'è un responsabile della catastrofe in cui è finita l'economia italiana, questo è lui e non sarà certo la finanziaria 2006 da rattoppare ad alleviare in limine litis le sue responsabilità.
Vorrei brevemente enumerarle affinché i nostri concittadini non dimentichino.
1. Ispirò e avallò la politica del taglio delle aliquote Irpef (puntando soprattutto sullo sgravio dei redditi medio-alti) in una fase recessiva dell'economia mondiale, europea, italiana. Finì come sappiamo: quasi 20 miliardi di euro buttati al vento senza alcun effetto sull'economia.
2. Ingannò fin dall'inizio gli italiani accreditando cifre false sulla pubblica finanza e sul trend della spesa, dell'entrata e soprattutto del Pil, scommettendo su una ripresa data per certa fin dal 2002 e ancora mai avvenuta e non prevedibile neppure nel 2006. Così mentì al Paese e al Parlamento consapevolmente e ripetutamente.
3. Per colmare i disavanzi e il deficit si prodigò nella finanza creativa e nei provvedimenti-tampone una tantum: prestiti bancari concessi da enti e banche pubbliche camuffate da società per azioni e quindi sottratte alla contabilità dello Stato (Ferrovie, Poste, Cassa Depositi e Prestiti).
4. Tentò (ma senza riuscirci) di mettere le mani sulle fondazioni bancarie e quindi sulle banche da poco privatizzate, per ricondurle al potere del governo. Per fortuna Fazio in quell'occasione impedì che il progetto andasse in porto, una delle poche buone cause sostenute dal governatore.
5. Indebolì fortemente l'autorità della Commissione europea sui deficit degli Stati membri con l'obiettivo di riconquistare la sovranità nazionale in materia, causa non ultima dell'impasse in cui si trova l'Unione europea.
6. Fu l'artefice massimo dei condoni d'ogni genere e tipo e quindi degli effetti perversi che essi hanno esercitato sui comportamenti dei contribuenti e sull'andamento delle entrate.
Ci vorrebbe un volume per raccontare i guasti di questo malgoverno dell'economia e della finanza. Se Tremonti è un genio, alla larga da questi geni.
* * *
Dopo di lui, immolato sull'altare della pacificazione con Fini, Berlusconi chiamò Siniscalco. Un tecnico ben preparato, non inviso all'opposizione e tantomeno al mondo accademico e desideroso di tenersi lontano dalle beghe politiche. Sembrò di respirare, ma durò molto poco. Ci si dimenticava che Siniscalco era stato per quattro anni il direttore generale del Tesoro e che tutte le gabole di Tremonti erano nate nella sua mente e transitate dalla sua scrivania.
Non starò a ricordare gli errori compiuti da Siniscalco: le pagine di questo giornale che li hanno di volta in volta analizzati sono ancora fresche d'inchiostro. Ma ne indicherò uno solo, il più macroscopico e il più "doroteo" nel senso che fu adottato nella Finanziaria 2005 perché era il solo modo per far quadrare i conti sulla carta senza dispiacere a nessuno: il tetto del 2 per cento imposto a tutta la spesa pubblica rispetto a
quella dell'anno precedente.
Questa una tantum macroscopica, prevista ora anche per la Finanziaria 2006, non poteva funzionare in mancanza di un monitoraggio capillare e immediato di cui il Tesoro non dispone e la Ragioneria generale neppure.
Infatti non ha funzionato. La Corte dei Conti pochi giorni fa ha reso pubblico lo stato dei fatti. La spesa di quasi tutti i ministeri e i settori ha ampiamente bucato il tetto, sia per la competenza sia per la cassa, con la conseguenza che il debito pubblico è arrivato già al 110 per cento rispetto al Pil e supererà il 111 nel 2006, mentre l'avanzo primario, già falcidiato da Tremonti, è ormai di segno negativo.
Siniscalco merita elogio per le dimissioni di pochi giorni fa. Meglio sarebbe stato se fosse caduto difendendo la sua finanziaria in Parlamento.
Date in anticipo quelle dimissioni hanno piuttosto il sapore d'una fuga.
Comunque, onore al suo (unico) merito.
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Quanto a Fazio, lui sta lì, patella attaccata allo scoglio come ha scritto il Financial Times. Ora ha invocato il Trattato di Maastricht che vieta ai governi e soprattutto al Consiglio dei ministri europeo, d'intervenire sulle decisioni della Banca Centrale Europea.
Questo è semplicemente il gioco delle tre carte. Quel divieto esiste per fortuna ma riguarda appunto il Consiglio dei ministri europeo e i governi nazionali da un lato e la Bce dall'altro. Nessun governo infatti potrebbe censurare Fazio (o qualunque altro membro del direttorio della Bce) per decisioni prese nella Banca ed emesse dalla Banca. Ma non riguarda affatto l'operato di Fazio nella sfera d'autonomia riservata alle banche centrali nazionali. Cioè nella vigilanza sul sistema bancario nazionale che la Bce ha delegato alle banche centrali nazionali.
Fazio comunque se ne andrà dopo aver dato vita ad una sceneggiata di stampo eversivo, incoraggiata dalla complicità del presidente del Consiglio, dalla corrività del Direttorio della Banca e dall'impianto a dir poco barocco delle procedure con le quali è regolata la nomina e la revoca dei governatori.
Se ne andrà con il vanto d'aver difeso l'indipendenza dell'Istituto, ottenuta trascinando l'Istituto stesso in una contestazione irresponsabile che avrà conseguenze proprio su quell'indipendenza che sta a cuore di tutti e che ha rappresentato uno dei pochi punti di forza italiani nell'era inaugurata da Luigi Einaudi e conclusasi con Carlo Azeglio Ciampi. E sarà un'altra partita perduta per il buon nome del nostro Paese in Europa e nel mondo.
Mentre scrivo queste righe arriva la notizia d'una ulteriore dichiarazione di Berlusconi contro Follini e contro le primarie. Se ci volevano altre conferme della friabilità dell'accordo tra i Quattro del governo in carica, essa è puntualmente arrivata. Non è necessaria la preveggenza della Sibilla per capire che la situazione è sfuggita di mano e che il governo galleggia senza bussola e senza stelle.
Meglio, molto meglio, sarebbe stato cogliere l'occasione delle dimissioni di Siniscalco e andare a votare subito.
Meglio per Berlusconi, meglio per la sinistra ma soprattutto meglio per la povera Italia, più che mai "nave senza nocchiero in gran tempesta".
Post scriptum. Le recenti esternazioni del cardinal Ruini hanno provocato a Siena, in occasione d'un forum di parte al quale il presidente della Cei era intervenuto come ospite d'onore, chiassose contestazioni d'un gruppo di studenti favorevoli al "Pacs" (Patto di solidarietà per i conviventi non sposati). Il cardinale ha definito quelle contestazioni una "piacevole interruzione" dimostrando in quest'occasione una buona dose di umorismo di cui gli va dato merito.
Non altrettanto umorismo ha visitato le menti di quanti, naturalmente del centrodestra ma anche del centrosinistra, si sono affrettati a biasimare i chiassosi studenti e hanno porto le loro (non richieste) scuse al cardinale.
Dispiace che tra di essi ci sia stato anche Romano Prodi. Di che cosa si doveva scusare Prodi e tutto il centrosinistra con lui? Il cardinale fa il dover suo quando esprime l'opinione dei vescovi, confortata da quella del Papa, sulla dottrina della Chiesa, sull'etica, sulla famiglia, sulla catechesi, sulla liturgia. Invade invece terreno altrui quando prescrive i comportamenti specifici che non solo i cattolici e gli "uomini di buona volontà" dovrebbero assumere, ma anche le istituzioni dello Stato in occasioni politiche rilevanti: il modo di compilare le leggi, il modo di votare nei referendum, l'esercizio della giurisdizione.
(Vedi a quest'ultimo proposito le critiche che Ruini ha rivolto alle intercettazioni giudiziarie disposte dalle procure italiane).
Di invasioni di campo di questo genere è piena la recente biografia del presidente della Cei. Esse creano inevitabili reazioni non solo dei laici non credenti ma anche nel laicato cattolico più avvertito, che vorrebbe dai propri vescovi più religiosità e meno politica. Ne ha parlato esplicitamente Pietro Scoppola in un'intervista sul Sole 24 Ore che dovrebbe essere attentamente letta e meditata in Vaticano e in Laterano.
Ruini dimentica troppo spesso, mi pare, la differenza profonda che passa tra una Chiesa libera da ogni vincolo e da ogni beneficio e una Chiesa concordataria come quella italiana. È ovvio che i preti e i vescovi abbiano piena libertà di parola ma non è vero che essi siano cittadini italiani come tutti gli altri. Essi godono di vari privilegi tutt'altro che marginali: celebrano matrimoni in qualità di ufficiali di stato civile, hanno insegnanti di religione nelle scuole pubbliche pagati dallo Stato ma scelti e revocabili da loro, ricevono un contributo dell'8 per mille sul reddito dichiarato dai contribuenti e calcolato con modalità che vanno assai oltre alla crocetta apposta dal singolo dichiarante sull'apposito spazio modulistico, ricevono ampio sostegno finanziario e urbanistico per le opere d'arte allocate nelle chiese.
In compenso di questi e di molti altri benefici hanno accettato di lasciare interamente all'autorità civile l'organizzazione politica e legislativa della società, alla quale possono certo far giungere la loro parola d'orientamento ma non la loro precettistica e la loro casistica.
Ai commentatori che suggeriscono di non regalare la Chiesa alla destra mi permetto di far osservare due cose: la Chiesa è pienamente capace di intendere e di volere; se va a destra è lei che lo decide e non qualcuno che gliela regala. E poi, la sinistra dovrebbe scegliere i propri temi e fare le proprie proposte solo dopo aver scrutato il sopracciglio di Ruini, di Sodano e di Fischella?
Forse sarò ottocentesco ma questi ragionamenti non mi piacciono.
(25 settembre 2005)
http://www.repubblica.it/2005/i/sezioni/economia/finanziaria3/geniomut/geniomut.html