Una risposta al "Non voto" ecclesiastico
ROMA, 14 GIU - Un invito a non devolvere l'8 per mille del proprio reddito alla Chiesa cattolica, per rispondere alla mobilitazione ecclesiastica a favore del non voto. Questa la risposta di Controparola, l'associazione di scrittrici e giornaliste che si e' battuta per il 'si'' al referendum sulla procreazione, alla vittoria di ieri del partito del non voto.
Un invito rivolto ''a tutte le cittadine e i cittadini'', si legge in una nota, per protestare ''contro la crociata delle gerarchie cattoliche per l'astensione''; ''contro la pesante ingerenza della Curia nell'ordinamento dello Stato''; ''contro l'indifferenza della Chiesa per la salute della donna, per il suo legittimo desiderio di essere madre e di mettere al mondo figli sani''; ''contro l'antica avversione del Vaticano per la ricerca scientifica''.
A firmare l'appello, in particolare, Maria Rosa Cutrufelli, Elena Doni, Paola Gaglianone, Elena Gianini Belotti, Lia Levi, Dacia Maraini, Maria Serena Palieri, Nadia Pizzuti, Loredana Rotondo, Marina Saba, Cristiana di San Marzano, Mirella Serri, Giuliana Sgrena, Simona Tagliaventi e Chiara Valentini.
''Quella di non devolvere l'8 per mille alla Chiesa - ha ricordato Elena Doni - e' un'idea che ci era gia' venuta all' epoca degli stupri etnici in Bosnia, quando dalle gerarchie ecclesiastiche era giunto l'invito alle donne violentate a non abortire. E oggi abbiamo pensato di riproporla''.
Ma si tratta di un'idea che ha gia' cominciato a circolare anche su internet, con catene di e-mail avviate da singoli cittadini, e di cui si fa portavoce anche, in particolare, l' Associazione Mammeonline. ''Dopo i risultati del referendum - scrive la presidente dell'associazione Donatella Caione - arrivano a centinaia le adesioni delle coppie infertili alla proposta, nata spontaneamente su internet, di negare la destinazione dell'8 per mille alla Chiesa cattolica, ormai autorelegata al ruolo di partito politico. Proprio nei giorni in cui si definisco le dichiarazioni dei redditi, questa e' la prima risposta alla delusione per il mancato raggiungimento del quorum''. ''E' stata una prima reazione spontanea nella nostra comunita' on line sul sito mammeonline.net - spiega Catone - ma che si sta diffondendo anche in altri forum sulla rete''.
http://www.gaynews.it/view.php?ID=32708
mercoledì 15 giugno 2005
Controparola: Non diamo l'8 per mille alla Chiesa Cattolica
L'Opa del Cavaliere sulla Margherita
di CURZIO MALTESE
L'INVITO di Berlusconi alla Margherita a cambiare casacca e indossare la livrea del centrodestra è già stato liquidato dal coro sprezzante dei destinatari come una sciocchezza, un colpo di sole o un gesto patetico. Quindi non meriterebbe ulteriori commenti, se non fosse un segnale della campagna elettorale che ci attende e del declino politico in corso. S'è già capito insomma che nei prossimi dieci mesi Berlusconi le proverà davvero tutte pur di mantenere il potere, al solito. Ed è chiaro ormai che il centrosinistra le proverà tutte pur di perdere. Neppure questa è una novità. Se dobbiamo credere ai sondaggi, gli opposti ma altrettanto titanici sforzi finora non sono serviti a nulla.
Il coma elettorale del berlusconismo sembra irreversibile e anzi si aggrava con l'avanzare della recessione economica. Ma chissà che, dài e dài, non si riesca a riesumare il cadavere.
La sortita nel campo nemico di Berlusconi, nel suo ruvido qualunquismo, ha costretto la Margherita a un'orgogliosa levata di scudi ulivista e dunque non è parsa una gran mossa. Il premier avrebbe fatto meglio a tacere, come prima del voto referendario. Ma la trovata ha almeno il merito di dar voce a una tentazione nascosta del quadro politico, all'antica voglia di palude trasformista che il fallimento dei referendum ha materializzato di colpo. Dopo un decennio di faticoso maggioritario, il ceto politico è già stanco di responsabilità e rimpiange appunto la vecchia palude centristra dove tutto si tiene.
Berlusconi ha fiutato l'aria e traduce la tentazione in una specie di Opa politica, una pubblica offerta d'acquisto del nemico di ieri. Non importa se per farlo deve inventarsi moderato, chiedere magari a Casini di candidarsi al posto suo e negare in definitiva quattro anni di governo all'insegna dell'estremismo, dell'asse con la Lega e dello stravolgimento costituzionale.
Naturalmente il personaggio è immune allo scrupolo morale. Per lui il moderatismo è una merce che si può comprare dall'oggi al domani. Ma come sempre il cinismo di Berlusconi mette allo scoperto la mancanza di saldi principi e forti identità nello schieramento avversario. Ed è in fondo a questo che davvero mira con il paradossale invito.
La questione è sempre la stessa: che cosa tiene insieme il centrosinistra? Quali valori, quale modello? Da dieci anni la risposta non si trova. All'avventura scellerata del berlusconismo il centrosinistra ha saputo oppore ragioni critiche efficaci e giuste ma mai una visione davvero alternativa della società. I problemi sono stati ogni volta altri, la leadership anzitutto, la formula dell'alleanza, i nomi, i rapporti fra partiti. Non esiste in Europa una sinistra così amletica. La nostra ogni sei mesi cambia modello straniero, una volta è il laburismo alla Blair, un'altra la socialdemocrazia di Schroeder, per alcuni dovrebbe essere il socialismo laico di Zapatero. Ma intanto gli altri sono e i nostri vogliono sembrare. L'Ulivo, ch'era il nocciolo di una possibile identità unitaria della sinistra italiana, fu assassinato nella culla e ancora adesso stenta a rinascere.
Lo spettacolo ultimo dato dall'opposizione prima e dopo il referendum è imbarazzante. Certo è difficile non dar ragione al professor Parisi quando s'indigna per i festeggiamenti dei rutelliani. Un'astensione del 75 per cento non può essere occasione di giubilo o di giubileo anticipato. Di più, con la conferma della legge 40 l'Italia diventa l'unica nazione al mondo dov'è proibita la ricerca sulle cellule staminali, a parte un pugno di nazioni dove vige la legge coranica e il Costarica. Che cosa c'è allora da festeggiare?
Eppure i toni, l'atteggiamento, gli argomenti con cui i prodiani hanno commentato l'invito di Berlusconi a Rutelli suonano eccessivi, vendicativi e un po' paranoici. Sembra quasi che si augurino davvero il voltagabbana dei margheriti per poi poter gridare al tradimento. Possibile che Prodi e Parisi non si rendano conto che il problema dell'alleanza è la debole identità politica e non il "tradimento" di questo o quello, ieri Bertinotti e D'Alema, oggi Rutelli o Mastella? Quanto tempo dobbiamo perdere ancora, oltre gli anni di Berlusconi, perché la classe dirigente capisca che la crisi italiana è troppo seria per ridurre la politica a un conflitto di personalità?
(15 giugno 2005)
http://www.repubblica.it/2005/f/sezioni/politica/nuovacdl2/opacav/opacav.html
martedì 14 giugno 2005
L'astensione? Il disinteresse ha vinto su tutto
Hanno pesato poco scelte politiche o religiose, ha prevalso la difficoltà di comprensione. Anche nel centrosinistra
Lo evidenziano già i dati sull'afflusso alle urne. E lo confermano i risultati del sondaggio. Gli astenuti sono presenti « trasversalmente » in tutte le categorie socio anagrafiche. Vi sono, com'era ragionevole aspettarsi, differenze in relazione all'orientamento politico.
Ma, ha finito con l'astenersi anche la maggioranza assoluta degli elettori diessini. E, naturalmente, quella di chi dichiara di non sapere cosa votare alle prossime elezioni. Ovviamente, la quota di astenuti è massima ( 80%) nel sottogruppo che dichiara di recarsi a Messa una o più volte alla settimana. Ma essa supera il 60% anche tra chi afferma di non frequentare mai le funzioni religiose. Insomma, al di là dei suoi risvolti politici e ideologici, la consultazione di domenica e lunedì ha confermato il rilievo dei due fenomeni che più sembrano contraddistinguere oggi lo scenario politico ed elettorale.
1) La frattura territoriale. Le regioni del nord si sono recate alle urne in misura grossomodo doppia di quanto è accaduto al sud. Il motivo sta, ovviamente, in un modo diverso di concepire le scelte politiche. L'esistenza di « culture civiche » differenti è stata evidente sin dai tempi del primo referendum istituzionale, nel 1946. Ma, come ha sottolineato Ilvo Diamanti, la differenziazione territoriale delle modalità di voto si è andata in qualche modo accentuando in quest'ultimo periodo.
2) Il progressivo disinteresse, la « smobilitazione » di una parte di elettorato. Come si sa, i partiti tradizionali funzionavano da « facili tatori » delle scelte elettorali e degli orientamenti politici. Chi non poteva o voleva informarsi in dettaglio sulle varie questioni, faceva, più o meno consapevolmente, riferimento alle posizioni del partito cui si sentiva più vicino. Con la scomparsa delle ideologie tradizionali, questa funzione è venuta meno. Alcuni, pochi, si sono in qualche modo « arrangiati » documentandosi da soli sulle varie te matiche. Altri, la maggioranza, hanno ritenuto preferibile allontanarsi e disinteressarsi del dibattito politico. Rinunciando spesso a votare. Specie nei referendum.
Poiché in questi ultimi si è spesso chiamati a pronunciarsi su argomenti ritenuti, a torto o a ragione, troppo complessi o settoriali.
Dunque, buona parte del l'astensione rilevata in questo referendum è motivata non tanto da una scelta politica o religiosa, quanto dal rifiuto o dalla difficoltà di approfondire troppo la questione. E dalla correlata convinzione che, come ci ha detto, spazientito, un intervistato « i parlamentari sono pagati apposta per fare le leggi. Che l'aggiustassero loro una cosa così complicata » .
Tra i nostri intervistati, il 35% ha dichiarato, già la mattina della domenica, che non si sarebbe recato a votare. Tra i restanti, una parte ( grossomodo il 20%) era deciso viceversa a recarsi alle urne.
Gli altri si definivano invece indecisi. La gran parte di costoro, come si sa, non è poi andata a vota re. Li abbiamo denominati astensionisti « aggiuntivi » , poiché non avevano deciso ( o non avevano voluto dichiarare) il loro comportamento già all'inizio della consultazione. Si tratta di elettori diversi dagli astenuti « convinti » . Lo si vede dalle motivazioni al non voto, ove prevale per costoro l'argomento: « Sono talmente indeciso da preferire forse non votare » . Questo astensionismo « aggiuntivo » pare insomma suggerito più da disinteresse o difficoltà di comprensione, che da scelta « politica » vera e propria. Per questo l'astensionismo « aggiuntivo » è assai più diffuso nelle categorie poco o per nulla coinvolte dalla campagna per l'astensione. Come coloro che si recano poco o mai alla Messa, oppure votano per i partiti del centrosinistra. Tra questi ultimi gli astensionisti aggiuntivi costituiscono addirittura la maggioranza.
Insomma, l'apporto politico all'astensione da parte della Chiesa e dei partiti che l'hanno auspicata è stato solo una componente del risultato, valutabile in meno della metà delle astensioni ( 36% dell'elettorato). Il resto, in modo relativamente « trasversale » alle varie forze politiche, è costituito da coloro che hanno trovato troppo difficili — e troppo impegnativi — i quesiti e che, in generale, si interessano poco alla politica. Si tratta del segmento composto dagli elettori cosiddetti « lontani » , di cui si è discusso ancora di recente nel dibattito sull'esistenza di un centro « consapevole » .
In definitiva il connotato caratterizzante questo voto non è prevalentemente quello politico, ma quello del disinteresse e della disinformazione, che, peraltro, avevano caratterizzato anche diversi referendum del passato. Un quadro assolutamente differente dal 1974. Anche a quel tempo la Chiesa si mobilitò contro il divorzio.
Ma la questione era assai più semplice da comprendere e specialmente, funzionava il facilitatore costituito dalle forze politiche.
Di RENATO MANNHEIMER
Corriere della Sera 14-06-2005
http://brunik.altervista.org/20050614062448.html
Medici, pazienti e scienziati "L'Italia pagherà un prezzo alto. Ora all'estero per cure e ricerca"
Parte la caccia via internet ai centri oltre frontiera
E-mail di rabbia sui siti che hanno difeso il Sì
di MARIA NOVELLA DE LUCA
ROMA - Dopo la delusione la fuga. Se ne andranno le coppie in cerca di un figlio, se ne andranno i ricercatori a cui è vietato indagare sulle cellule dell'embrione. L'Italia degli sconfitti si organizza: medici, pazienti, scienziati, oltre frontiera è tutto pronto, basta entrare in Rete, chiedere consiglio alle associazioni, e tentare altrove ciò che in Italia è proibito. "Altrove" significa anche vicino, vicinissimo, la Svizzera, la Slovenia, la Spagna, l'Inghilterra, i centri esteri offrono convenzioni, prezzi sempre migliori, tecnologia d'avanguardia.
"Il nostro sito è inondato di messaggi di coppie disperate e piene di rabbia - racconta Federica Casadei, presidente di Cerco un bimbo - il senso collettivo è che a noi è stato rubato il futuro. Molte donne cattoliche annunciano che d'ora in poi non daranno più l'8 per mille alla Chiesa, in due ore oltre 500 messaggi. La sconfitta c'è, è sulla nostra pelle, ma anche la voglia di reagire: il numero di chi emigrerà per avere un bambino crescerà a dismisura. E con noi emigreranno anche i ginecologi, molti già lavorano fuori, anzi le coppie italiane "punite" dalla legge 40 rappresenteranno un enorme business dell'Europa globalizzata. La verità è che in questo referendum è mancato il voto dei giovani, e anche delle donne giovani, del tutto ignare di cosa vuol dire autodeterminazione femminile".
E la legge 40, sottolinea Filomena Gallo di Amica cicogna "divide di nuovo i ricchi dai poveri, i più forti dai più deboli", perché non tutti avranno soldi, tempo e forza per affrontare in un paese sconosciuto l'iter, difficilissimo, della procreazione assistita. È chiaro infatti che i tempi saranno lunghi. Che ben difficilmente il parlamento modificherà una legge così saldamente difesa. Ma a pagarne il prezzo non saranno soltanto le coppie infertili, i malati, i portatori di malattie genetiche.
Sarà anche " la scienza italiana a pagare un prezzo molto alto a cominciare dal ritardo che inevitabilmente accumuleremo nella ricerca sulle cellule staminali embrionali". Lo afferma con amarezza Carlo Flamigni, il padre della procreazione assistita in Italia, sostenendo che non pochi "ricercatori potrebbero decidere di lasciare il nostro Paese per continuare i propri studi all'estero". All'Italia toccherà "importare" le scoperte di paesi più liberali.
"In presenza di risultati positivi delle ricerche sulle staminali embrionali, in qualunque paese ciò accada, questi verranno immediatamente resi noti, ma il grande paradosso sarà che l'Italia sarà allora costretta ad acquistare i brevetti di ciò che altri hanno scoperto, perché messi in grado di ricercare e lavorare in questa direzione. Chi, malato o parente di un malato, rinuncerebbe infatti ad una terapia salva-vita?".
"Siamo al Medioevo della ricerca - rilancia ancor più deciso l'immunologo Ferdinando Aiuti - il mio invito è rivolto ai giovani ricercatori: affrettatevi a lasciare l'Italia". Il farmacologo Silvio Garattini prova a fare autocritica. "Forse noi scienziati non abbiamo fatto abbastanza per far comprendere l'importanza di questo referendum". Cupo il commento dell'astrofisica Margherita Hack, che teme ora una crociata contro l'aborto. "Se l'embrione ha l'anima, se i diritti dell'embrione sono equiparati a quelli delle persone adulte, figuriamoci il feto. Siamo soltanto all'inizio...".
(14 giugno 2005)
http://www.repubblica.it/2005/f/sezioni/politica/dossifeconda7/scienzest/scienzest.html
Le ragioni del naufragio laico
di EZIO MAURO
IL risultato del referendum non è solo una sconfitta: è il naufragio di un'Italia laica che si proponeva di cambiare una legge ideologica, per regolare poi diversamente in Parlamento la materia della fecondazione assistita. Questo era il senso della chiamata alle urne, fuori dagli schieramenti, dagli integralismi, dalla retorica apocalittica che ha trasformato assurdamente il voto in uno scontro di civiltà. Le urne sono rimaste deserte. Chi ha trasformato il confronto in uno scontro tutto italiano tra il Bene e il Male, ha poi chiesto ai difensori del Bene di non scendere in campo, per mandare a vuoto la battaglia. Non sappiamo dunque chi sarebbe prevalso, in uno scontro aperto di valori contrapposti, tra il "sì" e il "no". Un dato solo è certo: ha perso chi (come questo giornale) voleva cambiare la legge. Ha vinto chi voleva conservarla e per prevalere ha affondato con ciò che resta del laicismo anche il vecchio istituto del referendum, che per molto tempo scomparirà dalla scena italiana.
Molto era prevedibile, in questa vicenda, tutto era stato annunciato. Proviamo a vedere come, quando e perché. Passata in minoranza, per ammissione dei vescovi, nel Paese "naturalmente cristiano", la Chiesa italiana negli ultimi dieci anni ha preso coscienza di trovarsi "in una terra di missione" e dunque ha deciso di impegnarsi "a rievangelizzare una società che è stata colpita da una vera amnesia della sua storia e della sua identità cristiana". Da qui, un cambio non soltanto di metodo e di strategia, ma di sostanza. La Chiesa, come dice Ruini, "non fa più leva su un soggetto politico di riferimento, ma sui contenuti", dunque agisce politicamente alla luce del sole, senza mediazione. La si "vede" cioè far politica, senza lo scudo dc, che tra le altre cose serviva evidentemente anche a questo.
Fuori dal corridoio protetto in cui scambiavano il partito-Stato democristiano (con le sue autonomie, e le sue obbedienze) e la Curia, nel mondo scoperto di oggi la Chiesa passa da essere tutto a essere parte, in una sorta di moderna "lobbizzazione" che la porta a competere nel confronto politico-culturale come una grande agenzia di valori e di tradizioni, in competizione e in concorrenza con le agenzie che già occupavano il mercato.
Non riuscendo più a parlare all'insieme maggioritario della società, la Chiesa italiana si rivolge alle sue parti sensibili, prima fra tutti la politica che legifera muovendosi tra interessi legittimi e valori di riferimento, e che ha in mano le cinque leve dell'organizzazione sociale che nel febbraio 2001 il Cardinale Segretario di Stato fissò come essenziali per giudicare dal Vaticano la politica italiana: si tratta delle leggi "sulla vita, la famiglia, la gioventù, la libertà scolastica, la solidarietà".
Davanti a sé la Chiesa ha trovato i partiti della Seconda Repubblica, tutti nati o trasformati nel corso dell'ultimo decennio, senza un deposito di storia e di tradizione, un portato di valori consolidati a cui far riferimento. Una politica dove molto è prassi, tutto è contemporaneo, l'identità è incerta. A sinistra, per la tragica eredità del comunismo, la tradizione è inservibile, come se fosse tutta radioattiva. Nel nuovismo, non mancano solo i nomi, ma anche i riferimenti culturali della sinistra europea moderna e risolta, e dunque la battaglia delle idee diventa insicura, senza visione e senza certezza, con il rischio di essere in ogni momento gregaria delle mode culturali dominanti. A destra, il berlusconismo ha fallito l'unica vera ricerca dell'immortalità, che non sta nelle ricette antirughe del dottor Scapagnini, ma nel progetto di dare alla destra una moderna cultura conservatrice in un Paese che non l'ha mai avuta, democristiano com'era.
In questo quadro, arriva il Dio italiano predicato dalla Cei, una sorta di via italiana al cattolicesimo che non c'era mai stata, nella nazione della "totalità" democristiana e della surroga papale. Fatalmente, o almeno facilmente, la Chiesa a questo punto viene vista da una parte del mondo politico come l'ultima e l'unica agenzia di valori perenni e universali dopo la morte delle ideologie terrene del Novecento e il deperimento fisico delle storie politiche che le avevano incarnate. Dall'altro lato, Chiesa e Vaticano vedono l'Italia improvvisamente come un gregge senza guida e senza rotta, soprattutto senza più idee forti, incapace di tradurre la laicità dello Stato in uno spirito repubblicano libero e autonomo: il terreno ideale per sperimentare - ed è la prima volta in cinquant'anni - una sorta di "protettorato dei valori", l'esercizio di un potere non più temporale ma culturale della Chiesa.
Due elementi in più rafforzano questo quadro. Da un lato, come fa notare Habermas, il ritorno in tutta Europa della religione dal dialogo privato al dibattito pubblico, un ritorno che prende in contropiede il laicismo e che papa Ratzinger aveva già annunciato da cardinale, negando che il cattolicesimo sia solo un sentimento privato: "È una verità proclamata in ambito pubblico, che pone per la società delle norme e che, in una certa misura, è vincolante anche per lo Stato e per i potenti di questo mondo". Dall'altro lato, l'avanzare nel nostro Paese di quel nuovo soggetto che tre anni fa ho chiamato "lo strano cristiano", l'ateo clericale che cerca di saldare la destra politica italiana ad un pensiero forte che non ha, e lo trova nel deposito di tradizione della Chiesa, ignorando sia i suoi comandamenti che la sua trascendenza che la sua predicazione sociale, cavalcando però la sua legge morale tradotta in norma, come creatrice di un'identità collettiva e di una società del Bene.
È il rifiuto della distinzione tra la legge del Creatore e la legge delle creature, che sta a fondamento di ogni moderna concezione della laicità. È il rifiuto ratzingeriano del relativismo tradotto dal linguaggio culturale nel linguaggio politico, persino legislativo: superando l'idea del Parlamento come luogo dove le leggi si fanno con l'unica regola della maggioranza, e dove ogni verità è parziale, come ogni credo in democrazia. Al fondo, c'è la denuncia della nuova religione europea del "politicamente corretto", dell'adorazione "pagana" per i diritti subentrati ai valori, del cuore socialdemocratico del Novecento che ha messo per troppo tempo in circolo lo statalismo e la laicità, mentre la nuova cultura cristiana di destra è la vera interprete di un senso comune del post-moderno.
È l'idea di Ruini del cristianesimo come seconda "natura" italiana: che può dunque essere trasgredito e rinnegato solo da leggi in qualche modo contro natura, quindi contestabili alla radice.
Ecco il quadro in cui è nata non la legge sulla fecondazione artificiale, ma "questa" legge, che ha un valore ideologico e di bandiera ben superiore al valore d'uso. Ed è lo stesso quadro in cui è fallito il referendum. Sarebbe certo sbagliato dare alla Chiesa e ai nuovi atei clericali il potere di mobilitare nel silenzio il 75 per cento degli italiani, ed è ridicolo pensarlo. Da dieci anni i referendum non raggiungono il quorum, l'astensionismo fisiologico è altissimo. In questo caso, c'è probabilmente un riflesso automatico in più, che esce dalle logiche della politica: la legge sulla fecondazione è stata vista dagli italiani come una complicata questione di piccola minoranza, che non li riguardava e che non riuscivano a padroneggiare nei suoi aspetti etici e scientifici. Se questo è vero, l'astensionismo più che difendere la legge ha voluto lasciare la parola al Parlamento, dove oggi dovrebbe riaprirsi un confronto finalmente non più propagandistico.
Ma detto questo, non si è detto tutto. Nel disorientamento degli italiani davanti alla materia del referendum, le parole della Chiesa, dei neo-con italiani, degli atei clericali hanno pesato di più delle parole di quel pezzo di sinistra che ha sostenuto il "sì", dei suoi leader, dei suoi scienziati. Il centrosinistra, tutto insieme, dovrebbe riflettere: o trova un'identità culturale, visto che è incapace di trovare quella politica, oppure perderà le grandi sfide di questa fase, che nascono tutte dalla battaglia delle idee, più che dagli schieramenti. Non si può reggere una partita in cui la sinistra parla di sé, mentre la destra parla della vita e della morte. Esistono valori, esistono diritti che la sinistra può testimoniare a testa alta nel mondo di oggi, anche dopo la sconfitta del referendum, perché fanno parte della sua storia: sfidando la destra ad una vera battaglia culturale in campo aperto, senza l'aiuto pagano di Ponzio Pilato.
(14 giugno 2005)
http://www.repubblica.it/2005/f/sezioni/politica/dossifeconda7/commmaur/commmaur.html
lunedì 13 giugno 2005
Referendum. Grillini: "I clericali non cantino vittoria"
Franco Grillini commenta la scarsa partecipazione al voto
(AGI) - Roma, 13 giu. - "Nonostante il deludente risultato della consultazione in termini di partecipazione al voto, nulla giustifica in questo paese quella svolta clericale, sanfedista e vandeana che si vorrebbe imporre". Lo dice Franco Grillini(Ds), che aggiunge: "I clericali, prima delle urne, hanno disertato il confronto a viso aperto, hanno abbandonato il campo sapendo di essere minoranza e nulla li autorizza ad annettersi l'astensione che caratterizza oltre 10 anni le consultazioni referendarie in Italia, tutte fallite. D'altra parte proprio la scelta di cercare di far fallire il referendum sommandosi agli indifferenti getta un ombra di cinismo su di una chiesa che non guarda ai mezzi per i propri fini. In tal modo si e' fatto del terrorismo sulla natura reale dei quesiti parlando di clonazione umana, di uomini fatti in laboratorio, di eugenetica; si sono trasformate le chiese in luoghi di propaganda politica con i fondi dell'8 per mille; si e' avviato un rigido controllo del territorio violando, con la propaganda per l'astensionismo, la segretezza del voto. In una parola - conclude il presidente onorario Arcigay - si e' sostituito, con l'uso cinico del trucco elettorale, quel consenso e quell'autorevolezza che la chiesa cattolico-romana non ha piu' a partire dalle chiese vuote per finire con la crisi delle vocazioni. Non si puo' in alcun modo, quindi, utilizzare il risultato del referendum per mettere in discussione aborto e divorzio. Una furbata elettorale non cambia la natura profondamente secolarizzata del paese. In definitiva i clericali sono ben lontani dal poter cantare vittoria".
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(ANSA) - BOLOGNA, 13 GIU - ''Il quorum non c'e', ma non c'e' nemmeno la vittoria dei clericali'': questo il commento del presidente onorario dell'Arcigay Franco Grillini alla chiusura delle urne per il referendum sulla procreazione assistita.
Secondo il deputato dei Ds, ''una furbata elettorale non cambia la natura profondamente secolarizzata del Paese'' e ''non si puo' in alcun modo, quindi, utilizzare il risultato del referendum per mettere in discussione aborto e divorzio''.
''In un sondaggio riservato il no ai quesiti referendari era dato al 14% - afferma Grillini - I si' alle modifiche della brutta legge 40, che brutta rimane, sono largamente maggioritari nel Paese e avrebbero largamente vinto in presenza del quorum.
Cio' significa che, nonostante il deludente risultato della consultazione in termini di partecipazione al voto, nulla giustifica in questo Paese quella svolta clericale, sanfedista e vandeana che si vorrebbe imporre''.
Prima delle urne - prosegue il deputato dei Ds - ''i clericali hanno disertato il confronto a viso aperto, hanno abbandonato il campo sapendo di essere minoranza e nulla li autorizza ad annettersi l'astensione che caratterizza da oltre 10 anni le consultazioni referendarie in Italia, tutte fallite''. D'altra parte, secondo Grillini, ''proprio la scelta di cercare di far fallire il referendum sommandosi agli indifferenti getta un ombra di cinismo su di una Chiesa che non guarda ai mezzi per i propri fini. In tal modo - sostiene - si e' fatto del terrorismo sulla natura reale dei quesiti parlando di clonazione umana, di uomini fatti in laboratorio, di eugenetica; si sono trasformate le chiese in luoghi di propaganda politica con i fondi dell'8 per mille; si e' avviato un rigido controllo del territorio violando, con la propaganda per l'astensionismo, la segretezza del voto''.
''In una parola - conclude - si e' sostituito, con l'uso cinico del trucco elettorale, quel consenso e quell'autorevolezza che la Chiesa cattolico-romana non ha piu' a partire dalle chiese vuote per finire con la crisi delle vocazioni'' In definitiva, secondo il presidente onorario dell'Arcigay, ''i clericali sono ben lontani dal poter cantare vittoria''.
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(ASCA) - Roma, 13 giu - ''In un sondaggio riservato -commenta Franco Grillini deputato DS e presidente onorario Arcigay -il no ai quesiti referendari era dato al 14%. I si' alle modifiche della brutta legge 40, che brutta rimane, sono largamente maggioritari nel paese e avrebbero largamente vinto in presenza del quorum. Cio' significa che, nonostante il deludente risultato della consultazione in termini di partecipazione al voto, nulla giustifica in questo paese quella svolta clericale, sanfedista e vandeana che si vorrebbe imporre. I clericali, prime delle urne, hanno disertato il confronto a viso aperto, hanno abbandonato il campo sapendo di essere minoranza e nulla li autorizza ad annettersi l'astensione che caratterizza oltre 10 anni le consultazioni referendarie in Italia, tutte fallite.
D'altra parte proprio la scelta di cercare di far fallire il referendum sommandosi agli indifferenti getta un ombra di cinismo su di una chiesa che non guarda ai mezzi per i propri fini. In tal modo si e' fatto del terrorismo sulla natura reale dei quesiti parlando di clonazione umana, di uomini fatti in laboratorio, di eugenetica; si sono trasformate le chiese in luoghi di propaganda politica con i fondi dell'8 per mille; si e' avviato un rigido controllo del territorio violando, con la propaganda per l'astensionismo, la segretezza del voto. In una parola - sostiene Grillini - si e' sostituito, con l'uso cinico del trucco elettorale, quel consenso e quell'autorevolezza che la chiesa cattolico-romana non ha piu' a partire dalle chiese vuote per finire con la crisi delle vocazioni.
Non si puo' in alcun modo, quindi, utilizzare il risultato del referendum per mettere in discussione aborto e divorzio.
Una furbata elettorale non cambia la natura profondamente secolarizzata del paese.
In definitiva i clericali sono ben lontani dal poter cantare vittoria''.
http://www.gaynews.it/view.php?ID=32680
Pontassieve in controtendenza:ha votato il 51,14% degli elettori
Tutte le percentuali di affluenza e i risultati sono consultabili sul sito del Comune di Pontassieve:
http://www.comune.pontassieve.fi.it/elettorale/refe_aff05.htm
http://www.comune.pontassieve.fi.it/elettorale/refe_ris05.htm
Referendum: non c'è il quorum
Ha votato solo il 25,9% degli italiani aventi diritto al voto
http://www.referendum.interno.it/votanti/votanti050612/Fvotanti_italia_2005.htm
domenica 12 giugno 2005
Non dimezziamo la nostra scienza
Alle urne: ecco i valori in gioco
di Enzo Biagi
Ci siamo. Da stamattina le urne sono aperte e perfino le previsioni meteorologiche scoraggiano ad andare al mare: temporali sul litorale ligure e anche al Sud nuvole sparse. D’altra parte l’invito agli italiani a sdraiarsi al sole non portò bene neppure a Craxi. Oggi è il giorno nel quale ognuno di noi è chiamato a decidere, a scegliere, il giorno nel quale non sono ammesse deleghe. Votare è un diritto. Anzi, qualcosa di più, qualcosa che ci appartiene e che è costato dolore e sacrifici alle donne e agli uomini della mia generazione. L’età mi consente di ricordare che cos’era questo Paese quando non c’era il problema di rinunciare al weekend per recarsi al seggio, ma mi vengono in mente, soprattutto, i momenti in cui riacquistammo dignità: il primo referendum, monarchia o repubblica, le elezioni del ’48, le grandi battaglie per il divorzio e l’aborto, passaggi fondamentali per allineare l’Italia alle grande nazioni. Certo, la materia sulla quale siamo chiamati a dire come la pensiamo è delicata, difficile: è il desiderio di diventare genitori, di creare una vita, di capire quali sono i limiti della scienza e i progressi che si possono fare per curare malattie degenerative.
Tutti hanno detto la loro: leader politici, scienziati, personalità della Chiesa e ogni opinione è evidentemente rispettabile. Non è apprezzabile, a mio parere, quella che invita all'astensione. Sono convinto che non esistano verità assolute per convincere a dire «sì» o «no» alle quattro domande che troveremo sulle schede e se il dibattito è stato a volte lacerante nelle istituzioni, lo è, in queste ore, anche in tante delle nostre famiglie: mogli che tracciano la croce da una parte, mariti e figli dall’altra, coppie che consegnano allo spoglio di domani sera la speranza di mettere al mondo un bambino, malati che affidano alle cellule staminali l’ultimo appello per la vita. Dunque la politica — destra, centro, sinistra — c’entra poco: stavolta i conti li facciamo con noi stessi, con il nostro buonsenso, con la nostra coscienza. Io, tanto per uscire dagli equivoci, sono per quattro sì, ma credo che almeno due siano indispensabili: quello sulla scheda celeste (sì alla ricerca sulle cellule staminali embrionali) e altrettanto su quella grigia (sì alla fine dell’equivalenza tra embrione e persona).
Le argomentazioni scientifiche dovrebbero aver convinto che, mentre usciamo per andare a comperare le paste della domenica, è meglio entrare nella scuola del nostro quartiere e far valere i diritti di cittadini liberi, senza influenze da nessuna parte. In gioco ci sono valori che riguardano la coscienza, che non è poco, e non vorrei mai che qualcuno dovesse rinunciare a una prospettiva di guarigione o di vita migliore perché ho dato retta a un onorevole, a un ginecologo e, con tutto il rispetto dovuto, a un prelato. In questi due giorni di giugno gli italiani devono decidere, senza incertezze, se con la rinuncia agli studi sulle cellule staminali embrionali la ricerca scientifica deve essere dimezzata. Se capisco le ragioni etiche o religiose per le quali qualcuno rifiuta questa «metà», non posso accettare che questo rifiuto diventi una legge valida per tutti. Sarebbe un gran brutto precedente.
12 giugno 2005
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Editoriali/2005/06_Giugno/12/biagi.shtml
Quando i miscredenti diventano clericali
di EUGENIO SCALFARI
SUL referendum procreativo che da questa mattina fino a domani pomeriggio va alla prova delle urne si è già detto quasi tutto. Su alcuni punti si è detto addirittura troppo; su altri, forse, poco. Cercherò dal canto mio di rimediare a questi due inconvenienti di diversa natura.
Si è detto troppo sulla natura dell'embrione: se sia fin dall'inizio del concepimento una persona, oppure un progetto di persona che inizia subito la sua evoluzione e la persegue senza soluzione di continuità, oppure una non-persona almeno fino a quando non sarà dotato di un inizio di sistema nervoso.
Tutte queste definizioni non derivano dalla scienza ma da convinzioni soggettive che a loro volta dipendono da che cosa s'intenda con la parola "persona". Si tratta insomma di opinioni e come tali opinabili, sicché fondare su di esse una legge e un qualsiasi comportamento elettorale e giudicare quale sia quello giusto e quello sbagliato è del tutto improprio.
Non è dunque il dibattito sulla natura dell'embrione (persona, progetto di persona, non-persona) che può dettare il comportamento degli elettori e il giudizio su di esso, bensì la questione politica che sta sotto a quel dibattito.
È infatti una questione politica che induce gli elettori a votare sì oppure no o scheda bianca sui singoli quesiti o infine ad astenersi non presentandosi al seggio elettorale.
Tutta l'infinita chiacchiera su fratello embrione, mamma uovo, papà spermatozoo, che ha attratto o annoiato gli italiani in quest'ultimo mese, può avere avuto il solo valore di incuriosirne le menti e introdurle in un settore della conoscenza finora riservato agli addetti ai lavori e ai diretti interessati.
Quindi un risultato positivo ma nulla di più. Le posizioni reciproche sono rimaste quelle iniziali, il dubbio non ha fatto breccia sulle diverse tesi in contesa per la semplice ragione che quel tipo di dibattito oscurava la questione politica che ha determinato la legge 40 e il referendum abrogativo su alcuni articoli della medesima legge.
Oggi è arrivato il giorno del voto. Cioè il momento della scelta tra diverse opzioni che non sono di carattere morale, teologico, filosofico, religioso, ma sono di natura politica. E come tali vanno trattate, discusse, risolte dalla coscienza di ciascuno. Di questo si è parlato troppo poco. Forse perché, da una parte come dall'altra, non se ne voleva parlare.
Il punto centrale di fronte al quale si trova oggi e domani l'elettore è molto preciso e si chiama clericalismo, potere clericale o se vogliamo esser chiari fino in fondo, potere temporale della gerarchia ecclesiastica sulla vita politica della società e dello Stato. Chi è a favore della vittoria di quel potere e chi è contro di esso.
La religione o la miscredenza non c'entrano. Si può essere religiosi oppure no, ma non è questo il punto di discrimine. I valdesi sono religiosi ma vanno a votare. Gli ebrei sono religiosi ma il presidente delle comunità italiane li ha esortati a votare. Molti cattolici religiosi, anzi religiosissimi, voteranno, a cominciare dal presidente della Repubblica, Ciampi, e dal suo predecessore, Scalfaro.
Per converso molti miscredenti incalliti non voteranno perché, pur essendo miscredenti, sono clericali dichiarati e mobilitati, come Giuliano Ferrara e Oriana Fallaci. Auspicano una società guidata da una gerarchia ecclesiastica militante e tendenzialmente fondamentalista. Mettono sui loro vessilli il Dio degli eserciti e non il Gesù della misericordia. Si battono affinché il peccato divenga reato. E affinché le loro libere e legittime scelte divengano obbliganti anche per chi non le condivide.
Utilizzeranno il fatto che l'embrione può vivere e crescere solo dentro il corpo della donna per obbligarla ad accoglierlo dentro il suo ventre anche contro il suo volere.
Infine vogliono ignorare il fatto che gran parte dei paesi del nostro continente hanno una legislazione non clericale e dunque più permissiva in materia di procreazione assistita, con la conseguenza che la nostra legge 40 realizza una normativa classista, dove i ricchi possono usare le strutture ospedaliere di Francia, Spagna, Gran Bretagna, per procreare senza gli impedimenti imposti ai medici italiani e alle coppie meno abbienti che vi ricorrono.
Analoga situazione riguarda la ricerca scientifica sulle staminali embrionali, fiorente in Usa e in molti paesi europei, vietata in Italia dal clericalismo del nostro episcopato con il solerte e chiassoso appoggio dei clericali miscredenti.
La paura di Frankenstein non c'entra nulla con la legge 40 e con i quesiti referendari. Se il quesito sulla ricerca scientifica passasse al vaglio delle urne di oggi, resterebbe comunque il divieto della legge di utilizzare gli embrioni per la riproduzione di esseri umani, contro la quale siamo tutti schierati, referendari e antireferendari, clericali e liberali, credenti e miscredenti. La legge 40 lo vieta e tutti siamo favorevoli a mantenere e semmai rafforzare quel divieto.
Eppure è proprio su questa paura che il clericalismo fa leva. Fa leva con una bugia e un insulto alle persone perbene. Così come fa leva su quel 25-30 per cento di astensionisti abituali, per sommare ad essi l'astensionismo clericale e rendere invalido il referendum per mancanza del quorum prescritto dalla legge.
Noi non diciamo, signor presidente della Camera, che chi si astiene sia un cittadino di serie B. È un cittadino esattamente come noi che stiamo andando a votare. Ma diciamo che il risultato di quelle astensioni lo depureremo dall'astensionismo strutturale degli indifferenti e così depurato lo confronteremo con il voto espresso nei seggi.
Lei, signor presidente della Camera, avrà obiezioni da opporci? E quali? Saremmo lieti di conoscerle, quelle obiezioni che certo - lo sappiamo - non delegittimano il risultato legale di un referendum fallito per mancanza di quorum, ma registrano un dissenso maggioritario contro una legge sbagliata, perseguita dal clericalismo italiano, tornato al "non expedit" di infausta memoria.
Spero che lei mi creda se le dico che personalmente aborro l'anticlericalismo sguaiato e intollerante. In Italia era stato superato e spento da tempo. Se sta ora risorgendo dalle ceneri è perché il clericalismo delle gerarchie ecclesiastiche e di chi obbedisce al loro richiamo ha l'effetto di un mantice sulle ceneri dell'anticlericalismo.
Se è questo che volete...
Aggiungo (l'ha scritto sabato Mario Pirani) che l'astensionismo militante avrà come effetto inevitabile quello di abolire la segretezza del voto prescritta dalla Costituzione. Si saprà chi ha votato. In un elettorato diviso tra chi va ai seggi e chi li diserta, esserci andati potrà risultare discriminante come lo fu per i cattolici che infrangevano il "non expedit".
Ripeto: è questo che volete?
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C'è un ultimo punto che merita di essere menzionato ed è la parola di Benedetto XVI quando, parlando alcuni giorni fa nella cattedrale di San Giovanni in Laterano, ha detto che "Dio benedice chi si astiene di fronte alle cose che sono sgradite a Dio" connettendo questa affermazione al referendum sulla procreazione.
Si tratta d'una affermazione estremamente grave. Il Papa non parlava "ex cathedra", ma era pur sempre il Papa e mescolava Dio ad una contesa elettorale e quindi politica, in quello stesso luogo dove furono firmati i Patti Lateranensi e il Concordato tra la Santa Sede e lo Stato italiano. "Non menzionare il nome di Dio invano" recita il comandamento mosaico fatto proprio dalla Chiesa di Cristo.
"Non interferire nella sfera politica" dice il Concordato rivolgendosi alla Santa Sede. Ci preoccupa meno il comandamento rivolto ai fedeli; ma ci preoccupa molto di più la violazione dei patti tra l'entità religiosa e quella laica e civile, effettuata dalle parole del Papa.
Qui si pone un dilemma che non potrà essere ignorato a lungo se il clero clericale proseguirà su questa strada. Se volete mescolare Dio alle contese politiche, allora usciamo dal Concordato, torniamo al regime cavourriano della libera Chiesa in libero Stato, senza più ricorrere al sostentamento finanziario e ai privilegi che lo Stato e noi tutti contribuenti garantiamo alla Santa Sede. Non si può avere Chiesa clericale e statuto concordatario. In un'Europa e in un'Italia che si avviano al pluralismo religioso, puntare ad una legislazione intrisa di clericalismo significa accentuare la discriminazione verso altri culti e altre religioni. E significa, soprattutto, opprimere i laici non credenti o poco credenti o credenti che rifiutano il magistero esclusivo della gerarchia.
Significa imporre una scuola pubblica di ispirazione vaticana, abolire la legge sull'aborto e poi quella sul divorzio, mettere le brache alla scienza, tornare al Sillabo e all'Indice dei libri sgraditi.
Questo è il clericalismo: un ritorno indietro al 1870 e alla caduta del regime temporale, ad un cattolicesimo ingessato e pervaso di teocrazia, che la cultura moderna aveva contribuito ad evolvere verso un messaggio di pura fede, di misericordia e di carità, che restano il deposito fulgente del Vangelo e del cristianesimo di Francesco e di Gesù di Nazareth suo patrono e ispiratore.
Ancora una volta ripeto: è questo che volete? E magari le Guardie Svizzere al posto dei corazzieri della Repubblica? Nel 1986, se non ricordo male, il leader radicale Francesco Rutelli scalò il balcone centrale di Montecitorio, ammainò il tricolore e issò al suo posto la bandiera pontificia bianca e gialla come protesta contro il tentativo del Vaticano di interferire sulla legislazione italiana.
Il Rutelli di oggi ha cambiato opinione ed è padrone di farlo. Ma a noi piace ricordarlo come un giovane trentaduenne che difendeva la laicità, patrimonio comune di credenti e non credenti.
Oggi quell'ammainabandiera sarebbe peraltro inutile.
Ciampi, che è già andato a compiere il suo dovere di elettore, la laicità dello Stato la difende a nome di noi tutti e perciò il tricolore sta bene dove sta.
(12 giugno 2005)
http://www.repubblica.it/2005/f/sezioni/politica/dossifeconda5/miscredenti/miscredenti.html