giovedì 3 maggio 2007

Il documento di 30 parlamentari di sinistra: «Non siamo un Paese normale»

«Lo spropositato attacco alle parole di Andrea Rivera è molto preoccupante. Non è un Paese normale quello in cui diventa un attentato esprimere una opinione, o fare una battuta, sulle scelte compiute dalle gerarchie ecclesiastiche». Così, in una lettera firmata da parlamentari di sinistra, i firmatari precisano la loro posizione in merito alle polemiche sollevate dalle parole pronunciate dal comico Andrea Rivera nel corso del concerto del Primo maggio a Roma.

«Le minacce e il terrorismo sono una cosa troppo seria per confonderle con le parole, sgradite o irriverenti che siano - viene sottolineato nel documento torniamo alla Costituzione che tutela la libertà di espressione. E teniamo tutti i nervi a posto», si conclude.

Hanno sottoscritto il documento le deputate e i deputati: Lomaglio, Acerbo, Buffo, Cacciari, Aurisicchio, Longhi, Attili, Nicchi, Di Serio, Trupia, Maderloni, Gentili, Grillini, Bandoli, Deiana, Migliore, Sperandio, Falomi, Duranti, De Cristofaro, Ali Rashid, Luxuria, Caruso, Iacomino,
Pettinari, Scotto, Leoni, Zanotti.


http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=65625

Sacro terrore

di Micaela Bongi


Lo «scriteriato», lo chiama Romano Prodi. I sindacati stanno valutando se chiedergli i danni per aver leso l'immagine del primo maggio. Mezzo mondo politico e anche di più gli dà come minimo dell'irresponsabile. Ma Andrea Rivera, fino all'altro ieri innocuo interprete del teatro canzone e intervistatore citofonico del programma di Serena Dandini, ha gettato la maschera sul palco di piazza San Giovanni. E si è rivelato molto più che uno «scriteriato irresponsabile»: Andrea Rivera è un terrorista. Non è un'iperbole. E' una verità non suscettibile di interpretazioni capziose, messa nero su bianco dall'Osservatore romano, quotidiano della Santa sede. Impossessatosi della conduzione del concertone del primo maggio, dal palco il terrorista si è lanciato come un kamikaze direttamente nei salotti degli italiani che speravano in un
pomeriggio di svago: «Il papa ha detto che non crede nell'evoluzionismo. Infatti la chiesa non si è mai evoluta». E ancora: «Non sopporto che il Vaticano abbia rifiutato i funerali di Welby. Invece non è stato così per Pinochet, Franco e per uno della banda della Magliana». Satira? Invettiva? Macché: «E' terrorismo alimentare furori ciechi contro chi parla sempre in nome dell'amore. E' vile e terroristico lanciare sassi addirittura contro il Papa».

E così dopo giorni di «allarme Bagnasco», la Santa sede torna a occupare le prime pagine dei giornali all'insegna del «codice rosso». Tutto è nello stesso calderone: le scritte «vergogna»
contro il presidente della Cei, il bossolo ricevuto dallo stesso Bagnasco e per il quale si è mobilitato lo stato a tutti i livelli, le bordate di Rivera. Ma anche il voto dell'europarlamento contro l'omofobia e in generale le critiche nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche.
Perché, ci spiega l'Osservatore, l'odio è «coscientemente alimentato da chi fa del laicismo la sua ragione d'essere, per convenienza politica». Lo dimostrano «le interpretazioni capziose di discorsi fatti dal presidente della Cei, forzati per aprire una 'guerra' strisciante, una nuova stagione della tensione, dalla quale trae ispirazione chi cerca motivi per tornare ad impugnare le armi...».

No, non è satira.
Non è una semplice invettiva. Il bossolo spedito a Bagnasco è stato un atto intimidatorio che va contro la dialettica democratica. Sacrosanta, è il caso di dire, la decisione della chiesa di rispondere tenendo alta la propria bandiera. Discutibile, se l'espressione è concessa, la tentazione di corredare il «non ci facciamo intimidire» con un'intimidazione di altro tipo. Quella neanche tanto strisciante nei confronti della politica che a pochi giorni dal Family day sta provando a chiudere in commissione giustizia del senato la discussione sui Dico.
E proprio dalla politica dovrebbe arrivare la risposta più sobriamente ferma non al kamikaze Rivera, ma alle intemerate delle alte sfere vaticane. In nome dell'amore (anche omosessuale, evidentemente) che impregna le predicazioni del santo padre, non si finisca preda del terrore. Terrore sacro, s'intende.



http://www.gaynews.it/view.php?ID=73585

lunedì 30 aprile 2007

La longa manus di Ruini su TG5 e Ansa

IL FATTO RICOSTRUITO DALLA REDAZIONE DI GAY.tv


Carlo Rossella, direttore del TG5, organizza, prima di Pasqua, una visita del Cardinale Ruini presso la redazione del telegiornale di punta di Mediaset. L’organizzazione di questa visita è stata condotta dal direttore a titolo personale, senza la minima consultazione della redazione.


Pochi giorni prima della visita di Ruini, sulla porta che immette allo studio del TG5 appaiono cartelli in evidenza che annunciano la benedizione del Cardinale: un invito a presenziare.


Il giorno dell’incontro, tenutosi nel piazzale interno antistante la redazione, solo uno sparuto numero di giornalisti ed altri impiegati si presenta all’incontro con Ruini. Ciononostante, il TG5 delle 13 di quel giorno manda in onda un servizio che racconta con afflato mistico la benedizione di Ruini alla redazione del TG5. Non solo. Rossella fa mandare ad ANSA ben tre richiami alla notizia (evidentemente secondo il direttore la
presenza di un sacerdote nel cortile di un edificio è una notizia): ANSA, dopo pressioni personali dello stesso Rossella via telefono, pubblica il resoconto dell’incontro, tacendo
completamente il fatto che non ci fossero molti presenti dalla redazione e tacendo il fatto che quell’incontro era stato organizzato a titolo personale da Rossella. Ma come poteva ANSA sapere che parte della redazione non fosse interessata a quell’incontro? Qui entra in scena una fonte interna del TG5. Che ci racconta.


(…) fu mandato ‘ALL'ANSA UN COMUNICATO, QUESTO:
I lavoratori del TG5 aderenti alla CUB-Informazione ritengono di dover
precisare che la visita odierna del Cardinal Ruini presso il centro di produzione Palatino è avvenuta su invito di Carlo Rossella a titolo squisitamente individuale.


Senza nulla togliere al valore che la benedizione pasquale assume per i credenti di fede cattolica, la CUB ritiene che in alcun modo tale visita possa essere interpretata come l'adesione dell'intero comparto TG5 ai principi da ultimo ribaditi dalla CEi in tema di diritti civili.


POI L'ANSA LO CENSURO'.



La fonte rivela anche che dalla redazione del TG5 partì una telefonata ad ANSA di viva protesta, per aver taciuto completamente questo comunicato e aver dato spazio solo al racconto nella versione Rossella. Ma l’ANSA non batté ciglio e alla fine la notizia che fu diffusa fu quella di un grande scambio di affetto tra la redazione del TG5 e il Cardinal Ruini. Per la libertà e l’indipendenza dell’informazione aspetteremo il regno dei cieli.

Giuliano Federico - Gianluigi Melesi

redazione@gay.tv


http://www.gay.tv/ita/magazine/we_like/dettaglio.asp?i=3850

Toscana, isola felice

Dopo aver rapprovato lo Statuto che tutela i diritti di gay e lesbiche, la legge contro le discriminazioni, gli ormoni gratuiti ai transessuali adesso c'è anche una task force tutta per noi.

di Daniele Nardini





Esiste una Regione, in Italia, pioniera dei diritti di gay, lesbiche, transessuali e transgender. Stiamo parlando della Toscana, terra che per prima al mondo abolì la pena di morte e che da allora ha sempre avuto un'attenzione particolare per la tutela dei diritti.



Dal 1998 la Regione ospita sulla sua costa la meta privilegiata del turismo GLBT, la Versilia e Torre del lago in particolare, confermando la vocazione all'accoglienza di tutti, nessuno escluso. Nel 2004 invece, la Toscana approvò una legge avanzatissima per tutelare gay e lesbiche residenti sul territorio e si diede uno Statuto talmente aperto verso la minoranza GLBT da scatenare le ire del centrodestra all'epoca al potere, il quale impugnò il testo già approvato davanti alla Corte Costituzionale. La giunta regionale vinse la battaglia e oggi gli omosessuali toscani godono di tutele e diritti senza eguali in Italia. Poi è venuto il momento, la scorsa estate, in cui l'allora assessore alla Sanità Enrico Rossi fece approvare una legge che poneva a carico del Sistema Sanitario Regionale (uno dei più efficienti e con i conti a posto) il trattamento ormonale per i transessuali.



Con queste premesse, nell'anno europeo delle pari opportunità per tutti, la Regione Toscana non poteva certo mancare all'appuntamento: la giunta ha creato presso l'assessorato alle riforme istituzionali una task force per dare maggiore energia e slancio all'applicazione di quelle norme.



Il programma di lavoro si muoverà su più livelli. «Vogliamo - spiega Fragai, l'assessore regionale alle riforme - organizzare corsi per famiglie e insegnanti: nelle scuole e tra le associazioni. Li stiamo organizzando con l'assessorato alla salute, per parlare di sessualità consapevole e preparare il personale sanitario. Ne faremo altri nei luoghi di lavoro, per parlare di mobbing e discriminazioni, incontrando lavoratori e datori di lavoro. Un percorso specifico riguarderà la minoranza trangender, che più rischia l'esclusione sociale. La violenza è un'altra piaga che dobbiamo combattere, la sicurezza un obiettivo da conquistare».



Il lavoro

La prima delle priorità è l'eliminazione di ogni discriminazione fondata sull'orientamento e l'identificazione sessuale nell'accesso e nella permanenza sul mercato di lavoro. «Saranno attivate - accenna l'assessore - borse di formazione per chi ha disturbi di identità di genere e bisogno di aiuto e di un percorso di formazione mirato per rientrare sul mercato del lavoro». Per i transessuali è stato inoltre creato un centro di riferimento a Careggi e già decisa, l'estate scorsa, la gratuità delle cure ormonali. Il prossimo passo sarà la costruzione di una rete regionale di riferimento.



Formazione nelle Asl e a scuola

Un corretto approccio a volte può far miracoli e rendere tutto molto meno difficile. Per questo la Regione ha deciso di formare anche medici, infemieri ed insegnanti: per non dare per scontata ad esempio l'eterosessualità delle ragazze alla prima visita ginecologica o per parlare di certi temi fin dalla scuola media superiore. Un'azione parallela è prevista sugli operatori dei consultori. Altri incontri sono rivolti invece ai genitori. Le Asl hanno già presentato un progetto per la formazione del personale, che partirà nei prossimi mesi. Per la scuole è tutto rinviato al prossimo anno scolastico. Percorsi di formazione sono previsti anche per i vigili urbani.



Eventi

Non mancheranno, infine, campagne di informazioni e iniziative di sensibilizzazione. «La Regione Toscana - sottolinea l'assessore Fragai - è tra i fondatori della neonata Rete nazionale degli enti locali contro le discriminazioni per orientamento sesssuale e identità di genere. Anche per questo ospiteremo ad ottobre una delle quindici iniziative nazionali dell'Anno europeo previste dall'Unione europea». L'appuntamento è a Firenze, all'interno della prossima edizione del Festival della creatività.



http://www.gay.it/channels/view.php?ID=22789

domenica 29 aprile 2007

Al Cittadino non far Sapere

di Marco Travaglio


Cari lettori, quando il Parlamento approva una legge all’unanimità, di solito bisogna preoccuparsi. Indulto docet. Questa volta è anche peggio. L’altroieri, in poche ore, con i voti della destra, del centro e della sinistra (447 sì e 7 astenuti, tra cui Giulietti, Carra, De Zulueta, Zaccaria e Caldarola), la Camera ha dato il via libera alla legge Mastella che di fatto cancella la cronaca giudiziaria. Nessuno si lasci ingannare dall’uso furbetto delle parole: non è una legge “in difesa della privacy” (che esiste da 15 anni) nè contro “la gogna delle intercettazioni”. Questa è una legge che, se passerà pure al Senato, impedirà ai giornalisti di raccontare - e ai cittadini di conoscere - le indagini della magistratura e in certi casi persino i processi di primo e secondo grado. Non è una legge contro i giornalisti. È una legge contro i cittadini ansiosi di essere informati sugli scandali del potere, ma anche sul vicino di casa sospettato di pedofilia. Vediamo perché.
Oggi gli atti d’indagine sono coperti dal segreto investigativo finché diventano “conoscibili dall’indagato”.
Da allora non sono più segreti e se ne può parlare. Per chi li pubblica integralmente, c’è un blando divieto di pubblicazione, la cui violazione è sanzionata con una multa da 51 a 258 euro, talmente lieve da essere sopportabile quando le carte investono il diritto-dovere di cronaca. Dunque i verbali d’interrogatorio, le ordinanze di custodia, i verbali di perquisizione e sequestro, che per definizione vengono consegnati all’indagato e al difensore, non sono segreti e si possono raccontare e, di fatto, citare testualmente (alla peggio si paga la mini-multa). È per questo che, ai tempi di Mani Pulite, gli italiani han potuto sapere in tempo reale i nomi dei politici e degli imprenditori indagati, e di cosa erano accusati. È per questo che, di recente, abbiamo potuto conoscere subito molti particolari di Bancopoli, Furbettopoli, Calciopoli, Vallettopoli, dei crac Cirio e Parmalat, degli spionaggi di Telecom e Sismi.
Fosse stata già in vigore la legge Mastella, Fazio sarebbe ancora al suo posto, Moggi seguiterebbe a truccare i campionati, Fiorani a derubare i correntisti Bpl, Gnutti e Consorte ad accumulare fortune in barba alle regole, Pollari e Pompa a spiare a destra e manca. Per la semplice ragione che, al momento, costoro non sono stati arrestati né processati: dunque non sapremmo ancora nulla delle accuse a loro carico. Lo stesso vale per i sospetti serial killer e pedofili, che potrebbero agire indisturbati senza che i vicini di casa sappiano di cosa sono sospettati.
La nuova legge,infatti,da un lato aggrava a dismisura le sanzioni per chi infrange il divieto di pubblicazione: arresto fino a 30 giorni o, in alternativa, ammenda da 10 mila a 100 mila euro (cifre che nessun cronista è disposto a pagare pur di dare una notizia). Dall’altro allarga à gogò il novero degli atti non più pubblicabili. Anzitutto “è vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pm o delle investigazioni difensive, anche se non più coperti da segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. La notizia è vera e non é segreta, ma è vietato pubblicarla: i giornalisti la sapranno, ma non potranno più raccontarla. A meno che non vogliano rovinarsi, sborsando decine di migliaia di euro.
È pure vietato pubblicare, anche solo nel contenuto, “la documentazione e gli atti relativi a conversazioni, anche telefoniche, o a comunicazioni informatiche o telematiche ovvero ai dati sul traffico telefonico e telematico, anche se non più coperti da segreto”. Le intercettazioni che hanno il pregio di fotografare in diretta un comportamento illecito, o comunque immorale, o deontologicamente grave sono sempre top secret.
Bontà loro, gli unanimi legislatori consentiranno ancora ai giornalisti di raccontare che Tizio è stato arrestato (anche per evitare strani fenomeni di desaparecidos, come nel vecchio Sudamerica o nella Russia e nell’Iraq di oggi). Si potranno ancora riferire, ma solo nel contenuto e non nel testo, le misure cautelari, eccetto “le parti che riproducono il contenuto di intercettazioni”. Troppo chiare per farle sapere alla gente.
E i dibattimenti? Almeno quelli sono pubblici, ma fino a un certo punto: “non possono essere pubblicati gli atti del fascicolo del pm, se non dopo la pronuncia della sentenza d’appello”. Le accuse raccolte (esempio, nei processi Tanzi, Wanna Marchi, Cuffaro, Cogne, Berlusconi etc.) si potranno conoscere dopo una decina d’anni da quando sono state raccolte: alla fine dell’appello. Non è meraviglioso?
L’ultima parte della legge è una minaccia ai magistrati che indagano e intercettano ”troppo”, come se l’obbligatorietà dell’ azione penale fosse compatibile con criteri quantitativi o di convenienza economica: le spese delle Procure per intercettazioni (che peraltro vengono poi pagate dagli imputati condannati, ma questo nessuno lo ricorda mai) saranno vagliate dalla Corte dei Conti per eventuali responsabilità contabili. Così, per non rischiare di risponderne di tasca propria, nessun pm si spingerà troppo in là, soprattutto per gli indagati eccellenti.
A parte «Il Giornale», nessun quotidiano ha finora compreso la gravità del provvedimento. L’Ordine dei giornalisti continua a concentrarsi su un falso problema: quello del “carcere per i giornalisti”, che è un’ipotesi puramente teorica, in un paese in cui bisogna totalizzare più di 3 anni di reclusione per rischiare di finire dentro. Qui la questione non è il carcere: sono le multe. Molto meglio una o più condanne (perlopiù virtuali) a qualche mese di galera, che una multa che nessun giornalista sarà mai disposto a pagare. Se esistessero editori seri, sarebbero in prima fila contro la legge Mastella. A costo di lanciare un referendum abrogativo. Invece se ne infischiano: meno notizie “scomode” portano i cronisti, meno grane e cause giudiziarie avrà l’azienda. Mastella, comprensibilmente, esulta: «Un grande ed esaltante momento della nostra attività parlamentare». Pecorella pure: «Una buona riforma, varata col contributo fondamentale dell’opposizione». Vivi applausi da tutto l’emiciclo, che è riuscito finalmente là dove persino Berlusconi aveva fallito: imbavagliare i cronisti. Ma a stupire non è la cosiddetta Casa delle Libertà, che facendo onore alla sua ragione sociale ha tentato fino all’ultimo di aumentare le pene detentive e le multe (fino al 500 mila euro!) per i giornalisti. È l’Unione, che nell’elefantiaco programma elettorale aveva promesso di allargare la libertà di stampa. Invece l’ha allegramente limitata con la gentile collaborazione del centrodestra. Ma chi sostiene che nell’ultimo anno non è cambiato nulla, ha torto marcio. Quando le leggi-vergogna le faceva Berlusconi, l’opposizione strillava e votava contro. Ora che le fa l’Unione, l’ opposizione non strilla, anzi le vota. In vista del passaggio al Senato, cari lettori, facciamoci sentire almeno noi, giornalisti e cittadini.

L'UNITA' 19 aprile 2007 Uliwood Party

Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

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