Gianni Delle Foglie, fondatore di Babele, è scomparso una settimana fa. L´uomo che ha vissuto con lui 26 anni racconta la sua "umiliazione"
di ZITA DAZZI
«PER la prima volta ho provato che cosa vuol dire l´umiliazione di non esistere. Con Gianni, con quell´uomo che stava morendo, ho vissuto 26 anni. Ma per le istituzioni, per l´ospedale, io ero nessuno. Non il convivente, non un parente. Nessuno. Solo un estraneo con nessun diritto». Ivan Dragoni, 62 anni, stimato professore universitario di Igiene e Tecnologia alimentare, presidente dell´Ordine dei tecnologi alimentari, ex presidente di Milano Ristorazione, ha sperimentato sulla sua pelle, quanto può costare, in termini umani, il non aver ottenuto dallo Stato il riconoscimento formale della propria unione familiare con una persona dello stesso sesso. Il compagno di tutta la sua vita, Gianni Delle Foglie, 59 anni, fondatore della storica libreria gay Babele, è morto mercoledì 11 giugno all´ospedale Policlinico, dopo cinque giorni di agonia.
Li aveva simbolicamente sposati in piazza Scala, nel 1992, Paolo Hutter, allora consigliere comunale. Anni luce prima del dibattito sui Pacs, sulle unioni civili e sui diktat vaticani. Gli ultimi che hanno passato assieme, per Ivan e Gianni sono stati cinque giorni di drammatico calvario, un calvario aggravato dalle difficoltà burocratiche che la coppia ha dovuto attraversare per riuscire a stare assieme nei momenti finali, mentre la situazione clinica precipitava senza speranze.
Signor Dragoni quando sono cominciati i problemi?
«Già quando abbiamo chiamato l´ambulanza, sabato mattina, ho capito che sarebbe stata dura. Gianni stava male, un dolore fortissimo al petto. Abbiamo capito subito che il caso era grave, ma sull´ambulanza mi hanno detto che poteva salire solo un "accompagnatore"».
E lei?
«Ho detto che ero il convivente. E ho avvertito l´imbarazzo dei lettighieri. Comunque sono stati gentili. Mi hanno fatto salire e siamo arrivati all´ospedale. Da quel momento in poi ho capito che io per loro ero meno di un passante. Cercavano i parenti».
Ma l´hanno lasciata stare accanto al suo compagno?
«Fortunatamente sì. Ma questo è stato possibile solo grazie al fatto che Gianni ha una grande, meravigliosa famiglia, che mi ha sempre voluto bene e che mi ha accettato da subito. Sono stati loro a dire ai medici che era importante che anche io stessi al capezzale del paziente».
Ma lei veniva informato?
«No. Da quando i parametri clinici hanno cominciato seriamente a deteriorarsi, io ho visto che in ogni fase, gli occhi dei medici, salivano sopra di me, come a cercare qualcuno più competente di me, un "vero" parente. Subito dopo l´angioplastica che gli è stata praticata d´urgenza, ho capito che le cose andavano male. Ma non me l´hanno comunicato loro».
Con chi comunicavano?
«Con i fratelli, i quali spiegavano a me. Poi, per fortuna, io al Policlinico conosco diverse persone, dal primario a uno dei cardiologi. Insomma, grazie a queste mie conoscenze, sono riuscito a non sentirmi completamente escluso, ad avere un po´ di attenzione».
Ma che cosa è successo?
«Questo stiamo ancora cercando di capirlo. Dopo l´angioplastica, c´è stata la somministrazione di farmaci anticoagulanti e una reazione non positiva a questa terapia. È cominciata una emorragia interna, i livelli delle piastrine sono andati a zero».
E lei durante queste fasi?
«Io, stavo sempre in secondo piano. Non mi dicevano niente: "Questioni di privacy". Solo i parenti riconosciuti dallo Stato hanno accesso alle informazioni. Ma io non sono tale, quindi i medici non potevano relazionarsi direttamente con me. A un certo punto, mentre era in corso l´emorragia cerebrale, nessuno mi parlava. Ho dovuto urlare perché mi dicessero quel che stava succedendo».
Ma ha potuto stargli accanto negli ultimi giorni?
«Sono stato sempre accanto a lui, fino all´ultimo secondo, fino a quando ha chiuso gli occhi. Certo, in un frangente del genere e in una situazione familiare come la nostra, dipendi completamente dalla disponibilità e dall´intelligenza del personale infermieristico. Tu vuoi fare delle cose banali che si fanno in quei momenti, e dipende solo da loro che tu possa farlo».
Tipo?
«Vuoi asciugare il sudore del tuo compagno, vuoi tenergli la mano. Nel mio caso, per fortuna ho potuto farlo».
E poi?
«Quando Gianni è spirato, era come se fossi diventato invisibile. Per tutte le decisioni importanti successive alla morte servono le firme di quelli che per la legge sono i familiari. Quindi i fratelli e le sorelle. Non io. Questo per esempio, per il prelievo degli organi, per la scelta della cremazione, per la richiesta di conservare le ceneri. Bastava che un solo fratello si opponesse a una di queste cose che io e Gianni avevamo deciso e sapevamo l´uno dell´altro, e si sarebbe fatto in modo diverso».
Invece?
«Come dicevo, quella è una grande famiglia, sono persone aperte, che mi vogliono bene. Non c´è stato problema da quel punto di vista».
Quando saranno i funerali?
«Lunedì, alle 11, nel cortile di casa nostra, in corso Colombo. Proietteremo il video delle nostre nozze in piazza Scala e le immagini di Gianni che cantava. Era un grande tenore. È stata una bella, lunghissima storia d´amore la nostra».
http://www.gaynews.it/view.php?ID=74421
di ZITA DAZZI
«PER la prima volta ho provato che cosa vuol dire l´umiliazione di non esistere. Con Gianni, con quell´uomo che stava morendo, ho vissuto 26 anni. Ma per le istituzioni, per l´ospedale, io ero nessuno. Non il convivente, non un parente. Nessuno. Solo un estraneo con nessun diritto». Ivan Dragoni, 62 anni, stimato professore universitario di Igiene e Tecnologia alimentare, presidente dell´Ordine dei tecnologi alimentari, ex presidente di Milano Ristorazione, ha sperimentato sulla sua pelle, quanto può costare, in termini umani, il non aver ottenuto dallo Stato il riconoscimento formale della propria unione familiare con una persona dello stesso sesso. Il compagno di tutta la sua vita, Gianni Delle Foglie, 59 anni, fondatore della storica libreria gay Babele, è morto mercoledì 11 giugno all´ospedale Policlinico, dopo cinque giorni di agonia.
Li aveva simbolicamente sposati in piazza Scala, nel 1992, Paolo Hutter, allora consigliere comunale. Anni luce prima del dibattito sui Pacs, sulle unioni civili e sui diktat vaticani. Gli ultimi che hanno passato assieme, per Ivan e Gianni sono stati cinque giorni di drammatico calvario, un calvario aggravato dalle difficoltà burocratiche che la coppia ha dovuto attraversare per riuscire a stare assieme nei momenti finali, mentre la situazione clinica precipitava senza speranze.
Signor Dragoni quando sono cominciati i problemi?
«Già quando abbiamo chiamato l´ambulanza, sabato mattina, ho capito che sarebbe stata dura. Gianni stava male, un dolore fortissimo al petto. Abbiamo capito subito che il caso era grave, ma sull´ambulanza mi hanno detto che poteva salire solo un "accompagnatore"».
E lei?
«Ho detto che ero il convivente. E ho avvertito l´imbarazzo dei lettighieri. Comunque sono stati gentili. Mi hanno fatto salire e siamo arrivati all´ospedale. Da quel momento in poi ho capito che io per loro ero meno di un passante. Cercavano i parenti».
Ma l´hanno lasciata stare accanto al suo compagno?
«Fortunatamente sì. Ma questo è stato possibile solo grazie al fatto che Gianni ha una grande, meravigliosa famiglia, che mi ha sempre voluto bene e che mi ha accettato da subito. Sono stati loro a dire ai medici che era importante che anche io stessi al capezzale del paziente».
Ma lei veniva informato?
«No. Da quando i parametri clinici hanno cominciato seriamente a deteriorarsi, io ho visto che in ogni fase, gli occhi dei medici, salivano sopra di me, come a cercare qualcuno più competente di me, un "vero" parente. Subito dopo l´angioplastica che gli è stata praticata d´urgenza, ho capito che le cose andavano male. Ma non me l´hanno comunicato loro».
Con chi comunicavano?
«Con i fratelli, i quali spiegavano a me. Poi, per fortuna, io al Policlinico conosco diverse persone, dal primario a uno dei cardiologi. Insomma, grazie a queste mie conoscenze, sono riuscito a non sentirmi completamente escluso, ad avere un po´ di attenzione».
Ma che cosa è successo?
«Questo stiamo ancora cercando di capirlo. Dopo l´angioplastica, c´è stata la somministrazione di farmaci anticoagulanti e una reazione non positiva a questa terapia. È cominciata una emorragia interna, i livelli delle piastrine sono andati a zero».
E lei durante queste fasi?
«Io, stavo sempre in secondo piano. Non mi dicevano niente: "Questioni di privacy". Solo i parenti riconosciuti dallo Stato hanno accesso alle informazioni. Ma io non sono tale, quindi i medici non potevano relazionarsi direttamente con me. A un certo punto, mentre era in corso l´emorragia cerebrale, nessuno mi parlava. Ho dovuto urlare perché mi dicessero quel che stava succedendo».
Ma ha potuto stargli accanto negli ultimi giorni?
«Sono stato sempre accanto a lui, fino all´ultimo secondo, fino a quando ha chiuso gli occhi. Certo, in un frangente del genere e in una situazione familiare come la nostra, dipendi completamente dalla disponibilità e dall´intelligenza del personale infermieristico. Tu vuoi fare delle cose banali che si fanno in quei momenti, e dipende solo da loro che tu possa farlo».
Tipo?
«Vuoi asciugare il sudore del tuo compagno, vuoi tenergli la mano. Nel mio caso, per fortuna ho potuto farlo».
E poi?
«Quando Gianni è spirato, era come se fossi diventato invisibile. Per tutte le decisioni importanti successive alla morte servono le firme di quelli che per la legge sono i familiari. Quindi i fratelli e le sorelle. Non io. Questo per esempio, per il prelievo degli organi, per la scelta della cremazione, per la richiesta di conservare le ceneri. Bastava che un solo fratello si opponesse a una di queste cose che io e Gianni avevamo deciso e sapevamo l´uno dell´altro, e si sarebbe fatto in modo diverso».
Invece?
«Come dicevo, quella è una grande famiglia, sono persone aperte, che mi vogliono bene. Non c´è stato problema da quel punto di vista».
Quando saranno i funerali?
«Lunedì, alle 11, nel cortile di casa nostra, in corso Colombo. Proietteremo il video delle nostre nozze in piazza Scala e le immagini di Gianni che cantava. Era un grande tenore. È stata una bella, lunghissima storia d´amore la nostra».
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