Uniti nell'Ulivo, presente in solo 8 regioni, ha preso più voti degli azzurri in tutto il Paese. Lega e Udc tengono, cala An . Bene lo Sdi, Prc stabile. In Campania Margherita primo partito. Unione al 53%
martedì 5 aprile 2005
Risultati dei voti di lista: crollo per Forza Italia, Uniti nell'Ulivo è la prima forza del Paese
L'Italia è cambiata
di MASSIMO GIANNINI
L'ITALIA azzurra non c'è più. Quella "Fantasyland" felice e spensierata del 2001, dove un "partito personale" dominava in 81 province su 100, s'è dissolta. Quell'appendice virtuale di Milano2, riprodotta su scala nazionale dalla Casa delle Libertà, esiste ormai solo nella mente del suo "inventore". Berlusconi ha perso anche queste elezioni regionali.
Si partiva da 8 a 6 per il centrodestra. Dopo questa chiamata alle urne per 41 milioni d'italiani, secondo le proiezioni provvisorie della notte, finirà 11 a 2 per il centrosinistra. Si frantuma la geografia politica immaginata dal premier. Prodi consolida la sua leadership, la lista unitaria prende corpo, i Ds diventano il primo partito in molte aree del Paese.
L'opposizione strappa agli avversari il Piemonte al Nord, il Lazio al Centro e la Puglia al Sud. È molto più che una sconfitta. È una disfatta. Nel Polo, che resta maggioranza in Parlamento ma non nel Paese, finisce la "dittatura del premier". Quello che comincia non si sa ancora. Sicuramente un "tutti contro tutti", se non addirittura un "rompete le righe".
Le elezioni regionali sono un test locale per definizione. Ma qui c'è qualcosa di più. Dopo il trionfo del 2001, il Polo ha perso le amministrative del 2002, le provinciali del 2003, le europee e le comunali del 2004, le suppletive del 2005, e ora anche le regionali. In questa sequenza non c'è solo un "segnale", estemporaneo e congiunturale.
C'è forse, soprattutto, un travaso di voti nel bacino (finora a compartimenti stagni) della rappresentanza bipolare. Lo dimostra l'affluenza alle urne, molto alta considerata anche la traumatica coincidenza del voto con la scomparsa di Giovanni Paolo II. E se è vero (come insegnano i sondaggisti) che non esiste un astensionismo di sinistra, ma solo una forte quota di elettori incerti o lontani dalla politica, questo vuol dire che tanta parte di questo elettorato "di mezzo", che in passato ha votato per il Polo, stavolta ha votato per l'Unione.
Il tracollo del centrodestra è grave. Riapre al suo interno una verifica che in realtà non si era mai chiusa. Ne compromette in modo strutturale la già precaria stabilità. Per almeno quattro ragioni fondamentali.
1) La caduta del Piemonte sancisce il fallimento di un progetto strategico. Il blocco sociale più dinamico, quello della borghesia produttiva, dei professionisti e dei "padroncini", aveva affidato le chiavi d'Italia al "suo imprenditore", convinto che gli avrebbe aperto le porte dell'Eldorado economico. La vittoria della Bresso segna la fine di quel sogno.
L'opposizione, conquistando la regione della Fiat e della media impresa, infila un cuneo decisivo nel "fronte del Nord", che Berlusconi aveva blindato insieme a Bossi. Per il Cavaliere e il Senatur sarà difficile governare un Paese complesso come l'Italia dalla "ridotta padana" del lombardo-veneto. Questo voto indebolisce anche quell'"asse del Nord", intorno al quale Berlusconi ha costruito i suoi successi e la sua provvista di seggi sicuri. Quasi sempre a spese degli altri due alleati, An e Udc, sempre poco visibili, sempre troppo acquiescenti.
2) La beffa del Lazio è ancora più cocente. E gravida di conseguenze. Qui entra in rotta il modello sociale rappresentato dall'anima più popolare e populista di An. L'autodafè di Storace è clamorosa. Probabilmente non basta a spiegarla il verminaio sudamericano esploso con la Mussolini: se anche si fosse raggiunto un accordo elettorale con la nipote del duce, la somma dei voti delle rispettive liste non sarebbe bastata a superare Marrazzo.
In ogni caso, "Epurator" ha costruito la sua immagine sull'alterità: da Berlusconi, ma anche da Fini. Ha sempre contestato al suo leader la colpa di aver trasformato An in una "corrente" sbiadita di Forza Italia. Su questa posizione, ha dietro di sé una bella fetta di partito.
È verosimile che ora chieda il conto al vicepremier, riversando su di lui la responsabilità di un'onta che non riguarda una persona, ma un partito e il suo posizionamento politico dentro la coalizione. Ed è altrettanto verosimile che Fini, privo di un suo vero delfino e assorbito com'è dalla Farnesina, abbia adesso una seria difficoltà a controllare An, fiaccata da un gregariato estenuante e lacerata com'è dalle correnti interne.
3) Il probabile successo di Vendola in Puglia è una pugnalata al cuore di un sedicente "moderatismo" che, evidentemente, Forza Italia e i centristi dell'Udc (i due partiti più forti al Sud) si sono illusi di rappresentare quasi "a prescindere". Dovrebbe aver vinto un rifondatore comunista e gay discreto ma dichiarato, che va a prendersi una delle regioni più "conservatrici" della Penisola.
Al di là dei problemi che questa eventuale vittoria creerà nel centrosinistra sul piano dei rapporti di forza con Bertinotti, qui c'è l'indizio della crisi profonda di un falso modello di sviluppo, che il Cavaliere ha creduto di spacciare a colpi di grandi opere scritte sulla lavagna invece che realizzate sul territorio. Fitto è stato da sempre una pupilla dei suoi occhi, aperta sul prezioso serbatoio di voti del Mezzogiorno. Ora quella pupilla si chiude, e quel serbatoio si prosciuga. A Sud, per il Polo, resta solo la Sicilia.
4) Al fondo di tutto, c'è una nuova e inedita interpretazione del cosiddetto "fattore B". Così come quella di quattro anni fa fu in larga misura una vittoria personale, questa del 2005 è per ragioni uguali e contrarie una debacle personale. Perde la maggioranza, ma perde soprattutto lui, Berlusconi, che ha fondato le sue fortune politico-imprenditoriali sul mito dell'invincibilità. Il Cavaliere viene investito da un'onda lunga e crescente di malcontento popolare. La sanzione inevitabile dopo una fase stupefacente e ininterrotta di malgoverno politico.
Berlusconi perde sulla politica. Paga tutti gli errori commessi in questa avventurosa legislatura. Non lo premia una rovinosa riforma costituzionale, approvata prima di Pasqua solo per onorare un patto con la Lega, ma vissuta dagli italiani come una mannaia che si abbatte sull'unità del Paese. Non lo premia la grancassa degli sconti fiscali, suonata ossessivamente per un anno, e poi maledetta dai contribuenti che si sono ritrovati una manciata di spiccioli nella busta paga di gennaio.
Il Cavaliere ha cercato più volte di sminuire la portata generale di queste elezioni. Ma negli ultimi dieci giorni si è presentato ben due volte nel salotto tv di Vespa, "terza Camera" un po' corriva di questa sguaiata Seconda Repubblica. Ha occupato per una mattinata intera i microfoni di Radio anch'io. E se il mondo non si fosse fermato per la morte del Papa, avrebbe concluso tra bandiere e paillettes la campagna elettorale di Storace. Non proprio la condotta di chi vuole restare "fuori dalla mischia". Semmai la percezione, drammaticamente tardiva, di un consenso che gli stava e gli sta gradualmente sfuggendo di mano.
Berlusconi perde anche sui numeri. Dopo il 2001 avevamo creduto alla metamorfosi di Forza Italia, trasformata in un vero partito di massa. Ci eravamo sbagliati. Il crollo dei consensi che si registra dai primi dati sui voti di lista dimostra che quello del premier è rimasto ciò che era: un partito di plastica. Per questo, ora, anche tra gli azzurri si profila qualche notte dei lunghi coltelli, che non potrà non avere ripercussioni sul governo.
Il Cavaliere aveva affermato che alla fine avrebbe contato non il numero di regioni che cambiavano segno, ma il numero di elettori che avrebbero votato per i due schieramenti. Il premier incassa una batosta anche su questo. Nelle regionali del 2000 il Polo ottenne 14 milioni 170 mila voti, contro i 12 milioni 453 mila del centrosinistra. Cinque anni dopo la maggioranza perde oltre 2 milioni di voti, che passano quasi interamente all'opposizione. La Cdl precipita dal 50,8% a poco più del 44%. L'Unione decolla dal 44,6% a oltre il 52%.
Dopo questo sisma elettorale, si entra in una "terra incognita". Un anno di livorosa resa dei conti a destra. Fini e Follini dovranno dimostrare, se ne hanno la forza e la voglia, che "un altro centrodestra è possibile". Ma sarà difficile che ci riescano. Il Cavaliere è un animale ferito, e ora anche braccato. Azzarderà colpi di coda pericolosi e imprevedibili.
Ci aspettano dodici mesi di campagna elettorale permanente. Tra due settimane i ballottaggi, poi il referendum sulla fecondazione, poi le politiche nella prossima primavera. Ma queste regionali confermano che il Grande Seduttore non incanta più. Chiedere che si dimetta, compiendo lo stesso gesto di "disarmo unilaterale" che compì D'Alema nel 2000, non sarebbe sbagliato. Sarebbe inutile. Non lo farà mai. È geneticamente inadatto ad assumere quel minimo senso di responsabilità che si addice a qualunque uomo di Stato.
In quasi quattro anni ha rinunciato a tradurre in un vero progetto politico una folgorante intuizione personale. Continuerà a governare l'Italia usando la vecchia legge di Truman: se non li puoi convincere, confondili. Ma dopo queste regionali, forse, gli italiani hanno scoperto il trucco.
(5 aprile 2005)
http://www.repubblica.it/2005/d/sezioni/politica/regio2005uno/gianninitalia/gianninitalia.html
La corsa del professore che trascina la sinistra
di CURZIO MALTESE
SE SI TRATTAVA di una prova generale, un referendum su Berlusconi e Prodi, allora il Professore ha stravinto e il Cavaliere ha straperso. Il vero risultato non è l'11 a 2 o il 10 a 3, è la frana di Forza Italia, la fine del berlusconismo, il ritrarsi dell'onda lunga che ha dominato un decennio di vita italiana.
La rovinosa sconfitta di Silvio Berlusconi è palpabile perfino dove il centrodestra ha vinto. Nelle roccheforti della Lombardia e del Veneto sono passati da un vantaggio di 30 e 20 punti di percentuale a 10 e 5. Liguria e Piemonte, dopo il Friuli, sono andate a sinistra. L'asse del Nord rovina e i tagli fiscali non hanno funzionato.
In parallelo, l'avanzata del centrosinistra e il trionfo personale di Romano Prodi sono clamorosi perfino nelle regioni già "rosse".
In Toscana e in Emilia dove l'Unione sfonda i record del vecchio Pci e fa guadagnare altri sei o sette punti ai governi regionali, riducendo la destra a riserva indiana. Con buona pace dell'azzeccagarbugli La Loggia ("Chi è al governo è sempre svantaggiato").
In cifre assolute, si tratta di un ribaltone come non se n'erano mai visti nella seconda repubblica. Nel '96 l'Ulivo vinse soltanto grazie alla Lega. Oggi per la prima volta il centrosinistra è reale maggioranza nel Paese. Un miracolo alla rovescia del berlusconismo.
Bisogna riscrivere la storia, assegnare le nuove parti.
Berlusconi era la chiave di tutte le vittorie della destra, il leader anzi il padrone incontrastato, l'Unto dal Signore. Prodi? Uno "bollito", con troppe pretese, contestato nel suo stesso schieramento, ostaggio dei partiti. Da oggi i ruoli si capovolgono. Berlusconi è il perdente, processato dagli alleati, costretto a scendere a patti con l'ultimo vassallo se vuole conservare la poltrona. Prodi è il leader vincente, il grande federatore, quello che ha avuto le intuizioni giuste e ora può chiedere e ottenere di tutto.
Lo spettacolo offerto nelle prime ore dai due poli era chiarissimo, nel grande solco del rapido trasformismo nazionale. A difendere Berlusconi dalla rivolta nella maggioranza è rimasto soltanto un pugno di pretoriani, i vari Schifani, Bondi, Cicchitto, più l'inevitabile Bruno Vespa, al quale giustamente la dirigenza Rai in scadenza vuole prolungare il contratto fino al 2010 per i servigi resi.
Ma contro il premier nel centrodestra è già cominciato il tiro al bersaglio dentro la maggioranza, con il responsabile di An, Nania, che parla di "sconfitta da attribuire a Forza Italia" e l'unico vincente della tornata, Roberto Formigoni, che commenta. "Qualcosa si è rotto nel rapporto fra governo e cittadini". Un'implicita candidatura alla successione. Ora nulla è più feroce in Italia di una rivolta di ex cortigiani.
Berlusconi, che ha pescato a piene mani fra gli ex funzionari comunisti, dovrebbe saperlo. Altrimenti lo scoprirà nei prossimi mesi.
D'altra parte, nessuno è più entusiasta di un convertito.
Così nell'opposizione oggi tutti corrono in soccorso del vincitore Prodi, pronti a offrire primarie anche domani stesso, ora che non ne ha più bisogno.
Ansiosi di sottolineare l'importanza della lista unitaria che soltanto l'altra mattina era ancora un contenitore elettorale d'occasione. Basta aspettare qualche giorno e s'invocherà il partito unico, formula già respinta da tutti i congressi.
Nell'anno elettorale che ha davanti, Prodi deve guardarsi soprattutto da loro, dal trionfalismo facile dei suoi ex critici. E dal conservatorismo più o meno riformista di una sinistra che ha sempre troppa paura di rischiare. In compenso, Berlusconi ha un compito molto più difficile: guardarsi da sé stesso. Non gli è mai riuscito. Nella consapevolezza che gli italiani non credono più all'immagine riflessa in mille televisioni.
(5 aprile 2005)
http://www.repubblica.it/2005/d/sezioni/politica/regio2005uno/curziocorsa/curziocorsa.html
Puglia, la vittoria più bella, l'Italia entra finalmente in Europa
Per la prima volta un omosessuale sullo scranno della presidenza regionale.
di Franco Grillini
Quella della Puglia è la vittoria più bella per chi come noi ha sempre pensato che un omosessuale posso ricoprire qualsiasi incarico a qualsiasi livello dello Stato. Negli ultimi giorni il centrodestra aveva giocato la carta della volgarità e dell’insulto sulla vita privata di Vendola, dimostrando ancora una volta l’incapacità di capire la modernità e, soprattutto, il cambiamento nella cultura e nel costume.
Dopo la vittoria di Vendola non si potrà mai più dire che un omosessuale non può rappresentare le istituzioni in quanto istituzioni di tutti. Proprio la grande manifestazione del gay pride di 3 anni fa a Bari aveva già mostrato che la maggioranza della popolazione condivide gli ideali di libertà e giustizia assieme alla cultura dei diritti civili espressa dal movimento omosessuale.
Come esponenti del movimento glbt siamo grati a Vendola per la sua battaglia e la sua perseveranza. Oggi possiamo dire che anche in Italia abbiamo un Delanoe (il sindaco omosessuale di Parigi) o un Wowereit (il sindaco gay di Berlino) entrambi eletti a grande maggioranza dal voto popolare.
L’elezione popolare di Vendola in Puglia riveste un carattere particolare perché dimostra come lo stereotipo del machismo e del maschilismo meridionale sta venendo meno di fronte all’avanzare di una nuova classe dirigente aperta e capace di interpretare il cambiamento. Anche per questo dobbiamo dire grazie a Nichi Vendola e agli elettori pugliesi che si sono recati in massa alle urne per votare un rinnovamento radicale che non mancherà di avere effetti forti e duraturi sulla cultura di tutto il paese.
http://www.gaynews.it/view.php?ID=31633
Regionali 2005. Il trionfo dell'Unione: 11 Regioni a 2
Il centrosinistra cresce sia come amministrazioni sia come voti. Fini: «Un segnale chiaro e inequivocabile. Governo indebolito»
Ai primi exit poll tutti sono rimasti prudenti. La memoria di dichiarazioni fatte su dati poi smentiti non permetteva valutazioni nette. Prodi, nei suoi uffici, ha visto affissi cartelli eloquenti: «Dichiarazioni prudenti, grazie». E ha sorriso. Un sorriso che già pregustava quello liberatorio e sereno di qualche ora dopo quando ha potuto affermare «E' stata una vittoria larg. Gli italiani ci chiedono di prepararci a governare». Per la Cdl è stato un tracollo, apparso fin dai primi dati: 11 a 2, dicevano gli exit poll. Ma le «forbici» in tre Regioni (Piemonte, Lazio e Puglia) erano vicine. L'unione non poteva ancora cantar vittoria, il Polo non doveva ancora stracciarsi le vesti, perché aveva messo in preventivo di non vincere altrove e di non confermarsi in Calabria, Abruzzo e Liguria, regioni amministrate dal centrodestra e quasi subito ( soprattutto le prime due) sfuggite. Poi sono arrivate le proiezioni, ovvero le percentuali tratte dai primi voti reali. Lo schema si ripeteva e non dava illusioni di rimonte nette al centrodestra. I leader non si facavano vedere, qualcuno stava sul vago e per la maggioranza il solo Tabacci parlava già chiaramente di sconfitta e di colpe interne: dalle riforme fatte per il cosidetto asse del Nord ai problemi di guida della coalizione. Alla fine era chiaro: per la maggioranzza è stato un tracollo. L'unico a mostrarsi soddisfatto, nella Cdl, era Calderoli, per aver guadagnato qualche punto percentuale per le liste della Lega nord. Una soddisfazione qasi surreale se appena si alzava lo sguardo alla cartina d'Italia: 11 Regioni a 2 per l'Unione che ottiene la conferma di tutti e cinque i presidenti e ne strappa ben 6 al centrodestra. La Cdl salva per sè soltanto Lombardia e Veneto.
LAZIO E PIEMONTE - Bruciano soprattutto le sconfitte in Lazio e Piemonte, regioni cruciali, dove i governatori uscenti Francesco Storace e Enzo Ghigo devono cedere lo scettro rispettivamente a Piero Marrazzo e Mercedes Bresso. Storace è stato tra i primi ad ammettere la debàcle chiamando di persona Marrazzo e aggiungendo a mo' di commento finale: «E' stata un'ecatombe in tutta Italia». L'unica casella rimasta in bilico fino a notte fonda è stata la Puglia dove la lotta tra Fitto (Cdl) e Vendola (Unione) è stata incertissima e giocata all'ulitmo voto.
L'UNIONE ESULTA - Diventa comprensibile, dopo la prudenza iniziale, l'esultanza del centrosinistra. Come prima Romano Prodi, anche Piero Fassino, quantificando il tracollo della Casa delle libertà, osserva: «Il risultato delle regionali è un terremoto che ha colpito il centrodestra, un ribaltamento totale dei rapporti di forza sul piano nazionale. Il centrosinistra, - anticipa Fassino- gadagna non soltanto in amministrazioni governate, ma anche nel golbale dei voti espressi». Esplicita l'ala radicale della coalizione che con Oliviero Diliberto e Antonio Di Pietro chiede apertamente che Berlusconi prenda atto che non ha più la maggiranza nel Paese e si dimetta e si vada ad elezioni anticipate.
IL SILENZIO DEL PREMIER - Berlusconi non interviene. Il suo silenzio sul voto dura tutto il giorno. Tocca al vicepremier Gianfranco Fini presentarsi a Porta a porta, da Bruno Vespa: «Il voto ci fa capire che gli italiani, in questo momento, hanno una preferenza per il centrosinistra. E' un segnale chiaro e inequivocabile da parte degli elettori, è un campanello d'allarme. E il governo è senza dubbio indebolito. E' un dovere, per An e tutto il centrodestra, assumersi le proprie responsabilità con elettori e con italiani». Dopo la triste parentesi della morte del Papa, la politica torna a Porta a porta dove era rimasta all'utima, discussa, apparizione di Berlusconi, nella giornata che lo aveva visto protagonista anche della diretta dalla Fiera di Milano. Stasera, a recitare il meaculpa, c'è Fini. Il silenzio del premier peserà. E il voto, è inevitabile, aprirà una serie di «discussioni» interne. Oppure, per usare le parole del vicepremier Follini: «La difficoltà della Cdl esiste tutta: per risalire la china occorrerà riflettere e magari non solo riflettere...».
IL BILANCIO GLOBALE: 16 A 4 - Dopo il voto di oggi, il centrodestra governa in 4 Regioni: Lombardia, Veneto, Molise e Sicilia (le ultime due torneranno alle urne nel 2006). Il centrosinistra governa ora in 16 Regioni: Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria, Trentino Alto-Adige, Friuli Venezia-Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo, Lazio, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sardegna.
http://www.corriere.it/Speciali/Politica/2005/regionali/articoli/index2.shtml