Tribunale di Viterbo - Condannati i tre aggressori solo a tre anni e dieci mesi
Marian Pavel Caster, giovane ragazzo gay albanese, il 7 Novembre 2004 fu cosparso di benzina e bruciato vivo a Viterbo nella centralissima Piazza della Morte, ha riportato ustioni che hanno sfigurato l'ottanta percento del suo corpo.
La comunità gay fu fortemente scossa e dopo alcuni giorni furono rintracciati i tre aggressori Mukaj Erion, Voka Taulant e Gini Shkurt, anche loro albanesi e amici di Marian, confessarono di averlo aggredito perchè era gay e quindi non meritava di essere loro amico e di vivere.
I Pm Barili ed Elisabetta Centogambe da una pena richiesta di 21 anni di reclusione, hanno chiesto ed ottenuto una pena pari a tre anni e dieci mesi, tenendo in considerazione le attenuanti generiche e del patteggiamento.
"Tre anni e dieci mesi - dichiara Fabrizio Marrazzo, presidente Arcigay - Comitato provinciale di Roma e Consigliere Nazionale Arcigay - sono una pena irrisoria per un atto così violento di odio omofobo, sono un offessa per la comunità gay e per la vittima, come ha affermato anche il legale di Mariam , l'avv. Antonio Ranucci"
"Putroppo il nostro governo anche dopo le nostre sollecitazioni - continua Marrazzo - non si è voluto occupare dei diritti dei gay sia italiani che immigrati, ad esempio il ministero delle Pari Opportunità ha attivato il numero 800 90 10 10 contro il razzismo, ma tale numero non ha mai voluto supportare alcuni nostri soci doppiamente discriminati in quanto gay e immigrati. Un governo che ha messo tra i primi punti del suo programma la giustizia, ma non sì è mai interessato a definire delle leggi contro l'odio verso gli omossessuali, che in Italia contano oltre 200 vittime negli ultimi 10 anni, di cui la quasi totalità degli assassini è rimasto impunito"
Quindi, dato che il nostro governo in 5 anni non ha mai cercato di tutelare la nostra comunità, ci rivolgiamo alla Presidenza della Regione Lazio, che nel suo programma si è gia mostrata sensibile alle istanze della comunità gay, chiedendo di supportare la nostra comunita con:
- una legge regionale contro le discriminazioni per le persone omosessuali, come già fatto dalla Regione Toscana;
- un piano di informazione contro le discriminazioni multiple, gay-immigrati, gay-disabili, etc.;
- un piano di formazione contro le discriminazione per il personale URP della Regione Lazio e degli Enti da esso dipendenti, come già attuato dal Comune di Roma.
per far sì che almeno la Regione Lazio sia la Regione di tutti, nessuno escluso.
http://www.gaynews.it/view.php?ID=34834
venerdì 4 novembre 2005
Bruciato vivo perché gay
Telecinco nel mirino: troppy gay
"Alba", un settimanale cattolico, denuncia i serial TV nella spagna di Zapatero
di Gian Antonio Orighi
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MADRID I serial tv nella Spagna di Zapatero? "Sono contro la famiglia e a favore delle coppie omosessuali, diffondono più ideologia di un telegiornale - denuncia "Alba", l'unico settimanale cattolico in edicola nella sempre più liberal e laica "Piel de Toro" -. Riscuotono grande successo, ma i copioni brillanti nascondono un'interpretazione della vita e delle relazioni personali estranee ad un punto di vista cristiano". Il setttimanale, in un Paese ove ci sono 4 milioni di gay (un decimo della popolazione), prende in esame gli otto serial più seguiti delle prime tre tv nazionali: Telecinco , Antena 3 e la statale Tve-1. Ebbene, secondo "Alba", "le famiglie che vi appaiono non sono un esempio di felicità, mentre le coppie gay figurano come oasi di pace e di sensibilità". Delle otto serie, tutte in prime time, ben 4 sono trasmesse da Telecinco. Il j'accuse parte con "Aída" che narra la vita di una donna delle pulizie in un bar, le sue peripezie nel quartiere, i problemi dei suoi figli, amici e conoscenti. "Il programma si burla del cattolicesimo e della fede, la miglior amica della protagonista è una prostituta, i figli soffrono la precarietà affettiva", lamenta "Alba". C'è poi "Aquí no hay quien viva" la divertentissima vita in un condominio ove abitano prima una coppia gay, poi di gay e lesbiche con figlio. "Non c'è una sola coppia stabile, un solo matrimonio felice, una famiglia normale e il leader omosessuale impugna la bandiera della causa gay in ogni puntata", frusta il settimanale osservante. Se ancora non bastasse, ecco "Hospital Central", una copia di "ER". Anche qui la sede è un Pronto Soccorso, ma con la differenza che due dei protagonisti, la chirurga Maca e l'infermiera Esther, sono lesbiche. "Continuano gli stereotipi dei serial spagnoli: c'è chi dichiara la sua omosessualità, pregare ed andare in Chiesa non è di moda, ma lo è il sesso tra adolescenti", continua implacabile "Alba".
(La Stampa del 03/11/2005)
Matrimonio gay VIP in Spagna
Jesus Vazquez
Nozze vip nella comunita' omosessuale spagnola. Una delle star della tv, il presentatore Jesus Vazquez si e' sposato a Madrid con il fidanzato, Roberto Cortes, in una cerimonia officiata dalla portavoce socialista al Comune, Trinidad Jimenez.
Entrambi vestiti in jeans, camicia bianca e giacca scura, la coppia e' apparsa con un look molto glamour ai giornalisti che li attendevano all'uscita dell'edificio, in pieno centro. Vazquez presenta uno dei reality della tv spagnola, Operacion Triunfo. Secondo la Jimenez, "Roberto ha pianto tutto il tempo mentre Jesus tratteneva le lacrime".
Alla cerimonia ha assistito Pedro Zerolo, amico personale della coppia, anche lui appena convolato a nozze con il fidanzato, il quale ha detto che il matrimonio e' stato "una dichiarazione d'amore".
http://www.gaynews.it/view.php?ID=34826
giovedì 3 novembre 2005
"Ponte sullo stretto, vincerà Impregilo"
Telefonata intercettata prima dell'appalto: me l'ha detto Dell'Utri
Verifiche dei pm di Monza sulla conversazione tra il presidente della società e un amico economista vicino al deputato forzista
di LUCA FAZZO e FERRUCCIO SANSA
Panoramica dello stretto, con la costruzione simulata del Ponte
MILANO - "La gara per il ponte sullo Stretto la vincerà Impregilo". Quando i pm di Monza hanno letto i brogliacci delle intercettazioni telefoniche sono rimasti colpiti. Il colloquio intercettato infatti si svolge tra Paolo Savona - al momento dell'intercettazione presidente di Impregilo, una delle due cordate in gara per il ponte - e Carlo Pelanda, economista e amico di Savona. Una frase che ha sollevato l'attenzione degli inquirenti anche perché al telefono Pelanda sostiene di avere saputo da Marcello Dell'Utri del probabile esito della gara per l'appalto più costoso mai assegnato in Italia. Sarebbe stato il senatore di Forza Italia a dare assicurazioni in tal senso. In effetti, il 13 ottobre la gara è stata vinta da Impregilo.
La frase di Pelanda a Savona viene captata per caso. I microfoni degli investigatori stavano registrando le conversazioni telefoniche dei vertici di Impregilo (oggi rinnovati) nell'ambito di un'inchiesta per falso in bilancio e false comunicazioni sociali che si trascina da tempo, e nella quale sono indagati a vario titolo Paolo Savona e Pier Giorgio Romiti, figlio dell'ex presidente di Fiat. Il sostituto procuratore Walter Mapelli e il suo capo, il procuratore di Monza Antonio Pizzi, al ponte non ci pensano nemmeno. Ma, a partire dalla fine dell'estate, molte delle comunicazioni registrate iniziano a riguardare proprio la gara: sono le settimane decisive, è in gioco l'appalto del secolo, un'opera da 3,88 miliardi di euro. In lizza sono rimasti soltanto due concorrenti, dopo il ritiro delle cordate straniere: Impregilo e Astaldi.
Per entrambi i concorrenti è una partita decisiva. L'affare è colossale sia che il ponte venga costruito, ma anche (o soprattutto, come sostengono in molti) che resti sulla carta, visto che il contratto prevede una penale stratosferica in caso di recesso da parte dello Stato (il 10 per cento dell'importo totale, cioè 388 milioni, più le spese già affrontate dal general contractor) dopo la definitiva approvazione dell'opera prevista per il 2006. Così le telefonate, i contatti a tutti i livelli sono incessanti. Nulla, però, di penalmente rilevante.
Poi arriva quella telefonata che gli investigatori ascoltano e riascoltano. Che passano ai pubblici ministeri. Pizzi e Mapelli si consultano a lungo sul da farsi. E alla fine, nel corso di un interrogatorio di Paolo Savona, gli domandano: "Il professor Pelanda le ha detto che voi avreste vinto la gara per il ponte. Come faceva a saperlo? E Marcello Dell'Utri che cosa c'entra?". Savona risponde: "Era una legittima previsione: Pelanda mi stava spiegando che noi eravamo obiettivamente il concorrente più forte". I pm di Monza, tuttavia, sono convinti di avere in mano altri elementi per nutrire qualche dubbio sulla gara di aggiudicazione.
Paolo Savona e Carlo Pelanda (economista ed editorialista del Foglio e del Giornale) si conoscono da anni, hanno scritto libri insieme, niente di strano che si sentano e che parlino anche del Ponte. Ma Pelanda chiama in causa il suo amico Marcello Dell'Utri, senatore di Forza Italia, stretto collaboratore di Berlusconi. Anche Pelanda e Dell'Utri si conoscono: Pelanda è stato presidente dell'associazione "Il Buongoverno", fondata proprio dal senatore.
In Procura c'è molta cautela: non si vuole danneggiare Impregilo, la più grande impresa della zona, soprattutto adesso che i vertici coinvolti nell'inchiesta sono cambiati. Ma da quelle parole e dagli altri elementi raccolti, il procuratore Antonio Pizzi (già noto per essersi occupato delle inchieste sul Banco Ambrosiano e le Bestie di Satana) potrebbe decidere di avviare un'inchiesta per turbativa d'asta. E se questa inchiesta venisse aperta nel fascicolo potrebbe comparire anche un altro nome importante: quello dell'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che figura nei brogliacci delle intercettazioni per alcuni contatti con Pelanda. L'ex presidente e l'economista sono infatti in buoni rapporti. Pelanda è stato consigliere della Presidenza della Repubblica (mentre oggi risulta consulente del ministro della Difesa Antonio Martino).
A questo si riferiva lo stesso Cossiga quando, durante la puntata di Porta a Porta del 5 ottobre, ha rivelato: "Sono stato intercettato da un pm mentre parlo con un mio amico che brigava per ottenere gli appalti del Ponte".
(3 novembre 2005)
http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/economia/pontestretto/intercettazione/intercettazione.html
lunedì 31 ottobre 2005
Il dipendente del Consiglio
"Il presidente Silvio non voleva la guerra in Iraq ma Bush non gli ha dato retta.
Il presidente Silvio voleva sollevare l'economia ma gli imprenditori non hanno avuto fiducia in lui.
Il presidente Silvio non voleva leggi ad personam ma qualcuno le ha fatte di nascosto.
Il presidente Silvio non voleva toccare l'unità d'Italia ma la Lega lo ha fregato.
Il presidente Silvio voleva un posto nel consiglio di sicurezza all'Onu ma il Giappone gli è passato davanti.
Il presidente Silvio voleva un'informazione democratica e invece la stampa e la televisione sono finite in mano ai comunisti.
Il presidente Silvio voleva eliminare la mafia ma la mafia è risorta.
Il presidente Silvio voleva creare un dialogo ma l'opposizione non ha voluto.
Il presidente Silvio non voleva più Tremonti ma Tremonti è tornato.
Il presidente Silvio voleva risollevare l'immagine dell'Italia nel mondo ma il mondo è cattivo e ci sputtana.
Il presidente Silvio non voleva evitare i processi ma i processi hanno evitato lui.
Il presidente Silvio voleva tagliare le rendite parassitarie ma a sua insaputa hanno tolto l'Ici al Vaticano.
Il presidente Silvio non voleva più comprare nessuna società ma il fratello e la figlia lo hanno fatto senza dirglielo.
Il presidente Silvio non voleva che Previti andasse a offrire soldi agli avvocati ma Previti c'è andato lo stesso.
Il presidente Silvio non voleva la guerra in Iraq ma i suoi agenti hanno inventato il Nigergate.
Il presidente Silvio non voleva la guerra in Iraq ma il suo benzinaio lo ha minacciato.
Il presidente Silvio non voleva ricandidarsi ma lo hanno obbligato.
Il presidente Silvio non voleva toccare le tasche degli italiani ma qualcuno di nascosto ha fatto tre finanziarie in un mese.
Il presidente del consiglio o è un ipocrita, o non conta un c…o."
Di Stefano Benni (il lupo) .Tratto dal blog di Beppe Grillo: http://www.beppegrillo.it/
Prodi: "Il PACS non tocca il matrimonio, vedrò Ruini"
Il Professore annuncia sul libro di Vespa un prossimo incontro con il cardinale.
VEDRO' PRESTO CARDINALE RUINI Roma, 30 ott. - (Adnkronos) - ''Il riconoscimento delle conseguenze civili delle unioni di fatto non tocca in alcun modo l'istituto matrimoniale. Francamente, non vedo la differenza con quello che dice Rutelli. Francesco un giorno mi ha detto: 'non sarebbe meglio chiamarli contratti invece di patti?' Ho risposto: possiamo chiamarli come vogliamo, ma con la parola patti volevo proprio evitare di usare il termine contratto perche' e' quello che, anche nel catechismo, e' usato per definire il matrimonio. Per questo la parola patto mi sembrava piu' appropriata, ma non ne faccio certo una questione di terminologia''. E' quanto dice il leader dell'Unione Romano Prodi nell'ultimo libro di Bruno Vespa, 'Vincitori e vinti. Le stagioni dell'odio dalle leggi razziali a Prodi e Berlusconi'.
Prodi poi dice che ''non e' vero che ho rivisto il cardinal Ruini, ma penso di rivederlo presto''. ''L'articolo 29 che riconosce i diritti della famiglia come societa' naturale fondata sul matrimonio -sottolinea il professore- e' un pezzo fondamentale della nostra Costituzione. Io, inoltre, ritengo la famiglia il fondamento stesso della nostra societa'''.
http://www.gaynews.it/view.php?ID=34772
l'Avvenire attacca pesantemente la proposta del PACS
Il riconoscimento delle coppie di fatto cozza contro l'aspirazione al "per sempre", l'inclinazione più autentica
PER LEGAMI PRECARI
di Marina Corradi
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Nel gran rumore sui Patti civili di solidarietà seguito alla dichiarazione di Romano Prodi di voler inserire una regolamentazione giuridica delle coppie di fatto nel suo programma elettorale (due giorni dopo che l'Arcigay aveva preteso questa inclusione come conditio sine qua non per votare l'Unione) forse la cosa più impor-tante è passata in secondo piano. E vero, c'è in Italia un gran numero di coppie di fatto, anche e soprattutto non gay, in cui i diritti del singolo non sono tutelati. Per risolvere questi problemi però, come ha detto il cardinale Camillo Ruini, basterebbe il Codice civile, ed eventualmente norme ad hoc mirate a riconoscere particolari diritti soggettivi. Altra e tutt'altra cosa sarebbero dei Pacs sul modello francese o su quello del disegno di legge Grillini (Arcigay), sostanzialmente tendenti a creare un matrimonio intende contrarre quello vero. Il vero motivo dell'opposizione della Chiesa a questa prospettiva è in una dimensione educativa e antropologica. A fronte di migliaia di coppie che - spesso non solo per scelta, ma anche per difficoltà oggettive di costruire le condizioni per sposarsi, come trovare una casa idonea e un lavoro fisso - formano "unioni di fatto", si sceglie di fondare giuridicamente un "piccolo matrimonio", con alcuni diritti e garanzie, facile a rimuoversi, un contratto di solidarietà fra chi non possa o non voglia vin-colarsi a un impegno definitivo come è, in partenza, il matrimonio religioso o civile.
Ora, le leggi valgono non solo per chi c'è già, ma anche per chi verrà domani. E una legge di questo genere avrebbe una forte valenza di modello culturale per le nuove generazioni. Sarebbe anzi la "codificazione" di quell'individualismo già così fortemente radicato, nella cui logica si sta insieme finché va bene, finché dura, evitando quanto più possibile l'assunzione di impegni definitivi, e rimandando indefinitamente il momento della procreazione.
Il problema di fondo dunque è culturale: e attiene al modo, allo sguardo con cui si affronta la costruzione della propria vita. Il magistero cattolico, che indica come necessario, a fondamento dell'unione fra uomo e donna, il carattere perpetuo, la volontà di restare insieme per sempre condividendo intera-mente il reciproco destino, non ha un fine afflittivo, ma corrisponde in realtà al desiderio, all'ideale di qualunque coppia che si ami profondamente. Staremo insieme per sempre, si dicono i fidanzati, e non è illusorio romanticismo: è l'inclinazione più autentica dell'amore umano, il desiderare che non finisca, non si logori, e sempre si possa contare sulla comprensione e la solidarietà dell'altro. Ciò che si vuole, quando ci si ama, è un "per sempre", è la natura originaria del rapporto fra uomo e donna. La frequenza dei fallimenti di questa speranza testimonia del-la nostra incapacità, non della illusorietà della domanda. "Per sempre" è ciò che vorremmo per noi, e per i nostri figli, se siamo sinceri. Ma, codificare invece un altro "matrimonio", più piccolo, senza pretese, in cui ci si dica in fondo: finché dura, fin-ché si può, ci sosteniamo l'un l'altro, ecco questo è mettere accanto al matrimonio un altro modello culturale, è educare ad accontentarsi. Un po' di solidarietà, la reversibilità del contratto di affitto o del-la pensione, e un patto che si può sciogliere da un giorno all'altro semplicemente dicendo: ora basta. Codificare questo patto, è insegnare a chi ha vent'anni a desiderare poco. E un indurre a non giocarsi in un "per sempre" che pare sempre più rischioso e controcorrente. E che pure, nella sua idea di dedizione senza limiti di tempo, è anche la con-dizione ragionevole per avere dei figli, e non uno, ma di più. Perché i figli, quelli durano "per sempre". Non si accontentano di temporanee solidarietà. E ben difficile diventare madre, se oltre al lavoro e magari al contratto di affitto, anche il legame col padre del bambino appare precario. Almeno sull'altro bisogna poter contare "per sempre", per avere il coraggio di una famiglia. E dunque questi Pacs, che risolverebbero forse in parte delle situazioni contingenti, andrebbero a toccare le radici della famiglia vera. Che è quella che continua una società. «Meritano un posto nel cielo più alto coloro che continuano la civitas», scrisse Cicerone. Che non era cristiano, ma aveva bene in mente la necessità e il desiderio di continuare la vita del suo popolo. Ciò che oggi molti stanno dimenticando.
Di matrimonio ce n'è uno solo
DALLA "FAMILIARIS CONSORTIO" ALLA PROLUSIONE DEL CARDINALE RUINI: IL MAGISTERO DELLA CHIESA SULLE UNIONI DI FATTO. SÌ ALLA TUTELA DEI SOGGETTI ATTRAVERSO IL DIRITTO COMUNE, NO ALLE PSEUDO-NOZZE
di Pierluigi Fornari
Il Documento
La "Familiaris Consortio" è un'esortazione apostolica scritta da Giovanni Paolo Il nel 1981 e rivolta ai vescovi, al clero e ai fedeli «circa i compiti della famiglia cristiana nel mondo di oggi». Il grande tema annunciato in quell'occasione fu "Famiglia, diventa ciò che sei": un invito a prendere coscienza del proprio ruolo sia all'interno di se stessa, nel promuovere relazioni profondamente umane, sia all'esterno, nella società civile e nella politica.
LA PAROLA
"registri delle unioni civili" sono elenchi istituiti a partire dal 1996 presso gli uffici dell'anagrafe o dello stato civile di una ventina di Comuni italiani. Le coppie di fatto che vi si iscrivono ottengono un riconoscimento formale della propria esistenza. I registri sono attivi tra l'altro a Firenze, Bolzano, Ferrara, Arezzo, Pisa, Piombino... A tutt'oggi pochissime coppie, eterosessuali e omosessuali, si sono "registrate".
Un esempio di dittatura del relativismo? Il riconoscimento pubblico delle unioni di fatto, che conferisce loro uno statuto simile alla famiglia fondata sul matrimonio. Un esempio così concreto che in qualche modo trasforma la natura di un regime politico avviandolo verso il totalitarismo. Un documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ("Famiglia, matrimonio e 'unioni di fatto"', 21 novembre 2000), avverte, infatti, che «si tratterebbe di un uso arbitrario del potere che non contribuirebbe al bene comune, poiché la natura originaria del matrimonio e della famiglia precede e supera, in maniera assoluta e radicale, il potere sovrano dello Stato».
Già dal 1981 il magistero ecclesiale, con l'esortazione apostolica "Familiaris Consortio", ha preso posizione sui cosiddetti "matrimoni per esperimento" e "unioni libere di fatto". «Il Popolo di Dio si adoperi anche presso le pubbliche autorità affinché resistendo a queste tendenze disgregatrici della stessa società e dannose per la dignità, sicurezza e benessere dei singoli cittadini, si adoperino perché l'opinione pubblica non sia indotta a sottovalutare l'importanza istituzionale del matrimonio e della famiglia», ammoniva Giovanni Paolo II.
Grande attenzione veniva posta, però, come del resto la Chiesa non ha mai smesso di fare, alle difficoltà economiche, all'ignoranza e alla povertà, che in buona parte spiegavano il fenomeno. Ancora oggi in Italia, tali unioni oltre ad essere a livelli decisamente inferiori ad altri Paesi, come ha sottolineato il cardinale Camillo Ruini nella sua prolusione all'ultimo Consiglio permanente della Cei, sono in parte provocate da difficoltà oggettive a contrarre un matrimonio desiderato, oppure non vogliono nessun riconoscimento legale. Lo confermano le cifre minime delle iscrizioni ai "registri delle unioni civili" istituiti in qualche Comune.
Ma in questi anni, un'ideologia vecchia già di vari decenni, ha avuto diffusione di massa grazie al sostegno di potenti lobby e l'appoggio di buona parte dei media, amplificando la percezione sociale della rilevanza di tali unioni e del loro riconoscimento. Dunque la vera posta in gioco, come ha evidenziato ancora il presidente della Cei, è costituita da "implicazioni etiche, sociali e antropologiche".
Già nel 2000 il documento citato del Pontificio Consiglio per la Famiglia ha messo in luce come le unioni di fatto rappresentino un'alternativa culturale al matrimonio, visto come "violenza inammissibile al benessere personale" o perfino "la tomba dell'amore appassionato". Tale mentalità è stata forgiata - spiegava il documento dopo un lungo lavoro di approfondimento con esperti di tutto il dando - dal marxismo da pensatori Wilhelm Reich e Herbert Marcuse, da un certo femminismo radicalizzato ed estremista rappresentato da Margaret Sanger e da Simone de Beauvoir. E in fine dalla "Gender theory", sponsorizzata anche dall'Onu, secondo cui ogni persona dovrebbe scegliere a piacimento il suo orientamento sessuale (i generi sarebbero cinque, sette, o forse più). Infatti il fallimento storico della società comunitaria promessa dal marxismo ha esaltato all'ennesima potenza il nocciolo nascosto e più velenoso di quella ideologia: l'individualismo, cioè un'antropologia antagonista ("l'inferno è l'altro" ha affermato Jean Paul Sarte).
Perciò quando si pretende di dare un pubblico riconoscimento a un legame dichiaratamente e volutamente instabile (una contraddizione in termini) anche di natura eterosessuale, non si punta ad altro che a consacrare questa antropologia antagonista e relativista, e a demolire il riconoscimento conferito anche dal senso comune alla funzione sociale della famiglia. Non si tratta quindi di lotta a presunte discriminazioni, ma di una vera e propria rivoluzione culturale, perché non solo si vuole rendere sistematica l'instabilità delle relazioni, ma scardinare anche la naturale complementarità dei due sessi. E questo la preoccupante novità delle rivendicazioni del movimento gay, al di là di comportamenti che possono essersi verificati in qualsiasi epoca storica.
Il filosofo Stanislaw Grygiel ha coniato il termine "tautologia sessuale" per tale ideologia che nega il dialogo del maschile e del femminile. Ma è proprio la differenza sessuale ad aprire all'uomo la via verso quell'Alterità a cui non può non aspirare. «Se non vengono superate, le tautologie sessuali (omosessualità, lesbismo) sbarrano questa via - spiega Grygiel -. In esse l'uomo si smarrisce, perché il suo desiderio di essere altro viene deluso e spento». Del resto la psicoanalisi per decenni ha affermato che uno degli elementi del "principio di realtà" è il fatto che la generazione avvenga attraverso un rapporto tra sessi diversi, un antidoto alla ricorrente tentazione della onnipotenza. Dunque con la legalizzazione delle unioni di fatto non si riconoscono i diritti di una minoranza, ma si mette mano allo stesso "Dna", per così dire, della società umana.
In questo senso la Chiesa non è né oscurantista, né difende il passato, ma di fronte al disastro del marxismo propone una socialità, un'antropologia relazionale, che è così radicata da innervarsi nella primaria cellula della società, la famiglia, e nello stesso corpo dell'uomo e della donna. In questi anni il magistero non si è limitato ad attestarsi su una vecchia formulazione del diritto naturale, ma (come ha sottolineato un recente documento della Commissione teologica internazionale) dal Concilio in poi, in particolare con le catechesi di Giovanni Paolo II sul linguaggio del corpo, ha sviluppato l'antropologia biblica dell'"imago Dei". «L'eguale dignità delle persone - afferma un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla collaborazione dell'uomo e della donna - si realizza come complementarità fisica, psicologica ed ontologica, dando luogo a un'armonica "unidualità" relazionale, che solo il peccato e le "strutture di peccato" iscritte nella cultura hanno reso potenzialmente conflittuale. L'antropologia biblica suggerisce di affrontare con un approccio relazionale, non concorrenziale ne di rivalsa, quei problemi che a livello pubblico o privato coinvolgono la differenza di sesso». «Matrimonio e famiglia non sono (...) una costruzione sociologica casuale, frutto di particolari situazioni storiche ed economiche - ha ribadito Benedetto XVI nel discorso del 6 giugno scorso al convegno sulla famiglia della Diocesi di Roma. Al contrario, la questione del giusto rapporto tra l'uomo e la donna affonda le sue radici dentro l'essenza più profonda dell'essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui». E il Santo Padre ha aggiunto: «Il matrimonio come istituzione non è quindi una indebita ingerenza della società o dell'autorità, l'imposizione di una forma dal di fuori nella realtà più privata della vita; è invece esigenza intrinseca del patto dell'amore coniugale e della profondità della persona umana». Quindi le varie forme odierne di dissoluzione del matrimonio, come le unioni di fatto, il "matrimonio di prova" e lo pseudo-matrimonio tra persone dello stesso sesso «sono invece espressioni di una libertà anarchica, che si fa passare a torto per vera liberazione dell'uomo. Una tale pseudo-libertà si fonda su una banalizzazione del corpo, che inevitabilmente include la banalizzazione dell'uomo».
Il cardinale Ruini nella sua prolusione ha ricordato anche che la "Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita pubblica", redatto della Congregazione per la Dottrina della Fede (24 novembre 2002), annovera le unioni di fatto tra i «punti nodali nell'attuale dibattito culturale e politico», affermando che alla famiglia fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso «non possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali un riconoscimento legale». Del resto la stessa Congregazione, nelle "Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali" (3 giugno 2003), evidenzia: «Non è vera l'argomentazione secondo la quale il riconoscimento legale delle unioni omosessuali sarebbe necessario per evitare che i conviventi omosessuali perdano, per il semplice fatto della loro convivenza, l'effettivo riconoscimento dei diritti comuni che essi hanno in quanto persone e in quanto cittadini. In realtà, essi possono sempre ricorrere - come tutti i cittadini e a partire dalla loro autonomia privata - al diritto comune per tutelare situazioni giuridiche di reciproco interesse. Costituisce invece una grave ingiustizia sacrificare il bene comune e il retto diritto di famiglia allo scopo di ottenere dei beni che possono e debbono essere garantiti per vie non nocive per la generalità del corpo sociale».
E proprio alla "strada" del diritto comune ha fatto riferimento anche Ruini a riguardo di quelle unioni di fatto che abbiano desiderio o bisogno di dare una protezione giuridica ai loro rapporti: una strada, quella del diritto comune, «assai ampia e adattabile alle diverse situazioni». «Qualora emergessero alcune ulteriori esigenze, specifiche e realmente fondate - ha aggiunto il presidente della Cei - eventuali norme a loro tutela non dovrebbero comunque dar luogo a un modello legislativamente precostituito e tendere a configurare qualcosa di simile al matrimonio, ma rimanere invece nell'ambito dei diritti e doveri delle persone. Esse pertanto dovrebbero valere anche per convivenze non di indole affettivo-sessuale».
Il cardinale ha ricordato inoltre che la Costituzione nell'art. 29 «intende con univoca precisione la famiglia come "società naturale fondata sul matrimonio"». Principio ripetutamente confermato da sentenze della Corte Costituzionale, per le quali la convivenza more uxorio non può essere assimilata alla famiglia. Noncuranti di ciò, però, le proposte di legge presentate in Parlamento sul riconoscimento delle unioni di fatto prefigurano un "piccolo matrimonio". «Qualcosa - ha ammonito il Vicario del Papa per la diocesi di Roma - cioè di cui non vi è alcun reale bisogno e che produrrebbe un oscuramento della natura e del valore della famiglia e un gravissimo danno al popolo italiano». Perché il nostro Paese è afflitto già da un drammatico paradosso: la famiglia svolge un grandissimo ruolo sociale - determinante è il suo contributo nell'educazione dei figli - ma il sostegno pubblico è «molto minore, meno moderno e organico» di quello garantito da molti Paesi europei, «pur in presenza di una gravissima e persistente crisi della natalità che sta già provocando, e causerà assai di più in futuro, ingenti danni sociali». «Il sostegno alla famiglia legittima - ha concluso Ruini - dovrebbe essere dunque la prima e vera preoccupazione dei legislatori».
Pacs aII'italiana
RICONOSCIMENTO DELLE COPPIE DI FATTO: OTTO TESTI ALL'ESAME DELLA CAMERA
di Paola Abiuso
Sono decine le proposte di legge che in Italia si pongono l'obiettivo, in vario modo, di regolamentare le coppie di fatto. Un gruppo corposo giace in Commissione Giustizia della Camera, che ha iniziato a esaminarle l'8 luglio del 2004. Nello stesso mese furono escluse otto proposte che miravano a «estendere l'istituto del matrimonio anche alle coppie omosessuali o comunque a modificare sostanzialmente il diritto di famiglia». All'esame della Commissione, presieduta da Gaetano Pecorella, sono rimaste otto proposte che non parlano di matrimonio ma di Pacs (vedi box a parte), di cui due (Grillini e Moroni) menzionano esplicitamente l'estensione dei Pacs agli omosessuali, mentre le altre non lo escludono. Nel luglio 2004 il diessino Franco Grillini, presidente onorario dell'Arcigay, chiese un'indagine conoscitiva per verificare la consistenza numerica delle unioni di fatto. L'indagine è andata a rilento; nella seduta del 4 ottobre la Commissione Giustizia ha concordato sulla necessità di concluderla in tempi rapidi (in realtà si è registrata la dura opposizione del centrosinistra, ndr) e il presidente Pecorella ha suggerito che «avvicinandosi la legislatura al suo termine naturale», la Commissione si «pronunci sulla opportunità di proseguire l'esame del provvedimento in discussione».
L'iter prevede che la Commissione completi l'indagine conoscitiva e giunga a un testo unificato da proporre all'esame della Camera. Ma difficilmente i tempi tecnici della legislatura consentiranno di arrivare a questo passaggio. AI Senato i disegni di legge sulle convivenze sono quattro e l'esame non è iniziato per nessuno di questi.
LA PROPOSTA GRILLINI: I "PACSISTI" COME I CONIUGI
La proposta Grillini raccoglie 161 deputati del centrosinistra. Essa è rivolta alle coppie sia etero sia omosessuali, non invece a chi ha vincoli di parentela. In molti articoli si propone una equiparazione dei "pacsisti" ai coniugi. Negli articoli sull'assistenza sanitaria, c'è un passaggio ulteriore: i "pacsisti" vengono equiparati ai componenti delle coppie di fatto non legate dal Pacs.
Si prevede una modifica dello stato civile, con l'iscrizione in un registro, che diventa una sorta di riconoscimento pubblico della coppia.
Il contraente di un Pacs è erede legittimo alla stessa stregua di un coniuge.
FISCO E PREVIDENZA Il trattamento in vigore per le coppie sposate è uguale anche per chi ha sottoscritto un Pacs da almeno due anni.
I "pacsisti" sono equiparati ai coniugi in materia di decisione sul trapianto di organi e di assistenza ospedaliera. Queste previsioni sono estese alle coppie di fatto, dunque in assenza di Pacs.
Il Patto può essere sciolto anche unilateralmente. In caso di scioglimento, colui che riceve l'affidamento dei figli ha diritto ad abitare la casa familiare e a un assegno di mantenimento. La parte che versa in condizioni di povertà ha diritto a ricevere gli alimenti per due anni.
I TESTI ALLA CAMERA
* Proposta di legge numero 3296, primo firmatario Grillini con altri 161 deputati, "Disciplina del patto civile di solidarietà e delle unioni di fatto" presentata il 21 ottobre 2002. n. 795 Bellillo, "Disciplina dei patti di convivenza", 13 giugno 2001.
n. 4334 Rivolta e altri 37 deputati, "Disciplina del patto civile di solidarietà", presentata il 2 ottobre 2003.
'1' n. 4442 Buemi, "Disciplina delle unioni di fatto", 29 ottobre 2003.
n. 4585 Moroni, "Istituzione del patto civile di solidarietà e disciplina delle famiglie di fatto", presentata il 22 dicembre 2003
n. 4588 Consiglio regionale della Toscana, "Disciplina delle unioni di fatto", presentata il 29 dicembre 2003. 4 n. 5153 Strano, "Modifiche al Codice civile concernenti l'introduzione del patto civile di solidarietà", 15 luglio 2004.
n. 5321 Titti De Simone con altri 9 deputati, "Disciplina delle unioni di fatto", presentata 1'1 ottobre 2004.
I TESTI AL SENATO
* n. 47 Cortiana, "Normativa sulle unioni civili", presentata il 16 ottobre 2001.
n. 305 Malabarba, "Disciplina delle unioni civili", presentata il 2 aprile 2002.
n. 3134 Biscardini, "Disciplina delle unioni di fatto", presentata il 5 ottobre 2004.
n. 3534 Angius , "Disciplina del patto civile di solidarietà e delle unioni di fatto", presentata il 7 luglio 2005 e sostanzialmente analoga alla proposta Grillini all'esame alla Camera.
CONVIVENTI, ECCO LE TUTELE GIÀ PREVISTE DALLA LEGGE
E' proprio vero che due persone che convivono senza essere sposate non dispongono di alcuna tutela? In realtà le cose non stanno proprio così, e l'aveva già indicato il cardinale Ruini aprendo il 19 settembre il Consiglio permanente della Cei: «Per quelle unioni che abbiano desiderio o bisogno di dare una protezione giuridica ai rapporti reciproci esiste anzitutto la strada del diritto comune, assai ampia e adattabile alle diverse situazioni». In effetti, l'unione non fondata sul matrimonio ha rilievo a vario titolo nell'ordinamento italiano.
In materia di edilizia residenziale pubblica, ad esempio, la legge 513 del 1977 include «i conviventi in forma continuativa a qualunque titolo» tra gli appartenenti al nucleo familiare del-l'assegnatario di un alloggio. La legge 40 sulla fecondazione assistita prevede l'accesso alla "tecniche" da parte di «coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi (...)». Un lavoratore ha diritto a un permesso retribuito in caso di decesso o grave infermità del coniuge o di un parente entro il secondo grado o del convivente (legge 53 del 2000).
In ambito penalistico, l'articolo 199 prevede la facoltà di astenersi dal deporre in giudizio per chi «pur non essendo coniuge dell'imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso». Anche la giurisprudenza assegna rilevanza alle unioni di fatto. Ad esempio, ci sono state diverse decisioni con le quali si è affermato che il convivente subentra nell'affitto sia in caso di morte del titolare del contratto sia nell'ipotesi che la convivenza sia terminata e vi siano però figli.
«NELLA COSTITUZIONE UNA SOLA FAMIGLIA»
IL PROFESSOR MARANO: SBAGLIATO IMITARE I PAESI STRANIERI.
NO ALLA EQUIPARAZIONE TRA CONVIVENTI E SPOSI
di Angelo Picariello
"Non si tratta di riproporre un'inutile e fuorviante contrapposizione fra laici e cattolici. Siamo di fronte invece a due diverse concezioni egualmente "laiche" del matrimonio, della famiglia e delle relazioni affettive». Venerando Marano, professore associato di Diritto ecclesiastico all'Università di Foggia - e autore del recentissimo libro "Le unioni di fatto", editore Giuffré - sgombra il campo da uno degli argomenti più gettonati per sostenere la regolamentazione delle coppie di fatto e i cosiddetti Pacs, i Patti civili di convivenza e solidarietà. «Anche i recenti interventi della Chiesa in materia argomentano non tanto in chiave teologica, quanto a partire dalla cosiddetta "recta ratio", in base alla quale le scelte di politica legislativa non possono "fare astrazione dei principi fondamentali della verità sulla persona umana"».
Un argomento molto forte, che esamina anche lei nel suo libro, è questo: come si può chiedere allo Stato di prendere impegni con una coppia che ha liberamente scelto di non prenderne alcuno?
E una delle obiezioni ricorrenti nel dibattito, anche se riguarda solo una parte della fenomenologia delle unioni di fatto, quella costituita da chi "potrebbe ma non vuole", e non anche quell'altra che ha degli impedimenti a contrarre un vincolo matrimoniale. Ma non vi è dubbio che una gran parte delle coppie di fatto sostiene di non essere interessata ad alcuna forma alternativa di legalizzazione del vincolo, proprio per evitare il paradosso di invocare l'intervento dello Stato per regolamentare una scelta di libertà.
D'altronde se una serie di previsioni riferite al matrimonio venisse attribuite anche ad altri rapporti, non ne discenderebbe un sostanziale svilimento della scelta matrimoniale?
In realtà non si può ignorare che solo la famiglia fondata sul matrimonio trova esplicito e specifico riconoscimento nella nostra Carta costituzionale. Questo chiaro "favor familiare" non esclude la possibilità di individuare alcuni rapporti connessi alla convivenza di tipo matrimoniale che presentino una propria rilevanza e un'autonoma giustificazione, ad esempio in materia di successione nella locazione, di mantenimento dell'abitazione, di assistenza e rappresentanza degli interessi in caso di malattia o morte, di risarcimento del danno in caso di morte del convivente causata da illecito altrui. Tuttavia, l'eventuale regolamentazione di questi aspetti non dovrebbe comportare un'equiparazione - formale o sostanziale, esplicita o implicita - della convivenza al rapporto coniugale, quale potrebbe derivare dall'approvazione di alcune proposte di legge attualmente all'esame del Parlamento. Situazioni diverse, quali da un Iato la famiglia fondata sul matrimonio e dall'altro le molteplici esperienze riunite nella categoria eterogenea delle unioni di fatto, non consentono una disciplina analoga se non al prezzo di una forzata assimilazione, che ignora la specifica identità del matrimonio e della famiglia o pretende di superarla in nome di una pretesa pluralità dei "modelli" familiari (e non solo delle relazioni affettive). Forse è proprio questo il vero obiettivo.
In effetti talune proposte, ancor prima che rispondere a esigenze concrete, sembrano perseguire un obiettivo di carattere simbolico e culturale, cioè il riconoscimento pubblico del valore di queste forme di convivenza.
Ma se risulta preclusa la strada del riconoscimento pubblico resta comunque perseguibile la strada del diritto privato?
Questa strada è da esplorare, nella ricerca di soluzioni condivise in grado di corrispondere meglio alla specificità dell'esperienza italiana, evitando di recepire in modo acritico modelli adottati in altri Paesi europei che non sembrano adeguatamente rispondenti al nostro sistema costituzionale, alla nostra tradizione culturale e sensibilità sociale.
CHI E
Venerando Marano è professore associato di Diritto ecclesiastico alla la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Foggia. E autore di numerose pubblicazioni dedicate all'esame della disciplina del fenomeno religioso nell'esperienza giuridica contemporanea. Fra i suoi lavori monografici più recenti, si segnalano quello su "Il fenomeno associativo nell'ordinamento ecclesiale" (Giuffré ed., 2003) e su "Le unioni di fatto. Esperienza giuridica secolare e insegnamento della Chiesa" (Giuffrè ed., 2005).
http://www.gaynews.it/view.php?ID=34777