giovedì 27 gennaio 2005

Noi ricordiamo

di Furio Colombo

Oggi, Giorno della Memoria, i lettori dell'Unità trovano compiegate con questo quotidiano le pagine di due giornali italiani dell'estate del 1938, ovvero alcuni mesi prima della promulgazione delle leggi anti ebraiche e della espulsione degli italiani ebrei da tutte le attività e la vita del Paese. Abbiamo riprodotto la prima pagina del Popolo d'Italia, il giornale fondato da Mussolini, che ha questo titolo, che è anche una rivendicazione e un vanto: «Il razzismo italiano data dall'anno 1919 ed è base fondamentale dello stato fascista. Assoluta continuità della concezione mussoliniana» (6 agosto 1938).

Ci è sembrato importante anche riprodurre la prima pagina de La Stampa (31 luglio 1938) in cui il titolo a prima pagina è «Anche nella questione della razza noi tireremo diritto». Si legge nel breve testo che segue intitolato «Testuali parole»: «Dire che il fascismo ha imitato qualcuno o qualcosa è semplicemente assurdo».


In queste due pagine il regime fascista, nella sua peggiore incarnazione di persecutore di cittadini italiani, smentisce con decenni di anticipo coloro che penosamente sostengono, ai nostri giorni, che il fascismo non è stato uno dei due grandi protagonisti della Shoah, insieme alla Germania nazista. La Shoah - come si può vedere e capire in una grande mostra aperta in questi giorni a Roma, presso il Vittoriano (e da cui abbiamo tratto «La Stampa» e «Il Popolo d'Italia» del 1938) - non avrebbe mai potuto cominciare se leggi razziali ossessive, totali e durissime, come quelle approvate all'unanimità da Camera e Senato italiani, non si fossero saldate con quelle tedesche, diventando orrendo modello di persecuzione in tutta l'Europa occupata. Con questo numero de «l'Unità» c'è anche il volume «Voci della memoria», una antologia di documenti e testimonianze che potrà essere utile agli insegnanti costretti ad affrontare da soli, senza sostegni della scuola e senza sussidi, i ricordi di questa giornata.


Le pagine così crudelmente esplicite di due giornali fascisti, in pieno dominio del regime, e il volume ci servono per ripetere qui, a coloro che fingono di non sapere o di non sentire che, quando si parla di Shoah, richiamare altri crimini e orrori esecrabili accaduti altrove nella Storia (le Foibe, i Gulag) è solo un espediente per allontanare il discorso dal fascismo. La Shoah infatti è un delitto italiano, un delitto che, senza la fervida collaborazione fascista, non avrebbe potuto raggiungere un tale livello di sterminio in Europa. È questo delitto italiano - acclamato all'unanimità nel Parlamento e dai cosiddetti grandi statisti di allora - che oggi si ricorda con dolore inguaribile nelle scuole e nelle istituzioni italiane. Lo si ricorda insieme al delitto di perseguitare ed eliminare gli avversari politici, nel periodo più buio della Storia contemporanea italiana. Per questo, e per impedire che malattie mortali come il fascismo possano riprodursi, anche attraverso lo stravolgimento della verità e la negazione dei fatti, che esiste il "Giorno della Memoria", 27 gennaio, il giorno in cui sono stati abbattuti i cancelli di Auschwitz e il mondo ha cominciato a scoprire l'orrore della persecuzione nazista e fascista, tedesca e italiana.

tratto da l'Unità del 27/01/2005


Spagna, Zapatero al Papa: "Rispetto per il mio Governo"

Il ministero degli Esteri di Madrid convoca l´ambasciatore: "Esagerato l´attacco della Chiesa contro di noi".Il premier risponde alle critiche alle sue riforme rivolte lunedì da Giovanni Paolo II
di ALESSANDRO OPPES

MADRID - La disputa fra il governo Zapatero e la Chiesa sale di tono fino a sfiorare la crisi diplomatica. Il nunzio del Vaticano in Spagna, monsignor Manuel Monteiro de Castro, è stato convocato al ministero degli Esteri, dove gli è stato notificato formalmente lo «stupore» dell´esecutivo socialista per le parole di dura critica pronunciate lunedì scorso da papa Giovanni Paolo II.

Una lamentela che è stata spiegata nei dettagli dallo stesso premier José Luis Rodríguez Zapatero durante la tappa argentina della sua visita in Sudamerica. La libertà religiosa è in pericolo? In Spagna si diffonde una mentalità ispirata nel laicismo? Parole «esagerate» quelle del pontefice secondo il capo del governo: «Qualunque spagnolo può constatare che è esagerato dire che c´è un problema di libertà religiosa quando la Spagna vive il momento di maggior libertà religiosa, ideologica e politica di tutta la sua storia».

Nonostante il «profondo rispetto» che sostiene di nutrire per il papa e per il suo diritto di esprimere le opinioni che ritenga opportune «sull´azione dei governi di qualunque tendenza», Zapatero ricorda di aver vinto le elezioni dello scorso anno con un programma politico ben preciso. Un programma che comprende leggi che hanno l´obiettivo di mettere fine alle discriminazioni sofferte dagli omosessuali e una più moderna legge sul divorzio: «Il governo mantiene i suoi impegni elettorali e rispetta scrupolosamente gli accordi sottoscritti con la Santa Sede», ha sottolineato il premier da Buenos Aires.

Lo «stupore» trasmesso dal sottosegretario agli Esteri Luis Calvo al nunzio apostolico si riferisce anche a questo: gli impegni contenuti nel Concordato siglato con il Vaticano sono stati sempre rispettati e mai è stato segnalato dal Vaticano un malumore e, da nessuna delle parti, l´intenzione di denunciare gli accordi. Mentre l´ala dura dell´episcopato spagnolo approfitta delle parole di Karol Wojtyla per alzare i toni della polemica, il governo chiede «rispetto» e ricorda che non esiste altro paese al mondo con un finanziamento «così generoso» alla Chiesa cattolica a carico delle finanze dello Stato (quest´anno sfiorerà i 150 milioni di euro). Dice il ministro della Giustizia Juan Fernando Lopez Aguilar, dal quale dipende la direzione affari religiosi: «In Spagna è pienamente garantito il diritto dei padri a che i loro figli ottengano un insegnamento religioso rispettoso del loro credo. Ma il governo fa il suo lavoro e sta sviluppando i suoi impegni nei confronti dei cittadini, come in qualunque società democratica, libera e aperta».

Se il governo socialista non si è tirato indietro di fronte alla prospettiva di una imbarazzante polemica diretta con il pontefice, è anche perché sono in pochi a pensare che dietro quel discorso non ci fosse una regia esterna al Vaticano, una mano spagnola. È apparso chiaro dal riferimento, del tutto fuori luogo, fatto dal Papa a qualcosa di molto poco spirituale come il Piano idrologico nazionale. «A chi gli ha passato il copione è sfuggita un pò la mano», ironizza pesantemente il portavoce parlamentare del Psoe Alfredo Perez Rubalcaba. «Sembra che il Papa parli a nome di un partito che ha anch´esso due P come lui».

http://www.gaynews.it/view.php?ID=30754

L'idea fissa del filosofo Buttiglione

di Oreste Pivetta

Al pari di certi medici che ti vogliono salvare a tutti i costi, anche quando di te non restano che quattro ossa in croce, Rocco Buttiglione si rivela ogni giorno di più un perfetto interprete di ciò che si definisce “accanimento terapeutico”. Solo che lui non pensa al corpo, ma all’anima e si esercita esclusivamente nei confronti di alcuni malati e basta. Tra una cannonata e l’altra sull’aborto o sulla clonazione, vorrebbe guarire i gay, quelli che con respiro politico il ministro degli italiani all’estero Tremaglia aveva chiamato «culattoni» e che un vescovo di Madrid, monsignor Jesus Català, con dottrina, aveva battezzato «anormali psicologici», cioè «invertiti». Diciamo le cose come stanno, era sbottato il vescovo, orecchiando Tremaglia.

Bocciato in Europa, arricchendo con i suoi detti il panorama di una piccola Italia sempre più fuori dall’orbita, l’onorevole Buttiglione sembra non rassegnarsi mai alle battaglie perse. E ne ha perse tante, nella Dc, nel Ppi, tra gli amici di Cl, tra i nemici della cosiddetta Casa delle libertà, sbeffeggiato da Bossi («sento puzza d’incenso»), sopportato da An. Buttiglione insiste. Chissà chi gliela dà tanta forza. Ma è sempre stato così, incorreggibile nel suo immobile sorriso da fototessera e la pupilla calata da sonnolenza post prandiale. Forse, semplicemente, non capisce. Così ha denunciato «lobby forti che vorrebbero, per esempio, imporre, a partire dal Parlamento europeo, ai Parlamenti nazionali il matrimonio gay e politiche di privilegio delle minoranze omosessuali». Il sospetto l’ha manifestato a Firenze, dentro Palazzo Vecchio, in ambito di presentazione della nuova Costituzione europea, quella per intenderci senza le «radici cristiane». Naturalmente per difendere la visione tradizionale del matrimonio, che a Bruxelles richiamandosi alle «radici latine» aveva spiegato come «protezione della madre, protezione da parte dell’uomo che consente alle donne di generare figli». Per intenderci: «La famiglia è solo quella in cui la donna sacrifica un pezzo della sua carriera professionale per i figli». La spiegazione aveva suscitato sgomento e ilarità tra deputati e deputate europee in odore di parità, ai quali magari non era mancata negli anni qualche lettura più aggiornata e realistica. A Firenze Buttiglione s’è consolato affermando che ventidue paesi su venticinque la pensano come lui. Malgrado questo, ha voluto sostenere che il matrimonio deve restare questione nazionale, non sia mai che l’esempio di Zapatero dilaghi a Bruxelles o che il matrimonio diventi «unione di individui» (come indica il trattato europeo), per rintuzzare le potenti lobby gay che promuoverebbero, secondo il nostro Buttiglione, «non politiche di non discriminazione, sulle quali siamo tutti d'accordo, ma politiche di privilegio, sulle quali potrebbe essere bene rassicurare tutti spiegando che queste sono e devono rimanere materie di esclusiva competenza nazionale». Sulle competenze nazionali vi sarebbe un gran discutere in ambito Unione Europea e nuova Costituzione. Colpisce questa idea ripetuta di Buttiglione, l’idea delle potenti lobby e del privilegio. Una fissazione inquietante, che nella sintesi di Tremaglia sarebbe: «culattoni culattoni». L’idea di una influenza e di poteri, sotterranei, misteriosi, fortunati e tanti. Basterebbero due chiacchiere con Tremaglia stesso, che ha la sua memoria storica, per capire quanto l’idea sia falsa. Senza contare una qualsiasi esperienza del mondo. Invece Buttiglione il suo potere ce l’ha e l’usa. Ad esempio nel 2003 si era distinto, in sede di Consiglio dei ministri, per intiepidire la direttiva europea contro la discriminazione delle persone omosessuali sul posto di lavoro o nelle forze armate.

«I criteri - ci illumina Buttiglione - sono quelli indicati dai vescovi». Peccato che ci sia «un totalitarismo strisciante che avanza da sinistra e che minaccia la libertà di coscienza». Anche lui insomma come il suo superiore sembra vedere comunisti che strisciano ovunque. Non conforta sapere che siamo tutti peccatori, come insegna Buttiglione. Perché, seguendo l’insegnamento, ci sono peccatori peggiori degli altri e non ci sono dubbi sul posto nel quale piazzerà comunisti e gay, quando finalmente, trionfando il Bene, gli consegneranno, laicamente, il ministero del peccato.

http://www.gaynews.it/view.php?ID=30747

Sondaggio Eurisko: Centrosinistra in vantaggio nelle intenzioni di voto

Governo, calo di consenso. Otto italiani su 10 vedono nero
Centrosinistra in vantaggio ma cresce la paura di perdere
Il centrosinistra perde però nei pronostici: a settembre, il 45,8% prevedeva la vittoria dell'Ulivo: quest'area ora ha perso 10 punti
di FABIO BORDIGNON e ROBERTO BIORCIO


UN GOVERNO che naviga, da tempo, in un clima di sfiducia, prodotto da un diffuso senso di insoddisfazione. Un'opposizione che non riesce ad "approfittare della situazione": pur avendo acquisito un piccolo vantaggio negli equilibri elettorali, rimane indietro nei giudizi dell'opinione pubblica; e vede le aspettative di vittoria riallinearsi, nelle previsioni dei cittadini, a quelle del centro-destra. Sono questi i principali tratti dello scenario politico evidenziati dai risultati di un ampio sondaggio realizzato da Demos-Eurisko per la Repubblica.

Il clima politico. Ben otto persone su dieci non sono soddisfatte di come vanno le cose in Italia. Le ragioni di questo malumore si legano, innanzitutto, alle preoccupazioni generate dalle performance economiche, dalle ripercussioni sull'occupazione e sulle dinamiche dei prezzi. Sebbene la maggioranza dei cittadini esprima una valutazione positiva sulla situazione familiare, solo il 22% è contento dei soldi che riesce a risparmiare, appena il 28% delle opportunità di lavoro. Un quadro di questo tipo - tanto più se prolungato nel tempo - incide sulle valutazioni nei confronti dell'esecutivo.
Smarrito l'entusiasmo che aveva accompagnato i primi mesi di governo, l'apprezzamento per la squadra di Berlusconi si attesta su livelli piuttosto bassi e, dopo la lieve ripresa registrata lo scorso autunno, torna a scendere (36%).

Le evidenti difficoltà del governo, tuttavia, non si traducono (automaticamente) in una crescita del consenso verso l'opposizione. Il giudizio dell'elettorato nei confronti del centro-sinistra rimane poco benevolo: con un indice di apprezzamento inferiore a quello dell'esecutivo e in lieve ribasso nel corso degli ultimi mesi (forse per effetto del continuo fermento interno alla coalizione). Peraltro, la stessa opinione pubblica sembra percepire, oggi, condizioni meno favorevoli per le formazioni di centro-sinistra. Se chiediamo agli intervistati di formulare una previsione sull'esito delle elezioni, i due schieramenti risultano quasi allineati (mentre si espande l'area dell'incertezza: 28%). Solo pochi mesi fa, il centro-sinistra otteneva un ampio vantaggio.

Coerenti con le indicazioni generali sono anche i giudizi sui leader politici.
L'apprezzamento per Berlusconi tende a rispecchiare quello nei confronti dell'esecutivo (34%). Sugli stessi livelli troviamo anche Follini; leggermente più in basso si colloca Bossi (22%). L'unica (importante) eccezione, tra gli esponenti della maggioranza, è rappresentata da Fini, al
primo posto con il 58%. Il ministro degli Esteri - che recentemente ha goduto di grande visibilità, in relazione alla tragedia del Sud-Est asiatico - ottiene significativi apprezzamenti anche tra gli elettori dello schieramento avversario, in particolare nell'area centrista. Su livelli intermedi si posizionano i leader della Gad: Prodi (45%) e Fassino (39%), sfruttando una
maggiore trasversalità rispetto ai due maggiori partiti della coalizione, ottengono i punteggi più elevati. Più connotate sotto il profilo partitico sono, invece, le pagelle di Bertinotti (39%) e Rutelli (37%).

Le tendenze elettorali. Se il clima politico è notevolmente cambiato negli ultimi mesi, molto più lenta, complessa e in parte contraddittoria è stata l'evoluzione degli orientamenti elettorali. Sei mesi fa, dopo le elezioni europee era diffusa la previsione di una possibile vittoria del
centrosinistra. Prevale oggi un clima di maggiore incertezza. L'attivismo politico-mediatico di Berlusconi e dei leader della Casa delle Libertà da una parte, le tensioni e le polemiche nell'area del centrosinistra dall'altra hanno avuto un effetto indubbio sull'opinione pubblica. Se si sono ridotte le attese di successo dello schieramento di centrosinistra, si possono
registrare tendenze parallele anche negli orientamenti elettorali? I mutamenti che si possono registrare rispetto a sei mesi fa appaiono ancora limitati ma significativi. Le intenzioni di voto per i partiti che fanno riferimento alla Gad superano di tre punti percentuali quelle per i partiti della Casa delle Libertà. E il distacco aumenta a sei punti percentuali se si propone agli intervistati la scelta fra le due coalizioni. La differenza fra i due tipi di scelta - registrata anche nelle ultime elezioni politiche - può avere diverse spiegazioni. Gli intervistati hanno in generale maggiore disponibilità e minori incertezze ad esprimere il proprio orientamento elettorale per una coalizione rispetto a quello per un partito: le mancate risposte sono del 16% nel primo caso, e salgono al 30% nel secondo. E, soprattutto nell'area di centrosinistra, una parte rilevante degli intervistati esita ad esprimere la scelta per uno dei partiti della coalizione.

Le diverse stime sono concordi nel segnalare una crescita non trascurabile delle opzioni a favore della coalizione di centrosinistra rispetto alle elezioni europee. La vasta insoddisfazione sulla situazione generale del paese, e una valutazione tendenzialmente negativa del governo, non si sono tradotte in un forte aumento dei consensi per i partiti di opposizione. Ma frena e deprime le possibilità di recupero dei partiti di centrodestra e la mobilitazione della loro area elettorale.

Si registrano d'altra parte mutamenti significativi anche nell'ambito delle due coalizioni. Nella Casa delle Libertà tendono ad aumentare gli orientamenti elettorali a favore di Alleanza nazionale, che recupera consensi sia dall'area dell'astensionismo che dai partiti alleati. Più in difficoltà appare Forza Italia, che non riesce a mantenere neppure i consensi avuti sei mesi fa. Una parte dell'elettorato azzurro è tentata dall'astensione.
L'interscambio di voti con il partito di Fini risulta nettamente sbilanciato a favore di An. Anche la Lega mostra una tendenze al recupero dei consensi, soprattutto nelle aree di tradizionale insediamento.

La crescita di opzioni a favore del centrosinistra ha premiato soprattutto due aree politiche: da un lato Rifondazione comunista, dall'altra i tre partiti che si erano presentati alle europee sotto il simbolo di Uniti per l'Ulivo (Ds, Margherita e Sdi).

Gli orientamenti elettorali che si possono rilevare dai sondaggi rappresentano naturalmente solo probabilità di voto. La loro traduzione in comportamenti effettivi dipende dal contesto delle specifiche competizioni elettorali, dal clima politico e dal livello di mobilitazione e smobilitazione delle diverse aree di elettori.
(27 gennaio 2005)

http://www.repubblica.it/2005/a/sezioni/politica/atlantepol/atlantepol/atlantepol.html



Corsa all'indietro tra i due Poli

di ILVO DIAMANTI

LA STAGIONE grigia della politica italiana prosegue. Nessun soggetto politico che riesca a suscitare passione. Nessun cambiamento apprezzabile, nel clima d'opinione. Tanto che il confronto elettorale oggi rammenta un inseguimento all'indietro. Il centrosinistra, per la verità, mantiene un vantaggio significativo, nel maggioritario, ma anche nel proporzionale. Ma la distanza fra i due poli si è ridotta, rispetto a quanto indicavano alcuni sondaggi condotti dopo le europee. Sei punti nel proporzionale, ma solo 3 nel maggioritario. Tuttavia, secondo le previsioni degli elettori, se oggi si votasse, le due coalizioni sarebbero alla pari. Anzi: il centrodestra vincerebbe, seppure di poco.

D'altronde, gli italiani giudicano il comportamento dell'opposizione, in questa fase, peggiore di quello del governo. I principali tratti delineati dall'Atlante politico, pubblicato da Repubblica, contribuiscono a chiarire i motivi - alcuni, almeno - che hanno indotto il premier a cambiare strategia.
Berlusconi: ha smesso di decantare le virtù del governo, di promettere agli italiani un futuro felice. E ha spostato l'attenzione sulla (in) credibilità dell'opposizione. Senza nome e senza valori.

D'altronde, i dati proposti dall'Atlante suggeriscono che il governo abbia fatto poco per restituire slancio e fiducia agli elettori. I meriti - o le colpe - di questa ripresa, dal punto di vista delle previsioni piuttosto che delle intenzioni elettorali, vanno attribuiti quasi per intero all'opposizione. La percentuale di quanti pensano che, se oggi si dovesse andare a elezioni politiche, vincerebbe il centrosinistra è, infatti, calata di oltre il 10% negli ultimi quattro mesi. Mentre la quota di quanti prevedono il successo del centrodestra, nel frattempo, è rimasta pressoché uguale.

In altri termini: non è il centrodestra ad aver "rimontato". Semmai, è il centrosinistra che è "ricaduto". Il centrodestra ha fatto poco. Ha sfruttato le mille incertezze, i mille litigi, le mille polemiche dell'opposizione.
Senza che, peraltro, la fiducia nei confronti della sua azione migliorasse.

Non ha ragione di rallegrarsi troppo, il centrodestra, perché le condizioni che hanno generato e, successivamente, allargato la disaffezione degli elettori non sono cambiate. L'insoddisfazione nei confronti della situazione socio-economica, la distanza fra le promesse e la realtà. I fattori che avevano eroso, in modo profondo, il consenso (sociale ed elettorale) verso il
governo e la fiducia nel premier, persistono, evidenti.

Le riforme approvate negli ultimi mesi, in particolar modo la riduzione delle aliquote Irpef, hanno frenato questa deriva. Ma non l'hanno arrestata. E, soprattutto, non hanno invertito il segno del sentimento sociale. Otto persone su dieci (ma 6 anche fra gli elettori del centrodestra) si dicono insoddisfatte di come vanno le cose in Italia, in questo momento. E una larga maggioranza di persone valuta negativamente l'andamento dell'economia e del lavoro.

Quasi tutti, inoltre, si confessano incapaci di risparmiare. Mentre il fatto che sei italiani su dieci ritengano soddisfacente la condizione della loro famiglia non rasserena il clima d'opinione. Semmai lo aggrava, perché suggerisce il diffondersi di una sorta di "sindrome da assedio": le famiglie da sole, a difendersi dal mondo esterno.

E' comprensibile, allora, che, nonostante l'opposizione stenti a uscire dall'ombra, il centrodestra non riesca ad allargare davvero i suoi consensi elettorali. A riprendere velocità. A riconquistare la fiducia dei suoi elettori delusi. In fondo, malgrado le aspettative, nelle stime di voto la Casa delle Libertà resta sotto. Non per altro, in questa fase, il premier insiste, in modo quasi ossessivo, sui valori invece che sugli interessi. E preferisce polemizzare sulla natura maligna della sinistra, piuttosto che esaltare - e ostentare - i risultati dell'operato suo e del governo. Perché, in questo caso, il conflitto di Berlusconi con gli interessi degli elettori diverrebbe palese. Ineludibile.

Da ciò deriva il senso di disincanto, che rende difficile immaginare il futuro elettorale. Perché, da un lato, il centrosinistra continua a prevalere, nelle stime del voto proporzionale e ancor più maggioritario. Ma, come ha dimostrato Paolo Natale, anche un distacco del 10% nell'uninominale non gli garantirebbe una maggioranza di seggi, visto che la distribuzione dei suoi voti è troppo squilibrata: fortemente addensata al centro, debole in altre zone, soprattutto del Nord. Se, peraltro, il centrodestra modificasse la legge elettorale (secondo la proposta di Nespoli; il "nespolum", come lo chiama Sartori), collegando, in modo diretto, sulla stessa scheda, il voto di partito con quello di coalizione, il vantaggio del centrosinistra nel
maggioritario rischierebbe di svanire del tutto.

D'altro canto, però, è rischioso, anche per Berlusconi, confidare e investire sulla debolezza degli altri. Fare l'opposizione operando al governo.
L'opposizione dell'opposizione. E' difficile attrarre, suscitare consenso limitandosi a generare il dissenso verso gli altri. Imitando quanto ha fatto l'opposizione in questi anni.

Non è un caso se la fiducia nei suoi confronti (nonostante le affermazioni contrarie) continua ad essere ridotta. Non è solo colpa degli elettori di centrosinistra ("capaci solo di odiare"). E' che gli stessi elettori dei partiti alleati esprimono nei suoi riguardi sentimenti tiepidi. E un poco freddi.

Demonizzare l'avversario. Riaprire il capitolo, mai chiuso, della lotta al comunismo. Può bastare a contrastare l'indifferenza di tante persone che in passato avevano votato per la CdL e oggi appaiono, semplicemente, disamorate e disancorate? E' il problema sotteso al risultato delle elezioni suppletive dei giorni scorsi, vinte nettamente dal centrosinistra, al pari di quelle di
qualche mese fa. Non fanno testo, hanno decretato a centrodestra. Troppo bassa la partecipazione al voto. Si sono mobilitati solo gli elettori mossi da impegno e risentimento. I più appassionati. Che si posizionano prevalentemente a centrosinistra. Alle prossime regionali e, ancor più, alle politiche del 2006, le cose cambieranno. La partecipazione, favorita dalla
campagna elettorale, crescerà certamente, rendendo competitiva la CdL.

Considerazione ragionevole. Che, tuttavia, dà per scontata una questione per nulla scontata. Come può, il centrodestra, "mobilitare" tanti elettori delusi? Convincere gli indifferenti a uscire di casa? A recarsi ai seggi? E a votare per lui? Non in nome degli interessi, pare di capire. Ma in nome dei valori. Della "lotta contro il Male". Della "guerra di civiltà". Se nel 2001 Berlusconi, per vincere le elezioni, aveva proposto agli italiani un sogno, ora regala loro un incubo. Da cui promette di "salvarli".

Speriamo di risvegliarci prima.
(27 gennaio 2005)

http://www.repubblica.it/2005/a/sezioni/politica/atlantepol/indietro/indietro.html

mercoledì 26 gennaio 2005

Giorno della memoria: il dvd di Paragraph 175 in vendita con Diario del mese

di Rob Epstein e Jeffrey Friedman *

Il triangolo rosa è stato adottato dalla comunità gay come simbolo, ma la sua storia e il suo significato non sono mai stati pienamente compresi da molti gay, né soprattutto dal grande pubblico.

Secondo una ricerca del 1993 commissionata dall'American Jewish Committee, solamente la metà degli adulti inglesi e un quarto di quelli americani sapevano che i gay erano state vittime del regime nazista e che il triangolo rosa era l'emblema fisico usato dai nazisti per identificare gli omosessuali. Con Paragraph 175 abbiamo voluto esplorare una storia mai raccontata prima su pellicola e difficilmente studiata nei libri di storia.

Perché non c'è traccia storica delle esperienze di decine di migliaia di persone perseguitate e uccise?
In qualità di gay e di ebrei avevamo ovviamente ragioni personali per approfondire questa storia. Sentimmo la necessità di registrare tutti quei racconti che era possibile raccogliere mentre ancora c'erano dei testimoni viventi a narrarli.

C'erano vittime omosessuali, c'erano combattenti della resistenza omosessuali e c'erano nazisti e loro simpatizzanti omosessuali. Inoltre, anche se i nazisti perseguitarono costantemente gli omosessuali, i loro oppositori cercarono di usare l'omosessualità di un ufficiale nazista di alto rango per propagandare che tutti i nazisti erano omosessuali.

Tra il 1933 e il 1945 secondo i documenti nazisti furono arrestati per omosessualità circa 100 mila uomini. La metà furono imprigionati, e di questi 10 o 15 mila finirono nei campi di concentramento.

Il tasso di morte dei prigionieri omosessuali nei campi è stimato attorno al 60 per cento (una delle percentuali più alte tra i prigionieri non ebrei) cosicché nel 1945 solo 4 mila erano sopravvissuti.
Ancora più ignota è la storia del dopo lager: molti sopravvissuti gay furono soggetti a una continua persecuzione anche nella Germania post nazista dove venivano visti non come prigionieri politici, ma come criminali secondo la legge sulla sodomia in vigore anche dopo la liberazione.

Nel dopoguerra alcuni di loro furono di nuovo arrestati e imprigionati. Tutti restarono esclusi dai sussidi del governo e in gran parte dei casi il tempo che trascorsero nei lager fu dedotto dalle loro pensioni.

La «cura» attraverso suicidio, matrimonio o isolamento erano comuni. Negli anni Cinquanta e Sessanta il numero di incarcerazioni per omosessualità nella Germania Ovest fu alto quanto lo era durante il nazismo. La versione nazista della legge sulla sodomia restò in vigore fino al 1969.

Quando la comunità internazionale cercò la giustizia per le vittime di Hitler con i processi di Norimberga (1946) non furono mai menzionati né le atrocità commesse contro gli omosessuali né la legge e le misure antigay.

La fobia e la persecuzione furono accettate come normali nell'Europa e negli Stati Uniti del dopoguerra. Allo stesso modo, le ricerche sulla Shoah, i memoriali e anche i musei ignoravano il destino dei detenuti omosessuali nei lager. Ancora oggi il governo tedesco si rifiuta di riconoscere gli omosessuali come vittime del nazismo. (Altri Paesi europei hanno politiche simili di esclusione e di non riconoscimento).

Negli anni Novanta, i ricercatori iniziarono a documentare le storie degli uomini che portavano il triangolo rosa. La prima istituzione a farlo, fu lo United States Holocaust Memorial Museum di Washington, che cambiò la percezione pubblica includendo nelle sue rassegne la persecuzione nazista degli omosessuali.

Incoraggiati dagli storici e dai musei molti sopravvissuti gay si fecero avanti e raccontarono le loro storie per la prima volta, mettendo fine a decenni di silenzio e isolamento innaturali. Nel 1995 otto sopravvissuti sottoscrissero una dichiarazione collettiva chiedendo il riconoscimento giuridico e morale della loro persecuzione.

* Con questo film nel 2000 hanno vinto l'Orso d'oro per il miglior documentario al Festival di Berlino e il Premio per il miglior documentario al Festival di Sundance

martedì 25 gennaio 2005

Un eroe di troppo

di Alessandro Robecchi

Il ventesimo eroe italiano della pace in Iraq, mitragliere che mitragliava dall'alto, è morto mitragliato da terra, proprio come se fossimo in guerra. Inevitabile per (quasi) tutti i media l'uso della parola «eroe». Giusto il cordoglio e giusto il dolore: il ventesimo eroe italiano della pace in Iraq lascia una figlia di cinque mesi, che certo sarebbe stato più eroico veder crescere, andare a scuola, affrontare le mille difficoltà della vita. Si dice (ma l'ho letto soltanto su questo giornale) che non ci volesse andare, in Iraq, che l'avesse sfangata un paio di volte e che poi non abbia potuto evitarlo. E' sicuro, invece, che volasse su una carretta poco adatta e non corazzata, datosi che gli elicotteri corazzati non li mandiamo laggiù in Iraq, essendo armi da guerra ed essendo noialtri laggiù a far la pace. Comma 22. Un anno fa alcuni elicotteristi italiani si permisero di far notare che non c'erano le condizioni di sicurezza nelle missioni, nessuna certezza di non morire mitragliati dal basso mentre si vola, e si rifiutarono di volare. Furono presi a pesci in faccia, sbertucciati, sgridati di brutto e trattati come codardi. Non erano eroi. Pussa via, femminucce.

La parola eroe, sparsa ieri dai molti neo-cogl di casa nostra a piene mani tra le pieghe di un cordoglio che suona falso lontano un chilometro, non è però del tutto fuori luogo. Un uomo giovane mandato a combattere una guerra sbagliata e illegale che abbiamo chiamato missione di pace per puro paraculismo, senza nemmeno gli strumenti tecnici più sicuri per farlo, può ben essere un eroe. Uno che lavorava in mezzo alle ovvie menzogne della guerra, quelle che ci dicono quanto siamo amati laggiù, quanto a Nassiriya va tutto bene, quanto siamo umanitari. Uno che si muoveva in una realtà difficile, dove tu spari addosso alla gente e la gente spara addosso a te, circondato da una fiction ufficiale fatta di belle parole, inni, pacche sulle spalle, discorsi su libertà e democrazia, nazionalismo e maschia voglia di menar le mani, ma - si capisce - solo perché Saddam era tanto cattivo, anche se non aveva armi di distruzione di massa.

Non è una cosa facile passare al setaccio la retorica del momento, distinguere nel lutto e nel dolore le frasi di circostanza dalla sostanza vera. Lo faceva per passione. No, per aiutare i bambini (di cui incidentalmente, però, mitragliava i padri). No, per senso del dovere. No (Salvatore Scarpino su Il Giornale) «per distribuire caramelle senza allentare la vigilanza». Si può scegliere fior da fiore, ma sempre si nota l'imbarazzo e il disagio dei sostenitori della guerra, gli stessi che la chiamano pace, gli stessi che sono costretti a chiamare eroi i caduti da loro stessi mandati a cadere. Eroi che vengono celebrati da fiumi limacciosi di retorica e sommersi da messaggi ufficiali, ma che dopo un po' sono ingombranti, ricordano a tutti che sono stati mandati a fare una cosa sbagliata e per di più con mezzi inadeguati, la versione moderna delle vecchie scarpe di cartone con cui si mandarono altri giovani a diventare eroi sul Don e sulla Drina. Avere un eroe può far piacere - fidelizza l'utente, come dicono quelli del marketing, e la guerra ha il suo - ma prima o poi si diffonderà l'idea che era meglio non averlo, che si poteva non averlo, che con qualche accortezza (politica o militare) si poteva avere un eroe in meno e un marito, un padre in più.

Per questo il ventesimo eroe italiano della nostra benemerita pace con l'Iraq sarà celebrato con tutti gli onori e poi frettolosamente dimenticato, archiviato come «casualità», o come incidente nel luminoso percorso della consegna porta a porta della democrazia in Iraq. Secondo le carte dell'inchiesta, sarà soltanto stato vittima di «attentato con finalità di terrorismo», che è un altro bell'esercizio di paraculismo per evitare di dire che stiamo facendo la guerra. Mitraglia alla mano, sorvoli un territorio che hai invaso, ma se per caso ti sparano sono soltanto terroristi. Non è una novità che si neghi agli iracheni la patente di combattenti. Ma è un chiaro effetto collaterale che se quelli non sono combattenti (soltanto terroristi), l'eroe è un po' meno eroe. Ecco che già nelle pratiche della burocrazia e nelle carte bollate la parola eroe trascolora, perde forza, si squaglia un po'. Tra pochi giorni anche i neo-cogl la useranno con più pudore: celebrare troppi eroi fa male alla guerra, è cattiva pubblicità, meglio scordarseli presto e, soprattutto, scaricarseli dalla coscienza. Quelli che oggi usano con tanto ardore la parola eroe sono quelli che l'eroe l'hanno mandato là, usandolo da vivo e poi pure da morto. Grande cordoglio. Ma l'eroe meglio scordarlo in fretta.

da il manifesto del 23/01/2005

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