venerdì 15 luglio 2005

Sì al matrimonio fra cattolici

"Quello tra cattolici non è un matrimonio vero, poiché rappresenta un rituale davanti al loro dio più che un'unione tra due persone"
dall'ultimo numero di Diario

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Sono assolutamente favorevole al matrimonio tra cattolici,ritengo sia profondamente ingiusto cercare di impedirlo. Il cattolicesimo non è una malattia; i cattolici, per quanto a molti non piacciano e possano sembrare strani, sono persone normali e hanno gli stessi diritti degli altri esseri umani, alla stregua, che so, degli informatici e degli omosessuali.

Mi rendo conto che alcuni comportamenti e tratti caratteriali dei cattolici, oltre all'atteggiamento malato con cui si avvicinano al tema della sessualità, potrebbero apparire strani ai più.

So anche che ci sono questioni di ordine sanitario che giocano a sfavore della loro reputazione, basterebbe citare il loro nefasto e deliberato rifiuto all'uso del preservativo.

So pure che molte delle loro tradizioni, come ad esempio l'esibizione pubblica di icone raffiguranti corpi torturati, rischiano di traumatizzare gli animi più sensibili.

Ciò nondimeno, tutto ciò, oltre a concorrere a una loro immagine più mediatica che reale, trovo non sia sufficiente a impedire loro l'esercizio del matrimonio.

Alcuni, è vero, potrebbero argomentare che quello tra cattolici non è un matrimonio vero, poiché rappresenta un rituale davanti al loro dio più che un'unione tra due persone.

Mi rendo anche conto che, essendo i figli nati al di fuori del vincolo matrimoniale condannati dalla Chiesa, molti possono essere portati a credere che esso sia poco più che una convenienza atta a sopire i pettegolezzi e ad agevolare la semplice ricerca sessuale (proibita dalla loro religione al di fuori della vita matrimoniale), incrementando così la violenza domestica e il numero di famiglie disagiate.

Ma dobbiamo ricordare che ciò non avviene solo nelle famiglie cattoliche e che non è moralmente corretto giudicare le motivazioni altrui.

A chi, poi, dovesse obiettare che un matrimonio di convenienza non si può definire matrimonio al pari degli altri, rispondo che questo non è altro che un modo di confondere la discussione con questioni di tipo semantico che servono a ben poco: anche se tra cattolici , un matrimonio è pur sempre un matrimonio e una famiglia è pur sempre una famiglia.

E con quest'ultimo riferimento alla famiglia introduco un altro tema scottante che spero non suoni troppo radicale: io sono anche favorevole al permettere l'adozione ai cattolici. Molti di voi si scandalizzeranno di fronte a un'affermazione del genere, è molto probabile che qualcuno reagisca esclamando ?Bambini adottati dai cattolici?? Questi bambini un giorno potrebbero diventare cattolici!?. Prendo nota di tali critiche e vado a rispondere: anche se, è vero, i figli dei cattolici rischiano più degli altri di diventare cattolici a loro volta (contrariamente a quanto accade, che so, per gli informatici e gli omosessuali) ho già detto in precedenza che essi sono persone come tutte le altre.

Lasciando da parte pregiudizi e calcolo delle probabilità, non ci sono prove certe che avallino la teoria secondo la quale tutti i padri cattolici siano impreparati a educare un figlio, né si può affermare che, in tutta evidenza, l'ambiente religioso rivesta un'influenza negativa sul bimbo.

Inoltre, i tribunali per le adozioni giudicano ogni caso singolarmente e il loro lavoro consiste proprio nel determinare l'idoneità dei genitori.

In conclusione, nonostante l'opinione espressa dalle frange più radicali, credo che sarebbe giusto consentire anche ai cattolici di adottare dei bambini.

Esattamente come agli informatici e agli omosessuali.

http://www.gaynews.it/view.php?ID=33286

giovedì 14 luglio 2005

Dell'Utri, le motivazioni della condanna: per trent'anni mediatore tra mafia e Fininvest

di red.

Marcello Dell’Utri è stato per trent'anni anni mediatore tra Cosa Nostra e la Fininvest. Per questo il tribunale di Palermo lo ha condannato nei mesi scorsi a nove anni di reclusione per concorso in associazione mafiosa. Lo afferma la motivazione della sentenza, depositata mercoledì e che chiama in causa anche il patron della Fininvest, Silvio Berlusconi che era a conoscenza dell’attività del suo fido.

Dell’Utri ha in particolare «chiesto ed ottenuto dal capo mandamento mafioso Vittorio Mangano favori, promettendo anche appoggio in campo politico e giudiziario». Mangano è il preteso stalliere della villa di Arcore di Berlusconi. In realtà, scrivono i giudici, l’uomo era stato “assunto” per garantire le relazioni tra Fininvest e l’organizzazione mafiosa.

«Queste condotte - scrivono i giudici - sono rimaste pienamente ed inconfutabilmente provate da fatti, episodi, testimonianze, intercettazioni telefoniche ed ambientali di conversazioni tra lo stesso Dell'Utri e Silvio Berlusconi, Vittorio Mangano, Gaetano Cinà ed anche da dichiarazioni di collaboratori di giustizia».

Secondo il tribunale «la pluralità dell'attività posta in essere, per la rilevanza causale espressa, ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa nostra alla quale è stata, tra l'altro, offerta l'opportunità, sempre con la mediazione di Dell'Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell'economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che, lato sensu, politici»

Nella motivazione si parla, naturalmente, a lungo di Silvio Berlusconi, al quale il tribunale rimprovera di aver rifiutato la testimoninanza che avrebbe potuto chiarire i rapporti tra la sua azienda e i mafiosi. «L'onorevole Berlusconi - scrivono i giudici - si è lasciato sfuggire l'imperdibile occasione di fare personalmente, pubblicamente e definitivamente chiarezza sulla delicata tematica in esame, incidente sulla correttezza e trasparenza del suo precedente operato di imprenditore che solo lui avrebbe potuto illustrare. Invece, ha scelto il silenzio».

Lunga 1800 pagine, divise in 18 capitoli, la motivazione racconta una storia lunga quasi trent’anni, dai primissimi anni Settanta al 1998, quando il processo era già iniziato da oltre un anno contro lo stesso Dell’Utri e il capo mafioso Gaetano Cinà. Per il Tribunale «l'accurata e meticolosa indagine dibattimentale ha consentito di acquisire inoppugnabili elementi di riscontro alle condotte (anche se non a tutte) contestate ai due imputati». Secondo i giudici gli elementi probatori emersi dall'indagine dibattimentale hanno consentito di fare luce sulla posizione assunta da Dell'Utri nei confronti di esponenti di Cosa nostra, sui contatti diretti e personali con alcuni di essi (Bontate, Teresi, oltre a Mangano e Cinà), sul ruolo ricoperto nell'attività di costante mediazione, con il coordinamento di Gaetano Cinà, tra quel sodalizio criminoso, «il più pericoloso e sanguinario nel panorama delle organizzazioni criminali operanti al mondo», e gli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi con particolare riguardo al gruppo Fininvest».

Il collegio si sofferma «sulla funzione di 'garanzià svolta nei confronti di Silvio Berlusconi, il quale temeva che i suoi familiari fossero oggetto di sequestri di persona, adoperandosi per l'assunzione di Vittorio Mangano presso la villa di Arcore dello stesso Berlusconi, quale 'responsabilè (o fattore o soprastante che dir si voglia) e non come mero stalliere, pur conoscendo lo spessore delinquenziale dello stesso Mangano sin dai tempi di Palermo (ed, anzi, proprio per tale sua qualità), ottenendo l'avallo compiaciuto di Stefano Bontate e Girolamo Teresi, all'epoca due degli uomini d'onore più importanti di Cosa nostra a Palermo».

Sugli ulteriori rapporti di Dell'Utri con Cosa nostra, «favoriti, in alcuni casi», dalla fattiva opera di intermediazione di Cinà, protrattisi per circa un trentennio nel corso del quale Dell'Utri «ha continuato l'amichevole relazione sia con il Cinà che con Mangano, nel frattempo nominato alla guida dell'importante mandamento mafioso palermitano di Porta Nuova, palesando allo stesso una disponibilità non meramente fittizia, incontrandolo ripetutamente nel corso del tempo, consentendo, anche grazie a Cinà, che Cosa nostra percepisse lauti guadagni a titolo estorsivo dall'azienda milanese facente capo a Berlusconi».

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=43637

Ratzinger contro Harry Potter: "Una saga che corrompe i giovani"

Trovate delle lettere di due anni fa in cui l'allora cardinale scrisse
che i libri di J. K. Rowling rappresentano "subdole seduzioni"
di MARCO POLITI


ROMA - "È un bene che lei illumini la gente su Harry Potter, perché si tratta di subdole seduzioni, che agiscono inconsciamente distorcendo profondamente la cristianità nell'anima, prima che possa crescere propriamente". La "scomunica" è firmata da Josef Ratzinger. È il 7 marzo 2003 e l'allora cardinale, prefetto dell'ex Sant'Uffizio, scrive ad una studiosa tedesca autrice di un volumetto contrario alla saga di Harry Potter. La corrispondenza viene resa nota a 24 ore dall'uscita del sesto libro della storia del celebre maghetto.

Uno spettro si aggira per la Chiesa cattolica. Non ha il barbone di Marx, ma la faccia innocente del maghetto Harry Potter. Ratzinger non lo può vedere e lo considera un corruttore d'anime. Non è finito ancora sull'indice come il Codice da Vinci, ma non è detto che primo o poi non si accenda per lui un rogo simbolico.

Che Harry non è neanche uno stregone di quelli cattivi, un adepto della magia nera che butti topi, ranocchie, ossa di morto e urina d'impiccato in pentoloni maleodoranti per farne filtri malvagi. No, è un ragazzino inglese dalla faccia pulita con gli occhiali, con l'aria così tranquilla da essere servito persino da nomignolo al nostro politico Marco Follini. Però c'è la magia...

O, forse, più che la magia inquieta Santa Romana Chiesa la rappresentazione di un mondo fantastico dove realtà e iper-realtà si mescolano secondo una visione che non ubbidisce alle regole precise e ai canoni benedetti che stanno a cuore alla gerarchia ecclesiastica. Fatto sta che contro Harry Potter ha scagliato i suoi fulmini lo stesso Joseph Ratzinger. Quando non era ancora Papa. Ma non c'è dubbio che - come su tante altre cose che riguardano l'etica e la concezione del mondo - da pontefice non ha certamente cambiato idea.

Subdolo, tentatore e corrosivo della purezza dell'anima è il maghetto Harry Potter secondo il "guardiano della fede" divenuto Bendetto XVI. Il giudizio è saltato fuori dall'archivio personale di Ratzinger - grazie a una soffiata di Dagospia - ed è durissimo. I libri di J. K. Rowling, scrive l'allora cardinale ad una critica tedesca, rappresentano "subdole seduzioni" in grado di "distorcere" l'indole dei giovani lettori.

Le lettere risalgono a due anni fa. Gabriele Kuby, una critica letteraria tedesca, ha appena mandato al prefetto della Congregazione per la dottrina della fede un suo libro che s'intitola eloquentemente Harry Potter - Gut oder Boese?. Il maghetto, insomma, è "buono o cattivo?". Non è solo un attacco al bestseller inglese, l'opera della Kuby è tesa a sfatare il gossip britannico secondo cui le voci britanniche a papa Wojtyla Harry piace. No, spiega la Kuby, i libri di Rowling non sono un passatempo innocente, bensì corrompono l'anima dei teenager, offuscando in loro il chiaro confine tra il bene ed il male. Quindi? Quindi mettono in pericolo la loro relazione addirittura con Dio, e questo in una fase di delicato sviluppo del senso religioso.

Ben detto, replica Ratzinger, ringraziando il 7 marzo 2003 la Kuby per il pacchetto arrivato qualche settimana prima. "Informatissimo libro" è il suo giudizio. "E' un bene che lei, stimata e cara signora Kuby - scrive il porporato - illumini la gente su Harry Potter, perché si tratta di subdole seduzioni, che agiscono inconsciamente distorcendo profondamente la cristianità nell'anima, prima che possa crescere propriamente".

Posso far sapere in giro questo altissimo giudizio, chiede probabilmente Gabriele Kuby lusingata dopo aver ricevuto la missiva cardinalizia? Il 27 maggio il braccio destro di Giovanni Paolo II dà il suo placet. "Io posso darle con piacere il mio permesso di riferire il mio giudizio su Harry Potter". Firmato: "Cordiali saluti e benedizioni, Cardinale Joseph Ratzinger". Alla saggista sua compatriota viene anche dato il suggerimento di inviare una copia del libro anti-Potter ad uno degli esperti del Consiglio pontificio per la Cultura in modo da fugare ogni impressione che al Papa e al Vaticano garbi il mondo del maghetto.

Non farà piacere alla casa editrice, impegnata in questi giorni nel lancio del sesto capitolo della saga - Harry Potter e il Principe Mezzosangue - scoprire che l'attuale capo della Chiesa cattolica è un implacabile avversario di Harry, molto più del perfido Voldemort che insidia abitualmente il maghetto. Ma è così. Il nuovo pontefice non ne vuole sapere di calici di fuoco, scuole dove si insegnano stregonerie, olimpiadi di magia, scolari che vanno in giro su scope e gufi che recapitano la posta.

Il trend esoterico è il nuovo, grande nemico di Santa Romana Chiesa. Perché è con i maghi, i sortilegi reali o immaginari, il gusto del mistero, il profumo sottile e insidioso della Gnosi che la gerarchia si sente chiamata a battersi per la conquista delle anime. Non è più all'ombra del Capitale che si cela Satana né sono ritenuti temibili gli ultimi atei ancora in circolazione e nemmeno incutono spavento alle sacre gerarchie le roccaforti dei razionalisti, emuli di Voltaire.

No, il nemico del XXI secolo è il simpatico libraio che vende "libri avvelenati" come la saga del maghetto o il Codice da Vinci. Per un Coelho che si converte, abbandonando l'eresia New Age, altri scrittori sono in agguato. Il Mistero attira e il Demonio esoterico-libresco fa breccia continuamente. Si tratti di scope volanti, coppe del Graal o guerrieri della luce.

D'altronde, se il trenta per cento degli italiani si rivolge in un momento o l'altro della propria vita ad astrologhi e maghi, se solo il quindici per cento dei giovani va a messa la domenica, significa che Harry Potter è più attraente del parroco nell'oratorio accanto. Perciò l'allarme. Nessun "dibbattito" di venerata memoria, nessuna conferenza stampa, nessun referendum mette maggiormente in allarme il Pulpito di un volumetto o volumone esoterico che scala inesorabilmente la vetta della hit parade delle vendite.

Il cardinale Tarcisio Bertone di Genova, che ieri è venuto tra i monti della Val d'Aosta per discutere con papa Ratzinger sullo schema della sua prima enciclica, si è scagliato a marzo violentemente contro il Codice da Vinci di Dan Brown. "Non si fa un romanzo - ha tuonato - mistificando i dati storici, maldicendo, diffamando". Il libro - così ha denunciato il porporato - va a ruba nelle scuole, leggerlo è diventato un must e persino le librerie cattoliche (scandalo supremo) offrono copie su copie del libro "per motivi di lucro".

Dove c'è il demonio della mistificazione, non può mancare il complotto. "Credo che ci sia una strategia nella diffusione di questo castello di menzogne", ha commentato a suo tempo Bertone, aggiungendo: "Una strategia della persuasione, che uno non è cristiano adulto se non legge questo libro". L'appello cardinalizio a non leggere e men che mai a non comprare il volume non sembra aver sortito effetti a giudicare dalle vendite.

Dietro il gusto di massa per il mistero, le autorità ecclesiastiche intravedono (e temono) il grande pericolo di una religiosità fai da te e di uno spiritualismo necessariamente disincarnato dalla dottrina cristiana. "Quando la fede è scarsa - avverte il cardinale opusdeino Julian Herranz - la gente cerca appagamento nell'esoterismo". E si rivolge alla New Age, come sottolinea il cardinale Paul Poupard presidente del Consiglio pontificio per la Cultura (l'organismo a cui Ratzinger ha indirizzato il saggio anti-Potter), vista come "una falsa risposta ad una vera domanda di felicità". Tra i rimedi suggeriti, la diffusione del catechismo.

I librai sono avvisati. La gara è aperta. Il Piccolo Catechismo contro il Piccolo Mago Harry. E che vinca il migliore.
(14 luglio 2005)

http://www.repubblica.it/2005/g/sezioni/spettacoli_e_cultura/harrypotter/harrypotter/harrypotter.html

mercoledì 13 luglio 2005

Di cosa parliamo quando parliamo di PACS

Il Patto Civile di Solidarietà non è il matrimonio, ma non perchè il movimento omosessuale italiano sia contrario al matrimonio.
da "L'Unità" del 13/07/2005

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La nuova primavera dei diritti civili in Spagna ha rilanciato anche in Italia il dibattito sulla necessità di dare un riconoscimento giuridico alle coppie gay e lesbiche. Tuttavia, come già avvenne all'indomani del World Gay Pride del 2000, l'improvviso fiorire di commenti e prese di posizione rischia di produrre una certa confusione sull'oggetto in discussione. Fra Pacs e matrimonio, coppie di fatto e famiglie si rischia un minestrone concettuale che non aiuta.

Il movimento italiano gay, lesbico, bisessuale e transgender (Glbt, secondo l'acronimo ormai internazionalmente diffuso) ha come suo obiettivo l'uguaglianza giuridica delle persone omosessuali e transessuali, così come definito dalla storica risoluzione di Strasburgo dell'8 febbraio 1994. In quella data il Parlamento Europeo chiese di "porre fine agli ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali ovvero a un istituto giuridico equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni".

In un paese normale il compito del movimento gay e lesbico italiano, come quello di ogni altro movimento, avrebbe dovuto essere quello di sollevare il problema e indicare gli obiettivi ideali lasciando alle forze politiche il compito di studiare le soluzioni legislative.

Ma l'Italia vive la forte anomalia di una diffusa perdita del senso di laicità, anche a causa della difficoltà della sinistra a ritrovare, come ha fatto quella spagnola sotto la guida di Zapatero, l'orgoglio dei valori basilari, forti e saldi della laicità e della democrazia liberale in modo autonomo dalle verità vaticane. In questo contesto è stato lo stesso movimento Glbt a rimboccarsi le maniche e a farsi carico, all'interno di una strategia gradualista, di proporre come primo significativo passo la proposta di legge sul Pacs.

Il Patto Civile di Solidarietà non è il matrimonio, ma non perchè il movimento omosessuale italiano sia contrario al matrimonio. Quello che è accaduto in Spagna rappresenta il livello più avanzato al mondo di riconoscimento dell'uguaglianza di fronte alla legge delle cittadine e dei cittadini omosessuali. Siamo vicini col cuore a quel paese, entusiasti del suo grado di civiltà e impazienti di andare in quella direzione. Sappiamo però che la situazione politica italiana è arretrata, a tratti primitiva.

Da qui la nostra proposta del Pacs, estranea all'istituto del matrimonio come alla questione dell'adozione, ma ferma nella richiesta di riconoscere alle coppie che vi faranno ricorso un preciso status giuridico. É questo un secondo punto su cui essere precisi: il Pacs non è una legge sulle coppie di fatto, che pure sarebbe necessaria nel nostro paese, soprattutto per tutelare il/la partner più debole, magari dopo una convivenza durata una vita. Il Pacs è la possibilità di scegliere un'emersione al diritto da parte di coppie che sono di fatto per l'impossibilità di accedere al matrimonio (come nel caso delle coppie dello stesso sesso) o per l'assenza di un istituto più leggero adatto, per esempio, a regolare i sempre più diffusi e lunghi periodi di convivenza prematrimoniale.

C'è un terzo punto su cui fare chiarezza: la nostra decisione di rinviare, responsabilmente, la richiesta di accesso al matrimonio civile non ha a che vedere con il concetto di famiglia. Stupisce sentire autorevoli dirigenti della sinistra italiana, pur attenti alla tematica delle coppie dello stesso sesso, affermare che la famiglia è fondata sul matrimonio, quasi che l'art. 29 della Costituzione introducesse un qualche elemento di divieto. Guai a leggere la Costituzione come fonte di divieti più che di diritti. Sarebbe come dire che laddove essa attribuisce ai cittadini italiani la libertà di riunione (art. 17), la libertà di associazione (art. 18) la libertà di associarsi a partiti politici (art. 49) questi diritti fossero considerati non estendibili ai residenti non in possesso della cittadinanza italiana.

Anche in merito alla famiglia la Costituzione non vieta assolutamente nulla: impone alla legge di riconoscere i diritti della famiglia tradizionale, ma non impedisce affatto di riconoscere diritti di nuova generazione. La Carta di Nizza, così come il Trattato costituzionale europeo, hanno sancito la separazione fra il concetto di famiglia e quello di matrimonio. Gli Statuti di diverse regioni italiane hanno fatto altrettanto. Le più avanzate politiche sociali messe in atto dalle amministrazioni di centrosinistra sono giustamente rivolte alla complessità delle forme familiari, al di là del contratto matrimoniale.

Per noi, famiglia è dove c'è affetto e un progetto di vita comune, come in una coppia gay, fra una madre lesbica e la sua bambina o fra due anziani che condividono l'abitazione e la reciproca solidarietà. Per altri lo stesso concetto può avere risonanze emotive diverse, che rispettiamo. Ne potremo discutere in futuro: oggi parliamo di Pacs, una proposta molto pragmatica che accorci la distanza fra il nostro paese e gli altri componenti dell'Unione Europea. Anche in questo campo, stiamo rimanendo preoccupantemente indietro.


Sergio Lo Giudice
Presidente nazionale Arcigay

http://www.gaynews.it/view.php?ID=33262

Presidenti aspiranti presidenti?

di Lietta Tornabuoni (La Stampa del 7/7/2005)


Dicono che il presidente del Senato aspiri a diventare Presidente della Repubblica, che il presidente della Camera aspiri a diventare presidente del Consiglio e che in queste aspirazioni, nel bisogno di guadagnarsi il sostegno delle gerarchie e degli elettori cattolici, stia la spiegazione dei loro comportamenti recenti. Può darsi che sia vero, e che si tratti di uno di quegli infiniti pettegolezzi politici secondo cui dovremmo avere almeno un centinaio, se non un migliaio, di aspiranti presidenti.
Ripensandoci, quel che è senz'altro vero è il mutamento avvenuto nei due personaggi, così repentino e radicale da lasciare di stucco. Marcello Pera, a leggerlo su «La Stampa» di cui è stato editorialista o altrove, a seguirne l'attività, era sempre sembrato un liberale laico: adesso pare un cattolico integralista. I comportamenti impeccabili sono svaniti: va in Spagna e irride alle leggi di quel Paese, senza valutare affatto la propria posizione ufficiale. Parlando della legge che permette il matrimonio tra omosessuali, la definisce non una conquista civile ma «il trionfo di quel laicismo che pretende di trasformare i desideri e talvolta anche i capricci in diritti umani fondamentali», un attacco al matrimonio.
Ma come si fa a pensare che la gente spagnola smetterà di sposarsi o deprezzi il matrimonio perché possono sposarsi anche i gay? Come si fa a considerare un capriccio l'amore che è certo l'unica ragione per cui in genere le persone si sposano? E cosa sarebbe il «laicismo», in che modo sarebbe diverso dalla laicità? E come considerare legittima una simile sgarberia nei confronti di un altro Paese, da parte di un presidente che in caso di necessità sostituisce il presidente della Repubblica?
Sul sentire cattolico di Pierferdinando Casini non ci sono dubbi, ma il presidente della Camera è sempre stato equilibrato, conciliante, nemico degli estremismi e delle gazzarre. Era difficile immaginarlo, al congresso della Udc, strepitare al microfono contro la legge spagnola sul matrimonio gay: «Non sono leggi solidali, sono leggi egoiste! Non favoriscono i più deboli, ma i più forti!». I più forti? Egoiste? Chissà cosa intendeva dire: certo è che, come per tanti democristiani, la condanna si indirizza sempre contro leggi che coinvolgono famiglia e sessualità, contro leggi che non impongono nulla, non vietano, non puniscono, ma consentono nuove scelte e libertà. E come considerare legittima una tale intolleranza in una autorità dello Stato il cui compito è quello di sovrintendere saggiamente a una assise composta da laici e fideisti, destra e sinistra, maggioranza, opposizione e astensione?

http://www.radicali.it/view.php?id=38394

lunedì 11 luglio 2005

Gay tra due mondi

Lì Zapatero, qui Chiesa
di Delia Vaccarello

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La libertà in Spagna, il clima d’intimidazione in Italia. Mentre a Madrid si rispetta per legge il diritto ad ogni unione, a Roma le alte cariche dello Stato considerano l’amore gay un «capriccio». «Sono felice per le leggi che sanciscono le nozze gay approvate in Spagna, ma in Italia non mi sento tutelata. Lo Stato che dovrebbe proteggerci, ci aggredisce. È stata innescata una bomba a orologeria che vede i più forti all’attacco dei più deboli», dice Luisa Ratiglia uscendo dal Gay village di Roma. Spagna e Italia sembrano due grandi giare comunicanti: in una viene protetta con fermezza la libertà dei cittadini di scegliere chi sposare e di separarsi in tempi brevi; nell’altra si rovescia tutta la reazione della Chiesa e di una parte politica cui sta sfuggendo, come una lepre in corsa, la secolare «sicurezza» della famiglia tradizionale.

Come vivono questo momento i gay che nulla fanno se non proseguire la marcia per ottenere i loro diritti? Cosa pensa il popolo dei libertari che in questa Italia in simbiosi con le gerarchie ecclesiastiche non si astiene dal provare «vergogna» per i propri governanti? Sotto accusa sono il Clero o il Parlamento?

Ascoltiamo chi vive in prima fila la condizione di «bersaglio», ricordando che ai gay oggi viene detto, attraverso media di grande diffusione e per bocca di alte cariche dello Stato, di abbandonare una vita di «disordine», di «curarsi», di smettere una lotta che mira all’avvento di leggi «incivili». «Viviamo l’omosessualità in modo tranquillo, figuriamoci se ci sentiamo malati. Ma siamo convinti che questi attacchi abbiano presa sugli incerti, sui tanti che hanno costruito una cornice fatta di marito, moglie, figli, e si sentono al sicuro nella menzogna. Poi dentro sono disperati. Per la Spagna siamo felici, ma scontenti di vivere in Italia», Filippo Gennarelli di 27 anni e Simone Pitini di 28 sfilano tra i viali alberati del parco in cui l’estate omosex, e non solo, terrà banco fino alla fine di agosto. Nel desiderio che Roma somigli a Madrid, Filippo punta il dito contro la Chiesa e dice: «A causa del Vaticano le leggi di Zapatero per noi sono fantascienza»; Simone critica i partiti: «La classe politica si appoggia del tutto alla Chiesa che è potentissima in Italia. Lo abbiamo visto con il referendum: 3 italiani su 4 non hanno disobbedito ai vescovi». Le voci di coloro che abbiamo intervistato si dividono: chi protesta contro lo Stato, chi contro la Chiesa. E a volte sembra di vedere ciò che succede ai figli quando si scagliano contro l’uno o l’altro dei «genitori» nel caso in cui esercitino il potere dei divieti. Spesso chi protesta non si accorge della ferrea complicità che unisce il padre e la madre quando la proibizione non dà scampo. Così succede che, dinanzi al soverchiante peso di Stato e Chiesa allacciati, i cittadini italiani si sentano «minori», «deboli», nel senso di soggetti ancora non riconosciuti nella pienezza della loro dignità. E si perda di vista il meccanismo storico di origine fascista e l’opportunismo politico della grande alleanza che unisce ancora in Italia il potere religioso a quello secolare. Decisivo, in questo processo di inferiorizzazione (che assimila gli omosex a bambini incapricciati) è il ruolo dei media: «Gli attacchi mi fanno malissimo» dice Antonella Lini di 45 anni « vorrei uno Zapatero italiano, ma dov’è? Io non sono neanche per la famiglia omosex, questa rincorsa ai modelli etero mi dà fastidio, ma per il riconoscimento della convivenza gay. Famiglia e convivenza gay in Italia sono viste come il Male, per colpa del Vaticano, cioè la nostra vera mannaia, che sembra avere conquistato la tivù. Stanno facendo una crociata via cavo e le vittime siamo tutti noi». Daniele Scalise, scrittore e giornalista, denuncia non tanto gli attacchi espliciti ai gay, quanto l’ignavia dei politici: «In Italia restiamo all’età della pietra. La destra non sa fare la destra, e la sinistra non si batte per la questione gay. La politica è impotente. La sofferenza degli omosessuali italiani è dovuta a strutture mentali radicate e all’ostile indifferenza dei politici».

Attacchi palesi o silenti? No grazie: «Quello che è successo in Spagna è stra-positivo. Ci dicono che dobbiamo curarci? Ma io non li ascolto proprio» sbotta Francesca, 28 anni. «Ci sono molti più omosessuali di quanto non si pensi e tantissimi tra quelli che ci attaccano. Pensate che in Vaticano non ce ne siano?». Francesca e Azzurra sono due sorelle lesbiche. «I nostri genitori l’hanno presa bene, sdrammatizzando» dice Azzurra. «Da ragazza mi hanno fatto fare un colloquio con una psicologa amica di mia madre. Dopo due incontri mi ha detto: "Non ti preoccupare, non sei certo tu che devi essere curata, ma quelli che vivono con sospetto l’omosessualità”».

E gli etero ? Luca Salerno di 17 anni e Dario Felice di 22 sorseggiano un vino rosso ghiacciato ai bordi della pista. Dario si definisce di estrema destra. «Sul matrimonio gay sono d’accordo, sull’adozione no. A me non interessa direttamente, ma sono convinto che la mentalità italiana è sbagliata per colpa dei governi che corrono solo dietro ai propri interessi». Luca, che si dice libertario, gli fa eco: «In Italia le leggi di Madrid sembrano impossibili perché a differenza di altri paesi pensiamo solo ai fatti nostri». Ma può dirsi di mentalità chiusa chi soffre per il razzismo anti-gay? «In Italia non possiamo avere le leggi spagnole per il peso terribile che esercita il Vaticano. Io mi vergogno degli attacchi che vengono fatti agli omosessuali» dice Valeria Russo, di 24 anni.

Nel resto d’Italia sono soprattutto i giovanissimi ad esultare per Zapatero non perdendo la speranza. Paola da Torino, 19 anni, comincia dallo stupore: «Zapatero aveva contro di lui quasi tutti i religiosi. Ma ce l’ha fatta. Mi vergogno di essere italiana. Io e la mia compagna stiamo aspettando le nozze gay. Ma per averle, al governo dovrebbero esserci persone come Vendola. Lui sì che in Puglia è andato avanti senza paura». Costante l’altalena dei sentimenti forti. «Ho provato una grande gioia alla notizia della rivoluzione di Madrid» dice Beatrice, 16 anni. «E poi una gran rabbia. Mi sono sentita più libera, in classe lo sono già, con i genitori ancora no. Faccio volantinaggio e la gente si gira per vedere chi sono questi gay e queste lesbiche. I commenti stupidi sono quelli che fanno più male». Nel Sud si avverte tutta la debolezza dell’essere cittadini italiani: «Sono stato felice per le nuove leggi pro-gay» dice Pasquale Quaranta da Salerno «e provo compassione per la miseria culturale del nostro paese, ma sono sereno. Credo che gli attacchi possano infastidire, ma colpiscono davvero solo chi si nasconde. In Italia occorre lottare. Come? Con la cultura e la testimonianza. Raccontando le storie di amore». La casella mail e il cellulare di Aurelio Mancuso, segretario Arcigay, sono tempestati di messaggi e missive di gioia per la Spagna e allarme per le aggressioni in Italia. «Zeno, presidente di Arcigay Verona, mi chiama per raccontarmi le tensioni in Veneto, Antonio, della sede di Napoli, telefona circondato da ragazzi che chiedono cosa dobbiamo fare. Ad una cena con alcuni giovani gay del Magentino- Abbiategratese si parla soprattutto di come fermare l’onda di clericalismo; a Carpi signore anziane dal viso segnato dalle lunghe battaglie dicono "lottate per i nostri figli, anche se sono etero non è importante, qui ci vogliono trasformare in un’enorme sagrestia!". Si lavora con forza, per non sentirsi dispersi, vittime inconsapevoli di un gioco sporco e volgare, che nulla a che fare con la fede cattolica o con la vera politica». Si lotta e si reagisce: l’effetto Zapatero è un cordiale contro la «tentazione» di astenersi?

http://www.gaynews.it/view.php?ID=33231

Spagna: oggi le prime nozze tra omosessuali

Carlos e Emilio, insieme da 30 anni, sono stati i primi a presentare domanda

MADRID, 11 LUG - Le prime nozze fra omosessuali in Spagna si celebrano oggi, a Tres Cantos (Madrid).

Carlos e Emilio, insieme da 30 anni, sono stati i primi a presentare domanda per il matrimonio civile lunedi' scorso, quando e' entrata in vigore la legge che equipara le nozze fra persone dello stesso sesso con quelle tradizionali eterosessuali, e oggi si sposeranno, alle ore 18.00.

La cerimonia sara' celebrata da Jose' Luis Martinez Cestau, portavoce di Izquierda unida (Iu) di Tres Cantos (17 km a nord di Madrid), municipio governato dal Partito popolare.


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domenica 10 luglio 2005

Giarre, 25 anni fa si uccisero Toni e Giorgio per colpa del pregiudizio

Un bambino di 13 anni raccontò ai carabinieri: mi hanno ordinato loro di ucciderli con un colpo alla testa
"Diedero coraggio all'altra italia" -


IL RACCONTO C'era un pino marittimo nel luogo in cui furono trovati morti i due giovani. Ora è stato tagliato la città La città dopo la tragedia si chiuse a riccio, come se temesse di essere contaminata dal "disonore" la confessione
Un bambino di 13 anni raccontò ai carabinieri: mi hanno ordinato loro di ucciderli con un colpo alla testa
Dopo quella vicenda nacque a Catania il circolo Pegaso's e i gay uscirono allo scoperto


DAL NOSTRO INVIATO jenner meletti GIARRE (Catania) - Non c'è più il pino marittimo, che svettava alto sopra gli aranci. I vecchi del paese dicevano che "soltanto il pino aveva visto", solo "il pino sapeva". Sapeva della morte di Giorgio Agatino Giammona, 25 anni, e di Antonio Galatola detto Toni, 15 anni. Erano andati a farsi uccidere sotto i suoi rami, i due "puppi", come con disprezzo ancora oggi vengono chiamati, in terra catanese, gli omosessuali. Il più grande, Giorgio, era addirittura "puppu cu' bullu", perché a sedici anni era stato sorpreso in auto con un altro ragazzo ed i carabinieri lo avevano denunciato. Omosessuale con tanto di bollo. Sono passati 25 anni e del pino marittimo è rimasto soltanto il ceppo, tagliato a raso in quello che oggi è un parcheggio davanti all'istituto Itis di Giarre. Non ci sono più gli aranci. Solo case, condomini, supermercati, istituti di bellezza e scuole. E per Giorgio e Toni, nel paese fra l'Etna e il mar Jonio, non c'è più nemmeno la memoria. Eppure, ogni volta che gli uomini e le donne dell'Arci gay si riuniscono per un congresso nazionale o un Gay Pride le prime parole sono "per Toni e Giorgio, i due ragazzi di Giarre". "Si sono fatti ammazzare da un bambino di 13 anni perché non sopportavano gli insulti di tutto il paese". "Il loro sacrificio ha spinto tanti di noi a uscire allo scoperto. Due mesi dopo la loro morte proprio in Sicilia, a Palermo, è nato il primo circolo dell'Arci gay". Ci sono anche le giostrine per i bambini, nel luogo dove Giorgio e Toni furono trovati morti il 31 ottobre 1980. "Erano quasi abbracciati e si tenevano per mano". I due ragazzi erano spariti da casa due settimane prima, dopo che in paese qualcuno aveva cominciato a chiamarli "'i ziti", i fidanzati. I carabinieri indagano e trovano subito un "colpevole" che ha 13 anni e dunque non può essere punito. Franco M., il bambino omicida, è nipote di Toni e racconta una strana storia. "Lo zio e Giorgio mi hanno portato in campagna e mi hanno detto: o ci uccidi, o noi uccidiamo te. Mi hanno messo una pistola in mano e si sono sdraiati sull'erba, come per dormire. Mi hanno dato un orologio, come ricompensa. Ho dovuto sparare alla testa, come mi avevano detto loro". Due giorni dopo il bambino ritratta. "Ho confessato perché i carabinieri mi hanno dato gli schiaffi". Giarre si chiude a riccio quando giornalisti e telecamere arrivano pure da Roma per raccontare la tragedia. "Che vergogna. Penseranno a Giarre come al paese dei finocchi". Il funerale è già una sentenza. Duemila persone dietro al feretro del ragazzo di 15 anni, nessuno per Giorgio Giammona, "puppu cu' bullu". L'inchiesta rimpalla fra Giarre e Catania e non approda a nulla. Franco M., il bambino di allora, adesso ha 38 anni. Porta addosso i segni pesanti di quella tragedia. Paolo Patanè, avvocato di 37 anni, vice presidente del Pegaso's club di Catania, associato all'Arci gay, abita a Giarre. "Ero bambino, quando è successo il fatto. Ma ricordo la paura che c'era in paese e soprattutto la vergogna dei grandi". Quel sacrificio ha cambiato un pezzo d'Italia, ma non ha cambiato Giarre. "Forse si è ridimensionato il peso del giudizio sociale, ma l'ipocrisia resta sovrana. Prima, se eri gay, ti volevano schiacciare. Ora si accontentano di ignorarti. Puoi anche vivere con il tuo compagno, basta che non si sappia. Dentro le case continuano le tragedie di chi è costretto a vivere l'omosessualità come una malattia. Conosco ragazzi che sono stati costretti a lasciare l'università così non incontravano "altri malati". Altri ragazzi, quando hanno parlato con i genitori, sono stati portati dallo psichiatra". La libertà di vivere è a poco più di venti chilometri, a Catania. Qui c'è il circolo Pegaso's, con discoteca gay che conta 7.000 iscritti. Il presidente è Giovanni Caloggero, che nell'ottobre 1980 aveva 29 anni. "Allora ero dirigente di banca, sposato con una donna e gay. Quella tragedia ci disse che se avessimo continuato a restare nell'ombra avremmo potuto finire come loro, quei poveri ragazzi forse suicidi forse assassinati a freddo". Il Pegaso's ha una pista da ballo sotto un grande tendone da circo, e in estate un'altra accanto ad una piscina ombreggiata dagli eucalipti. "Quando ci sono le feste arrivano quasi duemila persone. Noi, comunque, siamo un'isola nell'isola. Arrivano da Trapani, 330 chilometri di macchina, per venire a ballare qui. Arrivano dalle centinaia di Giarre sparse in Sicilia. E' importante, il Pegaso's. E' l'unico luogo dove puoi vivere senza paura la tua omosessualità, dove puoi discutere e conoscere la vita degli altri". Dopo il primo circolo di Palermo, fondato da don Marco Bisceglie, prete del dissenso, altri circoli nacquero in tutta Italia. "Qui a Catania - racconta Giovanni Caloggero - siamo riusciti ad aprire il nostro primo locale solo nel 1993. Era un appartamento di 100 metri quadri, non aveva nemmeno il frigorifero. Tenevamo la birra nel ghiaccio. Ma quel primo appartamento, preso in affitto dalla Chiesa Evangelica, è stato una pietra miliare". "Ecco, potremmo costruirlo qui, un segno che ricordi i due ragazzi uccisi". L'avvocato Paolo Patanè è accanto al ceppo del pino marittimo di Giarre, testimone silenzioso della tragedia. "Il Pegaso's di Catania è importante ma non basta. La Sicilia e l'Italia sono fatti di paesi dove essere gay è ancora ignominia. Noi potremo essere liberi quando, nella scuola che è qui di fronte, i presidi e i professori chiameranno i ragazzi e anche noi a parlare di libertà civile, di omosessualità, di identità sessuale. Proporremo al Comune di mettere una lapide per ricordare Toni e Giorgio. Hanno diritto almeno a una memoria".

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Decine di migliaia di persone hanno sfilato al gay pride romano

40 mila persone scese in piazza contro l'omofobia e l'intolleranza inneggiando a Zapatero. Un pensiero dedicato a Michele Presta


La Stampa


Al "Gay pride" sfilano in 50 mila inneggiando ai diritti di Zapatero

Sono stati più forti dell'intolleranza, o di quella forma di aggressività che chiamano "omofobia": una sorta di paura del diverso che spesso sfocia in gesti di violenza contro le persone gay. E contro l'omofobia ieri sono scesi in piazza in 30-50 mila, a Roma, per festeggiare l'anniversario del Gay pride, la manifestazione dell'orgoglio gay che si tiene ogni anno nella capitale, a Milano, a Bologna o come l'anno prossimo, a Torino. Alla festa di ieri hanno partecipato tredici organizzazioni del movimento, provenienti da tutta Italia. I lavori preparatori hanno richiesto un mese di lavoro, durante il quale Carlo, Salvatore, Fabrizio, Alessandro e Aldo - i principali organizzatori dell'Arcigay di Roma - hanno dormito quattr'ore per notte. Di giorno lavoravano o studiavano, chi in azienda, chi all'università, "così tutto il lavoro abbiamo dovuto farlo ritagliandoci degli spazi nel tempo libero". Ma il risultato c'è stato. Al Gay pride di ieri c'erano decine di migliaia di persone - vestiti di tutti i colori e le mode - che sfilavano per chiedere gli stessi diritti delle coppie "regolarizzate": il riconoscimento giuridico in quanto coppie di fatto, il diritto a assistere il partner quando è ammalato, di poter ricevere la pensione alla morte del compagno e di ereditarne i beni. Alle 16,30 i carri sono partiti da piazza della Repubblica, con le bandiere della pace e del Regno Unito, cartelloni fatti a mano da Salvatore ("Chi ha l'omofobia non è figlio di Maria"), tabelloni della Cgil con su scritto "Sacro il lavoro/laico lo Stato". Dietro, davanti e a fianco dei carri i partecipanti seguono il corteo, che passa dalle vie centrali di Roma per concludersi alla Bocca della verità. La musica di Vasco Rossi, Anita Franklyn, la tecno e l'hip hop danno il ritmo al corteo, che ogni 500 metri si ferma per leggere le piccole ma frequenti storia d'intolleranza quotidiana. Come quella di Lorenzo e Luca, dieci anni di convivenza, uno dei quali si è visto negare il diritto ad assistere il partner in coma: non è un parente. O come Simona e Monika: la seconda è polacca, è si è vista negare il permesso di soggiorno. Eppure la soluzione ci sarebbe. I delegati dell'Arcigay Roma sventolano bandiere bianche con su scritto "Pacs" in blu. La speranza è quella: Zapatero è lontano, "concedeteci almeno il riconoscimento come coppia di fatto".



Il Corriere della Sera


Roma, sfila il Gay pride Zapatero santo subito, ora le unioni di fatto
Un assessore della Regione Lazio: pronto un progetto per i "Pacs" Roma, sfila il Gay pride
Carri colorati e slogan: vogliamo i nostri diritti

ROMA - Il Gay Pride è questo: seni siliconati, perizomi tigrati, uomini in gonnellino scozzese senza biancheria, parrucche viola e toraci al vento. E' anche questo: una coppia di giovani donne con maglietta rosa che procedono mano nella mano e si sfiorano le labbra, o due ragazzoni, canottiera bianca e canottiera nera traforata che si baciano con passione, lungamente. E questo: l'Associazione genitori di omosessuali, che esibisce il numero di telefono, per chi ne avesse bisogno. VIVA ZAPATERO - No, dopo la tragedia di Londra non si è pensato di annullare il Gay Pride romano. "E' una manifestazione per la civiltà contro la barbarie", dice Rossana Praitano, presidente del circolo di cultura omosessuale "Mario Mieli". "Il Gay Pride - dice Titti De Simone, deputato di Rifondazione comunista - è contro la guerra, contro il terrorismo, poiché la pace è la precondizione per il riconoscimento di tutti i diritti umani". Così il caldo pomeriggio romano viene solcato, da piazza della Repubblica alla Bocca della Verità, da una sorta di carnevale di Rio, con decine di migliaia di persone al seguito e due ali di turisti e pochi cittadini osservatori. Il primo carro accompagnava tre uomini vestiti da sposa e vessilli della pace, e bandiere spagnole. Marcia nuziale e il cartello "Zapatero santo subito", il premier di Madrid che ha fatto una corsa in avanti circa i diritti dei gay. Tuttavia, l'anima più politica del corteo, si pone per ora l'obiettivo dell'approvazione in Parlamento dei Pacs, Patti civili di solidarietà, che allargherebbero alle coppie di ogni genere diritti come la successione e la reversibilità della pensione. Ormai, c'è solo la Lega contraria nel profondo. Ma qual è l'anima politica del corteo? Franco Grillini, presidente onorario Arcigay, deputato ds, la De Simone, Mariella Gramaglia, inviata dal sindaco Veltroni, Luigi Nieri, assessore regionale, che dice: "Ho preparato una bozza di legge per sostenere le coppie di fatto. Spero di ottenere il più ampio consenso in consiglio regionale. Vorremmo cancellare le norme fatte approvare da Storace, che accordano aiuti solo agli sposati". IL SILENZIO - "Di sabato, i colleghi sono nei collegi", dice Grillini. E Rossana Praitano: "L'unico sindaco che sfilò nel Gay Pride fu Rutelli, anno 1994, prima della sua "conversione"". Veltroni, Marrazzo e Gasbarra erano stati invitati, tutti hanno fatto sapere di essere precedentemente impegnati. Veltroni, ad esempio, sposava in Campidoglio il suo assessore al Bilancio, Marco Causi. Con una signora, naturalmente. E Sandro Bondi, di Forza Italia, che pochi giorni fa ha detto "pensiamo a un riconoscimento delle convivenze", non è stato invitato? "Purtroppo no - dice Praitano -. Forse non abbiamo colto la sincerità delle sue parole...". Alle 18 e 30 la sfilata, lungo via Cavour, fa un minuto di silenzio per le vittime di Londra. Molti portano un nastro nero al polso, qualcuno indossa un bikini con i colori inglesi, uno dei carri è un bus rosso a due piani, sopra viaggiano gay di una certa età, a torso nudo con indumenti di pelle. Il carro della Cgil è carico di transessuali che ballano Renato Zero, Cuccarini ("Vola"), Nada, i Ricchi e Poveri e tanta "house music". Sfila anche una Alfa Romeo "Duetto" rossa, come quella di Dustin Hoffman nel "Laureato". Sul cofano c'è scritto "Casini pubblico concubino, Pera servo del Vaticano" e dietro "Forse domani sposi". Andrea Garibaldi.



Il Corriere della Sera


Giallorosso di Spagna, sfila l'orgoglio gay
Anche due assessori della Pisana e due del Campidoglio hanno partecipato al corteo. Assenti sindaco e governatore

In centro i carri della parata omosessuale, le bandiere arcobaleno, i vessilli inglesi. Ma su tutti, Zapatero Giallorosso. È il colore del Gay-Pride 2005, manifestazione dell'orgoglio omosessuale, sfilata ieri per le strade di Roma, però non è un tributo alla Capitale. Ma alla bandiera della "cattolicissima" Spagna, che è ovunque: la sventolano i transessuali vestiti da sposine, la portano le coppie uomo-uomo, donna-donna che si baciano e ballano i pezzi di Raffaella Carrà. Il vessillo spagnolo si agita da piazza della Repubblica, passando per via Cavour, Fori Imperiali, Colosseo, via dei Cerchi, fino alla Bocca della Verità, accanto a "Rainbow", la bandiera arcobaleno simbolo del movimento Glbt (gay, lesbian, bisex, transgender) "Que viva gayssima Espana" è scritto sul carro del circolo Mario Mieli, dove si balla o svestiti, o molto vestiti: da spose bianche o donne andaluse. E ovunque c'è "el toro", altro simbolo spagnolo, lo portano i ragazzi stampato sulle magliette e le drag-queen sui vestiti. "Oggi festeggiamo la Spagna e la sua voglia di essere un paese davvero moderno - racconta Mirko, 19 anni - pensando ai morti di Londra. Ma non potevamo fermarci avrebbero ancora vinto loro, i terroristi". E nonostante la festa di piazza, nonostante la musica nessuno dimentica. Prima della partenza i responsabili del Pride ditribuiscono nastri neri per il lutto, se lo lega al braccio il deputato Ds Franco Grillini, si attaccano agli striscioni, alle bandiere della pace. Qualche trans lo ferma al reggiseno (succinto) di paillettes, potrebbe sembrare un gesto di cattivo gusto, ma è naturale, oggi durante il pride E sì, è strana questa manifestazione dell'orgoglio omosex, dedicata alle discriminazioni, perché cade in un giorno di lutto per l'Europa. Sfilando, per ricordare al mondo che le scelte sessuali non devono andare a sfavore dei diritti, si applaude a Madrid e si soffre per Londra. E alle 18.30 non bastano più quei nastri, ci si ferma, si sta in silenzio. "Ragazzi osserviamo un minuto di raccoglimento per l'attentato nella metro di Londra", dice al microfono dal carro del coordinamento la svettante Karl du' Pigne, drag-queen, che nella vita senza zeppe si chiama Andrea. La sfilata fa tappa in via Cavour, sono le 18.30, a decine di migliaia si fermano, i sound-sistem spengono i bassi, la musica scompare, le ragazze bloccano i fianchi, i sorrisi si spengono. Un minuto solo, e uno spruzzo di coriandoli rossi e rosa riavvia la festa. Il corteo riparte. Due assessori, Gramaglia per il Comune e Nieri per la Regione rappresentano le istituzioni. "È giusto aver fatto questa manifestazione, è il segno della voglia di non sottomettersi al terrore", dice Salvatore Bonadonna, capogruppo di Rifondazione alla Regione. "Zapatero santo subito", chiede un cartello. I turisti sono estasiati dallo spettacolo, un paio di canadesi salgono a ballare sul carro della Cgil. Al Colosseo la sfilata si incrocia con un paio di coppie di sposini pronti alle foto di rito. "Auguri, auguri, presto potremo sposarci anche noi", urlano dai carri. "Ve lo auguro", risponde una moglie novella dai capelli rossi e vestita d'avorio. In mattinata nel circolo An di Marconi il capogruppo alla Provincia, Piergiorgio Benvenuti ha annunciato un Family-Pride. Certo non pensava allo scambio di convenevoli tra sposine. Maria Rosaria Spadaccino



La Repubblica


Festa e lutto, a Roma l'orgoglio gay
Gli organizzatori: siamo quarantamila. Fra i temi dominanti, le nozze fra omosessuali e i patti civili di solidarietà

MASSIMO LUGLI ROMA - Bandiere arcobaleno abbrunate e musica techno. Transessuali scatenati che ballano a ritmo di merengue e fasce nere al braccio per le vittime dell'attentato di Londra. La festa e il lutto, l'impegno e il divertimento, la rabbia e l'allegria nella solita cornice multicolore di lustrini, paillettes, trucco esagerato in pieno stile "Rocky horror picture show". Un corteo rumoroso e festoso che ha sfilato per oltre tre ore da piazza Esedra alla Bocca della Verità, tagliando in due il centro della capitale. Un appuntamento, quello del Gay pride romano che qualcuno aveva pensato di annullare dopo l'attentato in Inghilterra e che ha avuto un successo oltre le previsioni degli organizzatori. "Siamo più di 40 mila, è la manifestazione più grossa dopo il World pride, segno di una voglia di reagire al terrorismo che va oltre le tematiche consuete" esulta Rossana Praitano, presidente del circolo Mario Mieli. Molto diversa la valutazione ufficiosa della polizia: meno di 10 mila manifestanti. Tra i temi più scottanti, quello delle nozze gay autorizzate in Spagna ma ancora ben lontane dall'orizzonte italiano. In testa al corteo, una "Duetto" rosso fiamma del 1976 con la scritta "Domani, forse, sposi", i barattoli legati al parafango posteriore e due cartelli: "Casini concubino" e "Pera, servo del Vaticano". Alla guida, Luca, 40 anni, imprenditore, il suo compagno Marco, di 32 e, dietro, lo scrittore Massimo Consoli. "Stiamo insieme da 4 anni e vogliamo sposarci - spiegano Marco e Luca - se non ne avremo la possibilità andremo a vivere in Spagna e prenderemo la cittadinanza". "Il nostro obiettivo attuale non è tanto il matrimonio tra omosessuali ma il Pacs, il patto civile di solidarietà che assicura una serie di diritti anche alle coppie di fatto" interviene Sergio Lo Giudice, presidente nazionale dell'Arcigay. Tanta musica, nessuno slogan, molti striscioni: "Sacro il lavoro, laico lo stato" si leggeva sui cartelli della Cgil, "No al terrorismo, mai più odio e discriminazione" "Zapatero, santo subito" "Non sono preda di nessun diritto" "Vent'anni di discriminazione, fuori la Chiesa dallo Stato". Nove camion decorati con palloncini e festoni tra cui quello spagnolo ("Que viva gayssima EspaÑa") con un contorno di mantiglie e ventagli. Le spose siliconate del primo carro in contrasto stridente con un gruppo di "macho men" stile sadomaso, crani rasati, bretelle e stivali fetish. Nel corteo, una pattuglia di politici: Franco Grillini, Ds, Titti De Simone e Salvatore Bonadonna di Rifondazione, Beppe Mariani e Andrea Striano dei Verdi, l'assessore regionale al Bilancio Luigi Nieri e quello capitolino alle pari opportunità Mariella Gramaglia in rappresentanza della Giunta comunale. "Lottare per i diritti civili vuol dire anche battersi per la pace e contro il terrorismo - dice Grillini - Anche perché l'odio per gli omosessuali accomuna il fanatismo religioso di ogni matrice". A via Cavour, molti inquilini salutano con la mano dalle finestre e dalle terrazze. Poi la musica tace, le bandiere si abbassano in segno di omaggio per i morti di Londra. Un minuto di silenzio raccoglimento e commozione e la festa ricomincia. Due ragazzi si baciano appassionatamente e nessuno ci fa caso.



La Repubblica (cronaca di Roma)


"Gay Pride, contro ogni violenza e per la fine delle discriminazioni"
LA SFILATA DEL GAY PRIDE Nove carri, tanta musica e bandiere arcobaleno a lutto per i morti di Londra
"Per la prima volta accordo completo tra le tredici sigle romane del mondo omosessuale nel nome del laicismo" Nieri: "In Regione presto la legge sulle coppie di fatto"
Gramaglia: "Sì alla delibera sui patti civili di solidarietà"

GABRIELE ISMAN Bandiere arcobaleno listate a lutto, nove carri colorati e rumorosi di felicità, tanti tra uomini e donne a ballare: fantasia al potere nel Gay Pride 2005 che ha colorato le vie di Roma ieri pomeriggio. "Per la prima volta - dice Rossana Praitano, presidente del circolo di cultura omosessuale Mario Mieli - abbiamo trovato l'accordo per la manifestazione tra le tredici sigle che nella Capitale seguono le tematiche del mondo omosessuale". C'è la Cgil, con un carro pieno di persone a ballare, musica da matrimonio e il riferimento alla sacralità del lavoro per un grande no a ogni discriminazione. "Perché - spiega Valentina Baia, 21 anni, stalliera del Portuense - ci sentiamo ghettizzati, ed è brutto vivere così, tra problemi sul lavoro, sul dire con chi esci chi frequenti". C'è il carro con i colori spagnoli, perché "persino la cattolicissima Spagna ci ha superato con la legge sui matrimoni tra omosessuali - ricorda Luca Amato, 40 anni, imprenditore dell'Eur - e noi siamo l'ultimo Paese civile in Europa senza una legge di tutela per i Patti civili di solidarietà, i Pacs". Nel corteo affamato di diritti - tra le prime delle tante canzoni, "Gli spari sopra" di Vasco Rossi - Pacs fa rima con pace, tra le tante bandiere arcobaleno e dell'Arcigay romana: "La nostra - dice Imma Battaglia - è una lotta per la pace, contro la violenza e i soprusi di ogni tipo. Mai come oggi i diritti umani assumono importanza se ciò che si vuole costruire è la democrazia". Sarà lei stessa a metà corteo, in via Cavour - dopo la partenza da piazza della Repubblica alla Bocca della Verità - a strappare manifesti della Militia Christi. Ragazzi e ragazze si baciano, liberi finalmente di farlo, e tanti alle finestre dei palazzi si affacciano, tra curiosità e colori. C'è la politica: "Il sindaco Veltroni - dice l'assessore comunale alle Pari opportunità, Mariella Gramaglia - ha scritto un'importante lettera per i vent'anni dell'Arcigay romana, e io sono qui su suo mandato formale. Credo inoltre sia giusto portare in consiglio comunale la delibera sulle unioni di fatto". Luigi Nieri, assessore al Bilancio e alla partecipazione della Pisana, ripete di stare già lavorando "perché con le altre forze politiche si affronti al più presto in consiglio regionale il nodo delle unioni di fatto". Sfilano Ivano Caradonna, minisindaco del V municipio, che ospita il Cube e una sede dell'Arcigay, e il presidente del municipio XI, Massimiliano Smeriglio, con famiglia. Nel corteo - che alle 18.26 si ferma in un minuto di silenzio dedicato alle vittime di Londra - c'è voglia di laicità: "Dio c'è, ma, calmati, non sei tu" dice una maglietta indirizzata a chissà chi. Sfilano i Pink, allegro movimento di protesta vicino ai Disobbedienti, e il gruppo di laici accaniti Nogod. "è una festa piena - conclude Rossana Praitano - che deve mantenere la sua connotazione di colori e musica: il terrorismo non ferma la costruzione di democrazia. Anzi, il terrorismo ha arricchito questa festa di significati: non più solo lotta alle discriminazioni, ma per l'integrazione". Una festa in positivo: per l'affluenza - davvero tanta gente - per i colori, per le richieste.



L'unita'


Dal Gay Pride una ricetta per la pace
«Non sovrapporre la religione allo Stato, il fanatismo si combatte con queste manifestazioni»
Grillini: «Siamo la punta di diamante della laicità contro l'integralismo»
di Mariagrazia Gerina/ Roma

UN MINUTO DI SILENZIO, pensando alle vittime londinesi. Alle 18,30 i carri colorati si arrestano, le musiche - da Raffella Carrà alla marcia nuziale - tacciono e si interrompono le danze. Poi, è di nuovo l'allegria carnascialesca a cui il Gay Pride ci ha abituato a sfilare per le vie di Roma, soltanto che le bandiere arcobaleno del movimento omosessuale sono listate a lutto e qualcuno distribuisce nastrini neri da mettere al polso. Fino all'ultimo gli organizzatori si sono domandati se fosse opportuno scendere in piazza dopo gli attentati di Londra, fino all'ultimo Alleanza nazionale si è attaccata a questo pretesto per invocare la cancellazione del Gay Pride. Militia Christi ha fatto di più, ha tappezzato la città di manifesti: «Perverso? No Grazie! Ma pe 'er verso giusto. No al Gay Pride. Uniamoci contro la lobby del male». Strappati via al passaggio del corteo, che si snoda lungo tutta via Cavour da piazza della Repubblica al Colosseo e poi alla Bocca della Verità, aperto da una decappottabile rossa con la scritta «Pacs subito». «Siamo quarantamila», gridano gli organizzatori - 20mila secondo la questura. «È un miracacolo, considerando che siamo in Italia, nella città del Vaticano, con un sistema televisivo che ci discrimina e ci oscura», commenta Franco Grillini, presidente onorario dell'Arcigay e deputato Ds, primo firmatario della proposta di legge per il Patto civile di solidarietà (Pacs), firmata al senato da tutti i gruppi che compongono l'Unione. «In questo momento gli attacchi sono talmente forti che la risposta è stata di massa. Le persone hanno capito l'importanza di scendere in piazza oggi nonostante le bombe», dice soddisfatta Rossana Praitano, presidente del Cicolo Mario Mieli, in prima fila tra gli organizzatori del Pride romano, al quale hanno aderito anche la Cgil e, a livello locale, Ds, Verdi, Rifondazione. «Certo, le persone hanno capito che proprio quando ci sono gli attentati, è il momento di scendere in piazza», rilancia Grillini: «Altrimenti si dà ragione ai terroristi che vogliono la fine delle manifestazioni e della democrazia, altrimenti si riduce tutto a un confronto tra lotta armata e stato repressore». Di più, dice Grillini: «Oggi noi siamo la punta di diamante della laicità contro ogni integralismo religioso. Non solo quello islamico, che arma la mano dei terroristi, ma anche quello di casa nostra, comunque nemico della libertà. Uniti, per altro contro le diversità sessuali. E poi non è papa Ratzinger a parlare di attacco anti-cristiano, una gaffe che acuisce le tensioni. Il vero antidoto è fare in modo che non ci siano sovrapposizioni tra politica e religione, nel mondo come nel nostro paese, riaffermare la laicità dello stato e i diritti. Ecco perché questa manifestazione».

Nel corteo sono soprattutto gli integralismi di casa nostra a scatenare la fantasia. Contro i quali si agita il santo spagnolo, «Zapatero, santo subito». Slogan post referendari: «Alle urne quattro gatti, a messa manco quelli». Consigli irriverenti: «Papa Ratinger facce il coming out». «Ma il nosto interlocutore è l'opinione pubblica italiana, le autorità politiche», spiega il presidente dell'Arcigay, Sergio Lo Giudice, «lo stato, che deve difendere la sua e la nostra laicità».

In termini legislativi, la risposta all'integralismo, è il Patto si solidarietà civile. Il centrosinistra ha detto sì ad una legge che riconosce i diritti ai conviventi e ora abbiamo chiesto che questa legge venga inserita nel programma elettorale dell'Unione», spiega Grillini, primo promotore del Pacs: «Il Pacs non è un matrimonio, è una patto civile che risolve i guai nei momenti difficili della vita di due persone, solo una destra ottusa e omofoba come quella italiana può montare una polemica su questa proposta».
10 Luglio 2005





Roma abbraccia il corteo, il colore invade la città
Un pensiero anche per Michele Presta, il sindacalista della Cgil ucciso a Catanzaro
di Delia Vaccarello

ROMA Pride col sorriso, orgoglio di unità e di liberazione. Il corteo contro tutte le discriminazioni che ha sfilato ieri per le vie di Roma, partecipato dai cittadini anche dalle finestre aperte, ha risposto con serenità agli attacchi delle alte cariche dello Stato contro i gay, alle bombe di Londra, alle gerarchie cattoliche con le braccia chiuse. Una serenità che cattura in tempi di oscurantismo. In più di quarantamila sono scesi in piazza grazie alle sigle romane unite, ai rappresentanti nazionali dell'Agedo (genitori di omosex), della Cgil, di Arcigay, dei Ds con Grillini, di Rc con Titti de Simone. Un duetto alfa romeo dell'epoca del film "Il laureato" apre la sfilata e traccia un ponte tra il '68 e l'oggi. Al volante Luca, Marco al suo fianco: «Vogliamo sposarci, finirà che emigreremo». Seduto dietro, la bandiera arcobaleno in pugno munita di striscetta nera in segno di cordoglio per le bombe, Massimo Consoli. Storico e scrittore, tra i fondatori del movimento gay italiano, precisa: «Per la morale cattolica che non condivido Casini sarebbe un pubblico concubino. Ma non per me. Noi chiediamo il rispetto di ogni scelta».

Violano il rispetto le frasi di Militia Christi che dicono "no al gay pride" e si affiancano ai manifesti di Ds, Gay left, e Sinistra giovanile che invitano a partecipare. Imma Battaglia, la pasionaria del world pride 2000, non indugia e distrugge le scritte che definiscono i gay "morti che parlano". La liberazione fa proseliti: ad applaudire sono tanti etero. Anche Consoli batte le mani. Lotta contro il cancro da anni, ha adottato un giovane, oggi è nonno: per la sua storia, diventa il simbolo di un movimento che resiste e conosce la gioia. Gioiscono dei propri figli i genitori dell'Agedo e denunciano: «Siamo riconoscenti ai nostri ragazzi di aver parlato con noi», dice Anna Ciano ed Ettore, il marito: «Sono stati discriminati da piccoli, perché non omologati. Da grandi non si dà loro una prospettiva. La storia si pentirà di questa ingiustizia che in Italia viola i principi della Costituzione». Gli fa eco Titti De Simone: «Se definisci i diritti capricci, come ha fatto Pera, attacchi i fondamenti della Repubblica. Senza pace non c'è stato di diritto». L'integralismo ha l'effetto di unire chi lotta per la libertà. «I problemi di molti sono ancora in famiglia. Ma gli attacchi della Destra non pagano, per i nostri genitori, liberali, sono ridicoli», dice Valentina Bagnoli.

"Angeli" con ali bianche sfilano dietro al carro del circolo Mieli, con la drag queen Karl du Pignè vestita di bianco che ricorda: «Il primo gay pride romano fu organizzato da una signora, Debora di Cave, che è qui con il figlio di un anno». L'applauso riempie il cielo azzurro. Mentre poco prima tutto era silenzio, in ricordo delle vittime dell'ultima strage. Chiaro, la repressione pesa. Omar e Rossella, 17 anni, lamentano: «Ci vogliono pietrificare, ma restiamo fluidi»; Veniero Fusco da Caserta: «Nelle famiglie del Sud c'è molto da fare»; «La piaga è l'omofobia interiorizzata», aggiunge Jiulia Pietrangeli. Ma la Cgil con Gigliola Toniollo rincuora suggellando il pride con lo slogan: «Sacro il lavoro, laico lo Stato». Toniollo aggiunge: «Teniamo alta la sacralità di chi opera». Il carro Cgil sfila sulle note della marcia nuziale. Il pensiero va al sindacalista Presta che si è ribellato al ricatto omofobico ed è stato ammazzato. Per lui, per tutti, occorre sapere "sposare" lotta e sorriso.

delia.vaccarello@tiscali.it

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Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

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