lunedì 19 dicembre 2005

Patente sospesa a gay catanese: condannato il ministero dei Trasporti

TAR di Catania: "L'omosessualità non è una malattia psichica"


(ANSA) - CATANIA, 19 DIC - "L' omosessualità non rientra nella categoria di malattia psichica". Lo ha ribadito la seconda sezione del Tribunale amministrativo regionale di Catania che ha accolto il ricorso di un 23enne al quale la Motorizzazione civile aveva chiesto la revisione della patente di guida su segnalazione dell' ospedale militare di Agusta secondo i cui medici il giovane alla visita di leva, confessando di essere gay, era risultato non in possesso dei requisiti psicofisici richiesti.

La richiesta era stata sospesa in via cautelare del Tar, che adesso ha svolto una regolare udienza e emesso una sentenza con la quale ha condannato il ministero dei Trasporti al pagamento delle spese processuali, mille euro. Resta invece ancora pendente, davanti al Tribunale civile di Catania, il processo per il risarcimento danni, da 500 mila euro, chiesto ai ministeri dei Trasporti e della Difesa dal legale del giovane, l' avvocato Giuseppe Lipera.

Durante il dibattimento, gli avvocati del ministero dei Trasporti hanno sostenuto che la revisione della patente era stata chiesta "non in considerazione del semplice accertamento dell' omosessualità ma per le situazioni cliniche di sofferenza psichica". Ma per i giudici ha fatto testo la relazione del servizio di psicologia dell' Asl 3 secondo il quale invece "buone e integre appaiono le funzioni cognitive e la capacità di relazionarsi" del 23enne omosessuale. "Si aggiunga - scrive il Tar di Catania nella sentenza - che nel diario clinico dell' ospedale militare di Augusta si legge: 'all' esame psichico non turbe del pensiero e della percezione, diagnosi disturbo dell' identità sessualè". (ANSA).

---

Studio Legale Lipera "Avv. Pietro"

In collaborazione con Avv. Luca Enrico Blasi

Dottore di ricerca in Scienze Criminalistiche
presso l'Università di Catania



Roma lì 19/12/2005



COMUNICATO STAMPA



Il T.A.R. Sicilia Sezione Distaccata di Catania, Seconda Sezione, presieduto dal Dott. Italo Vitellio, relatore il consigliere Dott.ssa Paola Puliatti, con sentenza n. 2353/05, depositata in cancelleria il 7 dicembre scorso, ma di cui si è avuta notizia soltanto oggi, ha accolto il ricorso di GIUFFRIDA Melchiore Danilo, difeso dall'Avv. Giuseppe Lipera, annullando così il provvedimento del 19/9/2001,con cui l'Ufficio della Motorizzazione Civile di Catania aveva disposto la revisione della sua patente di guida mediante un nuovo esame di idoneità psico-fisica.


In giudizio si era costituita l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania in difesa del Ministero dei Trasporti e della Navigazione che aveva sostenuto la legittimità del provvedimento dell'Amministrazione.


Nella motivazione della sentenza del T.A.R. i giudici hanno osservato a chiare lettere "che l'omosessualità non rientra nella categoria di malattia psichica e, pertanto, non è inclusa in alcuna delle ipotesi considerate dal richiamato art. 320 del Regolamento di esecuzione del codice della strada".


Il T.A.R. ha avuto modo di ribadire quanto già affermato "in seno all'ordinanza cautelare n. 159/02 (emessa sempre nell'ambito di questo procedimento) che le preferenze sessuali di un individuano non rientrano in nessuna delle nozioni della scienza medica che la norma prende in considerazione ai fini della capacità di guida e non rappresentano meno che mai malattia psichica".


Dopo aver concluso che il provvedimento impugnato era "affetto dai vizi di violazione di Legge denunciati" ha condannato il Ministero dei Trasporti e della Navigazione a pagare le spese di giudizio.



Viva soddisfazione per la sentenza emessa da T.A.R. Sicilia che è stata espressa dall'Avv. Giuseppe Lipera, il quale ha preannunziato che informerà subito di questa decisione il giudice Dott. Ezio Cannata Baratta, della V Sezione Civile del Tribunale di Catania, avanti a cui pende la causa per il risarcimento dei danni morali e patrimoniali subiti per questa vicenda dal giovane gay.


http://www.gaynews.it/view.php?ID=35442

domenica 18 dicembre 2005

Calciatori gay, cade (forse) l'ultimo tabù

Il centrocampista van Dijk si è dichiarato omosessuale
Tre tedeschi al Financial Times: sì al coming out, se lo fanno altri otto. Reticenza degli italiani. Dal rugby ai tuffi: ora c'è chi lo dichiara

di Gaia Piccardi


Chiuso a doppia mandata nella penombra dello spogliatoio, protetto dai parastinchi e dall'omertà del gruppo, l'ultimo tabù dello sport (forse) sta per cadere. Tre calciatori omosessuali tedeschi, uno molto famoso e gli altri due impegnati in serie minori, sono pronti a fare coming out a patto che altri otto colleghi siano disposti a dichiararsi gay. Sembra un reality, undici giocatori per un clamoroso coming out. Potrebbe essere, invece, l'assalto finale all'ipocrisia del pallone che il Financial Times sponsorizza con prudenza: «È un altro sintomo della società che si trasforma, ma non aspettatevi che il calcio sia pronto a un passo simile».

Non sarà una rivoluzione, ma di certo è un segnale. E così dopo il rugby australiano (Ian Roberts), il baseball americano (Billy Bean) e i tuffi (Greg Louganis), l'enclave più chiusa e barricata dell'omofobia, il calcio, lascia intravedere le prime crepe. «È una notizia importante» commenta il deputato Ds e presidente dell'Arcigay Franco Grillini, il tifoso del Bologna che con la moglie del ministro degli Esteri e ultrà della Lazio, Daniela Fini, ebbe un interessante scambio di vedute. «Gay nel calcio italiano? Impossibile» escluse lei. «Se fosse vero, il campionato non si giocherebbe» chiosò lui che, senza fare né nomi né cognomi («Ma, nel nostro ambiente, sappiamo tutto di tutti...»), procede per enigmi. «In una grossa squadra di serie A del Nord ce ne sono tre». «C'è stato un periodo, nel passato, in cui in una potenza del nostro calcio giocavano sette gay su undici». «Ci sono mogli finte e fidanzate finte, per le quali la copertura è un vero e proprio mestiere». «C'è un notissimo calciatore, ritratto della virilità, che cerca partner omosessuali su Internet e dà loro appuntamento tramite un intermediario». Basta così.

Chi è gay sa di esserlo e ha tutto il diritto di non aver voglia di raccontarlo. «Ma è assurdo pensare — sottolinea Grillini — che lo sport sia asessuato. E il calcio, con la sua divisione netta tra maschi e femmine, con i suoi spogliarelli e le sue ammucchiate dopo una rete, è il terreno più fertile per l'omosessualità». Non è un caso che una delle icone più apprezzate sia il numero 23 del Real Madrid, David Beckham, talmente a suo agio nel ruolo da non aver avuto problemi a posare per una rivista gay. E c'è forse qualcosa di più di uno scrupolo salutistico dietro l'editto con cui la Federcalcio internazionale, all'apice della diffusione dell'Aids, vietò baci e abbracci in campo. Voci, molte. Fatti, pochi. Al trionfale Mundial dell'82, il ct Bearzot decise il silenzio stampa dell'Italia per rispondere alle critiche spietate della stampa e alle insinuazioni sul feeling, fuori dall'area, tra due azzurri. L'ex interista Vampeta fu fotografato in pose inequivocabili per un calendario gay. Justin Fashanu, fratello del più noto John (Wimbledon e Aston Villa), una carriera nelle serie minori inglesi, dichiarò pubblicamente la sua omosessualità.

Così come, più di recente, l'olandese Dominique van Dijk, centrocampista 26enne dell'Rkc Waalwijck, figlio di un mito del calcio orange: «So bene che d'ora in poi per la gente sarò il calciatore gay e immagino le malignità dei tifosi sugli spalti. Ma vado avanti: l'anno prossimo lancerò una mia linea di abbigliamento». E l'Olanda, il Paese dove l'arbitro internazionale John Blankenstein dichiarò la sua omosessualità mentre era ancora in attività, non si è scomposta più di tanto. «Giocatori disposti a dichiararsi gay in Italia, dove il pallone è considerato la massima espressione del maschile, non si troveranno mai» chiosa Grillini, che stima un 10% di omosessuali nel nostro calcio tra atleti, arbitri e allenatori dalla serie A all'Eccellenza. Nascosti, ma non ai suoi occhi: «Li riconosco immediatamente. I gesti, lo sguardo, gli atteggiamenti... Non si può mascherare una verità sotto gli occhi di tutti». E, spesso, seppellita sotto l'esultanza per un gol.


http://www.corriere.it/Primo_Piano/Sport/2005/12_Dicembre/18/piccardi.shtml


La sfida degli sportivi gay



Il centrocampista olandese Dominique Van Dijk, 26 anni. Finora, è stato l'unico calciatore professionista ad aver dichiarato pubblicamente la propria omosessualità (Empics)



Ian Roberts, 40 anni, rugbista ai massimi livelli, ha fatto "coming out" nel 1995: in Australia, il suo Paese, la confessione sollevò un polverone. Si è ritirato nel 1999 (Empics)



Martina Navratilova ha annunciato di essere bisessuale nel 1980, pressata dalla stampa: fu uno scandalo. In realtà, della sua vita privata si ricordano soltanto relazioni con donne (Reuters)



Il tuffatore Usa Greg Louganis, classe 1960, prima medaglia olimpica a 16 anni, sorprende tutti con il doppio annuncio successivo alle olimpiadi di Seul, nel 1988: sono gay e sieropositivo (Ap)


Il giocatore di baseball americano Billy Bean (da Internet)



L'ex calciatore interista Vampeta sulla copertina di una rivista (da Internet)




Justin Fashanu, calciatore inglese (da Internet)



A sinistra John Blankenstein, arbitro olandese (da Internet)

sabato 17 dicembre 2005

Benedetto XVI imputato negli Stati Uniti per la copertura garantita dal Vaticano ai membri del clero responsabili di abusi sessuali

Daniel Shea, l'avvocato che ha portato la questione davanti alla Corte, parteciperà alla Manifestazione "per la libertà sessuale e di coscienza, contro le cause delle deviazioni e sofferenze, a cominciare da quelle dei preti pedofili e delle organizzazioni pedofobe" che l'associazione anticlericale.net ha organizzato per martedì 16 agosto alle ore 20.00 a Piazza San Pietro, in concomitanza con l'apertura a Colonia della Giornata Mondiale della Gioventù.



Roma 14 agosto 2005 - Il caso esplode pubblicamente solo nell'estate del 2003, quando il quotidiano americano Worcester Telegram & Gazette ottiene copia di un documento che per 40 anni era stato custodito come "strettamente confidenziale" negli archivi segreti della Santa Sede e riporta il caso di un avvocato di Boston, Carmen Durso, che consegna copia dell'Istruzione del 1962 "Crimen Sollicitationis" al Procurarore Michel J. Sullivan chiedendogli di riscontrare gli elementi, all'interno della giurisdizione federale, per procedere contro le gerarchie vaticane, colpevoli, a suo avviso, di aver deliberatamente coperto i casi di abusi sessuali che vedevano coinvolti membri del clero.

Contestualmente, un'altra lettera arriva sul tavolo del Procuratore, ed è firmata da Daniel Shea, avvocato di Houston (Texas), ex seminarista che ha scoperto il documento del 1962 e ne ha dato copia al quotidiano di Boston e all'avvocato Durso. Il documento, spiega Shea nella lettera, viene citato come ancora in vigore in una nota dell'epistola "De Delictis Gravioribus" del 18 maggio 2001, che Joseph Ratzinger, allo Prefetto Congregazione per la Dottrina della Fede aveva fatto recapitare ai vescovi e agli altri ordinati e membri della gerarchia ecclesiastica.

Il caso viene portato all'attenzione pubblica internazionale dalla rete televisiva statunitense CBS, quindi le gerarchie vaticane si difendono sostenendo che le norme contenute nel documento del 1962 non hanno più alcun valore vincolante dal momento in cui sono entrate in vigore le disposizioni che nel 1983 hanno riformato il Codice di Diritto Canonico, ma la lettera di Ratzinger non lascia spazio a molti dubbi. In essa, l'attuale Papa Benedetto XVI, non solo richiama l'istruzione "Crimen Sollicitationis", ma per quel che riguarda "i delitti riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede" dispone che "nei Tribunali costituiti presso gli ordinari o i membri delle gerarchie cattoliche solamente i sacerdoti possono validamente svolgere le funzioni di giudice, promotore di giustizia, notaio e difensore" e ribadisce che "le cause di questo tipo sono soggette al segreto pontificio."

In questi anni la giustizia americana ha proseguito nelle indagini e dal gennaio 2005 esiste presso la Corte distrettuale di Harris County (Texas) un procedimento tuttora in corso a carico di Joseph Ratzinger.

Daniel Shea, l'avvocato che ha portato la questione davanti alla Corte, parteciperà alla Manifestazione "per la libertà sessuale e di coscienza, contro le cause delle deviazioni e sofferenze, a cominciare da quelle dei preti pedofili e delle organizzazioni pedofobe" che l'associazione anticlericale.net ha organizzato per martedì 16 agosto alle ore 20.00 a Piazza San Pietro, in concomitanza con l'apertura a Colonia della Giornata Mondiale della Gioventù.

Ai giornalisti presenti sarà distribuito un dettagliato dossier e l'avvocato Shea sarà a disposizione per qualsiasi approfondimento circa i fatti giudiziari che vedono coinvolto Papa Benedetto XVI. (APA)

fonti:

http://www.guardian.co.uk/pope/story/0,12272,1469131,00.html

http://www.gaynews.it/view.php?ID=35408

Repubblica Ceca: il Parlamenmto approva le unioni gay

In Senato il progetto di legge potrebbe essere bloccato


Praga, 16 dic. (Apcom) - Dopo varie votazioni contrarie e un dibattito spesso infuocato, la camera bassa del parlamento ceco oggi ha approvato il progetto di legge che riconosce ua serie di diritti alle coppie omosessuali: registrazione dell'unione, diritti ereditari, assistenza sanitaria molto simile a quelle accordate con i matrimoni. Il voto - 86 a favore e 54 contrari su 147 deputati presenti - non è definitivo, ma segnala comunque una svolta. L'ultima di cinque bocciature risale infatti allo scorso febbraio, per un solo voto.

A favore oggi si sono espressi gran parte dei Social-democratici e dei Comunisti, mentre si sono opposti i deputati Cristiano-Democratici e del Partito Civico Democratico. I conservatori del Partito Civico hanno la maggioranza al Senato, quindi è facile ipotizzare che la camera alta bloccherà il progetto di legge. Tuttavia, oggi gli attivisti cechi per i diritti degli omosessuali sono soddisfatti. "E' un grande segnale di incoraggiamento - ha commentato Jiri Hromada, tra le figure leader del movimento per I diritti gay - la nostra visione va molto oltre la bozza di legge, ma è un compromesso accettabile".

http://www.gaynews.it/view.php?ID=35398

giovedì 15 dicembre 2005

Papà gay, mamma lesbica: boom di bebè tra omosessuali

Lo rivela la più vasta indagine scientifica mai condotta sulla popolazione omo-bisessuale del paese



Hanno almeno un figlio, oltre i 40 anni, il 20,5% delle lesbiche e il 17,7% dei gay italiani. Lo rivela la più vasta indagine scientifica mai condotta sulla popolazione omo-bisessuale del paese. Sotto esame la salute e la vita di relazione di un campione statistico di 10mila persone. Domani i risultati presentati in un congresso a Firenze.

Papà gay, mamma lesbica. In Italia il 17,7% dei gay e il 20,5% delle lesbiche, con più di 40 anni, hanno almeno un figlio. La quota scende ma rimane significativa se si considerano tutte le fasce d’età. Sono genitori un gay o una lesbica ogni venti. Per la precisione il 5% dei primi (il 4,7% è padre biologico) e il 4,9% delle seconde (il 4,5% biologica). A rivelarlo è Modi-di, la più estesa indagine statistica mai condotta in Italia sulla popolazione omosessuale e bisessuale e la prima ad aver riguardato anche l’universo femminile, condotta da Arcigay con il sostegno dell’Istituto superiore di sanità. I risultati della ricerca, che ha coinvolto negli ultimi mesi circa 10mila persone, saranno presentati in un convegno a Firenze, venerdì 16 dicembre, ore 9, Palazzo dei Congressi, piazza Adua 1.

“L’alto numero di genitori omosessuali è il fatto che colpisce di più, anche se conferma dati analoghi registrati in altri paesi – commenta Sergio Lo Giudice, presidente nazionale di Arcigay -. Questi numeri rimandano alla realtà di almeno centomila bambini o ragazzi italiani con un genitore gay o lesbica. L’abolizione del pregiudizio sociale verso di loro e i loro genitori è un obiettivo primario per la società intera”.

E’ un ritratto a chiaroscuro quello sulla condizione dei gay e delle lesbiche in Italia che emerge dalle prime analisi della ricerca, condotte su un campione scremato di 6774 soggetti (4690 maschi, 2084 femmine), che si autodefiniscono gay o lesbiche, o che hanno avuto rapporti sessuali recenti con persone del proprio sesso. Se per quanto riguarda aspetti più intimi, come la genitorialità, la realtà sembra più evoluta del previsto, altri aspetti della sfera pubblica, quali la libertà di non nascondersi, registrano un ritardo della situazione sociale.



Coming out: solo il 16,5% lo fa

Solo il 16,5% dei maschi e il 15% delle femmine del campione esaminato sono infatti pienamente “visibili”, cioè non nascondono il proprio orientamento sessuale in alcun ambito sociale: con gli amici, in famiglia, con i propri colleghi di lavoro o studio. E quasi un uomo su 10 (9,7%) e il 4,1% delle donne, invece, non ne ha mai parlato con nessuno.

Il grosso delle persone omosessuali, infatti, vive una situazione intermedia, evitando che alcune delle persone abitualmente frequentate venga a conoscenza della loro omosessualità. L’ambito in cui risulta più facile fare “coming out”, non fare cioè segreto della propria omosessualità, è quello degli amici, che ne sono tutti o quasi a conoscenza nel 48,9% dei casi. Ma è significativo che metà dei gay e delle lesbiche nascondano la propria sessualità anche ad alcuni di loro. Ancora più difficile appare la situazione in famiglia, dove solo il 38,6% degli intervistati ha parlato della propria omosessualità a tutti o quasi i familiari più stretti, mentre il 34% non ne ha mai parlato ad alcuno. L’ambiente più refrattario al “coming out” è infine il luogo di lavoro, dove solo una minoranza del 24,1% degli intervistati non nasconde la propria omosessualità, contro il 37,3% che non ne ha mai fatto parola. In tutti e tre gli ambiti sociali, e sia per i gay che per le lesbiche, appare inoltre più facile non nascondersi al Nord e al Centro Italia, piuttosto che al Sud.

“In generale nella nostra società l’orientamento sessuale, avere una relazione fissa, essere sposati, frequentare un partner, sono aspetti pubblici dell’identità e della sessualità di ciascuno, condivisi con le persone più vicine – osserva Raffaele Lelleri, sociologo e direttore dell’indagine -. Il fatto che l’84% dei gay e delle lesbiche eviti di parlarne in certi ambiti, in famiglia ad esempio, o tra gli amici o i colleghi di lavoro, indica che non percepiscono come abbastanza accogliente il clima dell’ambiente in cui vivono”.



Vita di coppia: le donne più degli uomini



Le donne tendono ad avere relazioni stabili più frequentemente degli uomini. Vivono in coppia il 60,7% delle femmine (8,7% con un uomo) a fronte del 45,7% dei maschi (il 5,5% con una donna). La ricerca riguarda infatti anche la popolazione bisessuale. Tra gli uomini la condizione di coppia aumenta con l’età: in particolare supera la metà del campione oltre i 31 anni. Tra le donne raggiunge un picco tra i 26 e i 30 anni e si stabilizza con una lieve flessione negli anni successivi. Fanno eccezione le coppie che le donne formano con un uomo, che invece calano nell’età adulta e più avanzata.



Nuovi partner: i gay on-line, le lesbiche tramite amici



I principali luoghi di incontro differiscono molto tra uomini e donne. Tra i gay la parte del leone la fa internet grazie a cui ha incontrato recentemente nuovi partner il 51,6% del campione. Segue un 32% che ha fatto incontri in locali pubblici omosex, come bar, discoteche, pub, il 20,7% in saune, il 20,5% in luoghi d’incontro all’aperto (ma solo il 9,4% tra gli under 25), il 16,1% a casa d’amici, il 14,9% in spiaggia e il 7,2% in associazioni gay e lesbiche. Ribaltata la situazione per le lesbiche, che si conoscono a casa di amici (18,6%) più che tramite internet (15,5%). Un buon 17,8% lo fa in locali omosex e il 6% presso associazioni gay e lesbiche. Al Sud i maschi hanno più difficoltà ad incontrasi nei locali, che sono molto meno diffusi che nel resto del paese.



Religione: cattolici il 41%



Sono credenti il 48,2% degli intervistati, con un’evidente discrepanza tra i gay (50,5%) e le lesbiche (42,9%). Non lo sono il 35,4% dei maschi e il 41,4% delle femmine, non sa o non è interessato il 14,6% del campione con una sostanziale omogeneità tra uomini e donne. Si definiscono cattolici solo il 41% dei gay e il 39,1% delle lesbiche. Rilevante, soprattutto tra gli uomini, la quota di buddisti. La grande maggioranza dei credenti è poco o per niente praticante.



Gay, lesbica o bisex?



Tra i maschi intervistati un’ampia maggioranza si definisce “gay” (62,1%), o omosessuale (9%). Uno su quattro sceglie però tra “bisessuale” (10,6%) o “solitamente non uso definizioni” (13,6%). Il rimanente 4,7% si divide tra “altro”, “non so”, e “eterosessuale”. Le femmine non usano un termine altrettanto condiviso di “gay”. Quelle che si definiscono “lesbica” sono infatti meno della metà (40,7%). Tra le altre il 6,5% sceglie “omosessuale”, il 4,5% “gay”, ma ben il 28,2% solitamente non usa definizioni (più del doppio dei maschi), il 13,3% è bisessuale. “Altro” è indicato dal 4,2% e il restante 2,6% si divide tra “non so” e “eterosessuale”.



Caratteristiche del campione



Il campione analizzato di 6774 persone (4690 maschi, 2084 femmine) è composto in stragrande maggioranza da cittadini italiani (97,7%). Il 31,6% vive nel Nord est, il 29,2% nel Nord ovest, il 22,3% nel Centro, il 17% nel Sud e nelle Isole. La distribuzione per fasce d’età è nettamente a vantaggio dei giovani. Gli intervistati con meno di 40 anni sono infatti l’84,9% del totale. In particolare quelli con meno di 25 anni raggiungono il 32,7%, quelli tra i 26 e i 30 anni il 20,9%, tra i 31 e i 40 anni il 31,3%, tra i 41 e i 50 il 12,2%, oltre i 50 il 2,8%. La quota di questionari compilati on-line è del 78,6%, contro il 21,4% su carta. La raccolta dei dati è stata coordinata da un’equipe scientifica di sociologi, psicologi e statistici ed è stata effettuata grazie all’aiuto di decine di volontari in tutto il paese. Altre info sul sito ufficiale della ricerca: www.modidi.net.


http://www.gaynews.it/view.php?ID=35381

martedì 13 dicembre 2005

Unione-Cdl, distacco congelato al 7,9%. Nel centrodestra si afferma l'Udc




Nelle ultime sei settimane, sebbene vi siano state naturali oscillazioni del consenso, queste non hanno mai avuto una consistenza tale da stravolgere il trend di partenza che vedeva l'Unione in vantaggio sulla Cdl, tanto che, ad oggi, il divario fra le due coalizioni è del 7,9% a favore del centrosinistra.

Per il centrodestra dunque non si profila un'operazione strategicamente facile colmare nei prossimi 3 mesi un gap così rilevante, anche se va segnalato che storicamente la coalizione di Berlusconi è riuscita sempre ad incrementare i consensi, più di quanto abbia saputo fare il centrosinistra, durante il periodo più "caldo" della campagna elettorale.

La valutazione complessiva è che i due schieramenti, non avendo messo ancora in atto azioni strategiche di comunicazione, al momento, stiano "congelando" il consenso acquisito più che calamitarne di "nuovo" Questa situazione di staticità determina che le distanze tra i due schieramenti siano pressappoco invariate, anche se all'interno della CDL si registrano maggiori movimenti di voto, sebbene di valenza più politica che statistica.

Infatti è da notare la costante "vivacità" dell'UDC in termine di aggregazione di voti nuovi, come se il partito di Casini e Cesa fosse già entrato nel vivo della campagna elettorale, anticipando sul tempo i concorrenti interni.

Tuttavia, se in un primo momento l'incremento è stato determinato dal favore degli indecisi (tale dinamica, se pur lievemente, ha fatto crescere la CDL), oggi i flussi di voto in entrata provengono da un target di elettori di centrodestra che hanno dirottato il proprio consenso sull'UDC penalizzando alcuni partiti della stessa coalizione, più di tutti AN, che in un mese ha perso lo 0.7%, Anche Forza Italia rimane in "stagnazione" e sul lungo periodo è bloccato al 17.5%.

Questa tendenza in atto di riposizionamento dell'Udc del dopo-Follini, se dovesse essere confermata anche nelle prossime settimane, potrà rappresentare una spina nel fianco per gli altri partiti della CDL, specie in considerazione dei propositi dichiarati recentemente da Casini, ovvero che il nuovo leader della coalizione sarà scelto tra chi incrementa maggiormente i propri voti, piuttosto che tra chi ne riceve di più. Insomma, sembra che la CDL per il momento stia giocando con un solo "attaccante" e lo schema strategico delle 3 punte debba ancora decollare.

Anche il centrosinistra, comunque, ha difficoltà ad intercettare i favori provenienti dai 9 milioni di italiani che ad oggi si dichiarano indecisi e che condizioneranno l'esito finale della competizione elettorale. Nell'Unione intanto si continua a far sentire il consistente peso elettorale dei Verdi che rispetto ai valori storici delle passate elezioni si posizionano in media al di sopra di circa 1.5%, mentre la Lista dell'Ulivo riconferma il 34%, rappresentando così oltre 1/3 dei votanti.

di ANTONIO NOTO direttore IPR Marketing

( Repubblica.it 12 dicembre 2005)

Il western gay di Ang Lee favorito nella corsa ai Golden Globes

Annunciate le nomination. "Brokeback Mountain", già trionfatore a Venezia, ottiene sette candidature
In lizza come miglior film drammatico anche Allen, Cronenberg, Clooney e "The constant gardener". Poco spazio per i kolossal



Jake Gyllenhaal e Heath Ledger
in "Brokeback mountain"

LOS ANGELES - Grande spazio alle produzioni indipendenti e a basso costo, poco ai kolossal hollywoodiani: questo l'orientamento dell'Associazione stampa straniera di Los Angeles, che ha annunciato le nomination per i Golden Globes. Con un film già superfavorito: il western gay e romantico Brokeback Mountain, diretto da Ang Lee, già Leone d'oro all'ultima Mostra di Venezia. Forte di sette candidature nelle categorie principali, tra cui miglior pellicola drammatica.

Un riconoscimento importante per il film, anche in vista della corsa agli Oscar. Così come per gli altri quattro titoli selezionati nella sezione pellicole drammatiche: Good night, and good luck di George Clooney, A history of violence di David Cronenberg, Match point di Woody Allen e The constant gardener di Fernando Meirelles, dall'omonimo bestseller di John Le Carré. Snobbati, invece, kolossal come Munich di Steven Spielberg e King Kong di Peter Jackson. Anche se i due cineasti in questione si consolano concorrendo come migliori registi, insieme ad Ang Lee, Woody Allen, George Clooney e Fernando Meirelles.

Ma torniamo a Brokeback montain. Che strappa anche nomination per il migliore attore protagonista drammatico (Heath Ledger), per la migliore attrice non protagonista (Michelle Williams), per la miglior regia e ancora per sceneggiatura, colonna sonora e canzone originale. Una categoria, quest'ultima, in cui troviamo - un po' a sorpresa - il film panettone tutto italiano di Neri Parenti, Christmas in love, con la coppia Massimo Boldi-Christian De Sica. Merito di Tony Renis, autore del brano omonimo interpretato dalla giovanissima Renee Olstead. Nessuna pellicola di casa nostra, invece, nella categoria del miglior film straniero.

Per il resto, va detto che dopo Brokeback mountain a ottenere il maggior numero di nomination - quattro a testa - sono stati Match Point, film che segna il ritorno di un Woody Allen in grandissima forma, e l'adattamento per il grande schermo del musical di Broadway The producers.

E proprio The producers è tra i candidati nella categoria del miglior film commedia o musicale, insieme al biopic su Johnny Cash, Walk the line; al britannico Lady Henderson presenta; alla nuova, brillante versione di Orgoglio e pregiudizio; e all'hit indipendente The squid and the whale.

Quanto agli attori, nel settore opere drammatiche sono in lizza come protagonisti maschili, insieme a Heath Ledger, Philip Seymour Hoffman (star di Capote), il Russell Crowe di Cinderella Man, il David Strathairn di Good night, and good luck, e Terrence Howard di Hustle & flow. Tra le attrici, invece, concorrono come migliori protagoniste Gwyneth Paltrow (Proof), la "casalinga disperata" Felicity Huffman (transessuale nel film Transamerica), CharlizeTheron (North Country), Maria Bello (A history of violence) e Ziyi Zhang (Memorie di una geisha).

Sul fronte comico, tra gli uomini, candidati Joaquin Phoenix (Walk the line), Cillian Murphy (Breakfast on Pluto), Nathan Lane (The producers), Johnny Depp (Charlie e la fabbrica di cioccolato), l'ex 007 Pierce Brosnan (The Matador) e Jeff Daniels (The squid and the whale). Tra le donne, la veterana britannica Judi dench (Lady Henderson pesenta), Reese Whiterspoon (Walk the line), l'icona di Sex & the City Sarah Jessica Parker (The family stone), Laura Linney (The squid and the whale) e Keira Knightley (Orgoglio e pregiudizio).

Ma i Golden Globe hanno anche una ricca sezione dedicata alla televisione. Ecco le nomination per la migliore serie drammatica: Commander in Chief, Lost, Prison Break, Rome e Grey's Anatomy. Le cinque migliori serie non drammatiche in corsa sono invece Desperate Housewives, Enourage, My name is Earl, Weeds e Curb Your Enthusiasm. Le quattro casalinghe disperate, inoltre, sono state nominate come migliori attrici protagoniste nella categoria.

La cerimonia di premiazione si terrà il prossimo 16 gennaio a Los Angeles, e sarà trasmessa dalla Nbc.

(13 dicembre 2005)

http://www.repubblica.it/2005/l/sezioni/spettacoli_e_cultura/golden2006/golden2006/golden2006.html

venerdì 9 dicembre 2005

Gli uomini delle caverne

di Stefano Benni, il lupo



"Si dicono moderni, ma in realtà vogliono riportare il mondo indietro di milioni di anni.
Sono gli uomini delle caverne, gli estremisti del nuovo potere economico .
La loro mentalità è paleolitica : il mondo è del più forte, la clava è il profitto, e la terra è una preda.

Si distinguono perché si battono minacciosamente il petto gridando lo slogan: “Grandi lavori“. Amano scavare nuove caverne e gallerie per farci passare un supertreno superveloce ma non sanno costruire un normale, decoroso treno per i pendolari. Perché una delle loro paleobugie è questa : una cosa fatta male che va più in fretta è meglio di una cosa fatta bene che va più piano.
Sono eiaculatori precoci, che non ce la fanno a godere del mondo.

Stupidi e avidi, pitecantropi e pidueantropi, insistono in un progetto ormai fallito, un modello di sviluppo che non riesce più a progredire, ma solo a riportare indietro la qualità della vita di tutti.
Grugniscono: “non ci lasceremo intimidire”, si dicono moderni e chiamano gli altri arretrati.

Togliamogli dalla bocca questa bugia.

Arretrato è chi sceglie il progetto che piace agli affaristi e ai mafiosi.
Moderno è chi sceglie il progetto migliore.

Arretrato è chi fa propaganda a ciò che ha già deciso, come tutti i vecchi dittatori.
Moderno è chi lo fa discutendone prima.

Fare il ponte di Messina è una cazzata ducesco- neroniana.
Mettere a posto le ferrovie dei pendolari, la Salerno-Reggio Calabria, lo svincolo di Mestre e la tangenziale di Milano, rifare gli acquedotti , gli argini e i porti, questo sarebbe moderno.

Vendere un biglietto dove è segnata un’ora in meno da Milano a Napoli e poi fare tre ore di ritardo, è un vecchissimo trucco.
Arrivare in orario da Milano a Napoli sarebbe una trovata modernissima.

Emmenthal Lunardi non è moderno, gli appalti agli amici sono vecchi come il mondo. Ed è vecchio opportunismo essere un giorno europeista e un giorno devoluzionista.
I valsusini non solo contestano la Tav, ma fanno anche proposte. Hanno dell’economia una visione molto più moderna e complessa rispetto agli uomini delle caverne.

Saper riconoscere i punti critici della storia, quella dove il progresso si incrina e si rompe, è opera di alta ingegneria.

I vecchi cavernicoli almeno avevano un alibi: dovevano imparare tutto ogni giorno. Questi invece non hanno imparato e capito un c...o.

Continuano a fare miliardi con la spremuta di dinosauro, il petrolio preistorico, e non glie ne frega niente di pensare a cosa accadrà quando sarà finito.
Per questo gli uomini delle caverne sono furibondi: perché hanno di fronte una civiltà superiore. Gente che sa vedere il mondo come un organismo vivo, non come a una materia prima, e sa pensare a un futuro. Perciò mille volte più moderni e realisti di loro.

E adesso, pitrecantropi onorevoli e/o affaristi, andate pure nel vostro ristorante preferito a mangiare la tartare di mammuth, a parlare di dividendi, a far bancarotte e speculazioni.
Ma dalla manica della giacca blu, spunta il pelo.

Chiamatevi col vostro nome: siete uomini delle caverne quotati in borsa, negli ultimi anni avete scavato un tunnel , e adesso non sapete come uscirne. Usate pure la clava e il manganello , ma non dite che è in nome del progresso."


giovedì 8 dicembre 2005

Marito e moglie si risposano ma stavolta come coppia gay

Bernadette cambiò sesso rimanendo poi sposata con Joyce
Dopo un divorzio lampo le 2 anziane formalizzano la loro unione



Bernadette e Joyce

LONDRA - Una coppia di anziane signore ha rapidamente deciso di sfruttare l'apertura del governo inglese ai matrimoni gay ufficializzando la propria unione. E non ci sarebbe nulla di speciale fin qui, viste le migliaia di coppie che in Inghilterra faranno lo stesso. Ma Bernadette e Joyce hanno una storia particolare alle spalle. Infatti fino a 14 anni fa Bernadette era un uomo, di nome Bernard, ed era sposata proprio con Joyce. La coppia era comunque rimasta regolarmente insieme anche dopo il cambiamento di sesso.

Bernadette decise di sottoporsi all'operazione nel 1991 e da allora lei e Joyce hanno vissuto "come sorelle", secondo quanto hanno dichiarato al Sun. La coppia, sposata dunque da 38 anni, ha dovuto divorziare per il tempo di mezz'ora per poi contrarre nuovamente matrimonio, ma stavolta come coppia gay. L'unione civile è prevista per i prossimi giorni a Northampton.

La settantaseienne Bernadette ha dichiarato di aver desiderato d'essere donna sin dall'età di cinque anni. "Ho aspettato questo momento per 71 anni. Stamattina mi sono guardata allo specchio e ho detto, sì, ce l'hai fatta". Medico di professione e consulente scientifico durante il governo Thatcher, Bernadette aveva sposato Joyce, vedova del suo migliore amico, nel corso degli anni Sessanta, diventando patrigno dei due figli di lei.

(8 dicembre 2005)

http://www.repubblica.it/2005/l/sezioni/esteri/matrgay/matrgay/matrgay.html

lunedì 5 dicembre 2005

GAYLEFT: soddisfazione e gioia per l'accordo unitario sulle unioni civili annunciato da Prodi

Per Benedino "Finalmente potranno essere rimossi tutti gli ostacoli e le discriminazioni che hanno finora impedito alle coppie omosessuali italiane


GAYLEFT esprime grande soddisfazione e gioia per la notizia dell'accordo unitario al Tavolo programmatico dell'Unione, annunciato poco fa da Romano Prodi, sulla regolamentazione dei diritti pubblici e privati delle unioni civili. L'annuncio di Prodi rappresenta l'esito felice di una battaglia politica condotta da molti di noi negli ultimi anni dentro al centrosinistra e conferma l'impegno di tutta l'Unione ad affrontare i temi etici nel rispetto del principio della laicità dello Stato. Finalmente le coppie omosessuali italiane possono tornare a sperare di poter vivere in un paese fino in fondo europeo dove potranno essere rimossi tutti gli ostacoli e le discriminazioni che hanno finora impedito loro di essere cittadini a tutti gli effetti.


Andrea Benedino
portavoce nazionale GAYLEFT
consulta lgbt DS

Ulivo, unioni civili e ritiro dall'Iraq prime intese sul programma

Prodi ha annunciato l'intesa alla conferenza dell'Unione in corso in Umbria "Non si chiameranno PACS, ma una soluzione alle coppie di fatto ci sarà"
Il rientro da Nassiriya sarà concordato con le autorità di Bagdad
Il Professore rilancia: "Al governo solo per cambiare in profondità"




SAN MARTINO IN CAMPO (PERUGIA) - Intesa raggiunta all'interno dell'Unione sui contratti civili per riconoscere i diritti delle coppie di fatto e il ritiro dall'Iraq. Lo ha annunciato Romano Prodi durante una pausa dei lavori per la definizione del programma della coalizione di centrosinistra in corso a San Martino in Campo, in Umbria. Un programma, ha avvertito Prodi, che sarà "molto forte di riforma, molto coraggioso, perché gli eventi degli ultimi anni ci dicono che o siamo capaci di mettere in campo riforme coraggiose o l'Italia non ce la fa a rialzarsi".

"Dobbiamo dare un indirizzo preciso - ha detto ancora - che garantisca dinamismo al sistema e crei le premesse della ripresa, giustizia sociale e maggiore ridistribuzione dei redditi. Per questo servono riforme precise forti e specifiche".

Illustrando poi le prime intese raggiunte, il Professore ha spiegato che "non si chiameranno pacs, ma una soluzione legislativa alle unioni civili, alle cosiddette coppie di fatto, ci sarà nel programma dell'Unione". "Senza specificare il nome - ha aggiunto - c'è un accordo sulle unioni civili per stabilire diritti privati e pubblici". "Non è stato usato volutamente il termine pacs - ha chiarito ancora il leader del centrosinistra - per evitare tutte le polemiche e gli equivoci che ci sono stati fino ad ora".

Prodi ha anticipato che è stata raggiunta un'intesa collegiale anche sulle modalità del ritiro delle truppe italiane dall'Iraq. "Immediatamente dopo, se
vinceremo, proporrò un calendario per il ritiro del nostro contingente", ha fatto sapere. L'agenda del ritiro, ha chiarito ancora, sarà stabilita dopo aver "consultato il governo iracheno" e che in ogni caso "l'impegno di stabilizzare, pacificare e ricostruire anche democraticamente l'Iraq c'è". Per la stabilità della coalizione si tratta di un importante passo avanti, anche se bisogna tenere conto che al seminario umbro erano assenti per vari motivi l'Udeur, lo Sdi e i Comunisti italiani.

Accordo anche sul testamento biologico ''come deciso all'unanimita' dalla Commissione di bioetica e no all'eutanasia'', ha spiegato ancora il Professore.

Prodi ha quindi voluto parlare più in generale delle caratteristiche di un suo eventuale mandato a palazzo Chigi. "Questo governo - ha ribadito - dovrà essere un governo di profonde riforme e non di ordinaria amministrazione: da parte mia ho sottolineato che mi accingo a questa sfida soltanto se sarà possibile riformare profondamente l'Italia".

"Nella mia vita - ha aggiunto - ho avuto tutte le esperienze politiche che potevo avere, presidente del Consiglio e della Commissione Ue, e mi accingo a questa sfida soltanto se sarà utile per fare riprendere l'Italia, per dare una speranza e per convincere gli italiani che si può cambiare".

"Se vinciamo - ha proseguito il leader dell'Unione rispondendo a chi gli ricorda nuovamente le osservazioni fatte sull'Ulivo da Carlo De Benedetti - il nostro non può essere un governo di ordinaria amministrazione. Se torno, è per cambiare l'Italia. Non possiamo dare al riformismo un significato generico. Io mi presento al Paese con questo pacchetto di riforme, non mi interessa altro, anche perché non debbo aggiungere nulla al mio curriculum".

(5 dicembre 2005)

http://www.repubblica.it/2005/k/sezioni/politica/progprodi/progumbria/progumbria.html

Unione gay: Arcigay, Benedette dal capo della Chiesa Anglicana, maledette da Ruini

Lo Giudice: "L'Italia è l'unico tra i grandi stati europei a non essersi ancora dotato di una legge che riconosca alle coppie di fatto"


"Mentre in Gran Bretagna la legge sui matrimoni gay, o meglio il Civil partnership act, ha ricevuto la benedizione di sua maestà la regina Elisabetta in persona, capo della chiesa anglicana, che l'ha annunciata nel tradizionale discorso della corona sul programma di governo, il capo della chiesa cattolica italiana, il cardinal Camillo Ruini, presidente dei vescovi, osannato a destra e a manca come un sovrano, non perde occasione per scagliare anatemi contro la proposta di legge nostrana sui Pacs, i patti civili di solidarietà", così il presidente nazionale di Arcigay, Sergio Lo Giudice, alla notizia dell'entrata in vigore nel Regno unito della legge che riconosce giuridicamente le unioni dello stesso sesso.

"L'Italia è l'unico tra i grandi stati europei - continua Lo Giudice - a non essersi ancora dotato di una legge che riconosca alle coppie di fatto che lo desiderino diritti e doveri reciproci di buon senso, come quello di assistersi liberamente in ospedale in caso di malattia e avere permessi sul lavoro, prendere decisioni importanti sulla salute del partner in caso di sua incapacità, ereditare reciprocamente senza gli svantaggi di un testamento, ricevere la pensione di reversibilità, essere tutelati in caso di separazione, ecc.

"Tutti gli altri grandi stati a noi vicini, tra cui la Germania, la Francia, la Spagna e ora anche la Gran Bretagna, hanno, in alcuni casi da diversi anni, leggi di questo tipo, senza che alcun danno sia stato recato alle famiglie tradizionali, che talvolta se la passano perfino meglio di quelle di casa nostra.

"Quando i vertici del clero paventano infatti catastrofi e rovine per la famiglia fondata sul matrimonio non si riferiscono alle famiglie italiane in carne ed ossa, ma alla propria concezione ideologica di famiglia, alle quale vorrebbero che i cittadini italiani si adeguassero per imposizione di legge.

"Speriamo - conclude Lo Giudice - che l'esempio concreto di quello che sta accadendo nel resto del continente possa favorire, anche in Italia, una discussione più razionale e meno dogmatica, maggiormente basata sui fatti e sull'esperienza concreta".


http://www.gaynews.it/view.php?ID=35268

giovedì 1 dicembre 2005

In Italia un sieropositivo ogni due ore

Dal drappo nero nei musei ai banchetti informativi: nella Giornata mondiale contro l'Aids tante le iniziative delle associazioni

---

MILANO - Tante iniziative ma nessuna campagna istituzionale in Italia nella Giornata mondiale per la lotta contro l'Aids. Eppure ancora oggi nel nostro Paese ogni due ore una persona contrae l'Hiv e va ad aggiungersi ai 120mila sieropositivi presenti nel nostro Paese. Nonostante i numeri restino allarmanti (anche papa Benedetto XVI durante l'udienza del mercoledì a san Pietro ha sollecitato «iniziative per debellare il flagello dell'Aids»), il taglio annunciato per la Finanziaria 2006 di 150 milioni di euro ai fondi per la cooperazione non permetterà di rispettare l'impegno preso dal governo nel settembre scorso di finanziare con 260 milioni di euro il Global Fund per la lotta a Aids, malaria e tubercolosi petr il 2006-2007. Lettere aperte di protesta al ministro Storace sono arrivate dalle principali associazioni impegnate nella lotta la virus, a cominciare dal Network italiano persone sieropositive. Anche la Lila ha denunciato con una missiva carenze e lacune del nostro Paese sul fronte Aids (il documento è reperibile sul sito www.lila.it ). Le istituzioni, secondo la Lega italiana di lotta all'aids, possono solo vantare un accesso ai farmaci «abbastanza generalizzato», con «forti discrepanze» tuttavia a seconda del territorio. L'associazione denuncia tra l'altro «una vergognosa mancanza di campagne adeguate di prevenzione e informazione, mirate a target specifici».

LA CROCE TRA I GLUTEI - Se le istituzioni latitano, la società civile è in fermento. C'è una nuova campagna su stampa e tv che mostra un corpo nudo di donna ripreso da dietro, in cui la linea verticale dei glutei e quella orizzontale che li delimita sotto si intersecano formando una croce, a simbolo dei milioni di morti che la malattia ha causato. In alto la scritta «Aids. Fight it before it's too late» (sconfiggilo prima che sia troppo tardi). Il manifesto, provocatorio, ma di non immediata comprensione per la verità, è stato ideato dall'agenzia McCann-Erickson per Alfaomega, l'associazione di volontari che dal 1990 si batte contro la diffusione del virus, soprattutto a Mantova.

DRAPPO NERO NEI MUSEI ROMANI- Tra le tante iniziative del primo dicembre, ne segnaliamo due. Quella organizzata a Roma dall'Anlaids: un drappo nero sulle opere conservate in sette musei romani in memoria degli artisti scomparsi a causa dell'Aids (sono coinvolti Palazzo Venezia, Galleria Borghese, Palazzo Barberini, Palazzo Corsini, Galleria Doria Pamphilj, Galleria Spada, Palazzo dei Conservatori, Palazzo Nuovo Castel Gandolfo). E l'iniziativa del Sism (Segretariato italiano studenti di medicina) per il secondo anno consecutivo promuove la campagna del Cesvi «Fermiamo l'Aids sul nascere»: nelle loro 30 sedi vengono allestite mostre fotografiche, proiettati filmati e allestiti di banchetti con materiale informativo e raccolti proventi a favore del Fondo Takunda per la cura di 100 neomamme africane sieropositive.

AIDS E GAY - E con la 18esima Giornata mondiale contro l'Aids arrivano anche i risultati della più estesa indagine statistica mai condotta in Italia sulla popolazione omosessuale e bisessuale. Dalla ricerca e dagli ultimi dati ufficiali dell'Istituto superiore di sanità (Iss) emerge che la percentuale di gay continua a salire tra i nuovi casi di Aids (sfiorando nel biennio 2004-2005 il 20%, contro il 15% del biennio 1996-97), che due omosessuali su tre hanno fatto il test dell'Hiv ma uno su tre trova difficile reperire informazioni chiare sui rapporti sessuali a rischio di contagio. Secondo i primi risultati dell'indagine, battezzata Modi-di e condotta da Arcigay con l'approvazione e il finanziamento dell'Istituto superiore di sanità, il 68% dei gay e il 45% delle lesbiche si è sottoposto almeno una volta al test dell'Hiv. Sono sieropositivi il 4,2% dei primi e lo 0,5% delle seconde. «Se è vero - commenta il presidente nazionale di Arcigay, Sergio Lo Giudice - che il numero di nuovi malati di Aids, ma non quello di nuove infezioni, diminuisce ogni anno, per merito soprattutto delle nuove terapie, è anche vero che questa riduzione è più lenta per i gay che per il resto della popolazione.». I dati dell'indagine di Arcigay, la prima ad aver riguardato anche l'universo femminile, derivano dalle prime analisi condotte su un campione scremato di 6774 soggetti (4690 maschi, 2084 femmine), che si autodefiniscono gay o lesbiche, o che hanno avuto rapporti sessuali recenti con persone del proprio sesso.

INFO AL TELEFONO - Il telefono verde dell'Istituto superiore della sanità (800-861061) celebra la giornata mondiale prolungando il suo normale orario dalle 10 alle 18. Il servizio offre per l'occasione un'opportunità in più, sempre anonima e gratutita, per tutti coloro che vogliono sapere come e dove effettuare il test e conoscere meglio la malattia. Anche l'associazione NPS Italia, Network italiano persone sieropositive, incrementa il proprio lavoro lasciando aperto, con un orario non-stop, il proprio centralino (06-85305278) già a partire dalle 24 del 30 novembre fino alla stessa ora del primo dicembre.

A. Mu.

http://www.gaynews.it/view.php?ID=35185

venerdì 25 novembre 2005

Economist: "Berlusconi inadatto" ma la sinistra rischia la paralisi

Inchiesta del settimanale britannico sull'Italia: "Il premier dopo 5 anni ha ancora problemi con giustizia e conflitto di interessi"
"Se Prodi riuscisse a vincere troverà difficile introdurre riforme la coalizione abbraccia 9 partiti, molti contrari al cambiamento"
di GIOVANNI PONS


Il titolo dell'inchiesta dell'Economist "gioca" con il titolo del film di Fellini

MILANO - "Il giudizio dell'Economist sul signor Berlusconi è ben noto. Dichiarammo nell'aprile 2001 che era "unfit" (non adatto) a guidare l'Italia. Dopo cinque anni egli ha ancora problemi con la giustizia e ha fatto poco per risolvere il suo conflitto di interessi: inoltre, poiché il governo possiede la Rai, Berlusconi ora controlla o influenza il 90% della televisione terrestre (ma continua a lamentarsi delle critiche ricevute in Tv). Il nostro verdetto dell'aprile 2001 è confermato".

Parole secche contenute in un'inchiesta speciale del settimanale britannico sull'Italia condotta da John Peet e intitolata "Addio, Dolce vita" della quale hanno discusso ieri a Milano Mario Monti e Marco Tronchetti Provera. Tutti si sono dichiarati concordi su un punto: l'Italia ha estremo bisogno di introdurre riforme strutturali nel sistema ma nessuno sembra in grado di farle.

"È una sensazione agrodolce essere criticati dall'Economist. Il suo giudizio non va mitizzato né demonizzato, va semplicemente utilizzato e rischia di diventare il nuovo vincolo esterno dell'Italia", ha ricordato Monti. "Oggi la priorità è fare le riforme strutturali ma con la protezione dell'euro è più difficile creare un clima drammatico tale da far digerire politiche di rigore all'opinione pubblica".

Il ritratto dell'Italia proposto dall'Economist è senza dubbio acido. Il miracolo economico del dopoguerra è finito. La crescita media negli ultimi 15 anni è stata la più lenta d'Europa e ora rappresenta soltanto l'80% di quella del Regno Unito. Le piccole aziende familiari, spina dorsale del paese, sono sotto una crescente pressione, i costi salgono ma la produttività ristagna.

Con l'euro si è bloccata la valvola di sfogo delle svalutazioni, la competitività peggiora e le quote di export mondiale sono molto basse. Per produttività l'Italia è 47° al mondo, appena sopra al Botwana. Ma per fortuna gli imprenditori italiani non si scoraggiano.

"L'Economist - ha spiegato Tronchetti Provera - sembra fare una sintesi di quanto già scritto dalla stampa italiana, senza mettere in luce la parte positiva di un Paese che dà anche segni di ripresa". "L'Italia - ha proseguito il presidente di Telecom - ha avuto una caduta di credibilità che in parte sta recuperando ma bisogna fare di più, fare sistema e rimboccarsi tutti le maniche per dare fiducia, perché c'è possibilità di crescita: questo Paese può sorprendere".

Il caso Fazio di certo non ha aiutato all'immagine internazionale dell'Italia e Peet non ha mancato di sottolinearlo parlando di "credibilità fatta a pezzi dall'intransigenza del governatore". Una frase non degna di commento per l'unico banchiere in sala, Enrico Salza, presidente del Sanpaolo.

Il guaio, se si segue la visione proposta dall'Economist, è che Berlusconi ha perso l'occasione storica di promuovere una politica di privatizzazioni e liberalizzazioni e ora "molti dei suoi supporters si sentono delusi". Tuttavia non c'è tanto da sperare nel centrosinistra, favorito per la vittoria nel 2006. "Se Romano Prodi riuscisse a vincere - continua Peet nella sua analisi impietosa - troverà difficile introdurre riforme, se non altro perché la sua coalizione abbraccia non meno di nove partiti, molti dei quali si opporranno al cambiamento".

Cosa salvare? Oltre alla riforma delle pensioni e del lavoro, il ministro Moratti ha lavorato duro per promuovere la ricerca e migliorare le Università e ha pagato la politica estera al fianco degli americani. Sorprende che il turismo, per un Paese che ha tanto da offrire, sia così poco sviluppato. Non rimane che sperare "nell'estro, nell'inventiva e nella creatività degli italiani per salvare un Paese che è ancora ricco in tutti i sensi. A breve però ci sono buoni motivi per essere pessimisti".


http://www.repubblica.it/2005/k/sezioni/economia/economist/economist/economist.html

L'articolo di The Economist (in inglese) si trova qui

giovedì 24 novembre 2005

Daniela Mercury cancellata dal Natale in Vaticano

La brasiliana paga l'invito all'uso del preservativo contro l'Aids.
"Ribadisco il diritto a dissentire dalla Chiesa"

di Paolo Gallori


Già annunciata tra gli artisti internazionali del prossimo Concerto di Natale in Vaticano, la brasiliana Daniela Mercury, artista indipendente, impegnata nel sociale e vicina alla Chiesa Cattolica di Bahia, è stata cancellata dal cast. La ragione: aver messo la sua immagine e la sua musica a disposizione di una campagna per l'uso del preservativo come strumento di prevenzione dell'Aids promossa dal Ministero della Salute brasiliano.

Daniela, tra l'altro ambasciatrice dell'Unicef e dell'Unaids, il programma delle Nazioni Unite per la lotta all'Aids, ha diffuso una nota ufficiale in queste ore, lamentando l'esclusione: "Sono molto delusa di non poter rappresentare il mio Paese al Concerto in Vaticano e di non potermi esibire assieme a grandi artisti provenienti da tutto il mondo. Ma riaffermo il mio diritto di dissentire dalla posizione della Chiesa in qello che dice rispetto all'uso del preservativo come forma di prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse, come l'Aids. Per me il preservativo è uno strumento di protezione della vita".

Secondo il quotidiano brasiliano O Globo, la Mercury era stata invitata dal Vaticano cinque mesi fa. Il nome dell'artista figurava ancora in elenco lo scorso 11 novembre, quando la stampa era stata convocata per il 2 dicembre alla conferenza stampa di presentazione del Concerto di Natale in Vaticano, spettacolo che si terrà il giorno successivo nella consueta ambientazione della Sala Nervi. Era stato persino diffuso il contenuto della sua esibizione: le canzoni Águas de Março, Canto da Cidade oltre a due brani di musica sacra con l'accompagnamento dell'Orchestra Sinfonica di Palermo. Solo in questi ultimi giorni la Curia Vaticana deve aver scoperto il "misfatto" di cui si è resa colpevole la Mercury.

E' accaduto nel febbraio scorso, durante i giorni del Carnevale, quando il sesso occasionale diventa normalità in tutto il Brasile. Sugli schermi televisivi e alla radio passa un jingle musicato e cantato da Daniela Mercury e il suo trio elettrico. Lo slogan: "Vista-se! Use sempre camisinha!" (Stai attento! Usa sempre il preservativo). Il 7 febbraio Daniela e il suo trio erano addirittura scesi in strada a Salvador de Bahia, indossando magliette con lo slogan della campagna pro-preservativo impresso sul petto, percorrendo il circuito Barra-Ondina.

Torna alla mente il ricordo di Lauren Hill, la cantante afroamericana che nel 2003 aveva accettato l'invito al Concerto di Natale in Vaticano e che dal palco della sala Nervi aveva scandalizzato le più alte autorità spirituali della Chiesa Cattolica invitandole a chiedere perdono per i crimini commessi negli Usa dai preti pedofili. Momento che fu accuratamente tagliato dall'edizione televisiva dello show. La Chiesa Cattolica chiede all'Uomo di salvarsi dall'Aids con la castità e combatte l'uso del preservativo. Ma ha imparato ad apprezzare, a sue spese, il valore della "prevenzione". Ecco perché la Mercury non ci sarà.

(24 novembre 2005)

http://www.kwmusica.kataweb.it/kwmusica/pp_scheda.jsp?idContent=124855&idCategory=2028

martedì 22 novembre 2005

"Fa che questo Papa…

Ecco la lettera di Alessandro Santoro, prete delle Piagge in Firenze, uno di quelli veri, che sta in mezzo alla gente.



Fa che questo Papa

Caro Spirito Santo, mi rivolgo a te che sei datore di vita e soffio di speranza per l’umanità intera perché tu possa penetrare nelle stanze del potere ecclesiastico per restituire quell’”alito di vita” e di profonda compassione nel cuore di questo nuovo Papa e del suo entourage perché imparino ad ascoltare la tua voce e non continuino, una volta per tutte, a farsi trascinare nei tatticismi e negli intrighi di palazzo e di potere.

Fa che questo Papa sia a piedi scalzi, semplice e umile, che diventi compagno di strada e di vita di chi fa fatica e si sente escluso e oppresso, come del resto ha fatto Gesù che ha scelto la Galilea delle genti, luogo dell’esclusione e della emarginazione per ridare vita al mondo.

Fa che questo Papa abbia il coraggio di incarnarsi nella storia degli altri, che abdichi alla Verità assoluta che schiaccia e uccide e senta il bisogno di incontrare e nutrirsi delle Verità dell’altro. Dio non ha un nome, prende ed assume il nome dei volti e delle storie degli emarginati di questo mondo e nessuno detiene la verità di Dio e può pretendere di possederla.

Fa che questo Papa scenda nei bassifondi della storia, che abbandoni i palazzi del potere, che non viva più in Vaticano, luogo del potere curiale e torni ad essere il pastore di tutti, uomo tra gli uomini senza più nessuna enfasi trionfalistica. Non abbiamo bisogno di un Papa con strutture forti e apparati pesanti, proprie dei sovrani e dei potenti, ma di un Papa che si spogli di tutto quello che lo separa e lo divide dalle persone, che sappia lasciare tutto ciò che lo rende ricco e possa concedersi l’unica ricchezza possibile per chi si fa servo, quella in umanità.
Siamo stanchi dei troppi orpelli, troppi luccichii, troppi ori che appesantiscono la sua casa, ed è arrivata l’ora che il Papa possa prendere le distanze da questo sfarzo senza senso e che impari a vivere nella povertà senza ostentazioni.

Fa che questo Papa sia capace di Vangelo, testimone e profeta di un Vangelo possibile per tutti, che sappia piangere con chi piange, ridere con chi ride, soffrire con chi soffre.
Fa che sia intransigente solo nell’amore e continui a gridare forte contro tutte le guerre del mondo e possa aiutarci, e aiutare i grandi della terra, a considerare la guerra, le guerre e la corsa agli armamenti una assurda follia.
Fa che possa far diventare la guerra un tabù inaccettabile e cancelli l’ipocrisia assurda di chi, anche nella nostra Chiesa ritiene ancora plausibile una guerra giusta.

Fa che questo Papa sia capace di perdono, che non abbia paura a riconoscere la violenza e le violenze della nostra religione, che sappia soffiare nella nostre vite e nelle nostre comunità umane uno spirito di tenerezza, perché per tutti, chiunque sia, ci possa essere un pezzo di pane, una carezza, un abbraccio e una vera liberazione.

Fa che questo Papa non ci riempia di encicliche e di documenti, troppe parole hanno inchiostrato la nostra fede, fa che cresca nell’ascolto di quella parola di Dio che è la vita degli uomini e delle donne. L’unica parola possibile da rendere viva e vera nella nostra storia è quella del Vangelo.
Rendi questo Papa carico di utopia, capace di vedere oltre e di darci il coraggio di fare un passo più in là, un Papa meno maestro e più fratello, meno grande e più debole, meno forte e più dolce, meno sicuro e più compagno. Gesù sognava e praticava il sogno di Dio, fatto di una politica di giustizia, di una economia di uguaglianza e di un Dio pienamente libero; fà che negli occhi, nelle mani, nel cuore, nella pancia, nei piedi di questo Papa ci possa essere questo stesso sogno necessario perché questo nostro affaticato mondo riabbia la vita e “l’abbia in abbondanza”.

Fa che questo Papa abbia il coraggio di abbandonare i segni del potere e possa ritrovare e concedersi il potere dei segni, perché la nostra Chiesa possa spogliarsi della porpora e rivestirsi del grembiule, possa abbandonare i conservatorismi comodi al potere e recuperare la libertà piena e viva dei figli di Dio.

Fa che questo Papa ridia spazio e attualità alla rivoluzione del Concilio che voleva che le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini e dei poveri diventassero pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce del Vicario di Cristo e delle comunità cristiane. Le grandi aperture e novità del Concilio sono state tradite e burocratizzate, la tensione verso il nuovo si è persa nei meandri delle chiusure, delle prudenze e meschinità curiali.

Fa che questo Papa possa finalmente ridare spazio ad una collegialità vera, ad una chiesa Popolo di Dio, ad una comunione incarnata, ad una conversione senza mezze misure e compromessi. Dagli la forza ed il coraggio di proporre un nuovo concilio dove la Chiesa ripensi se stessa con il contributo vero e profondo di tutti, proprio di tutti.

Fa che questo Papa si apra all’idea di libertà e di responsabilità, che rinneghi una Chiesa moralista e sessuofoba, che possa dare spazio con pari dignità a tutte le relazioni affettive, a quell’amore plurale fatto anche di omossessuali, transessuali, divorziati, separati; è anche attraverso di loro che l’amore di Dio, così grande e universale ritroverà spazio nelle nostre comunità, troppo spesso abituate soltanto a giudicare e a condannare e non ad accogliere e a celebrare la vita.

Fa che questo Papa sappia riconoscere il valore imprescindibile delle donne, perché senza la loro sensibilità, la loro capacità di “precederci” e di amare con tenerezza, la Chiesa rimarrà sempre sterile ed incapace di futuro.

A Te Spirito Santo l’impegno di portare il respiro di tutti i piccoli e i poveri del mondo e soffiare questa brezza leggera dei perdenti e dei vinti nel cuore del Principe della Chiesa perché possa rinunciare ai titoli e alle lusinghe del Potere e possa farsi degno del Vangelo di libertà e di pace del nostro fratello Gesù di Nazaret.
Così lo sentiremo compagno e amico in questa avventura che è la vita.
Buon viaggio….”

Alessandro Santoro.

lunedì 21 novembre 2005

Basket: Swoopes tra confessioni e sogni: "Io, gay, a Taranto per lo scudetto"

Prima intervista italiana alla giocatrice della Pasta Ambra dopo la rivelazione della sua omosessualità che ha sconvolto gli Stati Uniti: « Vincerò anche qui con figlio e compagna al fianco»
dal nostro inviato a Taranto Michele Pennetti


Sheryl Swoopes è una leggenda, un monumento, a suo modo una saga, un mito trasversale. Sta al basket femminile come Michael Jordan a quello maschile. Non a caso è l'unica donna al mondo ad averlo sfidato nelle partite uno contro uno che tanto elettrizzano il pubblico americano, e non a caso la Nike ha lanciato una linea di scarpe con i loro nomi. Sheryl Swoopes è, senza tema di smentita o frontiere di disciplina sportiva, la più grande atleta che sia mai stata compresa nei ranghi di una squadra pugliese. Dopo una veloce esperienza a Bari risalente a una dozzina di anni fa, ora gioca con la Pasta Ambra Taranto che stasera, per la nona giornata del campionato di serie A1, ospita al Palamazzola ( ore 18) la Coconuda Maddaloni. Sheryl Swoopes, 34 anni e la palma universalmente ricevuta di più forte cestista del pianeta, è sbarcata di nuovo in Italia nove giorni fa dopo una fugace apparizione a settembre per firmare il contratto e fare la conoscenza delle compagne di squadra. Nell'intermezzo ne ha approfittato per chiudere casa a Houston, dove con le Comets è stata per anni stella di prima grandezza, e sconvolgere gli Stati Uniti con la seguente ammissione: « Sono gay, non voglio più nasconderlo. Dopo averlo detto, attendo nei miei riguardi maggiore rispetto. In America tale fenomeno è tabù nell'ambiente afro- ispanico, a differenza di quanto avviene tra i bianchi. Lo chiedo soprattutto per il bene dello sport. Spero che queste dichiarazioni non sporchino la mia immagine di modello per molte ragazze americane » . Preparati i bagagli, Sheryl è volata a Taranto con la sua compagna Alisa Scott, ex assistente allenatrice delle Houston Comets, e con il figlio Jordan di otto anni, piccola peste, avuto dall'ex marito con il quale ha divorziato sei anni fa. I tre, una famiglia a tutti gli effetti, abitano insieme in un appartamento non lontano dal centro. Da quando ha reso pubblico il suo coming out , la sua omosessualità, questa è la prima intervista italiana rilasciata dalla Swoopes. Negli Stati Uniti la sua rivelazione ha avuto un'eco incredibile, in Italia le sue parole sono diventate vangelo su tutti i siti internet dedicati ai gay. Perché ha deciso di uscire allo scoperto? E perché solo adesso e non prima? « Nel mio Paese sono una persona molto chiacchierata. Il basket è uno sport importante, dall'enorme seguito popolare » . Un po' come il calcio in Italia.

« Il livello di passione probabilmente è lo stesso. Si discute di pallacanestro in tv, alle radio, sui giornali, alle fermate della metropolitana. Normale che, essendo io una giocatrice di basket, tante attenzioni siano rivolte pure alla mia sfera privata » . E' stato per liberarsi dai « curiosi » che ha vinto le ultime resistenze? « No. " Olivia", una linea americana di crociere riservata esclusivamente a coppie omosessuali e che in passato si è fatta rappresentare da Martina Navratilova, mi ha proposto un contratto da testimonial. Accettandolo, ho colto la palla al balzo per svelare questo mio segreto, anche per una questione di onestà. Sono un personaggio pubblico, non aveva più senso continuare a negare l'evidenza » . Da quanto tempo condivide la relazione sentimentale con la sua attuale compagna? 34ANNI Sheryl Swoopes in lunetta ( foto Ingenito) « Con Alisa stiamo insieme da sette anni » . A Taranto società, allenatore, compagne di squadre e tifosi come l'hanno presa? « Sono stata accolta magnificamente.

Credo che basti questo per dire che non c'è stato nessun problema. Così come non ci saranno problemi in futuro. Punto » . A Bari, dodici anni fa, la parentesi fu breve e infelice. Con tre ori olimpici, un titolo mondiale e tre titoli WNBA vinti in carriera, oltre ad essere nominata per due volte ( 2000 e 2002) miglior giocatrice del campionato americano, perché una campionessa del suo calibro decide di tornare in Puglia e di partecipare ad un campionato nel quale può far canestro anche scalza e con una benda sugli occhi? « Sono trascorsi molti anni da allora.

Era il 1993. Ero giovane. Da quel momento in poi sono cambiate tante cose. Quella di Bari non è stata sicuramente un'esperienza positiva. Quando però ho saputo che a Taranto l'allenatore era Nino Molino, la persona con la quale a Bari mi ero trovata meglio, non ho esitato ad accettare l'offerta. Mi è stato prospettato un progetto ambizioso. Infatti la squadra è composta da ottime giocatrici. Mi sono detta: perché non riprovare? » . L'avvio, tuttavia, non è stato dei più incoraggianti. E' ancora convinta che quel progetto prospettatole sia realmente ambizioso? « Credo che ci sia da lavorare. Il gruppo è formato da atlete di talento e dotate di buona tecnica, ma per arrivare lontano serve un costante impegno in palestra. Abbiamo bisogno di tempo per crescere. Per puntare a qualcosa d'importante, è necessario creare un ottimo gruppo dentro e fuori il parquet. Poi tutto si fa più semplice, la strada imbocca la discesa » . E' ritenuta all'unanimità la giocatrice che ha scritto le pagine più belle nella storia del basket femminile. Cosa manca ancora a Sheryl Swoopes per sentirsi definitivamente realizzata sotto il profilo professionale? « Una vittoria in Europa. Ecco cosa mi manca. Mi piacerebbe vincere un trofeo in un altro continente, dopo essermi tolta innumerevoli soddisfazioni negli Stati Uniti. Magari regalare a Taranto il secondo scudetto. Sono qui per questo, oltre che per il piacere di conoscere posti nuovi, gente nuova, altre culture. Mi considero una privilegiata. Osservo e guardo il mondo inseguendo un pallone su un campo di basket » . Chi è Sheryl Swoopes fuori dal parquet? « Una donna, credo una buona madre, un'amica. Una persona normalissima, con i suoi pregi e i suoi difetti. Adoro stare a contatto con la gente. Amo la vita, specialmente in questo momento » . Perché, forse con la sua clamorosa rivelazione si è scrollata di dosso un peso che stava diventando insostenibile? « No, sono semplicemente serena. Ho accanto a me le persone alle quali voglio bene. Di più non posso chiedere » .

http://www.gaynews.it/view.php?ID=35035

domenica 20 novembre 2005

Lo Stato laico in salsa vaticana

di EUGENIO SCALFARI

Con gli accenti virili che gli sono propri quando afferma principi e valori nei quali crede profondamente George Bush ha ricordato al Partito comunista cinese e al governo di Pechino le loro inadempienze verso i diritti umani. Non poteva fare diversamente nel momento in cui metteva piede sul territorio della nuova potenza mondiale che nel giro di pochi anni sarà il vero "competitor" degli Stati Uniti mettendo fine al regime unipolare seguito alla caduta del Muro di Berlino.

Non è detto che il suo ammonimento cada nel vuoto anche se al momento la risposta del suo interlocutore sarà sdegnosa. Il governo di Pechino sta già allentando la stretta dogmatica e ideologica sui popoli che abitano quell'immenso territorio; man mano che il "risparmio forzato" e l'accumulazione del capitale procederanno, la macchina del benessere diffuso produrrà i suoi inevitabili effetti, sia pure con modalità che derivano dalla storia e dalla collocazione geopolitica della Cina.

Ma pensare che l'evoluzione oltre che economica anche politica del gigante asiatico attenui la sfida che esso lancerà all'America è pura illusione.
La storia non è affatto finita nel 1989, anzi non ha mai prodotto tante novità e suscitato tanti problemi come in questi ultimi quindici anni. Il tempo scorre sempre più rombante e veloce e chiede strategie adeguate di fronte all'irruzione di masse immense, portatrici di nuovi bisogni, nuove identità, antiche e profonde frustrazioni, intollerabili disuguaglianze.

L'Occidente rischia d'arrivare sfiatato e sfiduciato a questi decisivi appuntamenti ed è proprio George Bush il simbolo più eloquente di quest'affanno politico e morale. La sua credibilità in patria è precipitata ai minimi termini. La guerra irachena a tre anni dal suo inizio è impantanata. Il terrorismo incombe nella capitale e su un terzo del paese. La guerra civile non è un'ipotesi da scongiurare ma una realtà attuale fin d'ora. La stragrande maggioranza degli iracheni percepisce l'armata americana come un corpo di spedizione ostile e ne auspica entro breve tempo il ritiro.



L'opinione pubblica americana, d'altra parte, si è spostata su posizioni che sono esattamente l'opposto di quelle di appena un anno fa, il trionfo elettorale che premiò il presidente con un secondo mandato sembra ormai un reperto archeologico. L'esportazione della democrazia in Iraq produrrà nel migliore dei casi una fragile teocrazia sciita insidiata da avversari occulti e palesi.

Ma gli esiti sono altrettanto deludenti in Afghanistan, nel Kosovo, in Bosnia. E' di ieri la denuncia di Emma Bonino secondo la quale a Kabul si è passati dalla teocrazia talebana alla "narcocrazia": metà del reddito di quel paese proviene dalla coltivazione e dal commercio della droga. In Kosovo la situazione è identica a dispetto della presenza dell'Onu, in Bosnia l'equilibrio etnico è pura finzione.

Dell'Africa, orientale e occidentale, meglio non parlare tanto è disperata la situazione che vede, oltre ai genocidi, alle guerre tribali, alle epidemie e alla fame, anche l'espandersi rapido della schiavitù quasi-legale, dall'Abissinia al Ciad, al Niger, alle coste della Guinea.
Se vogliamo guardare la realtà, con occhi non offuscati dalla propaganda, questo è lo stato dei fatti. Le periferie assediano il centro quando non diventino centro esse stesse. Bisogna esser ciechi per non vederlo.

* * *

Nel frattempo noi ci balocchiamo. Abbiamo un capo del governo che - gli siano rese grazie - ci fa almeno divertire. L'altro ieri, per festeggiare la "devolution" che ha scompaginato con metodo e norme incostituzionali, l'unità del paese, l'autonomia del Parlamento, il funzionamento del governo e il ruolo del capo dello Stato, ha ballato insieme ai parlamentari leghisti, sul motivo di "chi non salta comunista è". I commessi del Senato erano esterrefatti ed esilarati da quello spettacolo che può andare in scena soltanto nel Parlamento italiano. Uscito di lì si è proclamato santo; forse è per ottenere la canonizzazione ufficiale che ieri ha fatto visita a Benedetto XVI. Poi ha sillabato davanti ai microfoni e ai taccuini dei giornalisti che il suo programma di legislatura "è stato attuato al cento per cento". Quel programma, per chi non lo ricordasse, lo impegnava ad abbassare le tasse e la pressione fiscale, recuperare la sicurezza di persone e cose, effettuare un grandioso programma di opere pubbliche, rendere rapida ed efficiente la giustizia, riformare scuola e università.

Al cento per cento fatto. Lui lo dice e bisogna pur credergli anche perché ce lo raccomanda la sua mamma. In realtà, come provano tutte le statistiche ufficiali disponibili, i primi quattro punti sono stati interamente mancati, l'ultimo (la riforma della scuola e dell'università) non è stata che una rispolverata della riforma Berlinguer accentuandone il peggio e attenuandone il meglio.
Ma dicevo: lui almeno ci fa divertire. Vi par poco con questi chiari di luna?

* * *

Pier Ferdinando Casini, diciamolo, è assai meno divertente. Dopo aver votato, con tutti i suoi della gloriosa Udc, per ben quattro volte di seguito (due alla Camera e due al Senato) la legge di riforma costituzionale (detta "devolution") non ha fatto passare dieci minuti per dichiarare che a lui quella legge piace pochissimo e comunque ci sarà tra breve il referendum per il quale il bel Pier lascerà ai seguaci libertà di coscienza. Segno che finora quella coscienza qualcuno gliel'aveva sequestrata (salvo che al roccioso Tabacci che ha votato contro salvandosi l'anima).

L'arcano si è capito rapidamente. Il giorno dopo il cardinal Ruini ha rudemente criticato la "devolution" dicendo che questa volta i vescovi non daranno indicazioni di voto nel referendum. Detto da lui significa pur qualcosa. Astinenza da un vizio? Incoraggiamento a votare contro la legge? Ruini questa volta si asterrà dall'intervenire, ma quella legge la critica, accidenti se la critica.

La sinistra questa volta lo ha applaudito, ma commette secondo me un errore. Come ha scritto giustamente Berselli su Repubblica di ieri, Ruini non può e non dovrebbe cimentarsi con le leggi della Repubblica italiana. Non lo fa Ciampi, che è il capo dello Stato e può soltanto rifiutare la firma quando vi sia palese incostituzionalità.

Ma Ruini invece entra nel merito, mi piace quell'articolo, mi preoccupa quell'altro, suggerirei questo, sconsiglierei quest'altro, e tutti a dirgli bravo.
Diciamo la verità: Ruini è un impiccione nel senso che si impiccia di cose che non lo riguardano. Che direste, ripeto, se Ciampi si comportasse allo stesso modo? E che direbbe Ruini se un ministro, un prefetto, un ambasciatore, insomma un pubblico funzionario del nostro Stato dichiarasse che la Conferenza episcopale è un organismo non democratico, non trasparente, che svolge male il suo lavoro? Credo che quel ministro, quel prefetto, quell'ambasciatore se la passerebbero molto male. La loro carriera ne soffrirebbe un bel po'. Perché noi siamo uno Stato laico in salsa vaticana. E anche questo è un dato di fatto.

* * *

Mi perdoni, Eminenza, se le lancio ancora una pallottola di carta, di quelle che lei sa respingere con una racchetta da ping-pong: ho letto che lei è favorevole a inviare negli ospedali e nei consultori i militanti del comitato Scienza e Vita per convincere le donne che vi si recano a non abortire. Si vuole dunque impicciare anche dell'organizzazione ospedaliera? Non basta il ministro Storace che una ne fa e cento ne pensa? Dunque i volontari di Scienza e Vita. Sicuramente più efficienti delle suffragette dell'Esercito della Salvezza, che le loro musichette e i loro predicozzi le fanno rigorosamente sui marciapiedi di Londra.

Io me l'immagino quella povera donna col suo carico di dubbi e di dolori, che decide di abortire ed entra con passo timido e volto rattristato in un pubblico ospedale.
Sa che dovrà avere un colloquio preliminare col medico. Quel colloquio non solo se l'aspetta ma ci conta, ha ancora dubbi sul da fare e sul come fare, insomma nel novanta per cento dei casi arriva all'appuntamento col cuore in mano. E chi si trova davanti, nelle stanze e nei corridoi dell'ospedale o del consultorio? Un don Gelmini, un volontario di Scienza e Vita, di solito un po' fanatico, abbastanza intransigente, uno che può anche minacciarle descrivendole le pene dell'inferno. Li abbiamo visti e sentiti infinite volte in televisione, quelli di Scienza e Vita ai tempi del referendum sulla procreazione artificiale. La petulanza, la certezza incrollabile nella propria verità, non un dubbio, non un sorriso, la religione dell'embrione, magari con il nome Giuliano Ferrara scritto sulla maglietta.

Ci rifletta, gentile cardinale; ci rifletta anche lei ministro Storace. Perché se questa pratica prendesse piede, aspettatevi l'arrivo in forze di Pannella, Bonino e Capezzone. Predico che allora sarebbero guai seri. Il consultorio e l'ospedale rischierebbero di trasformarsi in una rovente "Samarcanda", in uno scatenato "Ballarò", in un "Otto e mezzo", in un "Porta a porta", con la paziente relegata in un angolo e le due contrapposte squadre ad accapigliarsi in mezzo ai letti di un pronto soccorso e di una astanteria.

Io, per me, starei coi radicali, anzi gli darei pure una mano per quel che posso, ma che c'entra questo con la 194 e il diritto all'aborto motivato in una pubblica struttura? Anche l'aborto lo vogliamo in salsa vaticana? Poi vi lamentate degli anticlericali. Ma siete voi che li volete.

Stiamo attenti e state attenti perché tutta questa storia rischia di finire molto male. Con tante grane, ci manca anche questa.

(20 novembre 2005)

http://www.repubblica.it/2005/k/sezioni/politica/berlupa/statolaico/statolaico.html

Cossiga sul Riformista inneggia a Zapatero contro le ingerenze "neotemporali" della chiesa cattolica

Nel sorprendente articolo Cossiga ci rivela che fu prima Pio XI e poi Pio XII a spingere i cattolici ad accettare il regime fascista e il regime nazista sciogliendo i partiti popolari


ALLORA VIVA ZAPATERO
DI FRANCESCO COSSIGA
Sono un cattolico-liberale, non adulto L'ingerenza della Chiesa non mi piace mai


Caro direttore, chiedo ospitalità al tuo giornale, perché uno dei non moltissimi giornali liberal del nostro paese, per esprimere il mio aperto e fermo dissenso dalla recente presa di posizione della Conferenza episcopale italiana sulla riforma costituzionale recentemente approvata dal Parlamento nazionale, dissenso che è dettato dall'essere io cattolico-liberale e quindi fermo sostenitore dello Stato laico, l'unico stato che nei tempi moderni credo conforme ai principi della libertà religiosa, libertà per i singoli e per le chiese e comunioni religiose e madre di tutte le libertà, nonché agli stessi principi cristiani. Il mio dissenso non è relativo al merito, poiché considero la riforma costituzionale del centrodestra una riforma cattiva e brutta quanto quella a suo tempo approvata dal centrosinistra con un colpo di mano negli ultimissimi giorni della legislatura, ma sul piano dei principi. Riconosco alla Chiesa cattolica, così come alle altre chiese e comunioni religiose, dalla valdese all'ebraica e anche all'islamica italiana, il diritto e anzi il dovere di esprimere il loro giudizio su leggi civili che ritengano non conformi ai principi etici da loro professati ed insegnati. Ma non credo sia conforme né alla laicità dello Stato - e la Repubblica italiana è uno stato laico -, né alla missione della Chiesa che essa si esprima e dia giudizi né di approvazione né di condanna su leggi civili meramente temporali, ancorché le ritenga con tanta superficialità in contrasto con quell'affermato e confuso principio di "solidarietà", che né la Chiesa né altri ha ancora ben spiegato che cosa giuridicamente significhi. Sembrerebbe esservi un grande e nostalgico ritorno alla teoria della «potestà indiretta della Chiesa nelle cose temporali», in forza della quale, in nome dell'«utilità per la Chiesa», indifferentemente, papa Leone XIII impose ai cittadini cattolici francesi di «fede» monarchica di accettare il regime repubblicano, e cercò quindi, senza riuscirvi, di imporre agli irlandesi di desistere dal loro impegno di massa e parlamentare per l'indipendenza contro il governo britannico, e più tardi papa Pio XI impose ai cittadini italiani democratici l'accettazione del regime fascista, ordinando l'esilio a don Luigi Sturzo, dopo averlo fatto dimettere da segretario del partito popolare italiano, democratico e antifascista, di cui si dispose lo scioglimento, e poi lo stesso papa Pio XI, successivamente pentitosi, e papa Pio XII, mai almeno apertamente pentitosi, imposero ai cattolici tedeschi l'accettazione del regime nazista, disponendo lo scioglimento del glorioso partito democratico-cristiano, il "Centrum", e ordinando al suo segretario monsignor Haas l'esilio in Vaticano. Interferendo nelle cose temporali, la Conferenza episcopale italiana rischia di far perdere credibilità e autorevolezza ai suoi interventi anche rispetto alle leggi civili, per motivi di carattere etico (lasciamo stare i vaghi motivi di carattere "sociale", dato che la Chiesa per essi è stata successivamente contro le libertà moderne, e in particolare fino al Concilio Vaticano II specificatamente contro la libertà religiosa, e poi a favore di esse, contro i regimi di sovranità popolare, democratici e rappresentativi, e successivamente a favore di essi, prima decisamente antiebraica, e poi, salvo il periodo da papa Giovanni Paolo II in poi, moderatamente tollerante verso gli ebrei, ma ancora meno verso gli israeliani. La vergogna è che i cosiddetti «laici» abbiano, nel silenzio dei «cattolici adulti» alla Prodi, alla Castagnetti, alla Enrico Letta e alla Rosi Bindi, "urlato" alla «ingerenza» del cardinal Ruini, quando criticò il progetto prodiano di introduzione dei pacs, e adesso plaudano a quella che è una vera e propria ingerenza, solo perché critica nei confronti del centrodestra. È una vergogna che però non mi meraviglia, solo che pensi di quanto la vittoria di Romano Prodi e del suo centrosinistra sia stata tributaria e possa anche domani esserlo, all'ingerenza politica di molti, anzi di moltissimi vescovi. Ma se il prezzo da pagare per la laicità dello Stato e per la difesa della missione della Chiesa italiana contro tentazioni o derive neo-temporaliste è l'introduzione del matrimonio tra non eterosessuali, ebbene: viva Zapatero! Dio mi perdonerà!

http://www.gaynews.it/view.php?ID=35024

venerdì 18 novembre 2005

Veronesi difende l'eutanasia: "Morire è un diritto fondamentale"

INTERVISTA/ L'oncologo parla del suo nuovo libro e attacca i diktat del Vaticano su aborto e pacs
"I vescovi vogliono cambiare la legge 194, fermiamoli
Lo Stato deve reagire e dire alla Chiesa di rispettare i confini"
di DARIO CRESTO-DINA



Umberto Veronesi

MILANO - "Ho l'impressione che il dialogo con i vescovi sia diventato un monologo. Bisogna fermarlo", dice Umberto Veronesi: "Mi sembra che la Chiesa voglia condizionare le scelte di un paese che, se devo giudicarlo alla luce dei comportamenti dei suoi abitanti, è a maggioranza non credente, o poco credente". Nel tentativo di contribuire a frenare questa "invasione di campo" il professore ha scritto un libro su un tema spinoso che da sempre gli sta a cuore. È un libro che difende l'eutanasia volontaria.

Il titolo è un manifesto, nel senso che dentro c'è già tutto: Il diritto di morire, la libertà del laico di fronte alla sofferenza. Dove la parola laico è un simbolo, un marchio.

Professor Veronesi, mentre lei parla di eutanasia il Vaticano attacca su concordato, pillola abortiva, pacs, e fermiamoci pure qui. Un autentico contro potere italiano?
"No, perché di solito i contro poteri sono occulti. I vescovi, invece, fanno tutto alla luce del sole. Ma adesso rischiano di oltrepassare il limite. Come scriveva Montanelli, stanno cercando di obbligarci a adeguarci a un credo nel quale non crediamo. Le ultime dichiarazioni del cardinale Ruini, per esempio, devono far pensare. E sono difficili da accettare".

Si riferisce alla condanna della pillola Ru-486?
"Sì. Quando Ruini dice che l'uso della pillola equivale a un omicidio, manifesta un pensiero che va in realtà ben oltre il significato delle sue parole. L'obiettivo della Chiesa è rimettere in discussione la legge sull'aborto. La verità è che ci vogliono togliere la 194, diciamolo con chiarezza. Uno stato laico deve reagire, ricordare alla Chiesa che ci sono confini da rispettare".

Ma il partito dei cattolici è forte, è trasversale e le sue file si ingrossano. Il presidente della Camera Casini ieri ha detto che le parole della Chiesa sono proposte, non imposizioni.
"Guardi, io rispetto le opinioni di tutti. Ma un conto sono le idee, un altro le leggi. La legge sull'aborto è stata votata dal 70 per cento del popolo italiano. La posizione della Chiesa è, quindi, in opposizione non solo allo Stato italiano, ma al popolo italiano. La Ru-486 è in linea con la 194, il suo utilizzo, naturalmente all'interno di regole precise, non deve costituire un problema. Si tratta, in sostanza, di praticare l'aborto per via farmacologica invece che chirurgica. Se è diventata un problema, è perché se ne è voluto fare un caso politico. Non dobbiamo sottovalutare poi che proibire questa pillola, accettata dalla maggioranza dei paesi europei, porterebbe inevitabilmente alla nascita di un mercato nero. Il proibizionismo non è mai una risposta efficace".

Perché la Chiesa è così aggressiva?
"Forse perché è in crisi, forse perché sta vivendo un momento di transizione, ma non dimentichi che c'è smarrimento anche nella società ed è in periodi come questi che si riafferma il proselitismo della fede, delle religioni. Benedetto XVI lo ha capito benissimo, questo Papa non è certo un vescovo che sta in mezzo al fiume: è intransigente, è tradizionalista, è coerente. Non si può essere un uomo di chiesa soltanto per metà o per un terzo. I cardinali fanno il loro mestiere, altri invece no".

È una critica al governo?
"Non solo. Mi riferisco alle carenze e alle assenze della politica. Sia a destra, sia a sinistra. Mi riferisco allo Stato. Ho come l'impressione che improvvisamente siamo diventati tutti ferventi credenti. Tutti rinoceronti, come nella commedia di Ionesco".

Ed è in questo clima che lei propone di autorizzare l'eutanasia?
"Voglio semplicemente porre il problema, tentare di aprire un confronto su un argomento tabù, un tema di cui nessuno vuole parlare".

Significa sostenere la bontà del suicidio?
"Assolutamente no. Il suicidio è un fenomeno psicologicamente complesso che ha radici profonde e antichissime. È una pulsione tipica dell'uomo, che non esiste in altri esseri viventi. Io sostengo il valore dell'eutanasia come richiesta volontaria e cosciente di porre fine alla propria esistenza. Cosa che può maturare quando la vita diventa insopportabile per il dolore, la sofferenza e la perdita della propria dignità. Dai dati dell'Olanda, dove l'eutanasia è legale, appare che la richiesta riguarda per l'85 per cento i malati terminali".

Ha scritto Norberto Bobbio, verso la fine della sua vita: "L'unico rimedio alla stanchezza mortale è il riposo della morte". È a questo che pensa, professor Veronesi?
"Credo che il diritto di morire faccia parte del corpus fondamentale dei diritti individuali: il diritto di formarsi o non formarsi una famiglia, il diritto alle cure mediche, il diritto a una giustizia uguale per tutti, il diritto all'istruzione, il diritto al lavoro, il diritto alla procreazione responsabile, il diritto all'esercizio di voto, il diritto di scegliere il proprio domicilio".

Ma la richiesta di eutanasia non contrasta con la natura?
"La natura non ha previsto l'immortalità dell'uomo, anzi, la morte è uno dei suoi principi. Non si può rimanere in vita quando la vita non è più vita".

Eppure proprio la scienza e la medicina sembrano volerci cancellare la prospettiva della morte e la chirurgia estetica ci illude persino sul prolungamento della giovinezza.
"È vero, la medicina spesso espropria il diritto alla morte. Macchine complesse tengono in vita persone senza coscienza per settimane, mesi, anni. Questa è una vera violenza alla natura. Ma il compito della medicina non è quello di legiferare. La scienza aspetta una legge che faccia chiarezza sui limiti del suo intervento".

Lei pensa alla legge olandese?
"Potrebbe costituire un buon punto di partenza. Stabilisce una procedura seria e accurata, ma permangono dubbi sulla genuina volontà del paziente che manifesta il desiderio di eutanasia. È difficile capire fino a che punto conti l'influenza dei famigliari, oppure il livello di depressione nel quale il malato precipita. Il cammino sarà lungo, ma ritengo sia importante cominciarlo. Sarebbe un segno di civiltà".

Imparare a vivere significherebbe imparare a morire, come sosteneva Jacques Deridda?
"Sì, anche se è molto difficile. Ma chi sta in trincea, come i medici, sa quante volte un paziente chiede di venire aiutato a morire".

E i medici lo fanno?
"Sì, sarebbe ipocrita negarlo: negli ospedali italiani l'eutanasia clandestina viene praticata. Nessuno lo confesserà mai, eppure esiste. Si allontana l'infermiera con una scusa, si aumenta un po' la dose di morfina... Ci sono molti modi".

È un omicidio?
"No, è raccogliere un appello alla pietà".


(18 novembre 2005)

http://www.repubblica.it/2005/k/sezioni/politica/parlaveronesi/parlaveronesi/parlaveronesi.html

Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.