Consolati sommersi di chiamate di cittadini americani che vogliono emigrare in stati più aperti per i gay
La grande fuga degli americani - si suppone di fede democratica - è già iniziata: a soli 48 ore dalla rielezione di George W. Bush alla guida del Paese per altri quattro anni, i consolati di Canada, Nuova Zelanda e Australia sono stati sommersi da numerose richieste di cittadini ansiosi di emigrare. L'effetto-Bush ha spinto gli americani a cercare i Paesi meno conservatori, più aperti alla legalizzazione dei matrimoni fra i gay, alla depenalizzazione della marijuana e al finanziamento del sistema sanitario.
Tutte tematiche trascurate dall'amministrazione Bush e che, secondo i più pessimisti, saranno ulteriormente accantonate per i prossimi quattro anni. Già negli anni Sessanta, durante la guerra fredda, molti americani parlavano di emigrare in Australia per evitare i rischi. E in questi giorni si sta delineando uno scenario simile anche se dai vari consolati negli Usa le autorità invitano alla cautela. «Succede ad ogni elezione», hanno sottolineato i centralinisti delle ambasciate straniere. La maggior parte delle persone che telefona ai consolati è spinta dalla frustrazione, ma tanti altri cittadini americani fanno sul serio. «L'interesse è senz'altro aumentato», ha confermato Rob Taylor, console generale per la Nuova Zelanda a San Francisco. «Molte richieste sono state avanzate già sei mesi fa, ma è anche vero che dopo queste elezioni la gente è ancora più pessimista sul futuro dell'America». Anche al consolato australiano il telefono non smette di squillare. «Gli americani sono divertenti», ha detto Linda Heller, uno dei responsabili. «Quando le cose non vanno come dicono loro reagiscono in maniera drastica. In questo caso con la decisione di abbandonare il proprio Paese». All'ambasciata canadese di Washington, che gestisce il maggior numero di richieste relative all'immigrazione, il numero delle domande è aumentato in due giorni. «Quelli che decidono di emigrare non sono affatto convinti dalla direzione verso la quale l'America sta andando», ha detto Pam Lambo, responsabile dell'ufficio stampa. Storicamente, il Canada ha sempre rappresentato un rifugio sicuro per i «cugini degli States».
di Tania D'Amico
dal "Corriere Canadese"
http://www.gaynews.it/view.php?ID=29745
venerdì 5 novembre 2004
Fuga dagli USA: richieste ai consolati per emigrare
giovedì 4 novembre 2004
La prima pagina di "The Indipendent"
La prima pagina di uno dei maggiori quotidiani inglesi, l'Independent, non maschera il disappunto per la rielezione di Gorge W. Bush. A commento di un mosaico di foto, che stigmatizzano tra l'altro alcuni dei peggiori avvenimenti del passato mandato di Bush, c'è la scritta: "Altri quattro anni"
USA: lesbica ispano-americana eletta sceriffo a Dallas
Prima donna alla guida della polizia nella storia della città
Una donna di origini latino-americane, dichiaratamente lesbica, e' stata eletta sceriffo di Dallas, per la prima volta nella storia della citta'. Lupe Valdez ha raggiunto un risultato sorprendente nello stato natale di George W. Bush, guadagnando il 51% dei voti e battendo il conservatore repubblicano Danny Chandler.
Gli esperti hanno attribuito la vittoria della donna alla presenza di una vasta comunita' ispanica nella citta', ma anche ad un desiderio di rinnovamento da parte dei cittadini, dopo gli scandali che hanno coinvolto la polizia di Dallas negli ultimi anni.
http://www.gaynews.it/view.php?ID=29742
L'amico è gay? 40 su 100 se lo scoprono lo evitano
Risulta da un sondaggio su ''Gli italiani e l'omosessualità''
Sono amici da anni, rapporto fraterno. Poi improvvisamente, la scoperta: l'amico e' gay. E le cose cambiano radicalmente, l'amicizia si chiude. E' lo scenario che disegna un sondaggio effettuato dalla Ekma Ricerca sul tema "Gli italiani e l'omosessualita'". La societa' di rilevazione ha intervistato telefonicamente il 2 novembre scorso un campione rappresentativo di mille italiani maggiori di 18 anni.
Il risultato e' stupefacente: il 40% degli intervistati smetterebbe di frequentare un caro amico se venisse a sapere che e' omosessuale. Solo il 20% afferma che il suo atteggiamento non cambierebbe, il 10% cercherebbe di redimerlo e ben il 30% "non sa e non risponde".
Quanto all'omosessualita' in se', per il 40% e' una libera scelta, ma c'e' un intervistato su quattro (25%) che la considera un vizio, il 22% la giudica "un modo di vivere la propria sessualita'" e il 10% una malattia. Una larga maggioranza, il 70%, ritiene che le coppie omosessuali non debbano avere gli stessi diritti di quelle eterosessuali, ma il 22% la pensa in modo esattamente contrario. Il 55% ritiene che gli omosessuali in Italia non siano discriminati, ma il 27% considera invece che lo siano. Si rifiuta di rispondere il 18%.
http://www.gaynews.it/view.php?ID=29743
Referendum USA, undici no sulle nozze gay
La California approva la ricerca sulle cellule staminali. Marjuana terapeutica in Montana
Undici sonori no al matrimonio gay, appena attenuati dal sì della California che ha approvato il finanziamento della ricerca sulle cellule staminali. Ma è un vento conservatore quello che soffia sulla America di Bush, vista attraverso i tanti referendum - 163 - ai quali gli elettori sono stati chiamati in concomitanza con le presidenziali. Su una delle questioni più spinose, divenuta scivoloso terreno di scontro nella campagna elettorale, è la tesi dell'amministrazione repubblicana a prevalere. Con un margine larghissimo, gli elettori di undici Stati si sono espressi a favore di modifiche costituzionali per rendere esplicito che il legame coniugale debba intendersi necessariamente tra individui di sesso diverso. Ohio, Georgia, Kentucky, Mississippi, Michigan, North Dakota, Arkansas, Montana, Utah e Oklahoma lo hanno detto a chiare lettere, con una media del 75 per cento di voti e punte addirittura più alte in Mississippi. Più cauto invece l'Oregon (55%9, dove vivono 3000 coppie gay sposate nel marzo scorso. «È un maremoto a favore del matrimonio», è stato il commento soddisfatto di Matt Daniels, presidente dell'Alleanza per il Matrimonio, uno dei gruppi che spingeva per il divieto delle nozze gay.
Il referendum ha preso piede sulla scia di una sentenza della Corte suprema del Massachusetts, che nel novembre di un anno fa aveva autorizzato i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Formalmente l'iniziativa referendaria è partita da un gruppo d'attivisti religiosi, ma la modifica della Costituzione è stata suggerita dallo stesso Bush. C'è ora qualche preoccupazione sulle conseguenze che il voto potrà avere per le coppie non sposate, anche eterosessuali, in tema di assicurazione sanitaria e protezione sociale, vista la formula molto ampia del quesito referendario. In Ohio addirittura si esplicita il divieto di riconoscere qualsiasi status legale ai conviventi, un divieto tanto esteso da mettere in allarme il governatore repubblicano dello Stato Bob Taft, come i sindacati e persino certe aziende che fanno dei benefit concessi ai conviventi un sistema di reclutamento del personale. «La maggior parte di questi stati ha già scritto la discriminazione nelle proprie leggi, ora hanno fatto di più scrivendola nella Costituzione», ha detto David Buckel, dell'associazione Lambda che difende i diritti gay. In Ohio, Georgia e Mississippi gli attivisti non demordono e ipotizzano un ricorso un tribunale.
Se il no alle nozze omosessuali non poteva essere più netto, spicca per contrasto il sì californiano alla ricerca sulle cellule staminali, contrastata dalla Casa Bianca, ma forte dell'appoggio del governatore repubblicano Arnold Schwarzenneger, che su questo tema ha platealmente preso le distanze dalla linea del partito. Il sì della California autorizza il finanziamento pubblico per 6 miliardi di dollari per la ricerca sulle cellule-madri, dalla quale potrebbero dipendere le future terapie per malattie come l'Alzheimer e il diabete, e le lesioni del midollo spinale. Il referendum avrà come conseguenza la creazione di un Istituto per la medicina rigenerativa e, soprattutto, stabilirà un principio di diritto sulla ricerca in questo campo, fatto salvo l'assoluto divieto della clonazione a fini riproduttivi. A favore dell'iniziativa californiana, «Prop 71», si era espresso anche l'attore Christopher Reeve, il Superman costretto su una sedia a rotelle dopo un incidente a cavallo e morto qualche settimana prima del voto Usa. «Per favore sostenete Prop 71. E alzatevi in piedi per quelli che non possono farlo», diceva l'attore in uno spot mandato a ripetizione nel corso della campagna referendaria.
Oltre alle gradi questioni di costume e di etica, gli elettori statunitensi hanno dovuto esprimersi su una miriade di referendum sui temi più disparati, dalle tasse sul tabacco per finanziare il sistema sanitario (hanno detto sì il Colorado e l'Oklahoma) ai metri quadri dei megastore (quesito riservato alla contea di Maryland Talbot), alla depenalizzazione della marjuana a scopo terapeutico (approvata in Montana). Sì dell'Arizona su una misura controversa, che obbligherà i residenti a provare la loro cittadinanza per poter accedere ai benefit pubblici. L'intenzione è di colpire gli immigrati clandestini, ma è probabile che il testo appena approvato abbia vita breve: una decina di anni fa anche la California varò una simile iniziativa che venne poi cancellata in tribunale perché discriminatoria. La Florida ha votato a favore di un provvedimento che stabilisce che i minori debbano essere autorizzati dai genitori per poter abortire. Respinta la proposta del Colorado di spartire i grandi elettori dello Stato su base proporzionale nelle presidenziali, misura che se approvata avrebbe avuto effetto immediato.
Marina Mastroluca
giovedì 04 novembre 2004 , di L'Unità
Bush si tiene la Casa Bianca
L'America ha scelto: altri quattro anni di Bush. Dopo lunghe ore di angoscia il candidato democratico John Kerry ha deciso di accettare la scelta senza contestazioni. Ha telefonato al presidente per congratularsi e poi si è presentato davanti alle telecamere per ammettere la sconfitta. Tratteneva le lacrime. «Non avrei rinunciato a battermi - ha dichiarato - se vi fosse stata qualche possibilità di vittoria, ma ormai è chiaro che anche se contassimo fino all'ultimo voto il risultato non cambierebbe». Quattro anni fa, Bush era diventato presidente con 500 mila voti in meno del suo avversario Al Gore. Questa volta ha ottenuto un secondo mandato con 58.704.164 voti, pari al 51 per cento: 3,7 milioni di voti più di Kerry che si è fermato al 48 per cento.
martedì 2 novembre 2004
Il reportage di Furio Colombo: «Ho visto due Americhe col cuore in gola»
di Furio Colombo
New York Vi è una interruzione nella vita americana. Da ieri, 1° novembre, tutto si è fermato, come in Florida quando si aspetta il tifone. Persino giornali e televisioni, che finora hanno scrupolosamente diviso spazi e minuti, adesso sono fermi sull’orlo di un vuoto. Un vuoto di cui nessuno sa niente. Quarantotto a quarantotto, i sondaggi di Bush, i sondaggi di Kerry. È diventato come un numero di cabala. Moltiplicandolo o dividendolo, dovrebbe svelare il mistero di questa attesa immobile, ma nessuno conosce la formula.
L’attesa non è neutrale. Per la prima volta, nella mia esperienza americana (dalla elezione di Kennedy a quella di Clinton) chiunque, dal funzionario dell’aeroporto al tassista, dall’incontro casuale alla conversazione fra amici, ti dice il suo voto. Te lo dice con un misto di fierezza, di ostinazione, di rabbia, con l’intenzione esplicita di far sapere: nessuno cambierà il mio voto, per nessuna ragione. E dedica all’altro candidato parole che non avevo mai sentito nella placida, a volte sonnolenta, vigilia di tante altre elezioni.
L’America è un Paese in marcia, diviso, ansioso. È in marcia in due direzioni diverse. Sarà dura, per una delle parti, fare una svolta a U dopo il voto, e mettersi in coda alla colonna vincente.
Se questo fosse uno stadio, le due tifoserie apparirebbero contrapposte in modo irrimediabile, senza alcun punto di contatto. Non un segno della vecchia e bonaria tradizione americana dei dibattiti imparati nella scuola media, fondati sul riconoscimento educato delle ragioni dell’altro e conclusi con la stretta di mano.
C’è sempre il grande valore comune: l’America. Ma questa volta non è il territorio benevolo che ospita la contesa ravvicinando le parti. Qui l’America è il tema stesso delle elezioni, la posta in palio. L’America è in pericolo. O la salva l’uno o la salva l’altro. Solo che il pericolo è descritto in due modi diversi, la soluzione è opposta, uno strappo in direzioni incompatibili.
Se il centro, di cui si è parlato tanto all’inizio di questa campagna elettorale, sopratutto da parte dei democratici, fosse una piazza, quella piazza sarebbe vuota. Nessuno vi offre una calma e tollerante visione sul valore del rito (il votare) che è più importante del risultato. Vi parlano sempre e solo dell’ansia, della incertezza, molte volte dell’angoscia sulla attesa del risultato.
Il giornalismo, che di solito indossa in clima elettorale il costume buono dell'arbitro, adesso ha assunto - almeno nelle grandi televisioni - un tono secco, senza gentilezze e ornamenti. Intervistano, in sequenze diverse, l'uomo di Kerry e l’uomo di Bush, che non si incontrano in video e non si scambiano i classici scherzi da club e da scuola media della politica americana in pubblico.
Il testo integrale del reportage del Direttore si trova sull'edizione cartacea de L'Unità
lunedì 1 novembre 2004
Cary Grant, il lato oscuro del divo: amori gay e storie di spionaggio
Una biografia racconta vita e carriera dell'attore hollywoodiano
I matrimoni combinati per nascondere la sua omosessualità
Sposò Barbara Hutton, filonazista, per dare informazioni all'Fbi
di ANTONIO MONDA
NEW YORK - Colui che è stato probabilmente il più grande attore hollywoodiano e più di ogni altro ha immortalato sullo schermo l'immagine della raffinatezza e del fascino americano era in realtà un inglese nato in un'umile famiglia di Bristol con il nome di Archibald Leach.
Il mondo lo conobbe come Cary Grant quando divenne la star prediletta dai massimi registi hollywoodiani, e ignorò che la sua nuova identità non riuscì mai a esorcizzare i tormenti di una vita segnata da contraddizioni e lati oscuri, e da un perenne conflitto con l'establishment cinematografico.
Un'appassionante biografia appena uscita negli Stati Uniti ad opera di Marc Eliot, segue minuziosamente le tappe della carriera e della sua vita privata, a cominciare dagli anni di Bristol, quando il padre, che lavorava in una sartoria, gli disse che la mamma era morta di cancro. Archibald all'epoca aveva nove anni.
Eliot ci racconta che il bambino visse la notizia con un dolore che lo segnò per il resto dell'esistenza, che si trasformò in sgomento e quindi in rabbia quando scoprì, dieci anni dopo, che la madre era ancora viva, ed era stata internata in una clinica psichiatrica dal padre, stanco delle sue crisi di nervi e voglioso di convivere con un'amante. Fu la futura star a prendersi cura della donna, alla quale rimase attaccato visceralmente fino alla fine dei suoi giorni.
Quando la compagnia di girovaghi con la quale lavorava fece una tournée negli Stati Uniti, si convinse che quello sarebbe stato il paese della sua vita, e si stabilì in un primo momento a New York, dove calcò con scarso successo i palcoscenici di Broadway. La svolta avvenne quando vinse un provino con la Paramount, che lo mise sotto contratto per cinque anni e gli propose di cambiare il nome in Cary Lockwood. Lui riuscì ad imporre il cognome Grant e accettò ruoli di contorno con star come Mae West e Marlene Dietrich.
La sua bellezza elegante, l'innata raffinatezza e l'ironia con cui sapeva risolvere anche i momenti di massima tensione lo portarono all'attenzione dei maggiori produttori dell'epoca, che cominciarono a corteggiarlo al momento della scadenza del contratto con la major. Grant ebbe il coraggio di mettersi in proprio, garantendosi una carriera segnata da scelte effettuate in prima persona, ma anche l'esplicita ostilità dell'industria, che gli lasciò massima libertà sullo schermo, ma gli negò scandalosamente l'onore dell'Oscar.
Il libro di Eliot si dilunga su come Archibald Leach abbia tentato per tutta la sua esistenza di diventare l'affascinante Cary Grant, e ricorda il turbamento con cui un giorno dichiarò di aver "finto per tutta la vita di essere qualcuno fin quando non mi resi conto di essere diventato quella persona immaginaria".
Nei cinque matrimoni che hanno contraddistinto la sua vita sentimentale cercò un surrogato della figura materna, ma la relazione più importante, anche Eliot lo conferma, fu probabilmente quella omosessuale con Randolph Scott, che aggiunse altri motivi di attrito con l'industria cinematografica. Secondo il biografo c'è molto di vero nella voce secondo cui il matrimonio con Virginia Cherrill venne studiato a tavolino per mettere a tacere i pettegolezzi.
È certamente inquietante il legame di complicità che nacque in quel momento con il capo della FBI Edgar J. Hoover. Eliot mostra dei documenti che suggeriscono che anche il matrimonio successivo fu combinato, ma questa volta per motivi di carattere politico.
La nuova moglie Barbara Hutton, erede miliardaria dell'impero Woolworth, era infatti sospettata di essere una finanziatrice dei nazisti, e Grant si sarebbe prestato a sposarla per passare informazioni all'Fbi in cambio della cittadinanza americana e dell'esenzione dalla leva obbligatoria. Furono gli anni in cui si impegnò a girare anche un film di propaganda anti-nazista ("Fuggiamo insieme") e divenne amico di Howard Hughes, con cui scomparve per cinque giorni a bordo del suo aereo personale, e riapparve in compagnia del presidente messicano quando si era già sparsa la voce che l'aviatore miliardario e l'attore fossero rimasti vittime di un incidente di volo.
Nel corso della sua lunga carriera Grant divenne l'interprete ideale per registi diversi come Hitchcock, Curtiz, Hawks, Cukor, Donen e Capra, lavorando al fianco delle più grandi attrici di Hollywood. Anche quando decise di variare il proprio personaggio (fu Hitchcock a rivelarne più di ogni altro il lato oscuro, giocando perfidamente sui presunti legami spionistici), mantenne intatto il fascino basato sul fatto di essere la persona da conquistare sullo schermo e l'oggetto del desiderio cui anelano anche dive di primissima grandezza.
Il libro minimizza gli aneddoti sulle presunte storie d'amore (dalla Bergman alla Loren ad Irene Dunne) ed i pettegolezzi che hanno circondato gli anni del declino fisico (dall'uso dell'LSD al violento rapporto con la quarta moglie Dyan Cannon), e si concentra invece sui documenti e sui personaggi che lo conobbero da vicino: se David Thompson è d'accordo con Howard Hawks nel definirlo "il migliore e più importante attore della storia", Pauline Kael dichiarò che "ti rende felice solo a guardarlo" e lo definì "l'uomo della città dei sogni".
L'entusiasmo è condiviso da Hitchcock ("un regista non dirige il meraviglioso Cary Grant, ma si limita a mettergli di fronte la macchina da presa lasciando che il pubblico si identifichi con lui") e da Capra, che individua il suo longevo carisma nella combinazione tra l'avvenenza fisica e la leggerezza del talento comico. Hollywood cercò di farsi perdonare con un tardivo Oscar alla carriera nel 1970.
(1 novembre 2004)
http://www.repubblica.it/2004/k/sezioni/spettacoli_e_cultura/caryspia/caryspia/caryspia.html