mercoledì 24 maggio 2006

Berlusconi scrive a Zapatero: "Tornerò premier dopo il riconteggio dei voti"

«Caro Josè Luis Rodriguez Zapatero, dopo cinque anni mi accingo a lasciare la guida del governo italiano ma spero di tornare presto... dopo che saranno state verificate le oltre un milione e centomila schede annullate». Mittente: Silvio Berlusconi. Inizia così la lettera che l'ex premier ha inviato da Palazzo Chigi al leader spagnolo il 16 maggio scorso: cinque giorni dopo la sconfitta alle elezioni. Una lettera scritta su carta intestata «Il presidente del Consiglio de Ministri» e pubblicata nel numero di giovedì del settimanale L'Espresso.

Che a Berlusconi la sconfitta non fosse andata proprio giù è cosa nota. «Siamo minoranza in Parlamento, ma maggioranza nel Paese»: «Con il riconteggio delle schede annullate, tornerò al governo», «Il risultato deve cambiare»: dice Berlusconi in Parlamento, nel salotto televisivo di Vespa «Porta a porta», per strada. Poi, non contento, sguinzaglia i suoi parlamentari Gregorio Fontana ed Elisabetta Gardini presso la sede distaccata della Camera dei Deputati a Castelnuovo di Porto (Roma) dove è stato allestito il centro di raccolta della documentazione elettorale (così come previsto dalla legge). Ma Berlusconi fa molto di più. Secondo quanto rivelaato dall´Espresso, cinque giorni dopo la sconfitta elettorale, il premier ormai uscente avrebbe scritto ad alcuni capi di stato europei per salutarli ma soprattutto per ribadire ufficialmente la sua teoria del complotto del centrosinistra.

L´Espresso pubblica per intero la sola lettera a Zapatero ma l´ipotesi, inquietante, è che altre missive, identiche, siano state spedite un po´ a tutti i premier del Vecchio Continente. «Caro Josè Luis – scrive dunque Berlusconi - dopo cinque anni mi accingo a lasciare la guida del governo italiano. Si è trattato di un periodo di stabilità senza precedenti nella storia della Repubblica italiana, che mi ha consentito di varare 36 importanti riforme di ammodernamento del paese e di sviluppare un'esperienza particolarmente importante e positiva nei rapporti con i colleghi degli altri paesi europei».

«Come probabilmente sai - continua l'ex premier con tono vittimistico - per il particolare sistema elettorale italiano, nonostante il mio personale successo (Forza Italia è di gran lunga il primo partito italiano), la coalizione che guido è risultata globalmente maggioritaria in termini di voti ma minoritaria in termini di rappresentanza parlamentare. Come leader dell'opposizione rappresento comunque il 50,2 per cento del paese e spero di tornare presto al governo dopo che saranno state verificate le oltre un milione e centomila schede annullate».

Seguono ringraziamenti, saluti e, tocco finale: «Ti ricordo che hai un amico che Ti vuole bene! Un forte abbraccio». Firmato: «Silvio».


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Mani Pulite sul pallone

di Marco Travaglio


Non basterebbe un plotone di neuropsichiatri, né un manipolo di criminologi, per spiegare le reazioni della Casa della Libertà Provvisoria alla nomina di Francesco Saverio Borrelli a capo dell´Ufficio indagini della Federcalcio. Reazioni decisamente più dure di quelle che avrebbero accolto la nomina di Al Capone. Il fatto è che, per la prima volta nella sua storia, il calcio italiano scivola via dalle mani della politica, che fin dai tempi del Duce l´aveva sempre usato come "instrumentum regni" e gestito come il cortile di casa.

Scivola via, il calcio, e si dà un vertice totalmente sganciato dai partiti. Il commissario Guido Rossi e il procuratore Borrelli sono due marziani: hanno un´età, una storia, un prestigio, un peso specifico e un orgoglio financo un po´ snobistico della propria autonomia da garantire assoluta libertà di movimento, al riparo da ogni condizionamento, ammiccamento, accomodamento. Con due così, l´italica arte della strizzatina d´occhio, del darsi di gomito, dell´ "aumma aumma", del ricattuccio non attacca. E tanto basta a spiegare lo sgomento di chi quell´italica arte ha elevato a programma di vita e poi di governo. Quelli che tuonano contro Borrelli sono gli stessi che 12 anni fa volevano Previti ministro della Giustizia e 10 anni fa avevano pronto un collegio sicuro per Dell´Utri e uno per Squillante (il primo fu eletto, il secondo fu arrestato appena in tempo). Pretendere da questa gente un giudizio sereno su Borrelli è come stupirsi se la Banda Bassotti detesta il commissario Basettoni. L´idea, poi, che a guidare le indagini sul calcio sia uno che sa guidare le indagini getta gli intoccabili nel più cupo smarrimento: all´ex procuratore di Milano avrebbero preferito di gran lunga un procuratore della Gea.

In fondo, bisogna capirli. Già duramente provati dalle indagini sui furbetti, dalle elezioni politiche, dalla cattura di Provenzano, dall´arresto di Previti e dalla condanna di Vanna Marchi, stanno vivendo come un incubo questa strana aria di legalità che si respira da qualche settimana. Il centrosinistra non c´entra, anzi: Prodi aveva pensato bene di offrire la Federcalcio a Gianni Letta, il quale ci aveva fatto la grazia di declinare, e solo a quel punto era saltato fuori Guido Rossi. Quel che si dice, per la politica politicante, un marziano. Un odioso e odiato "moralista" che parla di «etica negli affari» e «conflitto d´interessi», e che con la sinistra ufficiale c´entra poco o nulla (basti pensare alla sua fiera opposizione alla scalata Unipol a Bnl e all´immortale battuta sulla «merchant bank» di Palazzo Chigi ai tempi di D´Alema). Esattamente come Borrelli, protagonista di epici scontri con il centrosinistra ai tempi della famigerata Bicamerale e delle leggi-vergogna della legislatura dell´Ulivo. Per questo Berlusconi li detesta: sa benissimo che la sua litania sulla «sinistra che ha messo le mani sul calcio» è una balla sesquipedale, visto che né Rossi né Borrelli rispondono ad alcuno se non alle proprie coscienze e alle leggi penali e sportive. Ed è proprio questo che lo preoccupa. È più forte di lui. Quando sente parlare di legge, e peggio ancora di coscienza, mette mano alla fondina. O allo stalliere.

Come diceva Bossi quand´era lucido, «se Berlusconi piange, state allegri: vuol dire che non ha ancora messo le mani sulla cassaforte». Dunque stiamo allegri. Godiamoci questa boccata d´ossigeno, ovviamente passeggera, finchè dura: due uomini di legge di specchiata fama ai vertici del calcio. E ringraziamo l´ingorgo istituzionale, il vuoto di potere a Roma, le intercettazioni di Torino e di Napoli e le congiunzioni astrali che han consentito ad alcune pericolose schegge di legalità di insinuarsi proditoriamente nel corpo marcio del Paese, rischiando fra l´altro di creare un pericoloso precedente. Se non si provvede per tempo, queste tracce di Stato potrebbero contaminare irrimediabilmente l´Antistato e disorientare l´opinione pubblica non più avvezza a emozioni così choccanti.

È bello leggere, mentre le acque del Mar Rosso restano ancora miracolosamente aperte, i commenti di Cicchitto, Rotondi, Mantovano e altri giureconsulti di fama mondiale sul ritorno di Borrelli. Non potendo tirar fuori la solita menata delle toghe rosse, anche perché il Comintern non ha squadre nel campionato di serie A, sono a corto di argomenti. Detestano Borrelli, ma non riescono a trovare un solo motivo (confessabile, s´intende) per cui non dovrebbe diventare procuratore della Figc. E per di più sanno che i tifosi di tutt´Italia non capiscono a quale titolo i politici continuino a pontificare sul pallone e, auspicando una giustizia rapida e inflessibile, non comprendono perché mai Borrelli non va bene. È forse un dirigente di qualche squadra? Lo manda forse l´Inter, o la Juve, o il Peretola? Non sanno che dire, e allora delirano, dicendo cose che una persona normale si vergognerebbe di pensare. Berlusconi seguita a blaterare di «mani della sinistra sul calcio», ma solo perchè vorrebbe tenercele ancora lui («Ho detto a Galliani di non dimettersi»: come se la Lega Calcio la nominasse il capo dell´opposizione o il padrone di Milan). Intanto Fabrizio Cicchitto, con grave sprezzo del ridicolo, intravede «una manina che vuole recuperare il giustizialismo» e parla di «nomina incredibile e tutt´altro che innocente»: e lui, venendo dalla P2, di colpevoli se ne intende. La manovra, prosegue il boccoluto muratorino, punta a «riprendere a sparare a raffica in molteplici direzioni, e aumentare il potere di ricatto e di interdizione di alcuni ben precisi ambienti milanesi collocati a cavallo fra alcuni grandi studi legali, alcune banche, qualche potere editoriale». Parole incomprensibili, da cifrario esoterico. «È un´altra prova del regime dell´Unione», tuona Isabella Bertolini, farfugliando di «uso politico della giustizia sportiva contro Berlusconi». Anche Alfredo Mantovano di An, magistrato-deputato («toga nera»?), sostiene che questa è «la risposta più adeguata all´intenzione di Berlusconi di tornare presidente del Milan». Capìta l´antifona? Borrelli potrebbe disturbare il conflitto d´interessi politico-sportivo di Berlusconi, dunque è meglio che si faccia da parte (a proposito: ma perchè Mantovano e Bertolini, a proposito del nuovo capufficio indagini, pensano subito al Milan? Sanno qualcosa che noi non sappiamo?). Sempre acuto l´ex ministro Gasparri: «Io non ho problemi perché sono romanista, ma se fossi milanista sarei preoccupato. Perché gli ex procuratori di Milano non vanno in pensione a fare i nonni?». Parola del responsabile di un partito che, all´Authority della Privacy, ha nominato un condannato definitivo per violazione della privacy. Il meglio lo dà l´on. avv. prof. Gaetano Pecorella: «Se Borrelli farà al calcio italiano quello che ha fatto alla politica, sarà la fine del calcio italiano». Tre cazzate in una: il calcio italiano è finito a causa degli scandali, ben prima che arrivasse Borrelli; la politica non è mai finita, anche se la presenza di Pecorella in Parlamento potrebbe farlo supporre; Borrelli non s´è mai occupato di politica e ora non si occuperà i calcio: s´è sempre occupato di reati, e se questi hanno attinenza con la politica e con il calcio, è colpa della politica e del calcio, non di Borrelli.

Un certo Ciocchetti dell´Udc vaneggia di «ferite che si riaprono» e di nomina che «spacca ulteriormente il Paese». Evidentemente ha notizia di moti di piazza fra borrelliani e antiborrelliani che, per il momento, non abbiamo notato. Per il segretario, con rispetto parlando, della Nuova Dc, Gianfranco Rotondi, la nomina di Borrelli è «un´operazione politica contro Berlusconi», addirittura «un ghigno mafioso»: parola di uno che ha portato in Parlamento due pregiudicati, De Michelis e Cirino Pomicino (ieri molto critico anche lui). Ora Rotondi minaccia di «lasciare il Paese», per la gioia dei più. E pare che si lamenti anche Mario Pescante di An, quello che dovette dimettersi da presidente del Coni perché nel laboratorio dell´Acquacetosa era vietato cercare il doping, onde evitare il rischio di trovarlo.

Politici a parte, gli unici commenti normali arrivano da due calciatori azzurri. Alberto Gilardino: «Borrelli è uomo di grande competenza, mai come ora ci aspettiamo molto dalla giustizia sportiva perchè il calcio torni pulito» (Gilardino è, o almeno era fino a ieri, l´attaccante del Milan). E Simone Perrotta: «Se Borrelli è riuscito a fare pulizia nel mondo politico, ci riuscirà anche nel calcio. Speriamo che ci riesca come ha fatto a suo tempo con il pool di Mani pulite». Ecco: quel che sperano gli sportivi è proprio quel che temono lorsignori.

da l'Unità del 24/05/2006

lunedì 22 maggio 2006

Zapatero al Papa: la Spagna è uno stato aconfessionale

La Chiesa deve autofinanziarsi



Il governo spagnolo ha risposto alle critiche implicite del Papa al ridimensionamento dell'insegnamento della religione nella riforma scolastica e al matrimonio omosessuale, affermando che l'esecutivo socialista "non può occuparsi più del catechismo che del programma" e che "governa per tutti i cittadini e non domanda prima quale sia la loro condizione". Il portavoce della Moncloa, Fernando Moraleda, citato dai media, rispondendo alle osservazioni di sabato di Benedetto XVI durante la cerimonia delle credenziali del nuovo ambasciatore spagnolo in Vaticano, ha ribadito che la Spagna "è uno Stato aconfessionale". E "come non imporrà mai ai cittadini una guerra che non desiderano", così "mai imporrà l'insegnamento della religione ai bambini che non lo vogliano". Perché, ha spiegato Moraleda, quello di Jose Luis Rodriguez Zapatero "è un governo dei cittadini".

Riferendosi ai matrimoni omosessuali, il portavoce ha detto che Madrid non può consentire che "a causa del suo orientamento sessuale una persona soffra di una riduzione dei propri diritti".

Sul finanziamento della Chiesa, Moraleda ha detto che quest'ultima "deve trovare meccanismi di autofinanziamento" e che "non ha senso" che lo Stato, essendo per costituzione "aconfessionale", continui a finanziarla . Ed ha ricordato che si sta discutendo con la Chiesa tale problema.Lo scontro Vaticano-Spagna è nato dal nuovo "no" del Papa alle unioni che "soppiantano o offuscano" la famiglia fondata sul matrimonio. Un nuovo monito in difesa della vita "dal concepimento alla morte naturale". Un nuovo richiamo sul diritto dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni religiose. Queste sottolineature, Benedetto XVI le aveva consegnate venerdì nelle mani del nuovo ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede. Il Pontefice aveva riaffermato che si tratta di confini non valicabili i temi come le unioni di fatto (per non parlare dei matrimoni gay leciti in Spagna) e la manipolazione della vita."La Chiesa proclama senza riserve il diritto primordiale alla vita, dal concepimento alla morte naturale, il diritto a nascere, a formare e a vivere in una famiglia", ha ribadito Benedetto XVI all'ambasciatore Francisco Vazquez Vazquez. E l'accento speciale sulla famiglia comprende il fatto che essa non può essere "soppiantata o offuscata da altre forme o istituzioni diverse".Ricordando quindi la sua partecipazione al prossimo Incontro Mondiale delle Famiglie, a Valencia in luglio, ha auspicato che l'occasione gli dia "l'opportunità di celebrare la bellezza e la fecondità della famiglia fondata sul matrimonio, la sua altissima vocazione e il suo imprescindibile valore sociale".

(Il Gazzettino, 22/05/2006)
http://www.gaynews.it/view.php?ID=37604

Diritti alle coppie di fatto. Divide il sì della Bindi

Marini: estenderli è giusto. L'Udc: così si disgrega la famiglia La Bonino: coraggiosa. Il ministro Pollastrini: presto la legge


ROMA — Piace molto Rosy Bindi ministro alla sinistra radicale e laica. Le sue prime parole da responsabile della Famiglia al Corriere della Sera conquistano gli animi di quanti nella maggioranza vedono con grande favore il riconoscimento giuridico delle unioni di fatto e un cambiamento della legge sulla fecondazione assistita. Così arrivano l'abbraccio di Emma Bonino («brava e coraggiosa»), i complimenti di Daniele Capezzone («positivo passo in avanti»), l'entusiasmo di Barbara Pollastrini, ministro diessino per le Pari Opportunità, che dice di voler proporre entro sei mesi «oltre alle quote rosa, un progetto di legge sulle unioni di fatto», l'incoraggiamento di Franco Grillini, («bene quel riferimento ai diritti pubblicistici»), la difesa di Marco Rizzo («da destra solo attacchi strumentali»), la soddisfazione di Vladimir Luxuria e Titti De Simone («per la prima volta il riconoscimento pubblico delle unioni civili non sembra più uno scoglio insormontabile»).

Soprattutto sono piaciute le parole «riconoscimento pubblico» delle coppie di fatto, mandate forse a dire anche al suo leader Rutelli, che invece preferirebbe regolarne solo i rapporti privati. «Ne discuteremo — dice Bindi —. Dovremo evitare uno scontro ideologico». Bene, brava, bis, applaudono nel centrosinistra che sta più a sinistra ma non s'irrigidiscono neppure dentro l'area cattolica. Nel centrodestra invece la levata di scudi è unanime e fa dividere i cattolici, pronti al dialogo quelli al governo, decisi al rifiuto gli altri nell'opposizione. Così i primi ribadiscono la priorità assoluta della famiglia nel governo Prodi, «quella prevista dalla Costituzione» ma riconoscono anche la necessità, come le parole del presidente del Senato Franco Marini, dell'«estensione dei diritti civili alle forme diverse della convivenza». Il diessino cattolico Giorgio Tonini trova «equilibrata» Rosy Bindi, «in linea con il programma dell'Unione, che non prevede i Pacs ma un riconoscimento giuridico anche verso terzi».

Il vicepresidente della Camera Pierluigi Castagnetti, Margherita, fa persino un appello: «Spero che non passeremo anche questa legislatura a litigare tra cattolici dei due poli sul tema della famiglia», e chiede di discutere pacatamente evitando gli slogan. Ma l'appello resta inascoltato. Dal centrodestra, più che critiche, bordate. Il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa replica che «nel programma confuso e contraddittorio della Bindi non c'è nulla di cattolico, ma emerge il profilo di una famiglia che si avvia alla disgregazione». Per Carlo Giovanardi (Udc) «ha trasformato il suo ministero in quello delle Famiglie, termine caro a chi vuol contestare la famiglia fondata sul matrimonio». Francesco Giro, responsabile di Forza Italia per i rapporti con il mondo cattolico, promette: «Sui Pacs saremo cattivissimi». Maurizio Gasparri (An) è caustico: «Il ministro non poteva partire in modo peggiore». Solo l'Udeur, nella maggioranza, sembra non condividere le posizioni del ministro. Mauro Fabris ieri ha detto: «Nel programma da noi sottoscritto non ci sono le modifiche legislative proposte dal ministro Bindi».

Mariolina Iossa
22 maggio 2006
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2006/05_Maggio/22/iossa.shtml

domenica 21 maggio 2006

Il grande show della politica

Al discorso di insediamento di Napolitano, una fotografia ritrae il Cavaliere seduto, immobile, le mani congiunte, a testa china



Il dolore non risparmia nessuno: neppure Silvio Berlusconi. L'ho visto molto teso, con la pelle più tirata del solito e gli occhi a fessura. Al discorso di insediamento di Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica, una fotografia ritrae il Cavaliere seduto, immobile, le mani congiunte, a testa china, con a lato e in piedi Fini e Martino che civilmente applaudono. Devono avergli fatto un dispetto perché l'ordine era di stare composti come a un funerale. Ma la vera irritazione il leader di Forza Italia l'ha avuta perché Napolitano, nel suo intervento a Camere riunite, non l'ha citato nei saluti iniziali.
Capisco che per il padrone di Mediaset, che si sente l'Unto del Signore, un po' più alto di Napoleone, che entrava al Cremlino non sentendosi ospite ma lo zar, sia difficile rientrare nel ruolo del comprimario. Chissà che cosa avrà pensato mentre interveniva il «comunista» del Quirinale. Questa è la vera sconfitta di un uomo che ha fatto dell'anticomunismo una bandiera, soprattutto quando non aveva altro da dire. Sarebbe giusto non dimenticasse che se è riuscito a costruire un impero dal niente, creare tre reti televisive come quelle di Stato, è stato grazie all'amicizia di un politico, Bettino Craxi, che non si è mai seduto sui banchi della destra.
Poi, se Silvio Berlusconi ha potuto fondare un partito e addirittura diventare capo del governo, dovrebbe ringraziare quanti, soprattutto i comunisti, durante la Resistenza, hanno combattuto perché questo diventasse un Paese democratico. Ma va riconosciuto al Cavaliere uno straordinario senso dello spettacolo: basta che si accendano i riflettori e il suo volto si distende. E' successo il giorno in cui ha passato le consegne a Romano Prodi: davanti alle telecamere, eccolo di nuovo sorridente, pronto alla barzelletta, suonando un campanellino. Poi, però le luci si sono spente.

Enzo Biagi
21 maggio 2006

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2006/05_Maggio/21/biagi.shtml

Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

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