giovedì 28 luglio 2005

La vergogna della legge S.P. /2

di Nando Dalla Chiesa

Alla fine è passata pure lei. Con il successo di pubblico (ossia di senatori e ministri e sottosegretari in aula) delle grandi occasioni, Palazzo Madama ha approvato ieri la legge ad personam più esplosiva tra quelle prodotte a grappoli dalla Casa delle libertà. È passata la legge S.P.: Salva Previti, Senza Pudore, Smonta Processi, Scaccia Pensieri, del Santo Protettore. E Senza Papà, visto che l’originario primo firmatario Edmondo Cirielli ha ritirato il suo nome dopo l’intrusione della norma Previti.
Benché le burocrazie parlamentari, con qualche crudeltà, ancora lo additino come il colpevole di una legge di cui si è vergognato lui per primo. Ripetiamolo: è una legge per abbattere i tempi della prescrizione e mandare libero Cesare Previti dai suoi guai presenti con i tribunali della Repubblica. E per mandare liberi insieme con lui -parola in aula del sottosegretario Vitali, consultare il resoconto stenografico di martedì 26, seduta antimeridiana- altri 180mila (180 mila!) imputati all'anno. Insomma, salvarne circa un milione in cinque anni per salvarne uno una volta sola. Come senso di responsabilità, e come cultura della sicurezza, e come certezza della pena, non c'è male davvero. E saranno coincidenze, ma se i giorni immediatamente successivi all’11 settembre il Senato era impegnato ventre a terra nell'approvazione del falso in bilancio, nei giorni immediatamente successivi alle bombe di Londra lo abbiamo ritrovato impegnato ventre a terra nell'approvazione della Salvapreviti. Anche questi sono titoli da esibire davanti alla comunità internazionale. Due periodi da incubo globale, due leggi personali, due urgenze assolute: le leggi medesime. Ma è questa oggi, in fondo, la cifra delle nostre istituzioni parlamentari. Ed è bene rifletterci.
Perché, fra l’altro, questo è avvenuto il giorno dopo che Carlo Azeglio Ciampi ha firmato la legge di riforma dell'ordinamento giudiziario. E lo ha fatto in un contesto che ora va ripassato attentamente. Diciamo subito, dunque, che il presidente della Repubblica non poteva fare altrimenti. Ma non perché la legge di riforma fosse costituzionale. Piuttosto perché si è trovato davanti a una inedito dilemma. Egli ha dovuto scegliere, più precisamente, tra l’equilibrio politico-costituzionale del Paese (ossia la costituzionalità della nostra vita politica e istituzionale) e la costituzionalità di una singola legge. E responsabilmente ha scelto il primo corno del dilemma. Ciò non toglie che resti tutta intera la complessità e la gravità della partita che si è aperta nelle ultime settimane intorno al Quirinale e che continua con la fragorosa approvazione di una nuova legge incostituzionale come quella di ieri.
I giorni scorsi infatti sono stati segnati dagli stupefacenti attacchi della seconda e della terza carica dello Stato contro il Consiglio Superiore della Magistratura, organo a rilevanza costituzionale presieduto proprio dal presidente della Repubblica. Le ragioni sono note e sono state peraltro esplicitate dai protagonisti: aver messo, il Csm, all’ordine del giorno la discussione del nuovo testo della legge di riforma, attività perfettamente rientrante nelle sue attribuzioni istitutive. Domanda: la seconda e la terza carica dello Stato ignoravano forse che la legge attribuisce al Csm il compito di redigere pareri sulle norme che riguardano il funzionamento della giustizia? È francamente impossibile crederlo. Più sensato pensare che entrambe abbiano agito su motivazioni e spinte di parte, temendo che il parere del Csm potesse confortare, in una qualche misura, l'ipotesi di un secondo rinvio della legge alle Camere. E che, essendo la riforma dell’ordinamento il cuore di un perverso e ferreo patto di potere interno alla maggioranza -legge Castelli contro legge Salvapreviti, appunto-, presidente del Senato e presidente della Camera non abbiano fatto altro che condurre un attacco preventivo (quasi, si starebbe per dire, sul filo della sovversione costituzionale) contro il Csm ma soprattutto contro Ciampi, che con la sua firma aveva autorizzato l’ordine del giorno contestato.
Tra l’altro vi è una ragione di più per ritenere grave quanto è accaduto. Ragione che invece è sfuggita quasi del tutto agli osservatori e agli stati maggiori della politica. È infatti successo che lo stesso legislatore abbia sciolto ogni dubbio circa la natura incostituzionale della legge. Come si sa, la scuola che riteneva possibile un secondo rinvio (capeggiata dall’ex presidente della Corte Costituzionale Leopoldo Elia) poggiava sulla considerazione che l'emendamento anti-Caselli era stato introdotto nella legge dopo il rinvio alle Camere. E che quindi la legge, almeno in quella sua parte, attingeva una natura “nuova e diversa” da quella precedentemente licenziata. Ebbene, subito dopo gli attacchi del presidente del Senato e del presidente della Camera verso la coppia Csm-Quirinale, il senatore Luigi Bobbio, relatore della legge in Senato e proponente dell’emendamento anti-Caselli, ha nitidamente fatto sapere con pubblica dichiarazione, proprio mentre erano in corso le valutazioni del capo dello Stato, quale fosse la ratio della innovazione legislativa. E ha testualmente spiegato: «(la norma) impedisce che un magistrato con propensione a coltivare trame investigative sconfessate dai tribunali vada alla Procura antimafia».
Ora, a parte la considerazione che il lavoro di Caselli a Palermo è stato coronato da centinaia di condanne definitive e nei casi più infuocati (Andreotti, Dell’Utri) da nessuna “sconfessione”, tali non essendo né la prescrizione né l'insufficienza di prove né la condanna in primo grado; a parte questo, dicevo, la realtà si è venuta configurando in questo modo. Presidenti di Senato e Camera attaccano il Csm (e con esso il presidente della Repubblica) mentre si accinge a giudicare della costituzionalità della legge, passata alla Camera con voto di fiducia. Il presidente della Repubblica non può non porsi il problema delle conseguenze che una sua scelta (anche se pienamente legittima) può avere, in queste condizioni, sul quadro costituzionale complessivo, tanto più mentre si è aperto un conflitto diretto con il presidente del Consiglio sulla possibile data delle nuove elezioni politiche. Mentre il capo dello Stato compie le proprie delicatissime valutazioni, il legislatore, nella persona del relatore e proponente della norma più contestata, invece di ammorbidire il senso della propria innovazione lo espone nella forma più schietta e squadrata, spiegando a distanza che quella è una legge incostituzionale in quanto intenzionalmente “contra personam”. Il presidente a sua volta non può non sentire la sfida, riceve la conferma che si tratta di una legge incostituzionale nella lettera e nello spirito, ma sa anche (perché gli è stato fatto capire) che un suo nuovo rinvio scatenerebbe il cataclisma proprio sul piano dei più generali equilibri dell'ordinamento costituzionale.
Ecco la questione. Può un capo dello Stato essere messo nella condizione di dovere scegliere tra queste due alternative? Quanto si è deteriorato il nostro ordinamento perché questo sia possibile? Quanto sono effettivamente salde e più forti del gioco politico le nostre (plurime) garanzie costituzionali? Sta sempre più la politica logorando le nostre istituzioni? Non sono domande oziose. E d’altra parte se per far finire un processo se ne fanno finire centoottantamila l’anno, nessuno davvero può stare tranquillo.

tratto da l'Unità del 28/07/2005

La vergogna della legge S.P. /1

Riporto qui sotto l'intervento dell'on. Nando Dalla Chiesa alla Camera dei Deputati:


DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facolta'.

DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi, e' stato detto talmente tanto di questa legge ed abbiamo motivato con tanta continuita' le ragioni della nostra opposizione che usero' il tempo a mia disposizione per compiere un'operazione di giustizia sostanziale.

Propongo ufficialmente che questa legge cambi nome, che non porti piu' il nome dell'onorevole Cirielli, il quale l'ha rinnegata giuridicamente e moralmente, ritirando la sua firma, quando è stata mutata attraverso un intervento volto ad ottenere scopi assolutamente diversi da quelli iniziali.
Non incolpiamo un innocente. Mi sembra che continuare a collegare il nome dell'onorevole Cirielli a questa legge sia anche una manifestazione di crudelta' nei suoi confronti. Propongo pertanto che la legge venga chiamata "legge SP" e che questo d'ora in poi sia il suo nome.

"SP" anzitutto perche' e' la legge Salva-Previti, come abbiamo potuto vedere. E abbiamo tutti rilevato quel lapsus freudiano contenuto nella parte finale della legge stessa, per cui si prevedeva che soltanto i provvedimenti in corso ne venissero avvantaggiati. E' la legge Salva-Previti e lo abbiamo visto anche con la presenza cospicua del Governo in tutti i momenti in cui si e' votato e per il fatto che alla fine si e' assunto direttamente la responsabilita' della legge.

"SP" perche' e' una legge Sotto Pressione, una pressione formidabile che non ci consente di capire l'urgenza a cui siamo stati sottoposti; una legge che non finisce di essere discussa in Commissione e arriva in Aula; una legge per la quale viene stabilito il contingentamento dei tempi; una legge per la quale inopinatamente, l'ultimo giorno, il Governo deve impegnarsi, come
d'altronde abbiamo visto.

Credo valga la pena, per capire la forza di questa pressione, di rileggere le dichiarazioni dell'onorevole Filippo Mancuso ai tempi della legge Cirami.
"Non mi lascia in pace", gli diceva l'onorevole Berlusconi riferendosi all'onorevole Previti. Perfino il Presidente del Consiglio si sentiva sotto pressione e per questo alla fine ha messo il peso del suo incarico, attraverso il Governo, per il passaggio di questa legge.

E' anche la legge del Santo Protettore, la legge che fa riferimento a quella profezia minacciosa "simul stabunt, simul cadent" fatta dall'onorevole Previti e riferita ovviamente all'onorevole Berlusconi, nel caso lo avesse lasciato per strada in questa legislazione di favore.

Ma e' anche una legge Sfregia Parlamento, una legge che disonora la funzione di queste Aule, perche' le trasforma in un prolungamento degli studi professionali che non riescono ad ottenere in altro modo l'impunità per il proprio assistito. Salvarne 10.000 per salvarne uno, ma ieri ci e' stato detto che saranno almeno 180.000 all'anno i nuovi processi che verranno annullati per prescrizione.

Sarà una coincidenza, signor Presidente, ma nei giorni dopo l'11 settembre questo Senato votava, ventre a terra, la legge sul falso in bilancio; dopo le bombe di Londra, questo Senato vota, ventre a terra, la salva-Previti. Questo è il decoro istituzionale, ed è una cifra che dice qualcosa.

E' una legge Senza Pudore, perchè l'onorevole Previti tende a conculcare le liberta' dei parlamentari che lo criticano, non smettendo mai di portarli in giudizio civile, ma dilata all'inverosimile, come mai si e' visto, il campo delle facolta' che gli vengono accordate dal Parlamento e dalla sua funzione di parlamentare. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U).
Impedisce la parola agli altri, prende tutti i vantaggi della funzione parlamentare, approfittando della maggioranza.

Certo, per lui e' una legge Scacciapensieri, senza alcun riferimento allo strumento sonoro, che si ode in tutti i film folklorici sulla mafia, ma e' scacciapensieri perche' allontana per sempre i suoi guai giudiziari, li allontana in virtu' della nostra azione e della nostra corresponsabilita'.
Una corresponsabilita' grave - e' stato ricordato - perche' e' una legge smonta-processi; quanti processi finiranno ci e' stato detto dal Sottosegretario.

Chi ha parlato in questi anni di certezza della pena deve fare i conti con l'effetto di una legge che, per tutti i reati di gravita' medio-alta, impedira' che la pena si realizzi. Tutti coloro che avranno a disposizione avvocati e risorse per approfittare delle pieghe delle nostre procedure, rimarranno impuniti. La beffa e' che cio' accada in virtu' di un provvedimento intitolato alla necessita' di inasprire la recidiva: incensurati grazie a una legge sulla recidiva!

E' infine una legge Senza Padre; il povero Cirielli ha ritirato la sua firma. Pensiamo al nostro collega della Camera che presenta un onesto disegno di legge di destra, si accarezza questo bambino neonato, ma quando torna al reparto di ostetricia, al posto di questo bel bambino, trova uno scarrafone che porta ancora il suo nome, anche se con un asterisco accanto (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U e del senatore Zancan); trova una cosa completamente diversa, che avrebbe fatto venire l'infarto a chiunque perche' sara' chiamata per sempre la legge Cirielli. Percio', mi sembrava giusto dedicare il tempo del mio intervento al tentativo di cambiare il nome da
Cirielli in salva-Previti.

Cari colleghi del centrodestra, non sono cosi' sicuro che noi del centrosinistra vinceremo le elezioni il prossimo anno; penso, pero', che sia molto probabile. Se cosi' sara', i motivi sono due: il primo e' la prolungata crisi economica, sulla quale avete avuto una relativa
possibilita' di incidere, ma alla quale avete dato comunque il vostro contributo. Il secondo motivo e' che, dentro questa crisi economica, mentre gli italiani facevano fatica ad arrivare alla fine del mese, chi comandava ha saputo curare egregiamente i fatti suoi, i suoi interessi, e questo gli italiani lo hanno percepito. Se perderete sara' soprattutto per questo
motivo.

A me dispiace che per effetto di questa probabile sconfitta non rivedremo in quest'Aula molti dei galantuomini del centrodestra, perche' la politica e' spietata e quando si perde, normalmente, rimangono i peggiori, i piu' entusiasti e i piu' disinteressati sono messi fuori. Per quanti galantuomini ho conosciuto nel centrodestra nel corso di questi quattro anni, mi dispiace; non so se ci saro' ancora, ma mi dispiace in assoluto. Purtroppo e' questo il destino, condito con un pizzico di libero arbitrio, di chi ha impiccato le sorti della propria coalizione al nome di Cesare Previti.

Questi sono fondamentalmente fatti vostri, anche se comportano effetti devastanti per la giustizia del Paese. Per quel che ci riguarda, come centrosinistra, come opposizione, non possiamo che ribadire oggi, in questa sede, nel modo piu' fermo e piu' indignato, il nostro no a questa ennesima, nuova e vergognosa legge incostituzionale. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U,
DS-U, Verdi-Un e Misto-RC).

I libri scolastici in conflitto d’interessi

Le Poste portano a casa i testi. Fornitore unico: una società della Mondadori di Berlusconi


Non è solo Berlusconi, il quale pattuglia appena può antiquari e gioiellerie, a fare regalini agli amici, come il prezioso orologio Longines impacchettato per tutti i deputati l’ultimo Natale. Càpita a volte che siano gli amici a fare regalini a lui. Letizia Moratti e le Poste Italiane, ad esempio, per il prossimo compleanno che il Cavaliere festeggia in coincidenza con l’apertura delle scuole, hanno deciso di donargli la possibilità di sbaragliare anche il mercato dei libri scolastici. Uno dei pochi settori, col commercio dei coleotteri o la produzione di mostarda mantovana, nel quale non si era ancora cimentato.

Cosa rappresentino i libri scolastici è presto detto: con 400 milioni di euro l’anno di fatturato, sono una fetta di un terzo circa dell’intero mercato del libro. Ma, ciò che più conta, sono la boccata di ossigeno che una volta l’anno permette alle piccole librerie sparse per la provincia italiana, dove si vende il 28% scarso di tutti i volumi, di tirare il fiato e non abbassare le saracinesche vinte dalla sciatta indifferenza di un paese che legge poco come il nostro. Tanto per capirci: in molti casi, nelle cittadine del Nord come del Mezzogiorno, l’incasso per i testi adottati dalle elementari alle medie superiori può superare il 60% degli introiti annuali.

Il costo di questi libri imposti agli studenti, del resto, è spesso elevato se non, in certi casi, stratosferico. Basti dire che la «dote» di un ragazzino di prima media può costare oltre 300 euro, quella di un ragazzo delle commerciali intorno ai 350, di un liceale anche 500. Un peso che in questi anni di vacche magre può essere, per molte famiglie, esorbitante. Al punto di incidere, nei casi più gravosi, perfino sulla scelta di molti studenti di abbandonare la scuola. Per non dire delle code interminabili che ogni genitore si deve sobbarcare ogni anno per rastrellare tutto il bagaglio editoriale necessario ai figli.

Va da sé che ogni iniziativa per alleviare questa soma sulle spalle delle famiglie, magari tenendo conto anche delle esigenze delle piccole librerie locali che sono un patrimonio preziosissimo (si pensi alla Calabria, alla Basilicata o al Molise dove sono meno di una ogni 100 mila abitanti) è la benvenuta. E così è andata, infatti, con l’iniziativa delle Poste Italiane che, tra cori di consensi, hanno distribuito 5 milioni di locandine e avvisi vari per segnalare agli istituti scolastici e alle famiglie italiane la possibilità di ordinare i testi, via internet o via telefono, per poi comodamente riceverli a casa portati dal postino.
Con l’optional di poter rateizzare il pagamento in 12 mesi al tasso del 7.5%. Che non sarà basso, visto che il tetto massimo sarebbe il 7,77%, ma potrebbe aiutare molte famiglie a sopportare meglio l’impatto della spesa supplementare autunnale. Fin qui, tutto ok.

Ma il bello deve ancora arrivare. A chi hanno deciso di affidare l’operazione, infatti, il ministero della Pubblica Istruzione e le Poste Italiane? Voi direte: avranno fatto una gara d’appalto. Macché.
Avranno sentito gli editori? No, tranne uno: indovinate quale. Avranno consultato i librai? Neppure: «Manco una telefonata», spiega furente Rodrigo Diaz, presidente dell’Ali, l’Associazione librai italiani, «abbiamo saputo tutto a cose fatte e tutti i telegrammi mandati alla Moratti o a Letta non hanno avuto risposta. E’ stata una cosa sporca». Avranno sondato il mercato per vedere chi è il più forte nel commercio di libri on-line? «Assolutamente no», risponde Mauro Zerbini, amministratore delegato di Ibs, gruppo Longanesi, «il nostro è il sito di questo tipo più visitato d’Italia, a giugno abbiamo avuto 991 mila contatti e nel 2004 abbiamo fatturato 13,2 milioni di euro. Ma non abbiamo avuto dal ministero o dalle poste neppure una telefonata. Neppure una. Abbiamo saputo tutto a cose fatte».
Ma allora, come è stato scelto il fornitore di tutto quel bendidio di libri? E’ quello che chiede in una interrogazione, tra gli altri, il senatore Stefano Passigli. Il quale, oltre ad accusare la Moratti poiché «il suddetto servizio postula che Poste Italiane abbiano ottenuto dal ministero la lista delle adozioni dei testi con largo anticipo su tutte le librerie», ha anche presentato un esposto ad Antonio Catricalà, l’ex segretario generale di Palazzo Chigi nominato presidente dell’Autorità per la concorrenza e il mercato. Il fortunato fornitore prescelto per il businness è infatti «Bol». Una società di vendita di libri on-line che fattura meno della metà di Ibs (5,5 milioni contro 13,2), ha meno della metà dei contatti internet (a giugno 434 mila contro 991 mila) ma, per pura coincidenza, appartiene alla Mondadori. Cioè alla casa editrice di proprietà del «principale» di Letizia Moratti, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Che le Poste Italiane vogliano bene al capo del governo non è un mistero. Prima di questo piacerino, per dire, avevano già fatto un accordo per mettere a disposizione di Mediolanum, la banca del premier, i loro 14 mila sportelli col risultato di trasformare una banca virtuale, quale era fino ad allora quella presieduta da Ennio Doris, nell’istituto di credito con la maggiore copertura territoriale. Non bastasse, Massimo Sarmi, l’amministratore delegato etichettato come vicino ad An e in particolare a Gianfranco Fini, era arrivato al punto di invitare a Roma il capo del governo, poco prima di Natale, all’inaugurazione del più bello e avveniristico ufficio postale d’Italia. Un gioiello che ruotava intorno al Sistema Informatico Livelli Virtuali di Integrazione Operativa. Ma che meraviglia di acronimo: S.i.l.v.i.o.!

Gian Antonio Stella
28 Luglio 2005

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/07_Luglio/28/stella.shtml

mercoledì 27 luglio 2005

La Chiesa che assolveva la contraccezione

Lo storico Claude Langlois scardina un luogo comune: fino al 1897 non era vietata la dispersione del seme. Nell'800 c'era più indulgenza. Poi prevalse la severità di Pio XI e Paolo VI.


La Genesi racconta che Er morì senza aver dato figli alla sua sposa Tamar, e Giuda ordinò all'altro figlio, Onan, di unirsi alla cognata per assicurare una discendenza al fratello: «Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva per terra, per non dare una posterità al fratello. Ciò che egli faceva non fu gradito al Signore, il quale fece morire anche lui». È sul trascinarsi di questo linguaggio biblico nel dibattito cattolico sul controllo delle nascite nella Francia postrivoluzionaria che si sofferma Il crimine di Onan, di Claude Langlois. Lo storico parigino intriga il lettore perché scardina i luoghi comuni sul percorso della Chiesa nella modernità e sul posto della sua morale.

Per molti parlare di Chiesa e controllo delle nascite significa riferirsi all'Humanae Vitae di Paolo VI. Percepita come il «no alla pillola», l'enciclica del 25 luglio 1968 si basava sul principio che nessuno potesse varcare «i limiti inviolabili al potere dell'uomo sul suo corpo e sulle sue funzioni» e condannava come «indegni della persona umana» i mezzi di regolazione delle nascite (aborto, sterilizzazione, contraccezione), fatti salvi quelli legati ai periodi «naturalmente» infertili del ciclo. La decisione papale — fulminata dalla disapplicazione di massa — chiudeva una fase di studio aperta nel 1963, lasciata sospesa dal Concilio Vaticano II (al quale il Papa non aveva concesso di decidere): e non veniva dalle pressioni curiali o dai teologi che il Pontefice s'era scelto (e il cui diverso avviso era già noto, nel 1968), ma per una scelta personale di Papa Montini, preoccupato di garantire la continuità di un insegnamento proposto con «costante fermezza» (lo dimostrava il celeberrimo prontuario di Denzinger!) dal papato. Questa convinzione di Paolo VI è diventata corrente, tant'è che tutti pensano che in tema di contraccezione la Chiesa sia da sempre su una posizione chiusa e immobile.

Langlois rovescia questo mito: la solenne durezza che affiora nell'enciclica Casti Connubii del 1930, e alla quale Paolo VI si inchina, è un neorigorismo che riconquista Roma dopo una parentesi di diverso segno. Fra il 1822 e il 1842 un famoso moralista e vescovo di Le Mans, Jean-Baptiste Bouvier, cerca nuovi modi per riflettere sul visibile calo delle nascite, che (lo insegnano i confessionali di parrocchie ormai prevalentemente frequentate da donne) viene ottenuto tramite un ricorso sempre più largo al coito interrotto. È questo il «crimine di Onan» che interessa la morale cattolica, molto prima di quello che il laicissimo dottor Tissot medicalizzerà come «onanismo giovanile», descrivendo le terribili conseguenze che colpiscono i cronici. Bouvier riflette sull'«onanismo coniugale» di quelle famiglie che non vogliono troppi figli a partire da una posizione con appigli «scientifici» e teologici antichi: il moralista francese dipende ancora da Galeno (il grande medico dell'antichità che crede all'esistenza di una seminatio maschile e di una seminatio femminile) e si pone il problema se il crimine di Onan vada inquisito in confessionale e sanzionato, anche a rischio di rompere il legame con le fedeli. Bouvier propone dapprima di «depenalizzare» il reato morale almeno per la donna: chiede lumi a Roma, alla Sacra Penitenzieria, e questa gli dà ragione. Il confessore non deve interrogare e colpevolizzare la donna: se essa partecipa con piacere all'atto sessuale (è qui che agisce la teoria della seminatio femminile), adempie al suo debito verso il marito e non è colpevole del di lui «industriarsi». Bouvier pubblica il responso romano, lo adatta, lima le sue tesi in un trattato che conosce molte edizioni: ma continua anche a riflettere. E non molti anni dopo fa un passo avanti, ponendo il problema non più della sola donna, ma della coppia che cerchi in «buona fede» (questo è il perno) di decidere attivamente dell'ampiezza della propria famiglia. La Penitenzieria — che ragiona a partire dalla confessione — avalla Bouvier. La depenalizzazione adotta una logica astratta ed astrusa agli occhi odierni: d'altronde anche i manuali che clinicizzano la sessualità, come la Piccola Bibbia dei giovani sposi redatta nel 1885 dal dottor Montalban, vivono di minute prescrizioni terapeutiche (è da poco stato descritto medicalmente l'orgasmo), di aritmetiche sull'età (mai dopo i cinquant'anni), di considerazioni cronometriche (i tre minuti che ritroveremo nel rapporto Kinsey un secolo dopo). Ma i moralisti, che vivono contro e dentro questa cultura, riescono a guardare ai coniugi come tali, più che ai loro atti.

Ma la loro è una breve primavera. Fra il 1851 e il 1890 entrano in scena nuovi attori: un missionario denuncia all'Indice dei libri proibiti il manuale di Bouvier, colpevole di aver trascurato in un passo la condanna del traffico di schiavi pronunziata dal Papa nel 1839; dom Guéranger (abate di Solesmes, diocesano di Bouvier e iniziatore del movimento liturgico) non parla bene di questo vescovo restio ad accettare le sue tesi sul puro rito romano; sul futuro cardinale Meignan, autore di una memoria passata fra i banchi del Vaticano I che avalla il controllo delle nascite, piovono critiche. E finalmente il Sant'Uffizio si occupa di regolazione delle nascite non più con l'ottica del confessore, ma con quella del teologo. Si prepara così la rivincita, un ritorno rigorista che Langlois scompone minuziosamente, nelle sue sfumature, nei suoi eufemismi, nei giochi per sfruttare la malizia con cui gli anticlericali pubblicano Bouvier quale esempio di «pornografia sacra».

Su questo trend teologico s'inseriscono (negativamente) le scoperte scientifiche, a partire dalla Théorie positive de l'ovulation spontanée pubblicata dal dottor Pouchet nel 1847. La scienza, che dimostra l'inesistenza di una seminatio femminile, spinge i moralisti in campi nuovi: è la scienza che ora prova la peccaminosità della sessualità solitaria femminile e rende più simili per i maschi l'onanismo coniugale e quello «giovanile» incriminato da Tissot. Su questa base nel 1897 verrà condannata ogni ipotesi d'inseminazione artificiale: giacché essa suppone sempre una dispersione del seme fuori dal corpo femminile. Negli anni di spopolamento successivi alla Grande Guerra, questa linea di pensiero tornerà a colpevolizzare la contraccezione della coppia, in qualunque caso e per qualunque causa, con un crescendo che arriverà fino alla Casti Connubii e alla esaltazione della madre che muore per la sua gravidanza.

Cos'era accaduto? Perché in pochi decenni la Chiesa non ascolta il confessionale e sant'Alfonso per diventare rigorista sulla cattedra della legge naturale? Perché rinunciare all'«ascolto dei coniugi» teorizzato da Bouvier (che a differenza di tanti moralisti successivi, non fu mai condannato) per una dottrina largamente disapplicata? Langlois non si sottrae e offre risposte dubitative. È per una simmetria repressiva fra celibato del clero e controllo del talamo? È solo una tappa nel mutar di statuto del corpo femminile, che sta cambiando tutto? È l'effetto di una consacrazione «scientifica» del nesso procreazione-sessualità, che sta ora franando sotto il peso della tecnica? O è un segmento dell'invisibile e decisivo scontro fra Chiesa romana e Chiesa anglicana, ben visibile quando Casti Connubii rifiuta le coeve tesi anglicane e riapparso sia sulla ordinazione delle donne sia sui diritti degli omosessuali alla fine del XX secolo? Ogni tessera fa il mosaico della risposta storica: ma l'esito è chiaro, ed è ecclesiologico. Perché quella che va da Bouvier a Montini non è solo un'onda neorigorista: è l'idea che il Papa non possa astenersi dall'intervenire in queste materie in prima persona, assumendo l'onere di far udire una voce non negoziabile, la cui eco, poi, si rifrange nella complessità della comunione ecclesiale, si distorce nel furbesco opportunismo della politica, si disperde nel silenzio delle coscienze, rimbomba nel vuoto dei confessionali deserti. Le conseguenze sono ancora in corso.

http://www.arcigaymilano.org/dosart.asp?ID=23729

martedì 26 luglio 2005

Anche i PACS nella carta ulivista

Sì di tutti i leader a un testo laico sui valori: intoccabili divorzio ed aborto.Nel documento entra il "terrorismo", escono le "primarie". Compromesso sulla "guerra"

Antonella Rampino - ROMA - Dieci punti che diventano otto, una decina di pagine dattiloscritte invece dello stringato paio di cartelle inizialmente sottoposto da Prodi al conclave di San Martino, ma alla fine il famoso documento dell'Unione, il "manifesto dei valori, la nostra carta d'identità", ha visto la luce. Anche se sarà ufficiale solo stamattina, quando sarà in bella copia, con l'aggiunta di una voce: il capitolo-terrorismo. Entra il terrorismo (la valutazione di Prodi è che occorre tener saldo il legame con le comunità di immigrati, e che l'attentato di Sharm aveva come obiettivo non l'Occidente, ma Mubarak e gli egiziani) ed esce la voce "primarie". Anche per ragioni di "politique politicienne": nel testo c'era un riferimento esplicito al ruolo che il vincitore delle primarie potrà esercitare rispetto al programma. E tra i segretari presenti al vertice, ieri di primo pomeriggio in Piazza Santi Apostoli, c'era chi, come Bertinotti e Pecoraro Scanio, erano già abbastanza irritati dall'essersi trovati una dichiarazione con la quale Prodi precisava che "chi vince decide il programma". Per cui, via quel paragrafo dalla carta d'identità dell'Unione. E, non appena finisce la riunione, Prodi a microfoni spiegati dice che il suo ruolo, a campagna per le primarie aperte, adesso "va gestito con un po' di delicatezza", per "non fare ombra agli altri candidati". La riunione non era cominciata benissimo. Il bozzone al quale avevano lavorato Ricky Levi (per Prodi), Enrico Letta (per la Fed, se così si può dire), Paolo Cento (per i Verdi) ricalcava fedelissimamente la discussione svoltasi a San Martino. E fermo nel testo c'era quel riferimento al fatto che il centrosinistra non toccherà le leggi sull'aborto e sul divorzio, citate a suo tempo da Roberto Villetti come esemplificazioni di quanto poco laico sia lo Stato, nella concezione delle destre. Ma no, son saltati subito su Rutelli e Fabris, che come al solito era in rappresentanza di Mastella, non si può. Il documento va sottoscritto dagli elettori che vogliono votare per le primarie, "così se c'è una suora o un prete che vuol votare per il centrosinistra non lo farà". Prodi s'è detto d'accordo. Ma a quel punto è saltato su Roberto Villetti: vero che nel testo c'è un bel richiamo ai valori della laicità dello Stato (accettato da Rutelli poiché "le parole sono proprio le stesse del richiamo di Ciampi", ha detto il presidente della Margherita), ma "allora bisogna che tu, Romano, quando incontri i giornalisti sottolinei che l'Unione difende la 194". Detto, fatto: "Non menzioniamo nel nostro manifesto la legge sull'aborto perché essa è stata unanimamente confermata come patrimonio dell'Unione". I capitoli in cui il documento sarà suddiviso sono otto, come anticipa lo stesso Prodi: "Costituzione; Europa; Pace, giustizia e libertà; Sicurezza e lotta al terrorismo; Reagire al declino: una nuova economia, una nuova qualità ambientale, una nuova società; Mezzogiorno; Bioetica e temi eticamente sensibili; Nuovi diritti e nuove responsabilità". Quel che Prodi non può anticipare prima della conferenza stampa ufficiale di presentazione è che alla voce "nuova società" ci saranno i Pacs: Rutelli li ha accettati perché li si cita con una allocuzione, "nuove forme giuridiche che regolamentano i diritti civili". Alla sinistra l'allocuzione è piaciuta perché magari, poi, la si potrà ampliare: è così vaga che magari ci potrà scappare anche un riconoscimento per gli omosessuali. Per il capitolo sulla politica economica, e la spinosa questione del rilancio dell'Azienda Italia, si punta a una "nuova sintesi tra più politiche pubbliche e più mercato". E per quel che riguarda pace e guerra si fa riferimento all'articolo 11 della Costituzione. Nella sua interezza: il ripudio della guerra contenuto nella sua prima parte, e anche l'adempimento degli obblighi derivanti dalle alleanze internazionali. Qual è la Nato, che per coinvolgere l'Italia nella cosiddetta guerra del Kosovo ebbe bisogno di emanare un semplice "activation order"

http://www.gaynews.it/view.php?ID=33456

Iraniani impiccati: le reazioni




di Giulio Maria Corbelli
Lunedì 25 Luglio 2005
Le immagini dei ragazzi con la corda al collo hanno scioccato centinaia di persone. Per protesta, mercoledì alle 17 manifestazioni davanti al consolato a Milano e all'Ambasciata a Roma.

PISA - Le immagini dei due ragazzi iraniani appena diciottenni con la corda intorno al collo pochi istanti prima di morire hanno suscitato reazioni fortissime in migliaia di italiani. I due giovani sono stati giustiziati in una pubblica piazza lo scorso 19 luglio per aver ammesso di aver avuto rapporti sessuali tra loro. Un'azione che secondo la legge legge islamica della Sharia, in vigore in Iran, merita la pena di morte.

Clicca per ingrandire...Per protestare contro questa assurda condanna, sono state organizzate due manifestazioni spontanee che si svolgeranno in contemporanea a Milano e Roma, mercoledì 27 luglio alle ore 17. A Milano, davanti al consolato iraniano in Piazza Armando Diaz, e a Roma, davanti all'Ambasciata Ambasciata Della Repubblica Islamica Dell'Iran, in via Nomentana 361, Arcigay nazionale, Gayleft, Arci, Nessuno Tocchi Caino e le decine di organizzazioni e partiti politici che in queste ore stanno mandano la loro adesione si ritroveranno per chiedere che l'assassinio dei due ragazzi sia l'ultimo, e che si ponga fine all'esecuzione di giovani colpevoli solo di aver amato.

«Avevo letto parecchio, durante la preparazione del mio libro, su quanto l'Iran, e non solo, perseguita e mette a morte gli omosessuali ma è la prima volta che ci sono anche delle foto - commenta Giuseppe Lo Presti, autore del libro "Omofobia" - Sono tremende, mi mettono una rabbia, una tristezza tremenda e una pietà per questi due ragazzi bendati che, oltretutto, vengono impiccati da altri due uomini mascherati. Come se non si dovessero guardare negli occhi per evitare di provare qualunque emozione, è una disumanità tremenda».

Rabbia, dolore, consternazione, senso di importenza; sono queste alcune delle reazioni che emrgono dalle decine di email circolate in questi giorni sull'argomento. Ma molte propongono reazioni concrete. Oltre alla partecipazione alle manifestazioni di mercoledì, un'azione sempre utile e significativa da fare è quella di far conoscere la propria condanna all'Ambasciata Iraniana in Italia (recapiti e modello della lettera li trovate in fondo all'articolo IRAN: IMPICCATI DUE GIOVANI GAY, apparso il 21 luglio scorso su Gay.it, traduzione dell'articolo originale di OutRage!). A livello istituzionale, intanto Franco Grillini ha presentato una interrogazione al Ministro degli affari Esteri Gianfranco Fini chiedendo di sottoporre alle autorità iraniane «il disappunto del nostro Paese per le barbare esecuzioni», e di «invitare le autorità iraniane a non applicare la pena capitale», avviando al contempo «un forte intervento politico-diplomatico nelle istituzioni comunitarie e internazionali, per una moratoria universale contro la pena di morte».

GayLib, l'associazione di omosessuali liberali e di centrodestra, propone una riunione straordinaria delle Nazioni Unite contro l'omofobia, la tortura e la condanna a morte delle persone omosessuali. L'idea è stata lanciata in una lettera inviata alla Commissione Diritti umani dell'Onu in seguito alla brutale esecuzione. «All'assise dell'Onu - si legge sulla nota di GayLib - dovranno essere invitati i rappresentanti delle principali associazioni gay del mondo affinché la comunità internazionale prenda coscienza e intervenga pesantemente con una moratoria contro la pena di morte e in difesa della piena legittimità di ogni orientamento sessuale che rispetti la dignità di ogni cittadino e il pudore pubblico. Affinché nessuna legge di nessuno Stato al mondo possa una volta di più torturare e mettere a morte esseri umani con l'unica inesistente colpa di essere omosessuali».

Clicca per ingrandire...Marco Pannella, dopo la notizia dell'impiccagione, ha presentato una interrogazione parlamentare con cui ha riproposto alla Commissione europea la questione dei rapporti tra Unione europea e Iran. Maurizio Turco, coordinatore delle iniziative politico parlamentari dei deputati radicali al Parlamento europeo ha dichiarato: «E’ l’ennesima interrogazione che presentiamo alla Commissione per segnalare la violazione dei diritti umani fondamentali in un paese in cui si può essere impiccati a nove anni se femmine e a quindici se maschi e per chiedere, alla luce dei buoni rapporti che esistono tra Unione europea e Iran di prendere delle iniziative concrete. L’ultima volta che chiedemmo di sospendere qualsiasi relazione con l’Iran alla Commissione rispose che riteneva che "più che la sospensione di tutte le relazioni con l’Iran, una politica di impegno costruttivo con tale paese" avesse "maggiori probabilità di contribuire ad una migliore promozione e protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali in Iran"».

«Marco Pannella infine sollecita la Commissione a sospendere ogni tipo di relazione con l'Iran, condizionandone la ripresa al rispetto dei diritti umani fondamentali».

Le reazioni alla notizia mettono alla prova anche il reale desiderio di integrazione con la cultura islamica di molti omosessuali. «Premetto che non sono affatto un razzista - afferma Kenzor nel forum di Gay.it - anzi auspico per l'integrazione con altri popoli, perchè questo porterà ricchezza culturale, ma davanti a questi fatti, le bombe, i kamikaze,lo sfruttamento delle donne mi viene da chiedere, ma quanta ipocrisia e bigottismo esiste nella cultura islamica?».

«La cosa ancora piú inquietante - risponde Daemien73 - é quanta poca risonanza abbia questa notizia, per me allucinante, in Occidente. A diffonderla infatti sono stati organi di stampa indipendenti. Cosí si fa finta di niente di fronte a situazioni documentate da foto (ero scioccato a vedere quei due ragazzini con la corda intorno al collo, non potevo credere che fosse vero)».

http://it.gay.com/view.php?ID=20543

lunedì 25 luglio 2005

Senza parole

Povia, quello de “I bamnini fanno oh”, è stato recentemente intervistato dal settimanale Panorama.
Un’intervista (che ho riportato qui sotto) piena di luoghi comuni omofobi che non ci saremmo aspettati da un cantante che lo scorso 4 giugno è salito sul palco del Pluriel Pride Concert, il concerto di chiusura del Gay Pride nazionale.
Invito i lettori di questo blog a scrivere cosa ne pensano dell'intervista mandando una mail direttamente a lui (o a chi gestisce il suo sito): giuseppe@povia.net


Ora sono gli adulti a fare «oh»
di Costanza Rizzacasa d'Orsogna



Macché buonista, il cantante che esalta i bambini ha molte facce nascoste. È politicamente scorretto («Gay si diventa»), no logo («Mi vesto al mercato») e opportunista: «Non mi schiero, devo lavorare».



Non vado da nessuna parte perché ho un disco che parla di peccato e di sesso. Tutti pensano che sia un bravo ragazzo, invece sono trasgressivo.
E in che cosa?
Se spegne il registratore glielo dico. Scherzo. Ovviamente quella canzone mi ha fatto comodo. Non sono mica un santo io. Ci mancherebbe.
E Paolo Bonolis?
Bonolis è un grande. Ha fatto questa cosa del Darfur credendoci davvero. Del resto si occupa dei problemi dei bambini da una vita.
Da una vita?
Sì, perché lei non lo vedeva Bim Bum Bam?
Beh, erano cartoni, non problemi.
Comunque mi piace molto. È uno capace di accendere una polemica e spegnerla subito (si mette a cantare): Chi è che non ha mai tirato l'acqua al suo mulino?/ Siamo tutti un po' mugnai quando c'è di mezzo il grano... Ma non ne posso parlar male, gli devo molto.
Si capisce. Politicamente dove sta?
Un po' dde qua, un po' dde là. Certe volte sembro di sinistra. In realtà avendo la terza media non ho neanche un'idea. Comunque quella che si fa in Italia non è politica. Politica vuol dire amministrazione. E l'Italia non la sta amministrando nessuno.
Si spieghi.
Beh, mi dica pure che sono di sinistra, ma alla fine chi è che la vuole questa cavolo di guerra?


Tiziano Ferro


Pensavo parlasse dell'Italia.
Ah no, in Italia stiamo bene.
Davvero?
Certo, rispetto ad altri paesi...
Però non mi ha risposto: per chi vota?
Boh. Ora cosa c'è, il centrodestra? Ha vinto Silvio Berlusconi...
Sì, un po' di tempo fa ormai.
E va tutto bene, va tutto solo bene. Io sono per il vivi e lascia vivere. Non mi dà fastidio niente.
Tranne le guerre.
Ah sì. Io sono contro la guerra. Sono per la pace. Ora lo so che scriverà che sono di sinistra.
Non ci penso nemmeno. E al referendum ha votato?
Sì, ma non le dico come.
Come, Gianfranco Fini lo dice e Povia no?
Fini è schierato. Io non mi schiero. Devo lavorare.
Ma il referendum non è solo una scelta politica, la svolta di Fini lo dimostra. E lei ha una bambina di 5 mesi. Un'idea se la sarà pure fatta.
Certo se tu vuoi un figlio da me e c'è questa possibilità, perché no (si volta verso il suo assistente)... Lo dico? Per me che due gay o due lesbiche possano adottare un figlio non è affatto giusto.
Non è giusto?
Certo che no. Il bambino chi chiamerà papà?
La famiglia non è solo quella tradizionale. E comunque all'estero, negli Stati Uniti, per esempio, agli omosessuali danno la possibilità di adottare ragazzini gay.
Perché, ci sono ragazzini gay? Gay non si nasce. Lo si diventa in base a chi frequenti, a quello che ti insegnano da piccolo.
Vuol dire che se si respira gay si diventa gay?
Una specie. Come quei bambini che mamma e papà picchiano e loro per perversione vogliono essere picchiati. Ma se lei mi vuole bene, non la scriva questa cosa. Non scriva che l'ho detto, perché non è normale avere queste idee. Anche se ognuno è libero di pensarla come vuole. Comunque io so quello che dico. Anch'io ho avuto una fase gay.
Davvero? Racconti.
È stato quando avevo 18 anni. È durata sette mesi, poi l'ho superata. E ho anche convertito due miei amici che credevano di essere gay e invece adesso sono sposati e hanno anche dei figli.
È credente?
Ho la fede, ma in chiesa non ci vado.


Paolo Bonolis


E di che fede è?
Dell'Inter.
I giornali li legge?
Tutti i giorni. La Repubblica e il Corriere. Uno di sinistra e uno di destra.
Il «Corriere» non è esattamente di destra.
Ah, no? Ma sa, in realtà guardo solo i titoli.
Dove si veste?
Nei mercati. Le aziende mi mandano un sacco di roba con scritte grandi così. Ma io non gli farei mai pubblicità. Compro tutto al mercato... Ora penserà che sono di sinistra.
Non l'ho mai pensato, direi piuttosto che lei è un ultrà di destra. Comunque oggi andare al mercato non è più tanto alternativo, anzi fa molto trendy. Ma senta, quell'etichetta della Levi's che ha addosso?
(Fa una gran scena per tentare di rimuoverla). Poi le dico la storia della Levi's. Sono ebrei, sa?
Davvero? Prima però mi dice qualcuno con cui vorrebbe lavorare?
Tiziano Ferro, anche se dicono tutti che sia gay.
Ah sì? E lei ci crede?
Figuriamoci, quello è uno che scrive canzoni per uscire con le ragazze.
Perché, si scrivono canzoni per uscire con le ragazze?
Certo, qualcuno scrive canzoni anche per farsi le scopate.
Non ne ero al corrente. E lei che fa per «farsi le scopate»?
Non me le faccio. Mi faccio le seghe. Chi si accontenta gode poco ma gode per sempre.
E la sua compagna?
In questo momento non c'è.
E il tradimento?
Il tradimento è peccato. Anche con il pensiero.
Lei crede nel peccato?
Certo. C'è il demonio dall'altra parte che non vede l'ora che io litighi con il mio manager. Sono le persone che mi invidiano. Che cercano di mettere zizzania nel mio gruppo. Mi odiano tutti, sa?
Stento a crederlo. Ha vizi particolari? Fumo? Droga?
Ho provato l'hascisc e anche l'erba. Ma ho smesso prima di Sanremo. Per i bambini non sarebbe stato un buon esempio. Comunque a volte una canna è meglio di un sonnifero.
Prende sonniferi?
Io no.
E perché ha parlato di sonniferi?
Perché da un mese e mezzo appena mi addormento faccio sogni strani. Salamandre, serpenti, uomini che mi vogliono ammazzare. Così mi accendo una canna e mi annebbio.
Ma non aveva detto di aver smesso?

http://www.panorama.it/spettacoli/star/articolo/ix1-A020001031883/idpag1-1

domenica 24 luglio 2005

L'apertura di Prodi sui PACS e il superamento di una strategia inadeguata

Il Prof per la prima volta salta l'ostacolo della «libertà di coscienza» rivelatasi inadeguata
domenica 24 luglio 2005 , di Il Riformista
ANALISI. di STEFANO CECCANTI



La presa di posizione di Romano Prodi sui Pacs ha un'importanza che trascende il tema. Per la prima volta viene abbandonata la linea della cosiddetta libertà di coscienza, rivelatasi inadeguata. Essa infatti era la rassegnazione alle appartenenze pregresse: i cattolici esonerati dall'assumersi una responsabilità propria nel trovare mediazioni ragionevoli, i laici lasciati a protestare contro le ingerenze e a rimpiange-re la Dc che affrontava separatamente le questioni coi vescovi per poi presentarsi al confronto esonerando la Chiesa da molti interventi diretti. E evidente che chi, come Prodi, vuole consolidare un nuovo sistema politico, di cui le primarie sono un passaggio, debba affermare un nuovo modello di laicità di tipo inclusivo, in cui chiunque. vescovi compresi, può entrare nel dibattito politico e legislativo, senza che le forze politiche abdichino al proprio dovere. La libertà di coscienza dei parlamentari si esercita rispetto ad una linea che c'è, non rispetto ad un'assenza di linee.

Quest'ultima, infatti, ben difficilmente potrebbe portare leggi ragionevoli e con ampi consensi per il mero aggregarsi di scelte di singoli. Potrebbe invece più probabilmente portare, nell'assenza di un ruolo unificante delle forze politiche a scontri traversali tra maggioranze ristrette che farebbero riferimento ad appartenenze esterne al Parlamento, ad una sorta di vincolo di mandato con Chiese, logge, lobbies. Le coalizioni italiane sono chiamati a fare un passo avanti, non indietro, in termini di responsabilizzazione collettiva; ciò non al fine di precostituire rigidi schieramenti, ma di realizzare su questi temi ampie convergenze. Qui si colloca il secondo merito della posizione di Prodi, l'aver scelto come riferimento un modello, quello dei Pacs francesi, che per il fatto di essere un ragionevole punto di mediazione tra l'irrilevanza giuridica delle unioni e l'equiparazione al matrimonio non solo si presta a una convergenza tra laici e cattolici del centrosinistra, ma anche con larga parte dello schieramento opposto, in alternativa a una logica di bipolarismo etico. Quest'ultimo punto dovrebbe essere evidente: il Pacs è stato approvato in Francia anche da parte del centrodestra (che si è ben guardato dal toccarlo dopo l'alternanza) e lo stesso Partito Popolare spagnolo lo ha sostenuto in alter-nativa alla legge di Zapatero. Potrebbe incontrare un'ostilità sproporzionata da parte della Chiesa cattolica? Questo è forse l'aspetto più urgente da chiarire per capire che la preoccupazione appare infondata. La Chiesa nella sua dottrina ufficiale, ribadita in ultimo dal Compendio della Dottrina sociale, sul piano legislativo si limita a condannare «l'eventuale equiparazione legislativa tra la famiglia e le unioni di fatto» sia quelle eterosessuali perché precarie sia quelle omosessuali perché non conformi alla legge morale. Non quindi un riconoscimento diverso dall'equiparazione. Che poi singoli uomini di Chiesa, per loro impostazione personale o generazionale, sia-no anche contrari a questa so-glia diversa, è del tutto legittimo, ma è altra questione. Anzi vanno segnalate negli ultimi anni alcune autorevolissime posizioni in senso chiaramente favorevole, anche con riferimento esplicito ai Pacs francesi. Si tratta soprattutto di ve-scovi canadesi e spagnoli: essendo nei loro paesi entrata nel dibattito la soluzione estrema dell'equiparazione, essi si sono sentiti in dovere di precisare bene i limiti accettabili del riconoscimento giuridico che, in sostanza, consistono nel non chiamare come matrimonio delle unioni diverse e nel non consentire l'adozione. Il cardinale Ouellet, primate del Canada, in una dettagliata presa di posizione rivolta ai parlamentari, affinché essi potessero «votare in piena libertà, con una coscienza illuminata sulle sfide e le implicazioni», il 22 gennaio scorso ha richiamato l'esistenza in varie province della «forma giuridica dell'unione civile che garantisce alle persone di orientamento omosessuale alcuni benefici sociali e patrimoniali. Tale quadro giuridico protegge il loro diritto». Pertanto «essendo tale constatazione fatta e accettata, siamo ora di fronte a una so-glia critica nell'evoluzione sociale e culturale... e bisogna riflettere molto seriamente prima di superarla» finendo con l'includere «due realtà così diverse sotto una medesima categoria», falsando «il senso delle parole che devono designare la realtà obiettiva e non aggiustare la realtà ai nostri desideri». Qualche giorno prima monsignor Blanchet, altro vescovo canadese, aveva ancor più chiaramente affermato che «altri Paesi, come la Francia, hanno misurato meglio di noi l'importanza di questa sfida. La Francia ha creato i Pacs», che sono rapidamente illustra-ti nei loro vari aspetti senza nessun commento critico. An-che il nuovo presidente della Conferenza episcopale spagnola monsignor Blazquez, in una conferenza dello scorso 4 luglio, ha chiarito che l'opposizione della Chiesa alla legge voluta da Zapatero non va visto solo in negativo,dato che essa ha invitato a prendere come esempio «altri Paesi intorno alla Spagna» che hanno scelto «altre forme di rispetto e di salvaguardia di possibili diritti degli omosessuali, fiscali, di sicurezza sociale e altri, come si è fatto in Francia col cosiddetto Pacs». La questione era stata del resto autorevolmente affrontata anche dal cardinal Martini, allora arcivescovo di Milano, nel discorso alla città per la vigilia di S. Ambrogio nel 2000. Martini, partendo dalle sentenze della nostra Corte costituzionale che hanno creato un primo parziale (anche se inevitabilmente frammentario) riconoscimento giuridico delle unioni, ha sostenuto l'opportunità di «considerare l'eventuale rilevanza giuridica di altre forme di convivenza» purché non si pretenda «l'equiparazione» alla famiglia. «L'autorità pubblica - sostiene Martini sulla medesima linea dei Pacs - dunque può adottare un approccio pragmatico e certo deve testimoniare una sensibilità solidaristica», fermo restando che «nella famiglia si dà un di più di stabilità...che va giuridicamente premiaLa». Anche con questa iniziativa di Prodi si dà quindi corpo a quella laicità «dinamica e vivente, in quanto integratrice» e per questo non votata all'immobilismo, anche sul piano normativo, che la rivista Esprit, in questi giorni, nel centenario della legge francese sulla separazione tra Stato e chiese, indica come sfida comune per il futuro delle nostre società.

http://www.gaynews.it/view.php?ID=33427

Ultima fermata a Stockwell

di Furio Colombo

Giorni di terrorismo. Il 7, il 21 e il 22 luglio a Londra, il 23 a Sharm El-Sheikh, più di 80 morti e un'infinità di feriti. Ma il 23 è sabato. Le tv italiane trasmettono solo cartoni animati, vecchie «comedies» americane e programmi «educational» registrati nei secoli.
Chi controlla le televisioni non ha, a quanto pare, alcuna intenzione o possibilità (dato il clima estivo) di interrompere con programmi speciali. Soltanto qualche «finestra» nei telegiornali. Eppure c'è un morto e 20 feriti italiani. Ma i pochi TG e GR che sopravvivono a un giorno di sole di luglio sono impegnati soprattutto a vantare «il prelievo forzoso della saliva dei sospetti», vigorosamente imposto dal ministro Castelli. E i pochi bollettini Rai sul drammatico evento egiziano aggiungono, fino a metà mattina: «Dalla Farnesina non ci sono notizie».
Ma anche da Londra non abbiamo saputo molto, salvo le poco umane, poco credibili frasi fatte sulla esemplare calma degli inglesi.
Come se il 7 luglio tutti si fossero allontanati dal luogo delle esplosioni passeggiando con flemma, come se avessero assistito tranquilli mentre la loro polizia ha prima bloccato e poi ucciso con cinque colpi alla testa "un sospetto" nella ferrovia metropolitana, stazione di Stockwell.
Non una parola, da nessuna parte del mondo sotto attacco terroristico, sul senso, sul progetto politico del "che fare".
È come se - in mancanza di una visione e di una strategia sull'orrore del terrorismo - ci stessero dicendo che è più virile, più militare, più combattivo, che i cittadini vedano poco, sappiano poco, e lascino fare a chi se ne intende.
Per questo il centro della scena viene continuamente tolto agli eventi, per quanto gravi e ripetuti essi siano, e spostato sui leader, che ci parlano di nuove leggi e di nuovi espedienti, tipo la saliva, come del vero e tanto atteso rimedio. Purtroppo per i cittadini, per tutti noi esposti a questo grave pericolo planetario, quei leader del mondo sembrano protagonisti piccoli piccoli, come nella triste e non dimenticata fotografia dei G8 riuniti in Scozia, senza niente da dire e niente da dirci dopo la strage di Londra.
"Tutti qui hanno paura. Che devo dire? Bisogna avere fortuna". È l'unica frase sensata ascoltata in televisione (Tg3, 22 luglio, ore 12) dopo il secondo attacco di Londra. L'ha detta il corridore Valentino Rossi appena arrivato in quella città.
Che cosa c'è di speciale nella sua frase? Primo, un po' di sincerità. Abbiamo paura? Sì che abbiamo paura. È umano, è sensato, è inevitabile. Secondo, Valentino Rossi, con un cortocircuito di buon senso, vede che in tutto ciò che c'è intorno a lui (intorno a noi, cittadini di ogni Paese in pericolo) non c'è nulla a cui aggrapparsi. E conclude come lo "smadruppato" e profetico bambino napoletano delnon dimenticato libro del maestro Orta: "Io speriamo che me la cavo". In questo modo il giovane campione ha cercato di non vedere il cumulo di detriti che dobbiamo attraversare ogni volta, quel tremendo territorio del dopo-prima attacco terroristico, non i detriti delle bombe ma quelli delle parole a vuoto, delle promesse a vuoto, delle minacce a vuoto, il tipo di retorica a cui ci hanno abituato in caso di guerra (e che qualche volta funziona perché le guerre avvengono il più delle volte altrove e puoi celebrare la morte perché non sai come arriva la morte). Ma non funzionano nel terrorismo di massa.
Per esempio che senso ha affermare, come è stato detto a Londra dopo il primo attacco, "noi non abbiamo paura"? Non ricordate l'onesta lezione dei buoni film realistici americani subito dopo la seconda guerra mondiale? C'era sempre il soldato travolto dalla paura, e qualcuno accanto che gli spiegava: "Hai ragione, anch'io ho paura. sarebbe assurdo non avere paura in questo inferno". Valentino Rossi arriva a Londra per una gara, si guarda intorno e dice "Qui tutti hanno paura". Forse hanno fatto bene gli accademici di Urbino a dargli la laurea ad honorem in comunicazioni. Ci ha detto ciò che Scotland Yard nega (ma poi ammette, sparando e uccidendo un sospetto nella ferrovia sotterranea), ciò che Blair aveva appena dichiarato: "Noi continueremo la nostra vita di tutti i giorni". È evidente che è impossibile. Perché fingere flemma alla James Bond mentre uccidono, sotto i tuoi occhi, il passeggero che sta per salire prima di te? È disumano e anche stupido. Tanto più che la sentenza è stata eseguita da poliziotti in borghese, dunque - per quanto puoi capire al momento - da gente come noi. E poiché a lungo non abbiamo saputo nulla dell'uomo abbattuto pubblicamente con cinque colpi di pistola alla testa, siamo indotti a pensare che anche l'uomo centrato e freddato per il fatto di indossare un cappotto, fosse uno di noi.
* * *
Non credo che possa servire agli inglesi l'incitamento a comportarsi come sotto gli spietati bombardamenti tedeschi,quando si invitava a continuare la vita, come se tutto fosse normale. Allora c'era caos e grave pericolo nel mondo ma non nelle teste. Per quanto spaventosa e infuocata, la linea del fronte era netta sia dal punto di vista degli Stati che si combattevano che delle ideologie contrapposte.
Non credo che possa servire a noi italiani il ricordo dell'unità nazionale contro le Brigate Rosse. Anche allora le identificazioni della parti erano precise, ineludibili, e c'era un rapporto senza equivoci fra i cittadini e chi conduceva la lotta al terrorismo. Sapevano tutti dove, come, quando, perché. A differenza del periodo delle stragi, in quella stagione lo Stato non ha quasi mai mentito o frapposto segreti ai cittadini. E ha vinto.
Anche adesso la maggior parte di noi - cittadini del mondo esposto al terrorismo - ha idee chiare su ciò che sta accadendo. Il terrorismo di massa è un espediente ripugnante che non appartiene ad alcuna ideologia, religione o schieramento. Sono frammenti di orrore, rivendicazione, vendetta, ricatto schizzati sul mondo nel vuoto pauroso e pericoloso del dopo guerra fredda. Qualunque cosa mandi a dire, non c'è niente a cui rispondere, e niente che si possa fare per rendere miti gli assassini.
Ma, come in certe malattie, solo le cure occasionali e palliative si compiono nel punto in cui si manifesta il sintomo. E ciò che chiamiamo azioni intelligenti, tempestive e ben coordinate di polizia.
Ma poiché sappiamo - persino noi cittadini - che un male come il terrorismo non si può bombardare perché non è uno Stato, non si può attaccare perché non ha un esercito, tutti noi in ogni Paese esposto al terrorismo, vorremmo delegare chi ci governa ad agire con intelligenza e prudenza sulla base di ciò che vedono, di ciò che sanno,di ciò che apprendono dalle loro fonti specialistiche e dai rapporti internazionali. Vorremmo condividere le loro decisioni. Vorremmo ascoltare cose di buon senso e cose che si capiscono. Siamo cittadini di uno Stato democratico, dunque abbiamo il diritto di sapere, senza montature e senza segreti. Questo è il modo in cui si difendono le democrazie. Infatti i due pilastri su cui si fondano, e la ragione per cui alla fine vincono sempre, sono la chiarezza condivisibile delle informazioni e la chiarezza condivisibile delle decisioni politiche, specialmente quelle drammatiche come la guerra.
In questi anni tormentati un gruppo di Paesi democratici del mondo è stato all'improvviso colpito in modo spietato dal barbaro evento dell'11 settembre americano. Quei Paesi erano uniti e pronti ad agire come un unico blocco. Ma, quasi all'improvviso, come se il terrorismo, oltre a colpire, fosse stato anche capace di inquinare (ricordate l'incubo mai chiarito della polvere di antrace, che è diventata una sinistra metafora dello sconvolgimento di quei giorni?) si è oscurata la chiarezza. I leader delle due più antiche democrazie del mondo (Stati Uniti e Inghilterra) hanno cominciato a mentire ai propri popoli e a tutti coloro che si erano stretti intorno. Lo hanno fatto per ragioni che sono tuttora un mistero. Ormai il problema non è continuare a indicare l'evidente disastro della guerra in Iraq. Il problema è quello strappo misterioso tra democrazia e politica. La politica, improvvisamente, è diventata autoritaria e sottratta ad ogni dibattito.
Da quel momento il flusso delle informazioni, che è il nutrimento della democrazia, si è bloccato. Hanno cominciato ad astenersi giornalisti e giudici, esperti, commentatori e cittadini comuni. Ognuno ha accettato leggi speciali e in gran parte sconosciute. È rimasto esemplare, nella sua solitudine, il suicidio dello scienziato inglese David Kelly, esperto di armi e vigoroso antagonista di ciò che aveva ripetuto con enfasi al suo Paese e al mondo il Primo ministro inglese, come ragione per fare la guerra. Sono rimaste esemplari, nella storia dell'Inghilterra contemporanea, le dimissioni, volute e ottenute da Blair, del capo della BBC, la leggendaria bocca della verità del mondo. Si era ostinato a dimostrare che ciò che diceva il suo Primo ministro non era provato, che forse era fondato su carte false. Sono comparsi i giornalisti "embedded", nessuno dei quali, durante e dopo la guerra irachena, ha lasciato una traccia o depositato una sola corrispondenza da ricordare. Pensate al Vietnam,l'altra grande tragedia americana. Di essa, momento per momento, il mondo ha saputo tutto. Lo ha saputo in tempo reale da giornalisti e da soldati degli Stati Uniti.
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Ed eccoci al silenzio senza precedenti, in Inghilterra e in tutto il mondo democratico. Del 7 luglio non abbiamo saputo quasi nulla, visto quasi solo immense lenzuola disposte prontamente dalla polizia londinese intorno ai luoghi dell'attacco. Il 21 luglio, come risposta a un altro attacco, forse diverso, forse fallito,(ma nessuno ci ha dato notizie), ti dicono che è in corso una grande operazione intorno a una moschea. Ma pochi secondi televisivi mostrano un poliziotto di fronte a un telo bianco.
Il 22 luglio un tale, forse perché indossava un cappotto pesante in un giorno d'estate, viene ucciso fra la folla della ferrovia sotterranea, ma il nuovo clima di segreto fa pensare che non sapremo mai se c'era una ragione (che deve essere estrema) per eseguire (in pubblico, non in combattimento) una sentenza di morte. Soltanto il giorno dopo abbiamo saputo che quella sentenza di morte è stata eseguita in pubblico per sbaglio.
Con ansia e tristezza notiamo che la guerra asimmetrica al terrorismo di cui parlano gli esperti, si sta facendo simmetrica: noi, come loro, furtivi, segreti, pronti a nostra volta a colpire. Solo che loro - su questo siamo tutti d'accordo - perseguono con intenzioni folli un disegno folle, e per questo loro disegno tutto va bene, segreto, ricatto, minaccia, rapimento, tortura e morte. Si vince alla pari, mossa per mossa, crudeltà per crudeltà, segreto per segreto? Si può vincere, certo. Ma chi salverà la democrazia in un mondo di prigioni come Abu Grahib e di azioni inspiegate, segrete e terribili come l'omicidio di una persona già catturata, disarmata e trovata senza esplosivo, alla stazione della metropolitana di Stockwell?
Come vedete abbiamo trascurato di proposito il contributo di miseria morale che l'Italia, con la Lega Nord, tenta di aggiungere a questo clima di un mondo democratico sotto attacco. È un mondo, che a quanto pare, non riesce a trovare e non riesce a comunicare una visione politica del che fare e si abbandona al panico reso più pericoloso dal segreto e dalla finta indifferenza professionale. Il brutto momento si descrive così: i cittadini sono esclusi e devono credere sulla parola. I leader del mondo, o hanno mentito, o non sanno che dire, stupiti e succubi. La segretezza e il continuo depistaggio dell'opinione pubblica sono diventati il metodo. Come se l'opinione pubblica democratica fosse infantile o fosse infida. La democrazia nega se stessa come arma di difesa e questa è certo una prima grande vittoria del terrorismo.
A noi cittadini, qui e in tutto il mondo libero, non resta che contestare con tutte le forze questa vittoria del terrorismo,non resta che batterci in tutti i modi per i diritti umani e civili di tutti. Fascismo e nazismo, che erano più potenti dei fanatici islamici, sono stati battuti senza negare mai un solo principio democratico né oscurare mai una sola notizia.
furiocolombo@unita.it

tratto da l'Unità del 24/07/2005

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