venerdì 6 ottobre 2006

No al pizzo sulle rassegne stampa

Le modifiche al diritto d'autore colpiscono le attività senza scopo di lucro andando a impattare anche sull'online. L'accusa di Peacelink, che lancia una iniziativa web contro le nuove norme


Roma - "No alla tassa sulle rassegne stampa". Con questo slogan l'associazione PeaceLink ha lanciato in rete una campagna per revocare le modifiche alla legge sul diritto d'autore introdotte con il decreto legge 262 del 3 ottobre 2006, che ha stabilito l'obbligo di un pagamento per la riproduzione di articoli di attualità senza scopo di lucro, contrariamente a quanto prevedeva la precedente formulazione sul diritto d'autore che poneva come unico obbligo la citazione della fonte.

"Un gruppo missionario che raccoglie sul web articoli sulla guerra in Darfur - spiega una nota della celebre associazione pacifista - Un comitato di quartiere che vuole documentare uno scempio ambientale archiviando articoli della stampa locale. Un'associazione di persone colpite da una malattia rara che vuole mettere a disposizione di tutti una rassegna stampa sui progressi scientifici del settore. Un'associazione pacifista che vuole denunciare, con prove giornalistiche alla mano, crimini di guerra e violazioni dei diritti umani.
A partire da domani tutti questi soggetti potrebbero essere costretti a pagare una tassa ingiusta alle associazioni degli editori per continuare a svolgere le loro attività. Soldi che per giunta verranno intascati dagli editori, e di certo non dai giornalisti che hanno scritto quegli articoli, pagati una tantum per la cessione dei loro diritti d'autore alle testate per cui lavorano".

"Da più di dieci anni - ha dichiarato Carlo Gubitosa, referente della campagna - collaboro con il sito www.peacelink.it, che sulle sue pagine ospita quasi 18mila articoli, alcuni originali, altri tradotti, molti ripresi da varie fonti autorevoli, sempre e comunque menzionate e riportate per esteso. Sul nostro sito tutti questi articoli hanno acquistato un valore aggiunto proprio perchè organizzati, tematizzati, catalogati e collegati tra loro grazie al lavoro di un gruppo costituito totalmente da volontari, dal presidente in giù.
Molto di questo materiale è scomparso dai siti web delle testate che lo hanno pubblicato, e questo aggiunge al nostro lavoro di bibliotecari anche un importante ruolo di memoria storica delle lotte italiane e internazionali per la pace e il rispetto dei diritti umani".

Nel testo dell'appello, pubblicato a questo indirizzo si chiede al parlamento italiano di abolire con un opportuno provvedimento le disposizioni contenute nel decreto legge 262/2006 che modificano in senso restrittivo la legge sul diritto d'autore.


http://punto-informatico.it/p.aspx?id=1682248&r=PI

mercoledì 4 ottobre 2006

Le sette lamentazioni e il rigore necessario

di EUGENIO SCALFARI


NELLE ULTIME quarantott'ore i contenuti reali, gli obiettivi raggiunti e quelli mancati dalla Finanziaria 2007, sono venuti a galla. Così pure le reazioni dei contribuenti, dei partiti, delle parti sociali e degli economisti. Il quadro è completo o quasi.

Le reazioni dei partiti e quelle delle organizzazioni che rappresentano interessi erano in larga misura prevedibili; non ci sono state sorprese degne di nota: governo e maggioranza da un lato, opposizione dall'altro; sindacati dei lavoratori favorevoli, Confindustria commercianti e artigiani contrari. Più interessante quelle dei contribuenti e degli esperti di economia. Qui è tutto un lamentarsi, anche perché i contribuenti favorevoli tacciono, quelli in qualche modo colpiti - anche di poco o pochissimo - esternano. Eccome! E meritano ascolto anche se chiedono cose irragionevoli, perché un pizzico di verità comunque c'è.

Lamentela numero uno: troppe tasse e pochi veri risparmi. Numero due: la stangata è ingiusta, doveva colpire solo i grandissimi patrimoni e invece si è accanita sui poveri cristi. Lamentela numero tre: gli sgravi sui redditi bassi favoriranno anche gli evasori. Numero quattro: gli evasori sono costretti ad evadere. Numero cinque: i piccoli imprenditori sono le vittime politiche della manovra. Numero sei: il Nord e in particolare il Lombardo Veneto pagano ingiustamente di più. Numero sette: l'agnello sacrificale è comunque il ceto medio.

Queste, a volerle riassumere in poche parole, sono le sette lamentazioni contro la Finanziaria. Ho già detto che prima di contestarne il contenuto bisogna scoprire quel pizzico di verità che contengono. E il pizzico di verità è questo: bisognava rimettere in ordine i conti disastrati dell'economia e della finanza; bisognava applicare la necessaria dose di rigore. Rigore vuol dire rigore, inutile girarci intorno. Vuol dire far quadrare un bilancio nazionale disastrato, contenere il deficit, contenere il debito pubblico, raccogliendo le risorse necessarie. Stimate a circa 2 punti di Pil; in cifre assolute 24 miliardi di euro.

E' evidente che non si potevano cercare queste risorse tra i poveri. Certamente bisognava cercarle tra i ricchissimi ed è stato fatto, non per farli piangere ma per un minimo di equità. I ricchissimi tuttavia sono pochissimi. Per trovare risorse vere bisogna dunque scendere nella trottola dei redditi e scendendo si arriva a contatto con il ceto medio. Il concetto di ceto medio è quanto di più discusso e fumoso esista in sociologia.

Dove comincia il ceto medio? E dove finisce? Alberto Statera ha condotto in varie puntate un'inchiesta rivelatrice ed anche molto piccante su quest'argomento e ci ha fatto scoprire che chi ha un reddito di 60 mila euro annui (pari a poco più di 45 mila al netto di imposte e contributi) si ritiene sull'ultimo gradino della scala dei redditi, sotto al quale comincia la povertà. Ci ha fatto anche scoprire che il barista di piazzale Clodio a Roma, con un reddito effettivo di 100 mila euro, ritiene legittimo ed anzi generoso nasconderne solo la metà al fisco, se lo dichiarasse tutto andrebbe fallito.

Allora ripropongo la domanda: qual è il ceto medio? La risposta è questa: il ceto medio è quello il cui reddito si colloca nei dintorni del reddito medio degli italiani. Nella operazione redistributiva avviata dalla Finanziaria il crinale individuato dal governo per distribuire risorse ad una parte e togliere risorse ad un'altra parte sta tra i 40 mila e i 50 mila euro di reddito annuo. Chi sta sopra dà, chi sta sotto riceve. E' giusta la scelta del governo? Oppure esosa? O invece generosa?

La risposta la troviamo in un'inchiesta del 2004 effettuata dalla Banca d'Italia sulla distribuzione del reddito ed è una risposta sulla quale bisogna riflettere a lungo: il reddito medio degli italiani è di 24 mila euro annui, il Nord ha un reddito medio di 28 mila, il Sud di 17 mila. Avete capito bene? Questo dato significa che chi ha un reddito maggiore di 24 mila euro sta sopra la media e chi ce l'ha minore sta sotto la media.

Dunque il governo, volendo equilibrare un po' una scala di redditi fortemente squilibrata, è stato generoso nel senso che ha diminuito il prelievo sui contribuenti fino ai 40-50 mila euro e lo ha accresciuto al di sopra di quella fascia. Si dice: doveva tagliare gli sprechi. Doveva riformare il "welfare". Doveva colpire gli statali. Doveva doveva doveva.

Mi viene in mente la risposta di Don Abbondio al cardinal Federico Borromeo che gli rimproverava di non aver celebrato il matrimonio tra Renzo e Lucia e di aver ceduto alle intimazioni degli sgherri di Don Rodrigo: "Eminenza, bisognava averli visti quei volti, averle udite quelle parole". E il cardinale, anziché irritarsi, crollò il capo in segno di comprensione.
Padoa Schioppa di tutto si può accusare fuorché d'esser pusillanime. Né ha avuto sgherri alle calcagna.

Ma ha operato in un contesto politico. Ha ritenuto che le riforme necessitavano d'un rinvio a febbraio-marzo mentre gli obiettivi richiesti dai mercati e dall'Europa erano attesi entro novembre con la Finanziaria. E' così difficile capire questa realtà? Vincenzo Visco ne ha ricordata un'altra con una battuta molto efficace nella sua intervista di ieri a "Repubblica". Ha detto: "Questa Finanziaria è la tassa di successione lasciata da Tremonti" esattamente così.

Vengo ora agli economisti indipendenti, stimolato dalle parole cortesi di Franco Bruni (che è uno di loro) sulla "Stampa" di ieri. Dice Bruni che gli economisti indipendenti hanno anche loro preferenze politiche (hanno un cuore, scrive testualmente) ma privilegiano l'indipendenza. In questo modo ravvivano il dibattito e compiono un'opera utile.

Sono d'accordo: ravvivano utilmente il dibattito. Ma non sono indipendenti. Ciascuno di noi ha nella sua testa una "variabile indipendente" e a quella è agganciato, quello è l'asse del suo ragionamento e da quell'asse egli dipende perché quello è il suo pre-giudizio. Ma questa è filosofia. Andiamo al pratico.

Quanto ha destinato il governo al raddrizzamento dei conti disastrati? Ha scritto Francesco Giavazzi (economista indipendente) che il deficit nel 2006 era del 3.6 per cento del Pil; dopo la Finanziaria scenderà al 2.8. Quindi l'operazione "rigore" è stata fatta con lo 0.8 del Pil. Valeva la pena di fare tanto chiasso per una decina di miliardi? Sarà sicuramente indipendente, Francesco Giavazzi, ma sbaglia o dimentica alcune cose. Anzitutto non si tratta del 3.6 bensì del 3.8, ma questo è un trascurabile dettaglio di due decimali. Il fatto è che il deficit nel luglio scorso era stimato a 4.1 e dopo la sentenza della Corte europea sul rimborso dell'Iva incassata sulle automobili delle imprese, era salito (il deficit) a 4.6.

Il governo, insediato da appena quindici giorni, provvide con la cosiddetta manovrina (decreto Bersani di luglio) e predispose anche la copertura dei presunti rimborsi Iva. Con questi interventi sommati a quelli contenuti nella Finanziaria 2007, il governo ha abbassato il deficit dal 4.6 al 2.8, cioè di 1.8 punti del Pil, pari a poco meno di 20 miliardi di euro. Un'altra questione riguarda il recupero dell'evasione. Sono oltre 7 miliardi. Nuove imposte? Oppure imposte dovute a legislazione vigente? Decidersi tra queste due definizioni è importante.

Recuperare l'evasione significa mettere le mani nelle tasche dei contribuenti oppure impedire che alcuni contribuenti mettano le mani nelle tasche dello Stato? Opterei per questa seconda dizione. Ma allora è sbagliato sommare quei 7 miliardi di recuperi con le altre entrate tributarie perché la qualità, l'essenza di quel denaro è diversa. Perciò quei 7 miliardi debbono essere tolti dalle cifre delle entrate perché appartengono ad un altro aggregato. E questo (sembra a me) è un altro errore che un economista indipendente non dovrebbe compiere.

Infine: l'operazione perequativa si chiude in pareggio. Tanto si taglia da una parte e tanto si aggiunge su un altro piatto. Non si può contabilizzare una parte senza accompagnarla con l'altra di opposto segno. Il contenuto di questa operazione è più etico che finanziario.

Mi par di capire che gli economisti indipendenti l'etica non la menzionino perché riguarda il cuore. Dovrebbero però ricordare che al tempo di Adam Smith, loro maestro e di tutti noi, la filosofia morale era un ingrediente essenziale e pre-giudiziale dell'economia politica. E' bene non scordarlo mai.

(4 ottobre 2006)
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Gay, miseria e politici corrotti; ecco il film che divide l'Islam

Oltre cento parlamentari egiziani hanno chiesto di bloccare "Palazzo Yacoubian"
Mai nel cinema egiziano si era osato mostrare l'omosessualità
In una conferenza stampa l'attore protagonista è stato attaccato dai giornalisti

di GABRIELE ROMAGNOLI




IN UN CINEMA di Parigi, affollato da un pubblico di lingua araba, ho visto il film che sta facendo scalpore in Egitto. Lì come al Cairo una scena genera imbarazzo in sala, si odono bisbigli, spettatori si aggiustano sulla sedia. "Palazzo Yacoubian" sdogana il tema dell'omosessualità. Gli attacchi che ne sono seguiti svelano la doppia ipocrisia del potere politico. Non è solo questione di arretratezza, c'è un secondo aspetto, di cui dirò alla fine. Il film, per cominciare. Tratto dal romanzo di Ala Al Aswany (edito in Italia da Feltrinelli) ne riproduce fedelmente le storie intrecciate in un decaduto edificio del centro.

Superfluo dire che il libro è, come quasi sempre accade, meglio. Ma la trasposizione cinematografica dà alla storia una superiore capacità d'impatto e le ha permesso, in un paese a bassa alfabetizzazione, di arrivare a un pubblico molto più ampio. Scioccandolo. In una chiacchierata precedente la pubblicazione della traduzione italiana Ala Al Aswany, che di professione fa il dentista, mi confidò nel suo ambulatorio lo stupore per il fatto che il romanzo avesse superato i controlli della censura. "Hanno fatto come i computer - ipotizzava - cercavano le parole chiave. Non trovandole hanno detto: visto si stampi". Poi, si è fatto tardi: "Palazzo Yacoubian" è diventato il principale best seller arabo dopo il Corano. Proprio per questo pensavo che avrebbero impedito al film di esserne la copia. Invece, di nuovo, se ne sono accorti tardi.

Adesso 112 parlamentari ne chiedono il ritiro dalle sale. Durante un collegamento radiofonico un ascoltatore ha detto all'attore Khaled El Sawy: "Se la vedo per strada, la meno a sangue". Che parte fa El Sawy? Quella che provoca i bisbigli e gli aggiustamenti in poltrona. E' Hatim Rasheed, un giornalista che dirige un settimanale in lingua francese. Omosessuale. Una sera, uscendo dalla redazione, vede un giovane soldato, Abd Rabo, gli si avvicina, gli parla, gli dà, in cambio di un'indicazione, una mancia eccessiva.

Hateem è un uomo raffinato e colto, gemello di carta e celluloide di un noto scrittore e giornalista a Al Ahram Hebdo. Il soldato è un giovane senza educazione, arrivato dalla campagna dove ha lasciato la moglie e un figlio per guadagnarsi uno stipendio nella maniera più semplice: indossando una divisa. La sua superiorità fisica soccombe a quella mentale dell'altro. Poche sere dopo si ritrova in un appartamento affollato di pezzi d'antiquariato, su un divanetto tappezzato con stoffa preziosa, tra le mani un calice di vino come non l'ha mai assaggiato. Abd Rabo beve, Hatim gliene versa ancora, lui continua a bere, l'altro a versare. Finché il soldato si arrende.

Tra i due nasce una relazione fissa, che prosegue anche quando il soldato fa trasferire al Cairo (nell'appartamento procuratogli dal giornalista sul tetto del Palazzo Yacoubian) moglie e figlio. Il giovane sfoga il senso di colpa per essere diventato l'oggetto sessuale di un uomo possedendo brutalmente la propria donna. È una reazione a catena più credibile che scandalosa. Sono voci del desiderio, sospiri di compiacenza, gemiti di dolore che le voci amplificate dei predicatori di ogni religione riescono a coprire, mai ad annullare. Poi arriva la mano di un dio vendicatore.

Mentre il soldato giace nel letto del giornalista la moglie bussa furiosamente alla porta: il loro bambino si è ammalato, di lì a poco morirà. Sarebbe accaduto ugualmente, ma il senso di colpa trasforma un caso fortuito in un contrappasso. Ai fustigatori però questo messaggio non arriva. Si fermano alla superficie, gridando allo scandalo alla prima scena, senza accorgersi che il film è, in fondo, più moralista di loro.

È che non sono abituati: mai nel cinema egiziano si era osato mostrare apertamente l'omosessualità.
Perfino il coraggioso regista Youssef Chaine vi aveva soltanto alluso. Stiamo parlando di un Paese dove questa pratica sessuale può portare al carcere. Non esiste una legge che la punisca, ma l'omofobia sa trovare l'inganno. L'11 maggio 2001 cinquantadue omosessuali furono arrestati in una discoteca ricavata in un barcone sul Nilo, la "Queen Boat". Cinquanta vennero accusati di "corruzione abituale", due di "vilipendio della religione". Torturati e poi processati, ventuno di loro vennero condannati a tre anni di reclusione.

Quel che non fecero i giudici lo fecero i media, diffondendo nomi e indirizzi perché la pubblica (e plagiata) opinione potesse sbeffeggiarli. Il livello di apertura mentale della stampa è d'altronde dimostrato da questo episodio: in una conferenza stampa seguita alla proiezione di "Palazzo Yacoubian" un giornalista fa una domanda all'attore El Sawy che, ripeto, recita la parte di un noto collega dell'intervistatore. La domanda è: "Come può un attore del suo calibro, che ebbe un tempo l'onore di impersonare il presidente Gamal Abdel Nasser, aver accettato il ruolo di un depravato?". La risposta è un sorriso di compassione.

Ironica quella del suo collega Bassem Samra (che incarna il soldato) alla domanda: "Che cosa pensa dei parlamentari che vogliono bandire il film?", "Trovo giusto che passino il tempo a discutere e votare una cosa del genere, non hanno altro da fare avendo già risolto problemi come la disoccupazione, i traghetti che affondano, il terrorismo, i treni che si scontrano, l'analfabetizzazione e la corruzione".

Ecco, ci siamo arrivati: alla seconda (e più grave) ipocrisia. Perché mai una massa di deputati e i giornalisti sdraiati sui gradini del potere politico e religioso dovrebbero darsi tanto da fare perché il popolo non veda qualche scena di ordinaria sessualità? È davvero quello a disturbarli nelle quasi tre ore di "Palazzo Yacoubian"? O è altro? L'altro che il film racconta: la miseria in cui è stato ridotto lo splendore del Cairo, la rabbia delle classi sociali escluse non tanto dalla ricchezza quanto dalla dignità che spinge i più deboli verso il radicalismo islamico e il terrorismo, la corruzione di Stato, quella sì perfettamente organizzata, che entra in ogni piccolo affare e, come la mafia, pretende una percentuale sui profitti?

Quale è la scena del film che fa bisbigliare e aggiustarsi sulla poltrona gli spettatori di prima classe: quella della "corruzione" del soldato o quella in cui, dopo essersi spartiti una torta, il politico e l'imam pregano insieme tenendosi per mano? È per quella scena che il film va difeso. Per quella che ci si augura venga presto distribuito anche in Italia. Perché racconta una storia così egiziana, così universale.

(4 ottobre 2006)
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lunedì 2 ottobre 2006

Questa finanziaria merita un bel voto

di EUGENIO SCALFARI


STANGATA fiscale, grida la destra (e il centro). Poche riforme e nessun serio recupero strutturale della spesa, affermano sentenziosi gli economisti indipendenti. Berlusconi, Tremonti, Bossi e Fini chiamano la piazza a scendere in piazza. Casini forse in piazza non ci andrà ma sicuramente applaudirà dalla finestra. Il circo mediatico dal canto suo (con pochissime eccezioni) piange sulle sorti del ceto medio tartassato. Quanto al governo, difetta di efficaci strumenti di comunicazione e quando ne ha li usa male per difetto di comunicativa.

Sicché l'impressione generale, l'apparenza, è che questa Finanziaria con i suoi annessi e connessi sia nel migliore dei casi mediocre e segni comunque la vittoria politica della sinistra massimalista che avrebbe Prodi come portabandiera. Personalmente non condivido affatto questa "apparenza". Personalmente ritengo in tutta onestà che questa sia una buona Finanziaria. Con alcuni difetti, ma con un saldo positivo rispetto agli obiettivi che erano stati sostenuti in campagna elettorale. Quegli obiettivi, ricordiamolo, erano tre: raddrizzamento dei conti pubblici rispetto ai parametri europei, sviluppo dell'economia, equità sociale. Padoa-Schioppa aveva aggiunto l'impegno di economizzare sulla previdenza, sugli sprechi della pubblica amministrazione centrale e locale, sulla sanità. Prodi infine aveva più volte ripetuto che non avrebbe gravato la mano sui contribuenti specificando però che avrebbe spostato il carico dalle spalle deboli a spalle meno deboli.

Dopo essermi studiato per quanto possibile la foresta dei numeri (sciopero dei giornali permettendo) io penso che gli impegni assunti con gli elettori e con l'Europa siano stati adempiuti almeno in buona misura. Ho l'impressione d'essere tra i pochi a sostenere questa tesi, ma poiché mi capita spesso, questa probabile solitudine non mi sconforta. Cercherò di essere chiaro nella dimostrazione di questa tesi.

* * *
La manovra ammonta complessivamente a 33,4 miliardi di euro. Manovra imponente, su questo non mi pare ci possano esser dubbi. Nonostante il netto miglioramento delle entrate del 2006 che si valuta attualmente - a legislazione vigente - in oltre 10 miliardi. Faccio osservare a questo proposito che la sinistra massimalista aveva chiesto perentoriamente di ridurre la manovra prima a 30 e poi 26 miliardi e di spalmare la parte destinata al raddrizzamento dei conti pubblici su due anni anziché sul solo 2007. Questi suggerimenti avrebbero creato più danni che vantaggi e il governo non li ha accolti. Vuol dire che il cosiddetto timone riformista ha tenuto.

Il governo sostiene che i 33,4 miliardi si ripartiscono in 15 destinati al raddrizzamento e 18,4 alla crescita e all'equità. Sostiene anche che 13 miliardi proverranno da entrate e 20 da economie. L'opposizione naturalmente contesta, cifre alla mano. Purtroppo quelle cifre, nove volte su dieci, sono dei falsi palesi. Dico purtroppo perché a me piacerebbe che almeno sui numeri non si discutesse, ma basta consultare i giornali della destra usciti per due giorni senza concorrenza nelle edicole per avere la dimostrazione di quei falsi.

Vediamo dunque quei numeri più da vicino, a cominciare dall'operazione equitativa con la quale il governo, e Visco in particolare, ha modificato il peso fiscale spostandolo da spalle deboli a spalle meno deboli.

* * *
Il ceto medio è un termine che designa realtà diverse. Si va dalle fasce di reddito intorno ai 15 mila euro annui ai 60 mila, cioè da 1.200 euro netti mensili a 3.500. Questa platea coinvolge più dell'80 per cento dei contribuenti. Il resto è formato da fasce esenti o da ricchi-ricchissimi. Il sommerso è un mondo a sé che secondo calcoli aggiornati supera il 20 per cento del Pil "visibile".

Tra le fasce da 15 mila e quelle da 60 mila di reddito ci sono quattro lunghezze di distacco, 60 mila è infatti di quattro volte superiore a 15 mila. Il governo ha fissato la linea di discrimine a 40 mila euro di reddito. Vuol dire che da 40 mila cominciano i ricchi? Ovviamente no, tanto più che 40 mila sono lordi. Al netto dell'imposta ne restano poco più di 30 mila, vuol dire 2.300 euro mensili per tredici mensilità. Non c'è affatto da scialare. I redditi da 60 mila arrivano ad un netto mensile di circa 3.000 euro. Non si sciala neanche lì, ma si respira. L'operazione redistributiva premia le fasce di reddito fino a 40 mila in modo abbastanza consistente. La spesa totale destinata al miglioramento di questi cittadini lavoratori e contribuenti è di 7,3 miliardi. Dalle fasce superiori il fisco preleverà complessivamente 6,7 miliardi. La differenza di 600 milioni la metterà lo Stato.

Un economista indipendente (di quelli che simpatizzano col centrosinistra e danno sempre ragione alla destra) ha sostenuto che i contribuenti beneficiari percepiranno un vantaggio di 6 euro a testa all'anno. Mentre - ha detto - tutto il peso si scaricherà sui redditi da 75 mila euro in su e lì sarà macelleria.
Naturalmente queste simulazioni sono sbagliate. I redditi dei ceti medi inferiori avranno benefici del 3 per cento attraverso detrazioni e tagli alle imposte sul lavoro. I ceti medio-alti subiranno aggravi molto modesti fino a 60 mila euro di reddito. Ho calcolato la penalità d'un reddito di 80 mila (55 mila netti). Pagherà in più 66 euro al mese, una discreta cena per un coperto e una cena magra per due coperti al ristorante. Macelleria sociale? È un po' forte.

Gli esenti dalle imposte sono i redditi fino a 8 mila euro per un singolo. Per un contribuente con moglie e un figlio l'esenzione arriva a 13 mila euro, con due figli a 15 mila. Di fatto l'asticella dell'esenzione media si colloca sui redditi da 15 mila. Non è poco.

* * *
Mi pare che la vituperata macelleria si riduce a tirare il collo ad un pollo al mese. E passo perciò ad un altro argomento, quello delle tasse tasse tasse. Tutte pagate dal Nord. In particolare dal lombardo-veneto.
Che il lombardo-veneto sia la zona più produttiva d'Italia è un dato reale che fa onore a quelle regioni. Che essendo la zona più produttiva e quindi più ricca sia anche quella che contribuisce di più, mi pare altrettanto ovvio. Che debba avere i servizi ai quali ha diritto e che su questo punto vi sia un deficit drammatico è lapalissiano e di quel deficit sono responsabili i governi degli ultimi vent'anni, a terminare col quinquennio berlusconiano.

L'opposizione, in nome del Nord, si ribella. Vuole che a pagare siano gli evasori e non i contribuenti che fanno il dover loro. Lo dice Formigoni, lo dice Cesa, lo dice perfino La Russa, il d'Artagnan dei poveri. E lo dice anche Silvio Berlusconi. Ora a questo punto io voglio tributare un caloroso applauso a questi convertiti. Veramente. Era tempo che si convertissero e vanno accolti come altrettanti figlioli prodighi. Sia dunque ucciso il vitello grasso in onore di questi professionisti del condono fiscale.

Ciò detto, perché protestano? Di che cosa si dolgono?
Nella Finanziaria in questione ci sono 7 miliardi di entrate provenienti dal recupero dell'evasione. Sette miliardi su un'entrata tributaria stimata in Finanziaria a 13 miliardi. In dodici mesi un risultato così è un esercizio per il quale Visco meriterebbe una promozione. Si tratta di previsioni, perciò gli ho chiesto ieri se è sicuro dell'esito. E ha risposto che ne è certo. Mi auguro che porti a casa quel risultato e che prosegua su quella strada.

Se nei cinque anni di legislatura si arrivasse gradualmente a recuperare il 15 per cento dell'evasione, il fisco incasserebbe annualmente niente meno che 30 miliardi da questa voce. I 7 miliardi del 2007 sono (saranno, sarebbero) un ottimo inizio perché recuperare l'evasione comporta tempi lunghi. Perciò trovo assai strano che nessuno fin qui abbia messo l'accento su quest'aspetto della Finanziaria.
Debbo aggiungere che l'evasione non è quasi mai totale. Molto spesso l'evasore paga almeno il 30 per cento del suo debito fiscale. È oltraggioso pensare alla struttura delle aziende grandi e piccole? Private e pubbliche? Ai professionisti? Agli artigiani che non ti danno una fattura nemmeno se li impicchi? Ai lavoratori dipendenti che hanno un secondo lavoro (nero)? Non è oltraggioso, è la realtà. L'evasione, parziale ma consistente, è la frangia di ogni tappeto. Il guaio italiano consiste nell'entità della frangia che occupa a dir poco un quarto del tappeto.

* * *
I paletti di Padoa-Schioppa. Nei numeri della Finanziaria le risorse provenienti dalla sanità sono di circa 3 miliardi, dalla previdenza più di 5, dagli enti locali 4,3, dalla pubblica amministrazione (al netto dei contratti) altri 3. Per di più in queste cifre non entrano i risultati a più lungo termine che proverranno dalla riforma pensionistica di cui si comincerà a discutere dal prossimo gennaio.

Poteva far di più il tecnico Padoa-Schioppa? Forse sì, difficile dirlo, bisognerebbe star seduti su quella sedia per saperlo. Di una cosa però sono certo: il ministro del Tesoro che è un uomo politico per definizione, non poteva fare di più. Secondo me il risultato che ha raggiunto merita 110 con la lode. La mia pagella non conta, ma io comunque gliela do. E la do anche, anzi "in primis", al presidente del Consiglio al quale però mi permetto di attribuire un voto di insufficienza per la sua "performance" a Montecitorio sulla questione Telecom. Lì è andata male, lui non è tagliato per i dibattiti parlamentari. Ma sulla Finanziaria è stato bravo ed era il passaggio più tosto.

***
Resta da dire sui cinque miliardi del Tfr, punto dolentissimo per la Confindustria. E sul cuneo fiscale.
Su questo secondo aspetto non c'è che rallegrarsi: era un impegno, è stato mantenuto. Attenzione però: dà un po' di ossigeno alla competitività e sostiene i consumi del ceto medio-basso. Ma il problema dell'imprenditoria italiana o, se volete del capitalismo italiano non si risolve certo tagliando il cuneo di cinque punti (fossero anche dieci non cambierebbe). Non si risolve da fuori ma da dentro il capitalismo. Si risolve valorizzando gli imprenditori che innovano il prodotto e non solo il modo di produrlo; che cambiano i gusti del mercato; che modificano i termini dell'offerta, non quelli che seguono passivamente la domanda.

Ho detto prima dell'insufficienza di Prodi nel dibattito su Telecom, ma aggiungo che quell'insufficienza ha toccato il culmine negli interventi dell'opposizione. La quale si è avventata sul tema Rovati senza spendere neppure un minuto di tempo sull'assetto di Telecom, dei mancati investimenti, dell'assetto del capitale. Insomma della sostanza della questione. Prodi almeno su quell'aspetto qualcosa ha detto. I suoi interlocutori neppure una sillaba. Un dibattito, voglio dirlo, d'una povertà intellettuale inaudita.

Il Tfr. Quei soldi, diciamolo ancora una volta, non sono delle imprese ma dei lavoratori. Se i lavoratori optano per lasciarli alla previdenza pubblica, hanno pieno diritto di farlo. Alle imprese resta comunque lo stock perché il passaggio all'Inps si esercita su una parte dell'accantonamento annuale.

Certo le imprese ne sono penalizzate. Dovranno ricorrere di più all'autofinanziamento e alle banche. In questo secondo caso spenderanno un 3 per cento in più. Saranno indotte ad essere più competitive. L'operazione si limiterà ad essere una "una tantum"? Dipende dai recuperi dell'evasione. Intanto l'avanzo primario salirà dallo zero lasciato da Tremonti al 2 per cento. Questa è la migliore premessa per la riduzione del debito pubblico, altra meta che l'Europa richiede e che è nel nostro precipuo interesse raggiungere.

Sembra che nessuno si ricordi più del lascito che è stato ereditato dalla trascorsa legislatura. Un lascito disastroso. Con le casse vuote, l'avanzo primario azzerato, il debito in ascesa, il deficit al 4 e mezzo per cento, i cantieri delle imprese pubbliche allo sbando, la previdenza integrativa rinviata al 2008, i contratti non rinnovati. Dopo di noi il diluvio e chi se ne frega, questa sembrò essere la filosofia di quei cinque anni.
Il diluvio per fortuna non c'è stato, la Finanziaria va ora in Parlamento col voto unanime di tutte le componenti governative.

Io vedo questo e questo scrivo. Ora comincia il passaggio parlamentare. Qualche modifica migliorativa si potrà fare ma i paletti sono stati messi e non potranno essere divelti. Il domani è in gran parte figlio dell'oggi. Oggi la giornata è stata buona.

(2 ottobre 2006)
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Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

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