sabato 24 settembre 2005

Contestazione a Ruini, il vittimismo dell'Osservatore Romano

La gerarchia cattolica è sempre stata molto abile a negare l'evidenza e cioè che sono gli omosesusali che non hanno diritto di parola e non certo i gerarchi romano-cattolici che appaiono sempre ai tg


RUINI: OSSERVATORE ROMANO, IGNOBILE CONTESTAZIONE

LA VILTA' DELL'IGNORANZA NON RIUSCIRA' A FARCI TACERE (ANSA) - ROMA, 24 SET - ''La vilta' dell'ignoranza. Il coraggio della verita'''. Cosi' l'Osservatore Romano commenta ''l'inattesa e ignobile contestazione'' subita ieri a Siena dal card. Camillo Ruini.

''Una dimostrazione inequivocabile che e' ancora molta la strada da percorrere per giungere ad una autentica cultura del rispetto reciproco. Nello specifico - scrive il quotidiano vaticano - preoccupa che la vilta' dell'intolleranza, contrapposta al coraggio della verita', nasconda una chiara strategia politica di delegittimazione''.

Secondo l'Osservatore, in sostanza, si ''vuole togliere alla chiesa il diritto di intervenire su questioni rilevanti per la vita della societa'. L'obiettivo non e' nuovo. Si era gia' riproposto subito dopo il nostro intervento contro i cosiddetti Pacs e se n'era avuta conferma dopo la prolusione di Ruini al consiglio permanente della Cei''.

L'Osservatore ha anche criticato il ''seguito clamoroso proseguito oggi'' su alcuni organi di stampa. La chiesa che parla in difesa della vita, della dignita' dell'uomo, della famiglia da' fastidio. Ma e' suo dovere farlo. Fa parte della sua missione. E non saranno certo contestazioni di piazza strumentalizzate, non meno strumentali campagna di stampa e prese di posizioni politiche a farla tacere. A farci tacere''.


http://www.gaynews.it/view.php?ID=34271

Omosessualià come malattia: pubblichiamo l'allucinante intervista all'ex 68ino Sorbi

«I gay? Sono malati, noi li curiamo»Viaggio nella struttura cattolica di Milano che vuol "combattere" la diffusione dell'omosessualità
Sorbi, sociologo ed ex-Lotta continua: nel nostro centro li riconquistiamo alla morale.
di Patrizia Albanese


Alla rovescia, beninteso. Se Michael Douglas era finito in terapia per guarire dalla smania di far sesso di continuo, le "Living waters" garantiscono a gay e lesbiche un appassionato ritorno all'eterosessualità. Un cammino indispensabile, poiché Sorbi non ha dubbi: «I gay sono malati e viziosi ». Amen. Le parole di questo sociologo che rimpiange Enrico Berlinguer, ha «votato a favore dell'aborto», ha «fondato i proletari in divisa nell'esercito» e ha «passato una notte in un cesso del Distretto militare di Napoli a discutere di omosessualità con Pier Paolo Pasolini » risuonano come una frustata nel pacifico chiostro del "Rosarium" dei frati francescani di via Pisanello. Nella sala convegni, ieri è partito il primo dei quattro incontri - dedicato a insegnanti e genitori - sulla "Prevenzione e modificazione dei comportamenti a rischio". Sorbi è andato a portare al pubblico - quasi tutti signore, un po' agèe - il saluto del Movimento per la vita ambrosiano, ricordando: «Abbiamo vinto ai referendum sulla procreazione assistita con il 75%, possiamo farcela di nuovo. Dobbiamo diffondere la Verità». Tra i progetti primari di questo ex sessantottino docente all'università europea di Roma - tirato per la giacchetta da Margherita e Forza Italia per una candidatura nel 2006 - non poteva mancare, appunto, «la redenzione degli omosessuali». E mica solo in Italia: «Il progetto "Living waters" è mirato al recupero degli omosessuali su scala internazionale. Aperto anche ad ebrei e ortodossi, perché l'ecumenismo è importante. Non è certo la religione, il discrimine ».

Posto che Paolo Sorbi non scherza come sembra, quando snocciola: «Non esiste una terza razza: essere omosessuali è una malattia», se non è la religione, qual è il discrimine per essere accettati nei "Living waters"? «Semplice, la ragione. La volontà di cambiare, perché si riconosce il male di essere omosessuali» replica questo Savonarola in giacca e cravatta, travestito da simpatico affabulatore di mezza età. Tiene a precisare: «I gay sono dei rompic... tremendi, grondanti problemi psicologici che non esistono.

Se sono felici come stanno, io non voglio far loro alcuna violenza. Ma siccome stanno male e sono tormentati, sempre nel rispetto della libertà di coscienza, se loro vogliono e lo chiedono, creo le condizioni di distruzione a fondo del male». Scusi, chi stabilisce che cosa è male? «C'è una morale naturale, non cristiana. La Storia indica ciò che è bene». Bush, come lo definisce? «Uno pro-life, per la vita». Anche in Iraq? «No comment» replica quando il sangue dell'ex sessantottino, tant'è, riappare. E gli fa dire con convinzione di essere «vicino alla protesta della scuola islamica di via Quaranta». Anzi, di essere «disposto ad andarci e manifestare loro solidarietà se soltanto lo chiedessero al Movimento per la vita ambrosiano». Difficile comprendere la solidarietà agli islamici e non ai gay. «E perché? - domanda il sociologo -. Ho un ottimo rapporto con gli islamici. Non sul dialogo ideologico, ma ad esempio per quanto riguarda la famiglia». Che loro, ad esempio, intendono con trequattro mogli, non proprio seguendo l'etica cristiana. Dribbla: «Ora non più. Le mogli costano. Sulla scuola di via Quaranta, hanno sbagliato perché non sono riusciti a collocarsi su un terreno di non violenza. Si deve accettare la legalità democratica. Loro hanno posto un problema vero, ma gestito malissimo. Noi abbiamo avuto gli stessi problemi con le scuole private cattoliche, ma li abbiamo risolti nella legalità. E ora ci sono le scuole legalmente parificate, che seguono i programmi ministeriali e hanno edifici idonei. Certo che se loro rifiutano di inserirsi nella legalità, come hanno fatto anche le scuole ebraiche, combattono una battaglia persa. Sbagliano il metodo, non hanno mediazione. Tutta colpa della Caritas che dovrebbe dare insegnamenti democratici e non aiuti materiali». Difficile spiegarlo a chi non ha da mangiare, né da dormire... Insiste il sociologo: «Se mancano gli insegnamenti democratici, si sfocia nell'islamismo estremo e nel terrorismo. Che vogliamo tutti evitare ». Almeno quanto i gay che non si pentono. Perché il Movimento per la vita si ostina a definirli malati?

Com'è possibile da parte di una persona con i suoi trascorsi, compresa «una notte a discutere con Pasolini»? Non pensa che i suoi maestri del vecchio Pci si rivolterebbero nella tomba? «Guardi che i nazisti sono quelli che considerano i gay una terza razza, proprio come faceva Hitler» insiste Paolo Sorbi. E ricorda: «Pasolini, che feci entrare di nascosto al Distretto quand'ero militare a Napoli, era travagliatissimo e distrutto moralmente sulla propria omosessualità. Cercava disperatamente la Fede. E sa quanti ce sono come lui? Certamente meno famosi e non in grado di chiedere aiuto apertamente?». Anche a Pasolini disse che era vizioso, come definisce ora i gay? «Fu una discussione molto tormentata». Almeno quanto quella attuale sui Pacs. Contrario anche a quelli? Riemerge il vecchio comunista. Allarga le braccia. Sorride. E sbotta: «Perché mi vuol far litigare col mio amico cardinal Ruini?».


http://www.gaynews.it/view.php?ID=34270

venerdì 23 settembre 2005

Siena, contestato Ruini: "Siamo tutti omosessuali"

Vergogna, vergogna": un gruppo di studenti lo interrompe mentre riceve un premio dalla fondazione Liberal
Il capo della Cei reagisce con ironia: "Piacevole interruzione"
Berlusconi: "Si rispettano le opinioni di tutti, non solo le proprie"



La contestazione a Ruini

SIENA - Fischi, contestazioni e il grido "vergogna" hanno accompagnato la premiazione del cardinale Camillo Ruini, presidente della Conferenza episcopale italiana, da parte della fondazione Liberal a Siena, a Palazzo Chigi Saracini.

Una quarantina di studenti, che avevano preso posto sullo scalone interno del palazzo, hanno cominciato a fischiare e a gridare proprio nel momento in cui Ferdinando Adornato stava consegnando il premio "Liberal Siena 2005". I giovani hanno esposto alcuni striscioni con scritte provocatorie e chiari riferimenti all'ultima presa di posizione di Ruini sui Pacs: "Libero amore in libero Stato", "Vogliamo fare un Pacs avanti nei diritti", "Siamo tutti omosessuali".

La contestazione ha impedito al cardinale di intervenire e l'iniziativa della Fondazione Liberal è stata sospesa. Poi, dopo una decina di minuti di interruzione, il cardinale ha ripreso a parlare, ma prima gli organizzatori hanno dovuto convincere i manifestanti a lasciare il palazzo. Durante la contestazione Adornato ha cercato di ironizzare sulla vicenda, affermando che "in America i fischi valgono come gli applausi".

Con il sorriso sulle labbra, non appena ha ricominciato a parlare, il cardinale ha definito quanto accaduto "una piacevole interruzione". Adornato, invece, ha sottolineato che l'interruzione della manifestazione, causata dai ragazzi, merita "un ringraziamento, perché sono riusciti a manifestare ciò che io ho detto in cinquanta minuti e cioè che quando si abusa della libertà, cala il silenzio". Il cardinale Ruini è stato premiato con una croce stilizzata.

"E' un fatto che mi addolora. Evidentemente erano degli studenti non liberali. Si rispettano le opinioni di tutti, soprattutto quelle che non sono le proprie". Così il premier Silvio Berlusconi ha commentato l'episodio.

Il presidente della Camera Pierferdinando Casini ha espresso solidarietà nei confronti del presidente della Cei parlando di episodio inqualificabile: "Come autorità dello Stato italiano desidero indirizzare a sua eminenza il cardinale Camillo Ruini, la mia più viva solidarietà per l'inqualificabile episodio che lo ha costretto nel pomeriggio a interrompere un suo discorso a Siena per la contestazione e le grida di un gruppo di giovani". Casini ha poi rivolto a tutti un invito alla cautela, con una punta polemica nei confronti di chi contesta la Chiesa: "Temo che questo triste episodio sia uno dei primi frutti avvelenati di una campagna caratterizzata da troppe intolleranze verso la Chiesa".

Dall'opposizione, anche i ds hanno condannato l'episodio, per bocca di Vannino Chiti "Quanto è accaduto a Siena nei confronti del Cardinale Ruini è non solo spiacevole ma del tutto sbagliato. Si possono non condividere le posizioni ma il metodo con cui sostenere opinioni differenti è quello del ragionamento e della discussione, non i fischi, le urla, l'impedimento agli altri di parlare. Senza ingigantire strumentalmente l'episodio, così come mi sembra voglia fare la solita destra nostrana è giusto tuttavia ribadire che la civiltà politica è quella del dialogo".

(23 settembre 2005)

http://www.repubblica.it/2005/i/sezioni/politica/prodipacs/prsi/prsi.html

Il peso dei ricatti

di MASSIMO GIANNINI


SFIANCATO da un'endemica crisi di credibilità pubblica, sfibrato da una drammatica caduta di leadership personale, Silvio Berlusconi rifiuta per l'ennesima volta il gesto che qualunque medico pietoso, al posto suo, avrebbe già compiuto da un pezzo: staccare la spina. Accertare l'avvenuto trapasso politico del suo governo. Non c'era occasione più opportuna e doverosa. Le dimissioni del ministro dell'Economia, alla vigilia del Fondo Monetario Internazionale e del varo della Legge Finanziaria. Un trauma troppo grave, e forse senza precedenti nella storia recente. E invece l'ultima soluzione inventata per tenere ancora in vita questo centrodestra supera i confini dell'accanimento terapeutico. Esce Siniscalco, rientra Tremonti. Come se niente fosse. Senza un passaggio istituzionale e un dibattito parlamentare.

Senza che il premier si presenti davanti alle Camere, a spiegare al Paese quello che è successo. E magari a chiedere anche un nuovo voto di fiducia per una squadra scassata che cambia formazione per la tredicesima volta in quattro anni.

L'orologio della vicenda politica italiana, così, torna indietro di quindici mesi. Allora gli alleati della Cdl imposero al governo e siglarono con Fazio il loro patto scellerato: salvare il governatore e scaricare Tremonti. Oggi, quegli stessi alleati rompono il patto con Fazio e ne sovvertono i termini: defenestrare il governatore e riabilitare Tremonti. Nell'illusione irresponsabile che tutto possa tornare come prima. E invece non è così. Il successore di Siniscalco, adesso, può legittimamente cantare vittoria. E godersi un risarcimento politico postumo ma assai rilevante, che gli deriva dal riconoscimento di un torto subito e dal richiamo collegiale da parte degli stessi "congiurati" che a suo tempo lo tradirono. Ma in mezzo a questi quindici mesi c'è un altro anno buttato via. C'è una maggioranza dilaniata, che ha sacrificato al conflitto di coalizione tempo e risorse utili alla crescita della nazione. C'è un'economia affannata, che avrebbe avuto bisogno di riforme e invece ha conosciuto solo immobilismo. C'è un'opinione pubblica stanca, che chiedeva stabilità e sicurezze e ha ottenuto in cambio solo rissosità e nefandezze.

Può darsi che dal punto di vista del Polo (o di quel che ne rimane) la "riassunzione" di Tremonti al ministero dell'Economia sia la scelta meno rischiosa. L'uomo capisce fin troppo di economia, essendo stato l'inventore della finanza creativa. Ha un indubbio spessore politico sul piano interno. Gode di uno standing riconosciuto sul piano internazionale. Offre anche, sulla carta, garanzie al presidente della Repubblica Ciampi, preoccupato come non mai dal destino incerto di una delle manovre economiche più complesse degli ultimi dieci anni. Ma per compiere questa scelta, Berlusconi ha dovuto pagare almeno due prezzi. Uno più salato dell'altro.

Il primo prezzo riguarda proprio Fazio. Dopo aver biascicato parole vuote alternate a imbarazzanti silenzi, alla fine il premier è stato costretto ad esprimere quel concetto elementare che, per tre lunghi mesi e per ragioni insondabili, si è sempre rifiutato di pronunciare: il governatore della Banca d'Italia non gode più della fiducia del governo. Era quello che gli aveva chiesto inutilmente Tremonti un anno fa. Era quello che gli ha ripetuto inutilmente Siniscalco in queste ultime settimane. Berlusconi lo ha negato a entrambi, sfiduciando loro invece che Fazio. Oggi, sotto il ricatto incrociato di An e dell'Udc, glielo concede. Ma lo fa nelle condizioni peggiori.

Questo è esattamente l'aut aut che gli ha posto lo stesso Tremonti, stavolta con il supporto incrociato di Fini e Follini: l'ex ministro può rientrare, ma solo a costo di una sconfessione pubblica del governatore. Così la mossa del Cavaliere risulta anche tardiva. Se l'avesse fatta un mese fa, avrebbe risparmiato questa nuova, drammatica convulsione alla sua maggioranza.

Avrebbe evitato questa ulteriore, miserabile figura davanti al mondo. Si sarebbe tenuto stretto il suo ministro dell'Economia, rafforzandolo in vista delle forche caudine della legge di bilancio. Non l'ha fatto, e ha preferito cadere e trascinare tutti in questo abisso. A questo punto viene quasi il sospetto che proprio Siniscalco fosse diventato un inciampo, sulla via disperata e dissipatoria scelta da un centrodestra in declino inarrestabile. Una Finanziaria elettorale, che serve a recuperare consensi molto più che a risanare i conti, non può garantirla un ministro tecnico, abituato a rispondere più ai mercati che ai partiti.

Il secondo prezzo che oggi paga il Cavaliere è probabilmente più caro. E per lui sicuramente più doloroso. Per mettere una pezza a colori sul buco aperto da Siniscalco, e per dare via libera al ripescaggio di Tremonti, Udc e An hanno alzato la posta oltre il limite finora conosciuto, in questo centrodestra rigorosamente costruito sulla biografia dell'uomo di Arcore. Follini ha osato dire in conferenza stampa, seduto a fianco al premier e davanti alle telecamere delle sue tv, che "Berlusconi non è il candidato migliore" per la sfida elettorale del 2006. E insieme a Fini, gli ha estorto l'impegno a lanciare le primarie anche nel centrodestra, per scegliere il futuro leader da contrapporre a Prodi. È un evento storico. Per certi versi epifanico.

Cade l'Impero berlusconiano. Cade la mistica dell'unto del Signore. La sovranità del Cavaliere, attinta in questo decennio dalla fonte esclusiva del suo indiscutibile carisma e del suo inesauribile denaro, torna nelle mani dei cittadini-elettori. Cioè torna là dove deve stare secondo le regole della democrazia popolare, e non dove era stata trasferita in questi cinque anni di autocrazia populista. E così, per cercare di rimettere in piedi le macerie della Casa delle Libertà, Berlusconi è costretto a profanare il suo tabù.

A pensare l'impensabile. Lui, il "monarca rivoluzionario" che scende dal trono di Palazzo Grazioli. Lui, l'"antipolitico modernizzatore" che corre alle primarie, come un politico qualsiasi. In competizione con gli amici-nemici Fini e Casini. Una prospettiva innaturale, per un personaggio abituato a pensarsi sempre come "altro", rispetto alla cultura e alla tradizione repubblicana di questo Paese.

I prossimi giorni ci diranno se questa disperata terapia della sopravvivenza che la Cdl ha somministrato a se stessa funziona. Oppure se è solo un'altra tappa, a questo punto sicuramente l'ultima, verso un epilogo rovinoso. I segnali sono contraddittori, e per nulla confortanti. Se per la maggioranza i passaggi concordati ieri sembrano avere una qualche tenuta dal punto di vista della sua "meccanica", le parole sparse pronunciate dai leader dimostrano che il compromesso non regge dal punto di vista della sua politica.

Lo stesso Berlusconi, nei suoi sfoghi notturni ai microfoni di Porta a porta, mette già le mani avanti, e chiarisce che per lui, le primarie, sono in realtà le "assemblee degli eletti". Un altro trucco, che ha riacceso subito lo scontro con i centristi: se a scegliere il futuro premier del centrodestra fossero solo i parlamentari, i governatori regionali e i sindaci del Polo, l'esito del voto sarebbe già scontato, e sarebbe, di nuovo, un altro plebiscito per il Cavaliere. E per un'An e un'Udc che si accontentano della staffetta al ministero dell'Economia e del downgrading imposto al premier, c'è già una Lega pronta a salire sulle barricate, per difendere Fazio e per affossare le primarie. Altri nove mesi così, e alle elezioni del 2006, insieme alla Cdl, ci arriva morta anche l'Italia.

(23 settembre 2005)

http://www.repubblica.it/2005/i/sezioni/economia/finanziaria2/masgian/masgian.html

Prime pagine dei giornali di oggi: anche da destra critiche al premier


















giovedì 22 settembre 2005

Milano, il Policlinico conferma "Non accettiamo donatori gay"

Un uomo non aveva potuto donare il sangue. Ora l'ospedale rilancia: "Cambieremo le regole solo se costretti dal ministero"



MILANO - Nonostante le polemiche, il Policlinico di Milano continua a non accettare il sangue dei gay. Con un comunicato della direzione, il Centro trasfusionale e di immunologia dei trapianti ha annunciato che "per tutelare la salute dei pazienti", manterrà il suo protocollo di sicurezza che non ammette la donazione di maschi che abbiano avuto rapporti con uno o più soggetti dello stesso sesso.

Il protocollo sarà cambiato solo in caso di disposizione "generale, precettiva e vincolante" del ministero, come spiega il comunicato: "In riferimento alla richiesta del ministero della Salute di modificare il protocollo di ammissione alla donazione di sangue in uso presso il Policlinico di Milano, la Direzione del centro trasfusionale ha inviato una relazione al ministro Storace, nella quale vengono precisate le ragioni che giustificano la decisione, in conformità con le procedure della maggior parte dei sistemi trasfusionali europei e non europei, perché è ad alto rischio".

Il caso era nato dalla denuncia di un uomo che si era visto rifiutare la possibilità di donare il sangue dopo aver dichiarato di essere gay. Il Policlinico giustifica e rilancia la sua decisione: "Questa scelta non ha alcun intendimento discriminatorio, deriva dal primario dovere del medico di tutelare la salute dei pazienti".

Così il Policlinico non cambia le regole, paventando il rischio troppo alto di sangue infetto: "In considerazione delle gravi conseguenze che potrebbero derivare ai pazienti trasfusi se il protocollo fosse modificato, conseguenze rappresentate primariamente dall'infezione da Hiv e dai virus dell'epatite, nonchè delle responsabilità dei medici, confermiamo la validità dei protocolli da lungo tempo adottati, augurandoci che questa posizione sia condivisa dal ministro, nel superiore interesse dei pazienti".
(22 settembre 2005)

http://www.repubblica.it/2005/i/sezioni/cronaca/gaymi/confermapoli/confermapoli.html

Il governo è finito

di EZIO MAURO


È l'ultimo atto di un'avventura politica che sta correndo verso la sua fine. Una fine che rischia di travolgere la credibilità del Paese, insieme con un governo che ormai la sua credibilità l'ha consumata da tempo.

Nello sfacelo della maggioranza, c'erano almeno quattro focolai di crisi, accesi tutti insieme: una finanziaria allo sbando, una legge elettorale ambigua, una devolution pericolosa e il caso Fazio a giganteggiare nella sua evidente anomalia, trasformata giorno dopo giorno in una prova concreta di impotenza della leadership berlusconiana, davanti al potere extra-repubblicano che teneva in piedi il Governatore oltre ogni decenza.

Per funzione, prima ancora che per convinzione, il ministro del Tesoro era stato l'unico (dopo Tremonti davanti allo scandalo Cirio e Parmalat) a insistere nel dire che il Governatore doveva andarsene, perché col discredito accumulato danneggiava gravemente l'Italia.

Il Capo del governo per più di un mese è stato incapace di assumersi la responsabilità che gli compete, pronunciando le parole necessarie e sufficienti per riportare alla normalità una crisi istituzionale gravissima: il Governatore non gode più della fiducia del governo.

Davanti all'ambiguità colpevole del Presidente del Consiglio, che rafforzava il potere immateriale di Fazio mentre indeboliva l'Italia, il ministro del Tesoro non poteva ormai fare altro che dimettersi. Lo ha fatto davanti ad un assalto elettorale alla Finanziaria da parte della maggioranza e, soprattutto, davanti alla conferma che Fazio sarà domani a Washington, a rappresentare la Banca d'Italia di fronte a un'istituzione che la mette sotto accusa clamorosamente. Fazio sarà al FMI perché il governo non ha avuto il coraggio di fare il suo dovere sfiduciandolo, e dunque ha implicitamente sfiduciato Siniscalco. Come Tremonti, anche il suo successore si dimette. Fazio, nel momento della sua maggiore debolezza, è dunque più forte di due ministri della Repubblica.

Ma proprio questo rivela la fragilità politica del governo, che in pochi mesi perde il secondo ministro dell'Economia, dopo aver avvicendato tre ministri degli Esteri e due ministri degli Interni. Deve essere chiaro a tutti gli italiani che la responsabilità di questa crisi è di Silvio Berlusconi, e della sua incapacità di reggere la responsabilità del governo. Anche se mancano pochi mesi alla fine della legislatura e solo otto giorni alla presentazione della Finanziaria, Berlusconi deve andarsene. Un passaggio tecnico garantisca l'approvazione della manovra. Poi si vada al voto, per salvare il salvabile e chiudere finalmente questa sciagurata avventura.


(22 settembre 2005)
http://www.repubblica.it/2005/i/sezioni/economia/finanziaria/govfinit/govfinit.html

Liti su Fazio e manovra, Siniscalco lascia

Il premier pensa all’interim, ma c’è l’ipotesi Tremonti. Fatale l'ultimo scontro con il governatore della Banca d'Italia


ROMA - Dissenso su «quasi» tutto. Domenico Siniscalco ha rassegnato ieri le sue dimissioni da ministro dell’Economia. Con una lettera a Silvio Berlusconi, ieri pomeriggio, dopo un lungo colloquio con il premier e il sottosegretario alla Presidenza, Gianni Letta, al quale sono seguiti in serata numerosi contatti tra i leader della maggioranza. Attaccato dalla
Domenico Siniscalco (Reuters)
Lega Nord e dall’Udc per la posizione durissima presa contro il Governatore della Banca d’Italia, poi sulla Finanziaria, sempre dall’Udc e dalla Lega, il tecnico Siniscalco ha gettato la spugna. È il secondo ministro dell’Economia a rimettere l’incarico nel corso della legislatura. Prima di lui era successo a Giulio Tremonti, ora accreditato per la sua successione. A meno che, come già accaduto, il ministero non sia assunto ad interim da Berlusconi. Magari con deleghe operative al viceministro Giuseppe Vegas, e un incarico di rappresentanza internazionale allo stesso Tremonti.
Le voci di dimissioni si erano rincorse per tutta la giornata, e per il vero erano state smentite in tarda serata dallo stesso Siniscalco. Tanto che aveva scelto di passare la serata fra amici a guardare in televisione la partita Roma- Parma. Non è andata, invece, come il tecnico Siniscalco, ieri retrocesso a semplice «ragioniere» dal ministro leghista Roberto Calderoli, pensava che potesse risolversi l’ennesima bufera politica.
L’ultimo scontro con il Governatore gli è stato fatale, come lo era stato per il suo predecessore Tremonti. Forse ancor di più dell’ostilità di una parte consistente della maggioranza alla Finanziaria. E del mancato appoggio da parte del premier, che ha vissuto quasi con fastidio molte iniziative di Siniscalco. Dalla determinazione con cui ha attaccato Fazio, per finire con la vicenda della Rai. Resta adesso da capire se Siniscalco andrà o meno a Washington per il Fondo Monetario. Le dimissioni sono state formalizzate a Berlusconi, ma non tutto è ancora chiaro. Devono essere accettate, e c’è da considerare l’atteggiamento che potrebbe avere il Quirinale, nell’imminenza della legge finanziaria, alla cui presentazione in Parlamento mancano appena otto giorni.
Mario Sensini

martedì 20 settembre 2005

Ciampi celebra Porta Pia, la ferita mai cancellata

Il capo dello Stato: "Il 20 settembre si compie il sogno risorgimentale"
Il messaggio dopo le polemiche sollevate da Ruini sulle coppie di fatto



Carlo Azeglio Ciampi

ROMA - "Mentre cantavamo tutti insieme l'Inno di Mameli, il mio pensiero è corso alla data di oggi, 20 settembre, e ho ricordato che il 20 settembre del 1870 Roma divenne capitale dell'Italia unita, e fu il compimento del sogno Risorgimentale". Con queste parole, pronunciate al Vittoriano durante la cerimonia di inaugurazione dell'anno scolastico, trasmessa in diretta tv, Carlo Azeglio Ciampi ha voluto celebrare quest'anno l'anniversario della Breccia di Porta Pia.

Un gesto che ha suscitato non poche perplessità nel mondo politico. In molti si sono chiesti se ci sia una simbologia dietro questa scelta, se il capo dello Stato abbia voluto mandare un messaggio preciso e farlo cadere nel dibattito di questi giorni. Il richiamo a uno degli episodi più drammatici dello scontro tra truppe piemontesi e truppe papaline, ha fatto pensare che Ciampi volesse ribadire la laicità dello Stato e frenare le ingerenze del Vaticano sulle scelte della politica. Messaggio ancora più esplicito dopo la condanna dei Pacs del cardinale Ruini di ieri e la battaglia della Chiesa contro le unioni di fatto.

Il capo dello Stato ha anche inviato una corona d'alloro a Porta Pia, in memoria dei 49 bersaglieri che persero la vita per aprire la "breccia". Una corona che si aggiunge a quella che i radicali italiani depongono ogni anno in ricordo di quei caduti.

Quella pagina di storia patria, lo scontro sanguinoso fra bersaglieri piemontesi e zuavi papalini per occupare Roma, rievoca una antica ferita nei rapporti fra l'Italia risorgimentale e lo Stato pontificio, che per lungo tempo tenne i cattolici fuori dalla vita politica dello Stato unitario. Perciò, con fair play istituzionale, di solito non viene ricordata.
La ferita fu sanata del tutto, ufficialmente, l'11 febbraio 1929 dai Patti Lateranensi, dopo i quali Pio XI fece cessare la clausura volontaria dei pontefici. Ma una piccola minoranza di irriducibili papisti anti-risorgimentali tiene il punto e ogni anno viene celebrata una messa in suffragio dei 19 soldati di Papa Pio IX caduti sotto l'offensiva dei bersaglieri guidati dal generale Cadorna. Una messa in latino, della quale si parlò molto nel 1999, quando vi partecipò il governatore di Bankitalia Antonio Fazio, su invito del principe Sforza Ruspoli.

Per questo in molti si sono chiesti: perché Ciampi ha celebrato Porta Pia? L'impressione è che il presidente abbia voluto ricordare Porta Pia dopo aver seguito sui giornali le polemiche dei giorni scorsi.

Del resto il capo dello Stato aveva riaffermato le radici laiche dello Stato anche lo scorso giugno al Quirinale, ricevendo Papa Benedetto XVI. Quindi niente a che fare, secondo questa versione, con la lettura dei giornali di oggi.

Comunque, secondo il ministro Buttiglione, se Ciampi ce l'aveva con Ruini, il suo è stato un riferimento "sfumatissimo" e condivisibile da ogni buon cattolico.

Apprezzamento per le parole di Ciampi è stato espresso dal segretario dei Radicali Italiani Capezzone e da Marco Pannella, dal Ds Luciano Violante ("Indipendentemente da quanto ha detto il cardinale Ruini, è un forte richiamo alla laicità dello Stato"), da Franco Giordano (Prc), e da Gianfranco Pagliarulo (Pdci).

(20 settembre 2005)

http://www.repubblica.it/2005/i/sezioni/politica/parlaciampi/parlaciampi/parlaciampi.html

Neanche il Polo crede alla rimonta, credibilità di Berlusconi a picco

di ILVO DIAMANTI



È rischioso dare per scontato l'esito di una consultazione che avverrà fra qualche mese. Molte cose possono avvenire, prima di allora. Senza dimenticare che, più dei voti, contano i seggi. E la conversione dei voti in seggi dipende da leggi elettorali che possono cambiare, come ci rammentano le iniziative politiche dell'ultima settimana. Tuttavia, le stime fornite dai sondaggi, realizzati da tutti i principali istituti demoscopici (per ultimo, l'Ispo di Renato Mannheimer) spingono gli osservatori, oltre ai protagonisti politici, a sbilanciarsi nelle previsioni tanto chiaro e netto risulta il vantaggio a favore del centrosinistra.

Un dato confermato anche dall'indagine dell'Atlante politico di Repubblica, condotta da Demos-Eurisko nei giorni scorsi, che, nelle intenzioni di voto degli italiani, vede l'Unione prevalere del 7,5% nel proporzionale; di oltre il 9% nel maggioritario. Una misura ampia e pressoché stabile, negli ultimi mesi. Sottolinea che la maggioranza di governo oggi è minoranza fra i cittadini. Questa tendenza ha cause note.

Anzitutto, la delusione, diffusa nella società e nella stessa base elettorale del centrodestra. Un atteggiamento che viene da lontano. D'altronde, non è da ieri che il centrodestra, nelle stime di voto, è superato dal centrosinistra. Solo che, fino a un anno e mezzo fa, appariva in svantaggio soprattutto nel maggioritario, per la difficile coesistenza fra le diverse formazioni - e opinioni - politiche presenti nella Cdl. Nel proporzionale, invece, "teneva", anche se con crescente difficoltà. Non a caso, alle elezioni europee del 2004, dove si vota con il proporzionale, i due schieramenti si erano equivalsi (anche se il centrosinistra aveva, comunque, recuperato in modo significativo, rispetto al 1999). In seguito, però, i sondaggi hanno rilevato il progressivo calo dei consensi per il centrodestra anche nel proporzionale.

Così, il centrosinistra è passato in vantaggio,
stabilmente, sia nel maggioritario sia nel proporzionale. Una tendenza resa evidente non dai sondaggi, ma dal voto reale, alle elezioni regionali di aprile. Dove il centrodestra ha perduto sia nel calcolo dei presidenti eletti, sia conteggiando il voto ai partiti.
La prima causa di questo andamento, dal punto di vista dell'analisi elettorale, è costituita dal crollo di Forza Italia. Aveva sfiorato il 30% alle elezioni politiche del 2001 (e il 25% alle europee e alle regionali degli anni precedenti), è scivolata al 18%, secondo il sondaggio di Demos-Eurisko. Un dato inferiore a quello, mediocre, ottenuto alle regionali. Gli alleati (si fa per dire...) della Cdl, invece, confermano il risultato conseguito alle regionali. Alcuni migliorano (An e Udc), altri (Lega) scendono di poco. Senza, tuttavia, drenare le perdite della coalizione. La loro affermazione rende, anzi, più ardua la coabitazione.

Perché, se la colla fornita da Fi diminuisce di consistenza, allora i pezzi del puzzle appaiono incapaci di stare insieme, incastonati nella stessa cornice. La debolezza del partito network, peraltro, rende difficile la comunicazione fra il governo e la società.
Alla base del calo dei consensi a Fi c'è la crisi di credibilità di cui soffre la sua principale, ormai unica, fonte di identità. Il Presidente; il premier Silvio Berlusconi. L'indagine dell'Atlante politico mostra, infatti, come, nei suoi confronti, esprima fiducia il 32% dei cittadini (intervistati). Si tratta del livello più basso, da un anno a questa parte. Fra i leader del centrodestra, lo superano, largamente, Fini e Casini, mentre Follini e perfino Bossi lo affiancano. Il fatto che anche Prodi, per grado di fiducia, fra gli elettori di centrosinistra sia superato da altri leader (Veltroni e Fassino), non ridimensiona il deficit di consenso del premier. Perché Prodi ottiene, comunque, un consenso personale superiore al presidente del consiglio. Perché, inoltre, contrariamente a Berlusconi, egli è, comunque, riconosciuto dagli elettori dell'Unione come candidato indiscusso, alla presidenza del consiglio.

Perché, infine, Berlusconi non è un capo-condominio, ma il padrone di casa. Il proprietario. E mal sopporta, per questo, un sostegno dimezzato dai suoi elettori.
La crisi della leadership, di Fi e del centrodestra, tuttavia, richiamano, nell'insieme, quel clima di delusione, cui abbiamo fatto riferimento. Quel disincanto, che da sottile si è fatto via via più greve e pesante. Un malessere endemico. Una bruma grigia, che si è depositata nella società. E oscura ogni orizzonte: lontano e vicino. A livello economico, di sicurezza; in ambito nazionale e familiare. Non ci credono più, i cittadini, che qualcosa possa cambiare in meglio. Non credono più alla diminuzione delle tasse, alla ripresa dei mercati e del sistema produttivo. Neppure alla crescita degli occupati (o al calo dei disoccupati). Nonostante le statistiche registrino una - seppur timida - ripresa. Non se ne accorgono, gli italiani. Ascoltano, disattenti, i discorsi dei ministri e del premier. Raccolgono, diffidenti, le notizie che giungono dai mercati e dalle borse. Perché troppe volte Pierino ha gridato "Al lupo!". Adesso non gli credono più. Hanno perso la fiducia. E la fiducia, in politica, è tutto...

Per cui la maggioranza rischia di non ricavare i benefici attesi neppure da iniziative istituzionali estemporanee. Come il recente progetto di riforma elettorale, delineato dall'Udc. Un singolare caso di proporzionale-maggioritario, che dovrebbe garantire rappresentanza ai partiti, rispettandone l'autonomia e il peso reale, ma impone loro di allearsi preventivamente e ripropone il meccanismo, tipicamente maggioritario, del premio di maggioranza... Tuttavia, per quanto favorisca il centrodestra, non è detto che ne garantisca la vittoria. Non solo perché, se la riforma passasse, probabilmente i piccoli partiti del centrosinistra troverebbero un antidoto allo sbarramento del 4%. Aggregandosi fra loro, oppure con i partiti maggiori. Ma anche perché, se le tendenze elettorali dell'ultimo anno si confermassero, il centrodestra rischierebbe, comunque, di perdere. Come lascia intendere questa indagine.

Perché, infine, è passata fra la gente l'idea che si tratta di una legge "ad personam", costruita dalla Cdl su misura delle proprie specifiche esigenze. Come emerge dal sondaggio dell'Atlante politico (ma anche un recente sondaggio di Ipsos per Ap. Com). E, per questo, appare un ulteriore segno di vulnerabilità. Un'ammissione di debolezza. Un messaggio sconfortante e sconfortato.

Così, questa lunga vigilia che precede il voto del 2006 ricorda una gara di cui si conosce, con largo anticipo, il risultato. Vincitori e vinti. I quali, già oggi, si comportano come tali. Il centrosinistra: sicuro di vincere e - anche per questo - perfino un po' "antipatico" (come suggerisce Luca Ricolfi, in un saggio pubblicato di recente da Longanesi). Il centrodestra: rassegnato; e "apatico". Ma la campagna elettorale è ancora lunga. E, dopo la lezione del voto tedesco, conviene coltivare la virtù della prudenza, al centrosinistra. Per vincere le elezioni, oltre ai sondaggi.

http://www.repubblica.it/2005/i/sezioni/politica/versoelezioni/rimopolo/rimopolo.html

Nuova legge elettorale? Vince l'Unione. Vantaggio di 9 punti

Nel sondaggio Demos-Eurisko si aggrava il senso della crisi
Per il 53% il bilancio familiare non "tiene" più
di ROBERTO BIORCIO
FABIO BORDIGNON


Si inizia a percepire il clima della campagna elettorale. Diminuiscono gli incerti e si profilano con maggiore chiarezza gli orientamenti di voto. Emerge ancora un vantaggio significativo a favore dell'Unione: oltre 9 punti al maggioritario, 7 e mezzo al proporzionale. E, d'altra parte, la proposta avanzata dalla Casa delle libertà di un ritorno al sistema proporzionale trova un consenso molto ridotto nell'elettorato. Sono i principali risultati proposti dal 4° Atlante Politico, realizzato da Demos-Eurisko per la Repubblica.

Si confermano ancora oggi, e in parte si accentuano, una serie di tendenze già rilevate nell'ultimo anno. Le valutazioni dei cittadini descrivono un quadro fortemente negativo, che si ripercuote, i nevitabilmente, sul consenso verso l'esecutivo. Quasi 9 persone su 10 si dicono insoddisfatte di come vanno le cose in Italia (86%). E l'economia rappresenta, indubbiamente, uno dei principali tasti dolenti: il bilancio familiare "tiene" ancora per una maggioranza, ormai risicata, della popolazione (53%, contro il 61% di gennaio); ma sempre meno persone intravvedono segnali di ripresa per quanto concerne l'economia nazionale (20%).

L'indice di gradimento per l'operato del governo, di conseguenza, è ulteriormente sceso negli ultimi 12 mesi: da oltre il 40% di inizio anno, all'indomani delle regionali era scivolato sotto il 30%, per toccare, oggi, il valore più basso: 27%. Appena il 32% degli intervistati, inoltre, dà la sufficienza al presidente del Consiglio: un dato che colloca Berlusconi in fondo alla lista di gradimento dei politici, assieme a Bossi e Follini. Grande, tuttavia, è la distanza da altre due figure del centro-destra: Casini e, in particolar modo, Fini (55%). I consensi verso il ministro degli Esteri, che si estendono ben oltre i confini del suo partito, sembrano insidiare la leadership di Berlusconi. L'elettorato della Cdl, infatti, appare diviso nella scelta del candidato "ideale" per le politiche 2006: se il 34% confermerebbe l'attuale premier, il 32% chiede che la guida passi al presidente di An.

La situazione, sull'altro versante dello spazio politico, appare assai diversa. Gli italiani, pur mantenendo un atteggiamento critico nei confronti dell'opposizione, formulano un giudizio più benevolo (33%) rispetto a quello assegnato al governo. Inoltre, il leader della coalizione ottiene un livello di apprezzamento che lo colloca in posizione mediana, nella graduatoria dei politici. Il suo ruolo in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, peraltro, non viene messo in discussione dall'elettorato di centro-sinistra: con il 35% delle preferenze, Prodi distanzia nettamente gli altri esponenti della coalizione.

L'avvicinarsi delle consultazioni politiche, oggetto di attenzione crescente da parte dei media e nel dibattito pubblico, modifica, in parte, i riferimenti per le scelte di voto. Si comincia a percepire il clima della futura campagna elettorale. Cresce, quindi, la disponibilità a dichiarare il voto (i rispondenti passano dal 73 al 79% per il maggioritario, dal 55 al 61% per il proporzionale). Sembra un po' dissolta la fase di disorientamento e di sbandamento dell'elettorato di centro-destra, registrata dopo le elezioni regionali. Le aspettative di vittoria del centro-sinistra alle prossime elezioni politiche si sono ridotte rispetto al mese di maggio, anche se restano più del doppio rispetto a quelle della Cdl. Fino all'estate scorsa gli orientamenti elettorali apparivano influenzati soprattutto dalla delusione (ancora in aumento) verso il governo Berlusconi. In prossimità delle elezioni nazionali (caricate di aspettative e di significati di più ampio respiro), le scelte tendono a legarsi maggiormente alle identità politiche e culturali, che possono mettere tra parentesi il giudizio sulle performance del governo. La diminuzione del numero degli incerti, quindi, ha ridotto lievemente il distacco fra l'Unione e la Casa delle libertà. Si possono rilevare, poi, alcuni interessanti mutamenti interni alle coalizioni.

Crescono, in particolare, i consensi per i Ds, nel centro-sinistra, e quelli per Alleanza nazionale e la Lega, nel centro-destra. La proposta di abbandono dell'attuale sistema maggioritario, per passare a un sistema proporzionale, sembra trovare scarso sostegno nell'opinione pubblica (19%) e risulta poco condivisa anche tra gli elettori di centro-destra e della stessa Udc. Gli attuali orientamenti di voto, inoltre, darebbero all'Unione la possibilità di vincere (per un soffio) anche in presenza di una nuova legge elettorale di tipo proporzionale (con premio di maggioranza). La partita sarebbe, però, molto incerta, e l'esito dipenderebbe anche dal successo delle possibili aggregazioni tra i piccoli partiti.





http://www.repubblica.it/2005/i/sezioni/politica/versoelezioni/unionetesta/unionetesta.html

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