venerdì 22 settembre 2006

Diritto d'asilo. Più facile lo status di rifugiato ai gay

L'Unione cambia la Bossi-Fini
di Marco Dell'Omo


ROMA, 21 SET - Per il centrodestra si tratta di uno stravolgimento della legge Bossi-Fini. Per il centrosinistra di un atto di civiltà oltre che di un doveroso adeguamento alle norme europee. Sta di fatto che, approvando la legge comunitaria per l'anno in corso, la maggioranza alla Camera ha dato una prima spallata alle norme sull'immigrazione volute dalla casa delle libertà.

Durante l'esame della legge comunitaria (il provvedimento che anno dopo anno recepisce le direttive europee) sono stati accolti due emendamenti del governo che cambiano le regole in vigore sul diritto di asilo.

La questione è semplice: oggi per avere diritto al riconoscimento dello status di rifugiato bisogna provenire da una regione del mondo teatro di violenze e presente in un apposito elenco. Se la domanda viene respinta, si viene caricati sul primo aereo disponibile e rispediti nel paese di origine.

Con le modifiche di Montecitorio, che ora passano all'esame del Senato, le regole diventano più elastiche. L'asilo politico potrà essere richiesto da cittadini di qualsivoglia paese, e non solo da quelli provenienti dalle zone "calde".

Tra le righe dell'emendamento, c'è la possibilità di accordare lo status di rifugiato anche ai gay che provengono da pesi dove l'omosessualità è considerata un reato.

Inoltre, in caso di respingimento della pratica, gli immigrati potranno presentare ricorso, restando in Italia fino al termine della procedura.

Al momento del voto sulla legge (246 sì, 84 no e 106 astenuti), la maggioranza ha votato compatta per il sì, mentre l'opposizione si è divisa: Lega e An hanno votato contro la legge comunitaria, mentre Forza Italia e Udc hanno preferito astenersi per motivi di etichetta europea ("Siamo contro lo stravolgimento della Bossi-Fini, ma non potevamo votare contro la legge comunitaria, non l'abbiamo mai fatto", ha spiegato l'azzurro Antonio Leone).

Ma tutti i gruppi dell'opposizione tuonano contro la scelta fatta dal centrosinistra. Il leghista Roberto Calderoli sostiene che con le nuove regole ci sarà "una sanatoria per 550mila immigrati irregolari".

"Basterà dichiararsi gay - si inquieta il senatore del Carroccio - per aver il diritto di restare in Italia". Per Carlo Giovanardi, ex ministro dell'Udc, il governo Prodi continua "nella scriteriata politica di far sapere a tutto il mondo che in Italia si può arrivare clandestini in qualsiasi modo e poi si riesce a rimanere". Altri parlamentari dell'opposizione, come Fabio Rampelli (AN), puntano l'indice contro "l'aiuto che le nuove regole daranno ai trafficanti di clandestini".

A esprimere soddisfazione per l'approvazione della legge, il deputato 'transgender' di Rifondazione Comunista Vladimir Luxuria: "La norma votata dalla Camera, implicitamente, riguarda anche tutti coloro che per il loro orientamento sessuale vengono discriminati e puniti, in alcuni casi anche con la morte. L'Italia compie un passo fondamentale per l'affermazione piena e completa del diritto di vivere".

Ma sull'immigrazione lo scontro in Parlamento è appena agli inizi. In commissione Affari Costituzionali della Camera si sta discutendo in questi giorni della nuova legge sulla cittadinanza (quella che concede la cittadinanza italiana agli extracomunitari dopo cinque anni di residenza).

La Lega promette battaglia; e nel frattempo i parlamentari del Carroccio hanno presentato una proposta di legge per l'istituzioni di classi differenziate per i gli studenti extracomunitari con problemi di apprendimento.


http://www.gaynews.it/view.php?ID=70287

mercoledì 20 settembre 2006

Roma 20 Settembre 1870 - 2006

La breccia di Porta Pia. Una breccia per il pluralismo



Il 20 settembre 1870 con l’apertura della Breccia di Porta Pia, si chiudeva il lungo e sanguinoso periodo del Risorgimento, finiva dopo migliaia di anni il potere temporale della Chiesa e ci si avviava verso una concezione dello Stato più laico dove, almeno formalmente, la religione era invitata ad attenersi alla sfera privata di ogni cittadino.

L’Italia era definitivamente unita; insieme alla breccia si erano aperti i cancelli del ghetto di Roma, tuttavia molte erano ancora le conquiste in senso normativo, giuridico, sociale che si dovevano realizzare perché vi fosse uno Stato laico nel senso più vero del termine.

Sono passati 136 anni: l’Italia da Stato monarchico statutario è divenuta uno Stato prima autocratico e poi Repubblicano con una moderna Costituzione stilata e votata da un’assemblea democraticamente eletta, valida ancora nei suoi basilari principi, pur messi democraticamente in discussione nel dibattito politico.

Ma quanti passi avanti sono stati veramente fatti perché siano rispettate, espresse e soddisfatte le istanze di tutti i cittadini? Il nostro Paese si può considerare realmente uno stato laico a tutti gli effetti? È garantita di fatto, e non solo di fronte alla legge, la libera espressione e la risposta adeguata alle esigenze di tutte le minoranze etniche, culturali, religiose? Cosa c’è ancora da fare?

Il 20 settembre, memento di una libertà conquistata con sangue e dolore, riteniamo debba essere sempre una data da ricordare come punto di partenza del percorso per la costruzione di uno Stato che, attraverso la sua laicità, sia veramente inclusivo e democratico.

domenica 17 settembre 2006

L´editto di Ratisbona

di Furio Colombo


Molti pensano che se si dà torto al Papa si prende una posizione antireligiosa e si manca di rispetto al suo magistero. È una posizione tanto più irriguardosa per chi non si sente subordinato a quel magistero.

Molti pensano che il Papa non abbia mai torto, non solo perché non si può e non si deve mai dire, ma anche perché è inconcepibile che abbia torto.

Molti pensano che il Papa non possa avere torto, tanto che si espone immediatamente al torto la persona, il gruppo, la parte politica che decidano di esprimere un giudizio negativo su un atto o una parola del Papa. Tale giudizio viene considerato in sé, invade il campo di un´autorità di altra natura che non si può coinvolgere in una polemica, meno che mai se quella polemica ha a che fare con la dottrina.

Infatti chi sta criticando, anche animatamente, il Papa dopo le cose dette a Ratisbona su Maometto? Solo persone-guida del mondo islamico e masse del mondo islamico di cui avevamo già detto noi, l´Occidente, tutto il male possibile. E dunque sono schedati per quello che sono: nemici. Volete associarvi ai nemici che uno di questi giorni potrebbero incoraggiare un gesto violento, dicendo male del Papa?

Per proseguire in questa analisi di una situazione mai prima accaduta (il Papa parla e una parte del mondo è in rivolta) occorrono due precisazioni.

La prima è che la grande polemica è esplosa dopo dettagliate argomentazioni di un docente di teologia - Joseph Ratzinger - nel corso di una sua lezione. Non in un discorso del Papa.

La seconda è che molti di coloro che da questa parte del mondo sono stati colti di sorpresa dalle parole del docente-Papa e intendono esprimere il proprio dissenso, non lo fanno per riguardo alla parte del mondo che si sente offesa né per unirsi al clamore delle proteste che potrebbero diventare violenza. Lo fanno perché essi pensano (e pensa anche chi scrive) che un errore è un errore. E questo errore è stato commesso dalla nostra parte, ciò che chiamiamo cultura occidentale. Dunque è dal punto di vista della cultura in cui viviamo - e non in cavalleresca difesa di altre culture - che l´errore va definito.

* * *

Per definire un errore è necessario un contesto. Il contesto qui, è: guerra e pace, potere e non potere, religione e politica.

Nel contesto si situa il fatto. Parlando dalla sua cattedra di teologia all´Università di Ratisbona, Joseph Ratzinger ha svolto considerazioni storiche sul rapporto Cristianesimo-Islam, e ha usato come documento citazioni e testimonianze (autorevoli nella cultura cristiana) sulla cattiva qualità della visione teologica islamica.

Ha dunque aperto una disputa aspra ma che sarebbe solo di scuola se il docente non fosse anche il Papa, dunque capo della Chiesa cattolica e capo di Stato. La brusca variazione di livello porta le parole del teologo Ratzinger dalla disputa di scuola al contesto pace-guerra. E infatti una parte del mondo islamico ha già dichiarato di considerarsi in guerra con il mondo cristiano. E una parte del mondo cristiano ha già accolto e ricambiato con altrettanta determinazione quella dichiarazione di guerra.

Il teologo Ratzinger, nel pronunciare il suo duro giudizio su Maometto, sia pure come citazione storica nel corso di una lezione, ha chiamato in causa Ratzinger-Papa, dunque il potere. Non solo il potere come peso mondiale della Chiesa cattolica. Ma il potere anche più grande, anche materiale che viene evocato all'istante nel momento in cui una voce così alta, che di solito si frappone ai conflitti, in questo caso si fa componente importante di una delle parti in conflitto.

Quello che vedono molti nel mondo è un potere morale grandissimo che si schiera con un potere materiale grandissimo. Quegli occhi sono, in molti casi, occhi di chi si sente senza potere e percepisce dunque come offesa la voce religiosa della Chiesa cattolica che era abituata a conoscere e a rispettare come «non combattente».

Impossibile negare, poi, che il teologo, essendo Papa, ha condotto, persino senza volerlo, la sua escursione storica fuori dal territorio della disputa religiosa e dentro le mura della politica. Ciò avviene non solo perché per convenienza, storia o ragione, la bandiera islamica sventola ormai su quasi tutti i conflitti nel mondo, ma anche perché rafforza e conferma la definizione «cristiana» che i più estremi combattenti islamici amano dare del nemico.

* * *

Una volta che tutto ciò è avvenuto, occorre riconoscere due conseguenze. La prima è un peggioramento delle condizioni del conflitto. Sembrano favoriti, da una parte e dall'altra, coloro che raccomandano di credere nello scontro di civiltà e dunque nella prova finale del confronto fra il bene e il male.

La seconda è la disattivazione (momentanea, dobbiamo disperatamente sperare) di quella forte voce cattolica che, a differenza del fondamentalismo protestante, non solo non si è mai prestata alla cupa profezia del confronto finale tra il bene e il male, non solo non ha mai preteso rese e abiure per accettare gli islamici (immigrati o governi) nel club dei buoni, ma ha sempre teso la mano, alla pari alle altre fedi.

Dunque è alla parte del mondo in cui il teologo Papa insegna e governa che importa decidere in che modo tener conto delle sue parole. Non tanto, non solo, non ancora per le reazioni e le proteste (molte, come sempre, strumentali, molte, a quanto pare, spontanee, in varie parti del mondo islamico) ma per l'improvviso cambiamento di immagine del mondo a cui apparteniamo, di cui siamo voce, e sul quale il Papa della Chiesa di Roma ha un'influenza grandissima. Ecco perché ci riconosciamo in ciò che ha scritto sabato il New York Times, forse il più autorevole quotidiano del mondo democratico: «Le parole del Papa sono tragiche e pericolose». È ciò che è avvenuto ed è giusto dirlo.

da l'Unità del 17/09/2006

Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

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