sabato 30 aprile 2005

Don Vitaliano Della Sala: "Il gay pride segnale a un papa reazionario"

In un intervista il parroco no global parla del prossimo gay pride a Salerno e dice : "Gay pride a Salerno? È cosa buona e giusta"
sabato 30 aprile 2005 , di Il Corriere del Mezzogiorno

Don Vitaliano Della Sala, il prete no global di Sant'Angelo a Scala, commenta la proposta del gay pride che si terrà a Salerno in giugno. Lui, che proprio a causa del suo discorso al raduno gay nella Roma del Giubileo, fu sospeso dalle gerarchie vaticane.

«Come tutte le iniziative analoghe, servirà a far capire a Papa Benedetto XVI che le crociate non servono. Inutile tergiversare: la verità è che è stato eletto un Papa reazionario» . Ma il prete irpino non parteciperà alla sfilata dell'orgoglio omosessuale perché, oltre ad aver perso la sua parrocchia, è interdetto dalla Chiesa a partecipare a iniziative militanti.

«La mia sarà una protesta in absentia, perché il fatto stesso che non potrò esserci testimonierà che l'anima intransigente della Chiesa ha vinto» .


NAPOLI - «Un gay pride a Salerno? Come tutte le iniziative analoghe, servirà a far capire al nuovo Papa, Benedetto XVI, che le crociate non servono: perché è inutile girarci intorno, la verità è che è stato eletto un papa reazionario e intransigente».


Don Vitaliano Della Sala, prete no global di Sant'Angelo a Scala, sospeso a divinis e privato della sua parrocchia, non ha dubbi: l'iniziativa promossa dai gruppi Arcigay , Garcia Lorca e Renée Vivienne - il gay pride che si terrà a Salerno, dal 24 al 26 giugno - è cosa buona e giusta.


Don Vitaliano, lei nel 2000, partecipò a Roma alla grande sfilata omosessuale, attirando su di sé gli anatemi dei superiori. Andrà al gay pride di Salerno?

«No, ma solo perché non mi è più consentito. La mia sarà una protesta in absentia, nel senso che il mio non esserci indica quanto la chiesa sia oggi intollerante e sorda al dialogo. E poi, il gay pride romano mi è costato tanto. Fu soprattutto il mio discorso a indispettire la curia, i miei attacchi a Sodano. Ma che ci fosse aria di restaurazione, come io denunciai, è stato confermato».


Venti di controriforma, dunque. O è troppo?

«È poco».


Addirittura?

«Umanamente credo che saranno anni bui, ma non possiamo giurarci. Alla fine c'è sempre il Padreterno che ci fa sperare nei miracoli. Siamo preti, dobbiamo crederci» .


E quale potrebbe essere il miracolo?

«Guardando alla storia del cardinale Ratzinger, non si può non sospettare il peggio. Ma anche lui dovrà porsi il problema del suo pontificato e chissà che non modifichi la sua durezza. Di sicuro uno dei problemi da affrontare subito è la questione degli omosessuali. Che, è bene ricordare, la Chiesa ammette, purché non pratichino la loro sessualità».


Lei crede siano possibili delle aperture del Vaticano?

«Io non metto in dubbio l'insegnamento dottrinario della chiesa, né non tocca a me dare le soluzioni: non sono né un teologo né un moralista. Sono un prete e mi hanno insegnato la cultura dell'accoglienza. In questo senso partecipai al gay pride dell'anno del Giubileo. Non certo per mettere in discussione la dottrina, ma per dire che se il Giubileo era per eccellenza il momento di accoglienza della Chiesa, doveva riguardare anche gli omosessuali. Accogliere non significa condividere, naturalmente. Gesù frequentava quelli che erano ritenuti i peggiori di Israele, le prostitute e i peccatori e disse: ti precederanno nel regno cieli. Qualcuno dovrà pure ricordarsi che l'apertura di Gesù era l'affermazione della sua forza, non di una debolezza. La mia vicenda personale, però, testimonia che a prevalere non è il volto umano della della chiesa ma quello dottrinario».


La sua sospensione dopo il gay pride è stato un deterrente per gli altri preti?

«Certo l'epilogo della mia storia parla chiaramente di una caccia alle streghe. Provi a fare un'intervista come questa ad un prete qualsiasi. Tanti sacerdoti si terranno lontani anche da questo gay pride, ma non perché hanno un sentire distante dal mio. In Italia ci sono don Alessandro Santoro di Firenze, don Pino d'Aloia di San Severo di Puglia e a Napoli c'è Don Merola della parrocchia di Forcella che, per aver urlato contro la camorra, è stato redarguito dai superiori. La chiesa è così. Oggi mi paga per non fare niente, anzi purché non faccia niente».

http://www.gaynews.it/view.php?ID=31998

Un eroe può essere gay?

Il sergente Robert Stout premiato con onoreficienze al valore cacciato dall'esercito statunitense perché ha dichiarato all'Associated press di essere gay

Il sergente Robert Stout ha ricevuto la Purple heart, una delle più alte onorificenze al valore dell'esercito americano, dopo che una granata lo ha ferito in Iraq. Ma è stato cacciato dall'esercito statunitense perché ha dichiarato all'Associated press di essere gay. E negli ultimi dieci anni sono stati spesi 190 milioni di dollari per reclutare e addestrare i sostituti dei 9.488 militari omosessuali cacciati dalle forze armate americane. Un progetto di legge pro-posto dai democratici mira ad abrogare la legge «Don't ask, don't teli» relativa alle abitudini sessuali dei militari: una norma per cui fino a oggi sono stati banditi dall'esercito statunitense i gay dichiarati. I promotori della riforma sottolineano che non c'è al-cuna prova che i soldati omosessuali mettano a rischio la disciplina militare o lavorino peggio degli altri. Tanto più che forze americane in Iraq e Afghanistan combattono a fianco a fianco con eserciti di paesi che non fanno discriminazioni.

http://www.gaynews.it/view.php?ID=32002

martedì 26 aprile 2005

Noi non dimentichiamo

di Carlo Azeglio Ciampi

Sessant’anni fa, oggi, si compì la liberazione e la riunificazione della nostra Patria. Tanti ricordi si affollano alla mente. Il cuore è ancora gonfio di pena, ma anche di orgoglio, per quelli che, compagni della nostra giovinezza, diedero la vita per la libertà di tutti; anche di chi li combatteva. Presero le armi per far nascere quelle istituzioni democratiche in cui oggi noi italiani tutti ci riconosciamo. Eredi degli ideali del Risorgimento, restituirono alla Patria l'onore e il rispetto dei popoli liberi. Uomini e donne, militari e civili, laici e religiosi, ci insegnarono a conquistare e a vivere la libertà. Nel loro anelito di democrazia e di giustizia, nell’amor di Patria, che nell’ora della prova più difficile proruppe spontaneo nei loro cuori, si riconobbe una nuova Italia.

* * * *

Un forte, indissolubile legame, unisce l’Italia del 25 aprile 1945 all’Italia che il 2 giugno 1946 partecipò, con universale entusiasmo, alle prime elezioni politiche libere dopo la dittatura. Vi presero parte, per la prima volta, anche le donne, elettrici e candidate. Gli italiani scelsero la Repubblica. Lo spirito della Resistenza vive nel testo della Costituzione repubblicana. La memoria dei sacrifici e delle lotte della Resistenza è fondamento della nostra passione per la libertà. Di quei sacrifici danno oggi solenne testimonianza le decine e decine di gonfaloni delle città e province insignite di medaglia d’oro che affollano, per la prima volta, questo cortile del Quirinale, la casa di tutti gli italiani. Da questi stendardi lo sguardo si leva al tricolore che sventola in alto, l’insegna che guidò i nostri padri nelle guerre del Risorgimento, affiancata oggi dalla bandiera azzurro-stellata della nuova Europa, unita da ideali di concordia e di pace.

Noi non dimentichiamo nessuno di coloro che furono protagonisti della lotta per la libertà di tutti gli italiani. Non dimentichiamo la Resistenza operaia, esplosa negli scioperi di massa del marzo ‘43 a Torino, a Milano, a Genova e in altre città, prima della caduta della dittatura.

Non dimentichiamo la Resistenza dei militari che, dopo l’8 settembre del ‘43, nello smarrimento delle istituzioni, trovarono nel loro cuore le radici di un orgoglioso amor di Patria, che li spinse all’azione. Molte migliaia caddero con le armi in pugno, o vennero trucidati dai nazisti.

Non dimentichiamo i civili che, a Roma e altrove, si unirono a loro per la difesa delle loro città, o, come a Napoli, si batterono per cacciare le forze di occupazione.

Non dimentichiamo la Resistenza delle centinaia di migliaia di militari deportati, che preferirono una durissima prigionia, che costò la vita a tanti di loro, al ritorno in Italia al servizio della dittatura.

Non dimentichiamo la Resistenza popolare, che si manifestò spontanea. Migliaia e migliaia di donne e uomini di ogni ceto, a rischio e a prezzo della loro vita, salvarono e protessero civili e militari alla macchia, ebrei minacciati dallo sterminio, soldati stranieri fuggiti dai campi di prigionia, che cercavano la salvezza. Li aiutarono a raggiungere l’Italia già liberata, accompagnandoli lungo quei sentieri della libertà che solcarono allora tutta la penisola, da Nord a Sud, di casolare in casolare, di paese in paese, di città in città. Fu una catena di silenziosa, spontanea solidarietà.

Non dimentichiamo le migliaia e migliaia di vittime delle innumerevoli, orrende stragi che insanguinarono il nostro Paese. Donne, vecchi, bambini, civili colpevoli soltanto di sostenere chi si batteva per la libertà.

Non dimentichiamo soprattutto i protagonisti della Resistenza armata, che nacque come scelta di popolo, che si organizzò in unità partigiane combattenti e dilagò nelle città, nelle pianure, nelle montagne, fino alla riconquista, nell’aprile del 1945, delle grandi città del Nord d’Italia, prima ancora della resa dell’esercito nazista.

Non dimentichiamo le unità del nostro esercito ricostituito, che combatterono con valore per l’onore della nuova Italia democratica.

Non dimentichiamo, non dimenticheremo mai, i soldati alleati, venuti da tutti i continenti per liberare, a costo di perdite immense, tutti i popoli europei dalla feroce tirannide nazifascista.

* * * *

La memoria degli eventi di sessant’anni fa è un libro fatto di molte pagine, di tante storie personali e collettive, storie di individui che diedero una risposta alta e nobile alla sfida dei tempi, che seppero interpretare i valori profondi della civiltà italiana ed europea.

Essi volevano un’Italia libera per tutti, unita. Il loro ricordo non vuole alimentare divisioni, vuole insegnarci la concordia, insieme con l’amore per la Patria e l’amore per la Costituzione, fondamento delle nostre libertà. Questo è il significato profondo delle giornate della memoria che noi celebriamo: occasioni per ricordare ai giovani i valori ispiratori di quella libertà che essi hanno il privilegio di vivere e il dovere di custodire.

* * * *

Italiani, gli uomini della mia generazione hanno avuto un singolare destino. Abbiamo vissuto, nella giovinezza, anni tra i più foschi della millenaria storia europea. Ma nelle prove più difficili si tempra l’identità di una Nazione. Dalle tragedie di quegli anni abbiamo tutti tratto ammaestramento. A noi sopravvissuti è toccata poi la fortuna di essere partecipi della grande rinascita democratica della nostra Patria; partecipi altresì della miracolosa costruzione di una unione di Stati e di popoli che assicura a tutta l'Europa, dopo millenni di guerre, una pace irreversibile.

Abbiamo avuto la fortuna di garantire ai nostri figli, e ai figli dei nostri figli, quei beni, quei valori, quelle speranze, che noi, da giovani, non avevamo conosciuto. E ne siamo orgogliosi. Ai giovani d’oggi, cresciuti in un’Italia libera, in un’Europa pacifica e unita, dico: non dimenticate mai gli ideali che ispirarono coloro che diedero la vita per voi. Possa la memoria dei sacrifici dei Padri della Repubblica rimanere viva, tramandata di generazione in generazione, guida e monito ad essere sempre vigili nella difesa della libertà riconquistata. Il ricordo di quei giorni ci fa guardare con fiducia al nostro futuro; ci fa sentire il dovere di essere uniti tutti nell'amore per la Patria italiana ed europea, uniti nell’orgoglio delle nostre grandi tradizioni di civiltà, uniti nell’impegno a contribuire al progresso e alla pace di tutti i popoli.

Viva la Resistenza.
Viva la Repubblica.
Viva l’Italia libera e unita.


Discorso pronunciato ieri dal Presidente della Repubblica a Roma in occasione delle celebrazioni per il 25 aprile

lunedì 25 aprile 2005

Se avessero vinto loro

di Furio Colombo

Se avessero vinto loro? Loro sono anche le brave persone che pensavano di combattere per l'onore dell'Italia. Loro sono anche i ragazzi che per l'avventuroso entusiasmo dell'età o per la disinformazione profonda o per l'indottrinamento subito si sono arruolati adolescenti o bambini nelle formazioni fasciste. Loro sono coloro a cui hanno messo in mano un'arma per uccidere i partigiani, detti "banditi" e condannati sempre alla pena di morte. Loro erano gli addetti ad arrestare gli ebrei - definiti per legge nemici - da consegnare da fedeli alleati ai tedeschi. Queste consegne sono sempre avvenute. Sono innumerevoli le testimonianze in proposito. Basti per tutti "Il libro della Memoria" di Liliana Picciotto Fargion, e "L'Olocausto italiano" di Susan Zuccotti, con i nomi, i luoghi, le circostanze di una fervida attività di rastrellamento e consegna degli ebrei italiani da parte di fascisti italiani.
A Milano, se entrate al pian terreno dell'immensa Stazione centrale, sul lato destro che si affaccia su Piazza Luigi di Savoia, vi fanno vedere il binario, tuttora intatto, tuttora collegato con Auschwitz, dal quale partivano i treni stipati di ebrei italiani. Tutto il servizio di arresto, raccolta, imprigionamento a San Vittore, attesa, trasporto in quel lato della Stazione, le lunghe file di adulti e bambini nella notte e nel gelo, la spinta dentro i vagoni, l'accurato lavoro di sigillare le porte dei vagoni-bestiame, era tutto italiano. Italiano di Salò. Italiano della Repubblica Sociale Italiana. Italiano a cura di coloro che avevano deciso di restare fedeli alleati dei nazisti e della loro macchina mortale.
Certo, molti non sapevano dove finiva quel binario. Molti potevano essere avvolti in una disorientante cecità selettiva che non permetteva loro di vedere e capire a quale mondo stavano dando una mano, e verso quale futuro essi stessi stavano andando.
Per questo diciamo: tutti sono cittadini a pieno titolo nel mondo della libertà. Ma quel mondo non ci sarebbe mai stato se avessero vinto loro. Loro e Hitler, loro e le camere a gas, loro e i forni di Auschwitz, loro e i morti impiccati ai lampioni di via Cernaia a Torino, loro e le stragi di Marzabotto e di Sant'Anna di Stazzema, loro e i torturatori di via Tasso, loro che consegnavano gli arrestati al comando germanico all'Hotel Regina di Milano.
Il rispetto per ogni libero essere umano, compresi coloro che si erano avviati sulla strada di un mondo fondato sui campi di sterminio, è un dovere di tutti, e un diritto di cui ciascuno è titolare, nel mondo della libertà.
Chi quel mondo di sterminio lo ha difeso fino all'ultimo, può dire che non sapeva e può persino essere creduto. Ma non deve dire di non sapere, oggi, di avere lavorato per Auschwitz, di avere dato forze e giovinezza a un universo di discriminazione, di sterminio, di morte. Adesso lo sappiamo, lo sanno anche coloro che hanno agito dentro la nebbia dell'indottrinamento di quella terribile fede di morte.
Adesso coloro che erano fascisti sanno che anch'essi sono stati liberati il 25 aprile. Sanno che il 25 aprile è già una festa di riconciliazione perché ha salvato tanti giovani fascisti dal destino tremendo di continuare a fornire di corpi umani ai campi di sterminio, di servire da guarnigione per le prigioni e i centri di tortura, e per occupare col terrore i Paesi d'Europa. È vero, i giovani fascisti di allora devono essere grati agli Americani, agli Inglesi, alla loro invasione di libertà. E dovrebbero non dimenticare 23 milioni di morti russi che hanno fatto da barriera, con i loro corpi alla vittoria nazista.
Però dedichino in questa giornata un pensiero anche ai partigiani che alcuni di essi hanno, in nome di un confuso onore dell'Italia, ucciso o tentato di uccidere. La loro lotta per tre inverni indicibili sulle montagne, per le strade dei nostri paesi e delle nostre città ha ridato a tutti gli italiani il vero onore che segna la nostra storia: quello di non essere dalla parte dei forni crematori, quello di non essere dalla parte di Auschwitz.
Se loro sanno, se lo capiscono (e non possono dire di non saperlo) allora potremo dire che siamo insieme in questo giorno di festa perché questa è la festa degli italiani liberi. E gli italiani, tutti, compresi i ferventi nostalgici, coloro che vorrebbero farci ricordare altre cose pur di non parlare della nostra liberazione italiana, dovrebbero riconoscere il 25 aprile come il giorno dello scampato pericolo. È il no definitivo della storia alla vita sotto il fascismo.

da l'Unità del 25/04/2005

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