venerdì 14 gennaio 2005

Fecondazione assistita: la corte boccia il referendum contro la legge che è anche antigay

La discriminazione antigay è stata sancita definitivamente dalla decisione dell'alta corte


La Corte Costituzionale ha bocciato il referendum che chiedeva la cancellazione dell’intera legge sulla “procreazione medicalmente assistita”, dando invece il via libera agli altro 4 referendum su quesiti parziali riguardante singoli aspetti della legge (fecondazione eterologa, statuto dell’embrione, utilizzo a fini scientifici dell’embrione stesso e numero degli embrioni utilizzabili per l’inseminazione artificiale). L’associazionismo gay si era schierato in primo luogo contro la legge nel suo complesso ritenendola proibizionista e liberticida oltrechè invasiva della vita privata e delle scelte più intime in materia di procreazione. Non c’è dubbio alcuno che con questa legge la destra italiana (col concorso della parte cattolica del centrosinistra) abbia svolto il ruolo di giannizzero del vaticano imponendo a tutti col voto di maggioranza l’agenda politco morale della gerarchia vaticana. La sterilità è una patologia e come tale doveva essere trattata in sedce parlamentare. Il diritto alla salute è garantito dalla Costituzione e la cura della sterilità doveva essere un diritto al di la dell’appartenenza o meno ad un nucleo familiare “regolare”, alla condizione di single o all’orientamento sessuale. La legge invece stabilisce limiti, mette paletti, propone divieti anche assurdi e scientificamente immotivati. Ma, soprattutto, dal nostro punto di vista, introduce per la prima volta una discriminazione palese nell’ordinamento giuridico italiano contro le coppie omosessuali. L’articolo 5 della legge (non toccato dai quesiti ammessi dall’alta corte) dice infatti che possono accedere alle tecniche di procreazione assistita solo le coppie e non le single ed anche le coppie conviventi purchè di “sesso diverso”. Come si vede, e come informano correttamente tutte le agenzie di stampa, siamo di fronte alla palese esclusione delle coppie omosessuali. Una scelta ribadita con foga anche durante il dibattito parlamentare dagli esponenti della destra e brandita come un successo dalle gerarchie vaticane. E’ la prima volta che nell’ordinamento giuridico italiano si introduce una discriminazione esplicita verso gli omosessuali. Nemmeno nel regime fascista si era arrivati alla discriminazione sancita dalla legge. Ed ora questa discriminazione è stata legittimata anche dalla Corte Costituzionale. Le conseguenze sul piano pratico sono modeste. Un omosessuale sterile che desidera procreare potrà curarsi all’estero o una lesbica potrà ricorrere al “fai da te”. Ma sul piano dei principi di uguaglianza il danno è enorme perché si stabilisce per legge che ci sono dei cittadini di serie a che hanno accesso alle cure contro la sterilità e cittadini di serie b che ne sono esclusi. Se a ciò aggiungiamo che la destra per bocca di Berlusconi ha annunciato che il nucleo centrale della campagna elettorale della destra italiana sia per le regionali di aprile che per le politiche del 2006 saranno i “valori” nel palese tentativo di importare il modello americano che ha visto Bush vincere grazie all’apporto determinante dell’integralismo religioso omofonico. Dobbiamo quindi essere molto preoccupati per l’immediato futuro e attrezzarci di conseguenza perché la destra vorrà seguire anche in Italia l’esempio americano in materia di diritti degli omosessuali. Come reagire? Innanzi tutto impegnandosi a fondo sui referendum rimanenti perché occorre sventare il tentativo di evitarli con un accordicchio parlamentare. In secondo luogo spingendo l’accelleratore sulla battaglia per le coppie di fatto comprese quelle gay. Ciò significa che gruppi, associazioni, singoli devono e possono dare un contributo forte di militanza e visibilità nei comitati locali dai referendum e nell’organizzazione della campagna per le coppie di fatto. Battere l’omofobia e il moralismo clericale è possibile e doveroso, sta a noi saperlo fare con determinazione.

http://www.gaynews.it/view.php?ID=30583

giovedì 13 gennaio 2005

Fecondazione: «sì» a quattro referendum, bocciato quello radicale

di red.

Quattro su cinque. È questo il responso uscito dalla camera di consiglio della Corte costituzionale riunita da lunedì 11 gennaio per giudicare sull'ammissibilità dei cinque quesiti referendari sulla procreazione assistita.

I giudici della Corte Costituzionale hanno deciso l'inammissibilità del quesito referendario proposto dai Radicali e dall'associazione Luca Coscioni di abrogazione totale della legge n. 40 sulla procreazione assistita dichiarando invece ammissibili gli altri quattro referendum di abrogazione parziale della legge. Si voterà una domencia tra il 15 aprile e il 15 giugno.

I quattro quesiti referendari di abrogazione parziale della legge ai quali la Consulta ha dato il via libera riguardano: il limite alla ricerca sperimentale sugli embrioni; le norme sui limiti all'accesso alla procreazione medicalmente assistita (in particolare l'eliminazione dell'obbligo di creare in vitro non più di tre embrioni); le norme sulle finalità, sui diritti dei soggetti coinvolti e sui limiti all'accesso (in particolare per la cancellazione totale dell'art. 1 della legge sui diritti del concepito); il divieto di fecondazione eterologa.

I quindici giudici costituzionali, presieduti da Valerio Onida, hanno deciso dopo aver ascoltato in udienze a porte chiuse, le ragioni dello schieramento pro-referendum composto dai partiti del centrosinistra, Radicali, Cgil e altre associazioni contro il quale all'ultimo momento si era costituito il governo suscitando le proteste dei laici della maggioranza e la dura condanna dell'opposizione. Accanto all'esecutivo, a difendere le ragioni del no erano state ammesse anche sette associazioni che hanno avuto facoltà di fare alcuni interventi brevi presso la Corte e presentare memorie contro i referendum.

Furente la reazione del segretario dei Radicali, Daniele Capezzone, che aveva guidato la raccolta delle forme per il referendum sull'abrogazione totale. «Voglio dire subito che questa decisione è scandalosa, ancora una volta politica, e tale da umiliare il parere della stragrande maggioranza dei costituzionalisti italiani, che si erano espressi per l'ammissibilità di tutti i quesiti -dice Capezzone - Aggiungo che ora daremo battaglia sugli altri quesiti, di cui siamo copromotori e sostenitori, per evitare ulteriori scippi parlamentari».

Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, plaude alla scelta della Consulta sull'ammissibilità dei quesiti referendari sulla procreazione assistita. «Il giudizio di inammissibilità del quesito per l'abrogazione totale della legge - aggiunge il ministro dell'Udc - sottolinea e ribadisce un principio che noi abbiamo sempre fortemente sostenuto: non si può aprire ad una situazione in cui sia possibile superare i limiti alla difesa della dignità della persona, sanciti dalla nostra Costituzione». «Si trattava - prosegue Giovanardi - di una richiesta inaccettabile e sono contento che con questa decisione si conferma la volontà di difendere questi limiti contro ogni tipo di aberrazione».

Sul tema della procreazione assistita «il governo Berlusconi ha dimostrato di non essere neutrale». Lo afferma l'ex presidente del Consiglio Giuliano Amato, secondo il quale la legge 40, «non solo è sbagliata ma controproducente rispetto agli stessi fini che essa si propone. La necessità di cambiarla è nelle cose». Amato considera «probabile» una vittoria dei sì al referendum e considera sbagliata la convinzione, che egli vede diffusa tra i banchi del Polo, che non si arriverà al quorum e che basterà scoraggiare la partecipazione della gente al voto per farli fallire. «Anche se non si raggiungesse il quorum o vincessero i no - conclude Amato - non potremmo comunque tenerci questa legge, perchè più essa verrà applicata più emergerà che essa va cambiata

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=40269

mercoledì 12 gennaio 2005

C'è satira e satira

di Roberto Cotroneo

L'Ordine dei giornalisti non l'aveva mai fatto: ha richiamato Vauro, il vignettista satirico, per aver pubblicato una vignetta fortemente critica su Giovanni Masotti, conduttore del programma giornalistico della Rai: «Punto e a capo».

Due giorni fa il presidente Bruno Tucci gli ha dato un «avvertimento orale». Parlando esplicitamente di violazione del capoverso 3 dell'articolo 2 della legge del 3 febbraio 1963.

È la legge dell'Ordinamento dell'ordine dei giornalisti. Il capoverso 3 dell'articolo 2 dice: «Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori». Deve essere un lapsus, di quelli seri. E non c'è niente da fare, quando hai a che fare con i vignettisti satirici, finisce sempre che l'ironia che corre per il mondo ci mette qualcosa di suo. Il capoverso 3 sarebbe di ammonimento proprio a Giovanni Masotti, che ha definito le vignette del suo collega Vauro a lui dedicate (sono più d'una) un'iniziativa di stampo «brigatista», senza preoccuparsi del fatto che rivolgersi all'Ordine per una vignetta satirica ha qualcosa di paradossale e francamente un po' ridicolo. Stendendo poi un velo pietoso sullo stampo «brigatista». In realtà il capoverso a cui voleva fare riferimento l'Ordine, sbagliando incredibilmente su una legge che dovrebbe conoscere a memoria, è invece il capoverso 1 dell'articolo 2, che recita: «È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d'informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede». Diritto insopprimibile, appunto: diritto insopprimibile limitato dall'osservanza delle norme di legge a tutela della personalità altrui.

Masotti non si sente tutelato dal contenuto di una vignetta satirica. E allora cosa si sarebbe dovuto fare, e mi riferisco a buona parte del mondo politico italiano che sta a sinistra, con tutte le vignette di Giorgio Forattini di questi ultimi anni? Ossessive, esagerate, eppure espressione di una libertà di satira e di opinione che è sacrosanta e che va difesa a ogni costo: per Forattini, per Vauro e per chiunque.

Ma questi sono tempi davvero strani; cupi e caporaleschi, per certi aspetti, dove la censura, o la ripicca, si esercita in un modo ambiguo.
Masotti poteva querelare Vauro per diffamazione, ma non lo ha fatto; probabilmente poi avrebbe dovuto pagare le spese processuali. E invece cosa è successo? Masotti ha chiesto all'Ordine professionale di esercitare un potere di veto e di avvertimento. Un potere che l'Ordine ha, ed esercita, per cose assai più serie e più gravi; per tutelare i minori, ad esempio.

E perché avviene questo? Perché in realtà si vuole intimidire senza averne il diritto. Cosa dovrà fare Vauro da ora in poi? Dovrà rifarsi al capoverso dell'articolo 2, quello che gli dà sì un diritto insopprimibile, ma lo rende pur sempre richiamabile all'Ordine, per l'appunto? Dovrà stare più attento ai disegni o alle frasi che mette nelle vignette? E una matita dai tratti più spessi e più offensiva di una matita sottile? Il fumetto con la scritta che occupa uno spazio minimo è meno invadente e dunque più tollerabile di una scritta che occupa tutto il disegno? E una vignetta a colori, è più realistica, e dunque più offensiva, di una disegnata con pochi tratti? E ancora: quanta responsabilità hanno i giornali sulla vignetta? Se è pubblicata in grande l'ammonimento è più grave e il capoverso della legge è più violato, oppure l'articolo 2 viene violato comunque, anche se viene usato un formato francobollo su un giornale formato lenzuolo?

Sono paradossi, è ovvio. Il diritto di satira, e i limiti della satira in casi estremi, ma proprio estremi, possono essere stabiliti per legge: anche se è materia davvero assai sfuggente. Ma quando non è la legge a entrare in campo, quando non è un magistrato, un sostituto procuratore della Repubblica, a stabilire cosa sia lecito e cosa non lo sia, quando non sono tre gradi di giudizio a incolpare qualcuno per aver sfruttato il suo ruolo di opinionista per diffamare il prossimo, ma è un ordine professionale, attraverso un suo organo di controllo, le cose non vanno bene. E non vanno bene perché per prima cosa si è persa l'ironia, e poi perché si è cancellata quella grande regola per cui si rispettano le opinioni altrui, soprattutto quelle che danno più fastidio.

Tutto questo è il risultato di un nuovo sistema di potere che fino a qualche anno fa era inimmaginabile. Non è strano che siano proprio certi giornalisti, televisivi in particolar modo, i più nervosi di tutti in vicende come queste. Sono quelli più esposti e dunque quelli che più hanno da perdere dalla satira e dallo scherno. Sono quelli che devono prendere atto che neppure la legge è dalla loro parte. Così vanno all'Ordine professionale, e chiedono avvertimenti e richiami. E pazienza se poi i capoversi a cui si fa riferimento sono quelli sbagliati.

Quando Vauro fece l'esame da giornalista, nel giugno del 1987, stessa sessione di Giuliano Ferrara, il presidente della commissione esaminatrice, un magistrato, gli chiese quali mai fossero i limiti della satira. E lui rispose: «I limiti della satira? La satira per definizione non può avere dei limiti». E il presidente, incalzando: «Ma lei non si pone un problema etico...». E Vauro: «Io? Io faccio vignette, io sono un vignettista satirico».

Non spiegò quel giorno che Walter Benjamin sosteneva che la satira deve essere «cannibalesca» (kannibalisch), e deve trarre linfa e vita proprio dal conformismo e dall'ipocrisia di chi è compromesso con il potere. Ma il senso delle parole di Vauro ricalcava il pensiero di Benjamin. Erano tempi migliori, le sue risposte furono giudicate idonee e convincenti, e passò l'esame da giornalista. Adesso per gli stessi motivi per cui fu promosso all'esame di giornalista, viene ammonito proprio dall'ordine dei giornalisti. Mala tempora...

tratto da l'Unità del 12/01/2005

martedì 11 gennaio 2005

Finalmente un elogio per l'Unità!

«L’Unità è l’ultimo giornale satirico che c’è in Italia. Ho seguito il consiglio di Berlusconi e lo leggo tutti i giorni. È un giornale fatto da persone che scrivono con un’impudenza e un coraggio incredibili».

Elisabetta Gardini, portavoce di Forza Italia, Adnkronos, 10 gennaio ore 20.38

Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.