venerdì 15 aprile 2005

Il re nudo del centrodestra

di CURZIO MALTESE

Il voto anticipato non ci sarà ed è forse l'ultimo dei molti treni persi dall'Italia di Berlusconi. Ma la crisi di governo è cominciata. Stavolta non è il solito ruggito del coniglio centrista. O forse sì ma basta a terrorizzare il berlusconismo in rotta. Oggi si vedrà se davvero Follini avrà la forza di ritirare dal governo i ministri dell'Udc, così affezionati alla poltrona. In ogni caso da ieri sono chiare un paio di cose. L'una è che ci attende un anno orribile, l'altra che la destra non ha più un padrone. E' una crisi contro Berlusconi, una rivolta contro il premier demiurgo ormai incapace di tenere insieme una maggioranza che sa di non essere più tale nel Paese e si lacera, litiga e si divide come ha fatto l'opposizione di fronte alla marea vincente del berlusconismo. Alla vigilia del voto tutti, compresa la timida fronda centrista, avevano creduto che a Berlusconi potesse riuscire l'ennesimo miracolo populista. La batosta elettorale l'ha trasformato in un re nudo.

Ora sono tutti convinti che sia lui l'unica causa della sconfitta, perfino i leghisti, in privato. La divisione è fra chi pensa che dopo Berlusconi ci sarà il diluvio per la destra italiana, quindi tanto vale rimanere legati al carro. E chi, come Follini, è convinto che il diluvio ci sarà grazie a Berlusconi. Nel caso del leader centrista la preoccupazione è più che fondata. Nell'ultimo anno elettorale, con la disperata rincorsa al collegio, il segretario Udc rischia di vedersi sparire il partito sotto gli occhi, con una metà arruolata direttamente da Berlusconi e l'altra metà da Mastella e Rutelli. Quindi, ora o mai più.

Sarebbe una crisetta, roba da rimpasto o da nuovo dicastero del Mezzogiorno, tanto per rimanere nel grottesco, se sullo sfondo non ci fosse un'Italia dall'economia malata. Follini e Fini chiedono, con modi differenti, che il premier prenda atto dell'emergenza, che stracci il celebre "contratto con gli italiani" e si presenti almeno in televisione, se non alle Camere, con un programma alternativo, concreto, realista. Una mossa magari drammatica, alla Andreotti anni Settanta o alla Amato del '92, ma che dia l'impressione agli italiani di non essere soli nella crisi, con un governo che pensa alla devolution e alla riforma della giustizia, insomma ai soliti affari di casa.

Berlusconi naturalmente non ci pensa neppure. La parola crisi, economica o politica, non rientra nel suo vocabolario. E' come sempre ottimista, fiducioso in sé stesso. Personalmente, è anche molto più ricco di prima, non solo di capelli. Con la vendita faraonica della quota Mediaset, i due miliardi di liquidi freschi in cassa, più gli utili favolosi degli ultimi quattro anni, il berlusconismo aziendale vive un miracolo economico senza precedenti. Separando gli interessi del Paese dai suoi, il conflitto non si avverte. La parola crisi suona straniera, marziana, comunista e un po' jettatoria.

Ed è proprio questo sordo rifiuto alla realtà ad aver compiuto il capolavoro di saldare le cento anime e correnti dei centristi. Ora Follini può sfidare il premier anche senza Fini perché ha dietro l'intero partito. Tanto da far sembrare al confronto assai più democristiani quelli di An, prigionieri di mille distinguo. Con l'immaginabile psicodramma dei post fascisti dal machismo politico umiliato e offeso. E la conseguente ribellione dell'ala più orgogliosa, incarnata da Storace, nei confronti del (troppo) diplomatico Fini.

In tutto questo Berlusconi non è più in grado di mediare, al massimo s'arrangia, alternando minacce a barzellette.

Prende tempo, tira a campare e prepara nei prossimi mesi altri grandi affari, sicuro alla fine di rimontare con i soldi e le televisioni. Però la crisi, esclusa in partenza, è una realtà. Le crisi di governo, diceva Andreotti, si sa dove cominciano ma non come finiscono. Questa potrebbe durare a lungo, come la famosa verifica, e finire malissimo. Non tanto per questo o quel leader ma per l'economia malata. Con i conti pubblici fuori controllo, la crescita più bassa d'Europa e l'export in calo da anni, un altro anno perso dietro agli arabeschi di potere berlusconiani rischia di essere fatale.

(15 aprile 2005)

http://www.repubblica.it/2005/d/sezioni/politica/regio2005cinque/renudo/renudo.html

giovedì 14 aprile 2005

Noi, umili parroci vorremmo una Chiesa così

Tre sacerdoti (del nord, del centro e del sud) parlano del dopo Wojtyla
Coppie gay e poligamia per don Redento bisogna semplicemente allargare i paletti entro i quali possono agire autonomamente i pastori che ogni giorno vivono a contatto con le pecorelle smarrite

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Il parroco Giacomo Ribaudo, 60 anni C'è chi invoca più potere alla base della Chiesa, chi confida nel fatto che sarà Dio a vegliare sulla nomina del nuovo pontefice, chi infine auspica che la religione si adegui maggiormente ai tempi moderni Parola d'ordine: devoluzione Il vero problema della Chiesa non è tanto la scelta del successore di Karol Wojtyla ma l'eccessivo accentramento di potere nella Curia romana. Questo il giudizio che arriva da Brescia, la città di Papa Paolo VI. "I problemi di Bergamo non sono quelli di Napoli, eppure a Roma sono trattati esattamente allo stesso modo sulla base della semplice osservanza delle leggi vaticane". Redento Tignonsini, parroco bresciano, non ha certo l'arguzia politica di Roberto Calderoli o la linguaccia lunga di Mario Borghezio. Dopotutto, se anche avesse voluto, nella sua vita non avrebbe avuto il tempo di pensare a certe cose. Sempre alle prese con i tossicodipendenti e, negli anni Settanta, un'esperienza da missionario in Africa. Fino a quando, a 70 anni, ha chiesto al vescovo di Brescia la parrocchia più piccola che c'era ed è stato accontentato: Sacca di Esine, in provincia, poco più di mille abitanti. Nessun fazzoletto verde al collo, dunque, o magari nascosto in una tasca. Eppure, la sintesi del suo discorso è racchiusa in una parola che lui non pronuncia mai: devoluzione. "Roma è la Chiesa legale, ma c'è un'altra Chiesa, quella pastorale dei preti e vescovi. Il risultato è che le questioni che riguardano le anime vanno a finire nelle mani di persone asettiche che non sono impastate con la realtà umana". E qui il discorso rischia di toccare questioni spinose: le coppie di fatto, i profilattici, i matrimoni tra gay. Don Redento schiva le trappole ma non si sottrae: "Che senso ha costringere alla convivenza coppie che non esistono più per offrire loro anni e anni di sofferenza?". E ancora: "In Africa non si può andare con il diritto canonico della tribù dei romani, là ci sono altre tribù. La poligamia non è solo una questione di sesso ma di vita, di famiglia". Per uscire da questo imbuto, per don Redento bisogna semplicemente allargare i paletti entro i quali possono agire autonomamente i pastori che ogni giorno vivono a contatto con le pecorelle smarrite. Ma stando ben attenti a non tradire la dottrina cristiana: "Perché io sono nemico del relativismo. Capire non vuol dire consentire, bensì avere la capacità di accompagnare l'uomo di oggi". Il discorso cade inevitabilmente sul nome. Nella rosa dei papabili successori di Karol Wojtyla c'è una figura che crede nella necessità di sburocratizzare la Chiesa, decentrare, per dare spazio ai movimenti ecclesiali: il cardinale tedesco Joseph Ratzinger. Don Redento non ha dubbi: "Comunque vada in Vaticano ci sarà sempre lo Sprito Santo. Tutti gli ultimi papi sono stati degni del tempo che hanno attraversato".

Carmelo Abbate
(Panorama.it del 14/04/2005)

http://www.gaynews.it/view.php?ID=31761

Nuovo Papa: speriamo sia Ratzinger

Meglio il nostro fiero avversario che uno scolorito comprimario, che nei fatti sarebbe comunque in linea con l'attuale custode dell'ortodossia
di Aurelio Mancuso

Sono giorni intensi negli ampi saloni e androni dei palazzi sacri. Il Conclave è alle porte ed è tutto un trionfo di sottane nere fasciate di rosso o di violetto, che morbidamente vanno su è giù per i vari piani per organizzare, convincere, far conoscere posizioni, dossier dei candidati, volontà curiali contrapposte ad aspirazioni conciliari.

I cardinali questa volta hanno avuto la possibilità di conoscere bene le idee in campo, farsi un'opinione sugli schieramenti, prendere dimestichezza con le finezze linguistiche ovattate, soprattutto utilizzate dallo schieramento di Curia, per esprimere concetti in verità assai chiari: il nuovo papa dovrà percorrere le orme di quello precedente.

Al di là delle cortine fumogene dei vari Porta a Porta e degli incensanti reportage giornalistici delle tv nazionali, dentro la Congregazione generale, che ogni giorno riunisce tutti i cardinali (elettori e non), ne stanno venendo fuori delle belle. Qualche giornalista (per lo più della carta stampata) ammette che il dibattito è vivace, che tutto è messo in discussione e, quindi, molte certezze sui papabili, in verità sono invece più che altro auspici, ancora tutti da concretizzare.

Intanto perché proprio lo schieramento conservatore (Ratzinger, Ruini, Sodano) ha già troppi voti in saccoccia, e chi conosce bene la storia dei Conclavi, sa, che questo potrebbe rappresentare più uno svantaggio paralizzante, che uno strumento decisivo per influenzare l'elezione del papa.

I cosiddetti progressisti, appaiono però deboli (e troppi sono fuori dal voto perché ultraottantenni), anche se non hanno rinunciato a sollevare il tema del cambiamento e di una decisa discontinuità rispetto al papato appena concluso.

Stiamo però tutti attenti a non cadere nella trappola delle rappresentazioni di questi giorni: non si tratta di uno scontro epocale, né le parti contendenti sono solo due, né ci può attendere segni di vero e proprio dissenso. I cardinali li avete visti tutti schierati al funerale: la gran parte sono molto anziani, appesantiti in preziose vesti, che è il chiaro segno di una condivisa appartenenza ad una struttura gerarchica, da tanti cattolici (eh sì anche da tantissimi teologici e uomini di Chiesa)è ritenuta anacronistica, impermeabile ai mutamenti dei tempi, ancora aggrappata ai riti e a visioni cesaro papiste. Difficile, che da questa assemblea esca intenzionalmente qualcosa di veramente innovativo e chiaro.

In questo clima paludato ed incerto viene voglia di tifare per il cardinale Ratzinger. Già, proprio per quel Ratzinger custode dell'ortodossia, di una teologia assolutamente respingente rispetto alla modernità, ai mutamenti sociali, alle libertà individuali.

Di Ratzinger, infatti, è apprezzabile il fatto che i suoi documenti ed omelie sono estremamente chiari: da molti anni si è abbandonato il bizantinismo verbale e si sono affermate con semplicità le posizioni della Curia, di quella parte della Chiesa che non vuole essere timida e neutra rispetto al mondo politico. Piuttosto che ritrovarci con una paffuta e simpatica faccia, che nella sostanza non si discosterà dall'attuale fase storica della Chiesa, meglio il nostro diamantino avversario cardinale tedesco, fiero delle sue posizioni e fermo nel suo dire. La Chiesa ne patirà? Vedremo. Non è detto che sia giunto il momento di una vera svolta, anche perché bisognerebbe avere a disposizione (a meno delle sorprese sopra citate) una personalità così forte da poter mutare nel profondo il governo della cattolicità.

Allo stato attuale, fare previsioni è impossibile, ma nel dubbio meglio non cambiare: teniamoci stretto Ratzinger, con i suoi anatemi, le sue condanne inappellabili. Per chi di noi non è credente cambierà poco, (forse aumenterà la conflittualità tra movimento e gerarchie, ma tanto non è che sia stato flebile in questi anni…), per chi è cattolico aumenterà la consapevolezza, che forse lo Spirito Santo non ha ancora deciso di svelare il suo progetto, per aiutare questa Chiesa ad uscire dalle tenebre della paura e dell'ossificazione.

http://www.gaynews.it/view.php?ID=31767

mercoledì 13 aprile 2005

Appello dei laici italiani: la stazione Termini è di tutti

Mandate la vostra adesione a info@italialaica.it

La decisione di intitolare a Giovanni Paolo II la stazione centrale "Termini" della capitale della repubblica italiana non è che il culmine, davvero eccessivo, di un crescendo di delirio idolatrico da cui l'intera società italiana è investita in questi giorni. Sull'onda di un servilismo e di un'eccitazione mediatica e politica senza precedenti, si smarrisce ogni memoria del carattere laico delle istituzioni, del profondo pluralismo culturale, politico e religioso della società in cui viviamo, del carattere estremamente controverso, perfino per gli stessi cattolici, dell'eredità del defunto Papa. Si è perso in questi giorni, soprattutto, ogni rispetto per i milioni di cittadini che dissentono dalle opinioni e dalle convinzioni di questo Pontefice.

Riteniamo che, quanto meno, decisioni destinate a segnare a tempo indeterminato il volto di Roma dovrebbero essere assunte solo una volta esaurita l'attuale ondata emotiva.

Le organizzazioni che, tra gli altri, firmano questo appello e che fanno attualmente parte della "Consulta laica" del Comune di Roma, annunciano che, se la decisione di intitolare la stazione Termini a Giovanni Paolo II sarà confermata, si ritireranno da tale organismo.

http://www.italialaica.it/cgi-bin/news/view.pl?id=004475

lunedì 11 aprile 2005

Giovanni Paolo II è morto. Bilancio di un pontificato controverso

di François Houtart*
02 Apr 2005

Città del Vaticano - (Reuters) - "Papa Giovanni Paolo II è morto oggi, sabato 2 Aprile 2005, a Roma alle 21.37".

La vista di un uomo anziano, stanco, malato, che continua nonostante tutto a farsi carico di un compito immane, desta un senso di rispetto, simpatia o pietà. L'attaccamento di immense folle popolari, in tanti paesi del mondo, continua a essere impressionante. Una personalità che unisce a un vasto sapere la conoscenza di numerose lingue, un comportamento sportivo, un reale coraggio fisico, una profonda spiritualità, la fedeltà nell'amicizia e una grande forza di persuasione suscita ammirazione. Ma un bilancio deve comportare altre prospettive, e un diverso tipo di analisi.

Ripercorrere alcune delle linee di fondo del pontificato di Giovanni Paolo II non è impresa di poco conto, dati i numerosi anni da lui trascorsi al governo della Chiesa cattolica (poco meno di un quarto di secolo), i quasi cento viaggi internazionali, una dozzina di encicliche, innumerevoli discorsi, gli incontri con tante personalità e centinaia di beatificazioni e canonizzazioni. E tutto questo, in un periodo storico che ha visto il consenso di Washington orientare l'economia mondiale verso il neoliberismo, con le conseguenti catastrofi sociali.

Il periodo del crollo del muro di Berlino, dell'avvento del pensiero unico e del fiorire dei movimenti di protesta su scala mondiale, per non parlare dell'attacco terroristico contro gli Stati uniti, o delle guerre che rafforzano il dominio del sistema mondiale oggi in atto. La missione che Giovanni Paolo II si è assegnato alla testa della Chiesa cattolica era duplice: restaurare una Chiesa scossa dal concilio Vaticano II, e rafforzarne la presenza nella società, onde consentirle di attuare il suo compito di evangelizzazione.

Il cardinale Karol Wojtyla aveva partecipato attivamente al concilio Vaticano II. Aveva sostenuto la modernizzazione dell'immagine della Chiesa cattolica, appoggiando molte delle riforme adottate dall'Assemblea del vescovi. E tuttavia osservava con preoccupazione, dalla natia Polonia, le conseguenze del concilio su una Chiesa che si stava riformando in profondità, non senza traumi e conflitti interni. Vicino all'Opus Dei, che lo aveva accolto in occasione di alcuni suoi viaggi all'estero, guardava con riprovazione non soltanto a taluni sviluppi eccessivi in campo liturgico (introduzione di testi o di musiche profane), ma anche a numerose applicazioni concrete delle decisioni conciliari.

Lo rafforzava nei suoi convincimenti la sua appartenenza al cattolicesimo polacco, culturalmente egemonico in quella società: solido, ma spesso semplicistico nei contenuti, vigoroso nella sua spiritualità caratterizzata dal culto per la Vergine Maria, rigido nella sua morale, cemento della nazione e anima della resistenza al comunismo. Tutto questo doveva condurre l'eletto del Conclave a intraprendere una restaurazione dottrinale, morale e istituzionale della Chiesa cattolica. Sul piano dottrinale, non c'è quasi un tema che non sia stato affrontato, se non da lui personalmente, dagli organi della Santa Sede. La fede, il magistero, l'autorità dottrinale della gerarchia ecclesiastica, la collegialità tra i vescovi per il funzionamento della Chiesa universale, la liturgia, il sacerdozio, il ruolo delle donne nella Chiesa, l'ecumenismo o i rapporti tra le Chiese cristiane, le religioni non cristiane, la dottrina sociale ...

Accanto a precisazioni interessanti figurano ammonimenti, richiami dottrinali o anche esplicite condanne che rappresentano altrettanti colpi di freno, con misure disciplinari sempre più restrittive, in luogo dell'accompagnamento pastorale di un difficile processo di riforme che doveva consentire alla Chiesa, in un mondo sempre più complesso, di trasmettere meglio il messaggio evangelico. Sono stati sospesi, ad esempio, gli adattamenti liturgici iniziati da alcune Chiese locali asiatiche, in particolare in India, volti a dare alla fede un'espressione più adeguata a quel contesto culturale.

Il documento Dominus Jesus, attinente alla funzione salvifica universale di Gesù, ha posto termine al tentativo di ripensare i rapporti con le grandi religioni d'Oriente: il testo in questione è stato interpretato da alcuni responsabili religiosi e politici asiatici come una giustificazione del proselitismo nelle società che stanno faticosamente recuperando la propria identità culturale, segnatamente attraverso la religione.

Diversi teologi hanno subìto condanne, quali il divieto di insegnare o di pubblicare; al cingalese Tissa Balasuriya è stata inflitta la scomunica per aver pubblicato un libro considerato troppo ambiguo sulla verginità di Maria e sul concetto di peccato originale. L'ascesa dell'Opus Dei Certo, nel campo dei rapporti con le varie confessioni cristiane e con le altre religioni vi sono state alcune manifestazioni suggestive, come gli incontri di Assisi nel 1986 e nel 2002, il digiuno dell'ultimo giorno del Ramadan nel 2001, e così via. Ma l'intransigenza dottrinale e gli ostacoli creati verso forme di collaborazione più istituzionali, in particolare con il Consiglio ecumenico delle Chiese, hanno opposto un limite invalicabile a taluni progressi.

Se il papa ha chiesto perdono per le colpe di molti membri della Chiesa cattolica - ai tempi delle crociate e dell'Inquisizione, o ancora per comportamenti razzisti e antisemiti - non ha mai sollevato la questione delle responsabilità dell'istituzione in quanto tale. Quanto alla collegialità episcopale - uno dei punti forti del concilio Vaticano II - Giovanni Paolo II l'ha chiaramente subordinata all'autorità romana. I sinodi generali o continentali si sono spesso trasformati in organi di registrazione della linea pontificia, se non in semplici occasioni di sfogo senza grandi conseguenze. Per la pubblicazione dei loro documenti si richiedeva l'approvazione preventiva del papa; e a volte sono state persino imposte alcune modifiche.

La Teologia della liberazione è stata oggetto di una repressione specifica.

Nata in America latina, ha trovato espressione anche in Africa, soprattutto tra i teologi protestanti, così come in Asia, in India, nelle Filippine e nella Corea del Sud. È una riflessione su Dio - come tutte le teologie - che assume come punto di partenza la condizione dei poveri e degli oppressi, rendendo esplicito il suo carattere contestuale - cosa che altre correnti rifiutano generalmente di fare, velando così la relatività del discorso. Per stabilire con chiarezza il suo punto di partenza nella complessità delle situazioni sociali contemporanee, la Teologia della liberazione, che attinge la sua ispirazione al Vangelo, esige la mediazione di un'analisi sociale.

Ma questo pensiero travalica largamente il campo dell'etica sociale e ritrova, attraverso lo sguardo degli sfruttati, il senso della persona di Gesù, reinserito nel contesto storico della Palestina del suo tempo. Si sviluppano così una spiritualità e una gamma di espressioni liturgiche in cui ci si rende conto della vita dei poveri, e si guarda con severità a una Chiesa troppo spesso compromessa con i poteri oppressivi. Questa teologia parla di liberazione, al presente, come espressione dell'amore di Dio per il suo popolo. E dunque appariva pericolosa per l'ordine, sia sociale che ecclesiastico.

La reazione di Roma è stata durissima.

Era facile accusare questa corrente teologica di marxismo, dato che è fondata sull'esistenza delle strutture di classe. Una prospettiva del genere, come ha detto il cardinale Joseph Ratzinger, responsabile della Congregazione per la dottrina della fede, doveva condurre direttamente all'ateismo. Numerosi teologi hanno quindi subito il divieto di insegnamento e di pubblicazione. I Centri didattici hanno ricevuto l'ordine di proibire qualsiasi insegnamento in cui si parlasse di questa dottrina. La teologia della liberazione ha dovuto cercare rifugio presso qualche centro di studio o di formazione ecumenico, o nelle università laiche. Nel 1996, lo stesso Giovanni Paolo II, in occasione del suo viaggio in Nicaragua, dichiarò che una volta morto il marxismo, la teologia della liberazione non aveva più motivo di esistere.

Quanto alle questioni morali, è nota l'insistenza del papa sul rispetto per la vita fin dal suo concepimento, così come la sua radicale opposizione all'aborto, alla contraccezione, al divorzio, all'eutanasia, ma anche alla pena di morte.

Certo, il positivismo scientifico, gli effetti genocidi delle scelte dei poteri economici o il relativismo di un certo pensiero post-moderno rappresentano una minaccia per la vita. Ma l'attaccamento del pontefice a una filosofia della natura superata dalle conoscenze contemporanee, la sua riluttanza a prendere in considerazione le condizioni sociali e psicologiche concrete degli esseri umani, così come le drammatiche conseguenze - come nel caso dell'Aids in Africa - di talune posizioni dogmatiche, hanno finito per far perdere alla Chiesa cattolica buona parte della sua credibilità.

La dottrina sociale rimane un campo privilegiato dell'attenzione di Giovanni Paolo II. I documenti su questo tema sono innumerevoli. In nome del Vangelo, il papa ha condannato con estrema durezza gli abusi e gli eccessi del capitalismo, e ha persino denunciato - a Cuba - il neoliberismo e i suoi effetti perversi. Ma se nell'enciclica Centesimus Annus ha condannato il socialismo nella sua essenza, in quanto veicolo di ateismo, quando ha stigmatizzato il capitalismo selvaggio lo ha fatto denunciando le sue pratiche, non la sua logica. E laddove si fa riferimento, in questo stesso documento, a un'«economia sociale di mercato», non si menzionano le pratiche «selvagge» attuate nei paesi del Sud e nell'Est europeo da quegli stessi agenti economici che si richiamano a questo modello.

Allo stesso modo, i frequenti e insistenti appelli alla «globalizzazione della solidarietà» non sfociano mai in una denuncia delle cause profonde della povertà e delle disuguaglianze. Peraltro, uno degli strumenti dell'elaborazione e della diffusione della sua dottrina sociale è la Commissione Giustizia e pace, istituita dal concilio Vaticano II: ma la presenza di Michel Camdessus, ex direttore del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), nominato nel 2000 suo consigliere, basta da sola a far dubitare del ruolo di questa Commissione come portavoce dei poveri e degli oppressi...

Per l'attuazione del suo fondamentale progetto di restaurazione dottrinale e morale, Giovanni Paolo II aveva bisogno di un'istituzione in grado di portarlo avanti.

La sua politica di nomine episcopali si è quindi orientata in questo senso. In numerose diocesi, i nuovi vescovi, su ispirazione della Santa Sede, hanno iniziato a esercitare un controllo sui centri di formazione, smantellando l'opera pastorale dei loro predecessori e introducendo congregazioni religiose o organizzazioni cattoliche conservatrici. In America latina, il Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), che aveva svolto un ruolo di punta nel rinnovamento, organizzando, nel 1968, la Conferenza di Medellín per l'applicazione del concilio Vaticano II nel subcontinente, fu trasformato a poco a poco in un organismo di restaurazione. Le conferenze episcopali furono riorientate attraverso nuove nomine.

In tutto il mondo, centinaia di diocesi attraversarono penosi processi di transizione pastorale, non senza drammi personali per coloro che avevano creduto in una Chiesa profetica e in un'istituzione più umana. Solo alcune diocesi di più antica cristianità furono in grado di preservare la propria autonomia, frenando il dilagare delle nomine di segno conservatore. Nel 1982, quattro anni dopo l'elezione di Giovanni Paolo II, l'Opus Dei acquisì uno status di prelatura personale, al di sopra della giurisdizione dei vescovi. Il suo fondatore fu canonizzato nel 2002, a soli 27 anni dalla sua morte; molti dei suoi membri vennero nominati vescovi, spesso in diocesi importanti, e alcuni furono fatti cardinali.

Ma la sua influenza si fece sentire soprattutto nell'amministrazione centrale della Chiesa cattolica (la curia), dove i suoi membri occupano cariche importanti in numerosi settori e beneficiano di «promozioni» interne. L'«Opera di Dio» potrebbe giocare un ruolo di rilievo anche nella designazione del successore dell'attuale papa. Giovanni Paolo II ha inoltre rafforzato la Curia romana, un apparato il cui mantenimento richiede mezzi considerevoli, che i contributi del fedeli non bastano ad assicurare.

Ma la Santa Sede dispone di un ingente patrimonio, in particolare grazie ai Patti lateranensi (1929), mediante i quali l'Italia fascista risarcì il Vaticano della perdita dell'antico stato pontificio. Questo capitale fondiario e finanziario produce elevati redditi. Ma sotto l'attuale pontificato, le istituzioni bancarie del pontificato hanno dato luogo a clamorosi scandali, tra cui quello del Banco Ambrosiano. Scandali che sono costati centinaia di milioni di dollari alla Chiesa cattolica.

Ma il pubblico è stato scarsamente informato di queste vicende, che si pongono in plateale contrasto con lo spirito del Vangelo. Tutti i poteri - giudiziari, politici, economici e mediatici - hanno congiurato per tacitarle, nel timore di mettere a repentaglio un'istanza morale che ai loro occhi costituisce una garanzia dell'ordine sociale. Giovanni Paolo II, vescovo di Roma, avrebbe dovuto ritirarsi a 75 anni, come sono invitati a fare tutti i vescovi a partire dal concilio Vaticano II.

Il suo rifiuto ha rafforzato il potere di un'amministrazione sempre più conservatrice.

Nuovo «prigioniero del Vaticano», il papa è divenuto così vittima di una curia i cui maggiori esponenti, da lui stesso nominati, hanno portato la restaurazione a un punto tale da provocare reazioni crescenti persino negli ambienti moderati della Chiesa. La «nuova evangelizzazione» promossa da Giovanni Paolo II è caratterizzata da due principali orientamenti: da un lato quello dell'Opus Dei, volto a evangelizzare attraverso il potere, facendo della spiritualità un segno di eccellenza sociale; dall'altro, quello dei vari movimenti carismatici, esigenti in materia di comportamenti personali, con una tendenza a valorizzare aspetti di tipo affettivo, ma generalmente poco inclini a integrare una dimensione sociale.

D'altro canto, le comunità ecclesiali di base nate in America latina, caratterizzate dall'autogestione, in cui a prendere la parola erano i poveri, sono state emarginate e talvolta distrutte: ai sacerdoti che vi esercitavano la funzione di consulenti si imponeva il trasferimento, o si vietava addirittura l'accesso ai locali parrocchiali. E intanto si creavano sotto l'egida clericale altri gruppi con lo stesso nome. Quanto al ruolo dei laici nella Chiesa, benché valorizzato nei testi, è stato il larga misura relegato a un livello subalterno, a meno che si trattasse di organizzazioni incondizionate quali l'Opus Dei.

D'altra parte - e questo è un esempio che colpisce - la Gioventù Operaia Internazionale (Gcoi), nonostante il sostegno di varie conferenze episcopali, è stata emarginata, con l'abrogazione del suo status di organizzazione internazionale cattolica, mentre una Federazione concorrente è stata creata di sana pianta. Queste tendenze si collocano in un contesto tipico di dissociazione culturale, che si manifesta nelle correnti filosofiche così come in parte delle scienze umane, nella produzione artistica e nella ricerca religiosa, ove l'accento è posto sull'individuo. Paradossalmente, la nostra epoca è contrassegnata a un tempo dal predominio del mercato e da un irrigidimento autoritario ai vertici delle istituzioni.

Sradicare il comunismo ateo

I numerosi viaggi di Giovanni Paolo II da un capo all'altro del mondo hanno indubbiamente rivelato la sua eccezionale energia, e sono stati molto apprezzati in numerosi ambienti popolari, soprattutto nel Sud, oltre che - logicamente - in Polonia, e in generale da parte dei nuclei cattolici più ferventi. Ma più che di una vera presa di contatto con le realtà dei luoghi visitati, si è trattato innanzitutto di diffondere il pensiero di Roma. L'evento ha prevalso sul messaggio. Se le visite pontificie hanno suscitato emozione, il più delle volte sono servite a rafforzare l'ala conservatrice del cattolicesimo.

La restaurazione della Chiesa cattolica dopo il concilio Vaticano II si è dunque tradotta, per Giovanni Paolo II, in una ridefinita solidità dottrinale, in un codice morale tutto d'un pezzo e in un'autorità fuori discussione, al servizio di un progetto modernizzato nella forma, ma fondamentalmente conservatore. Un orientamento del genere era necessario, secondo il papa, per affrontare le forze ostili della società. Perciò Giovanni Paolo II ha adottato come riferimento la figura di Pio XII, e ha aperto il suo processo di beatificazione accanto a quello di Giovanni XXIII, che la vox populi aveva già da tempo elevato agli altari. Nella Gaudium et Spes, il concilio Vaticano II descrive il ruolo della Chiesa non già come esercizio di un potere, ma come ispirazione morale.

La volontà di condividere le gioie e le speranze dell'umanità, che sembrava nascere da un ottimismo al limite del realismo, era il frutto di un'ispirazione programmatica. Il nuovo papa non ha tardato a tradurre questo spirito in una duplice battaglia contro le forze ostili al messaggio cristiano: il comunismo ateo e il secolarismo occidentale. La lotta tradizionale contro il comunismo era stata rafforzata dalla proclamazione dell'ateismo quale «religione di stato» nei paesi dell'Est europeo, ma anche, più concretamente, dalla repressione delle libertà e dalle persecuzioni religiose.

Giovanni Paolo II, guidato dall'esperienza della Polonia, riteneva che per sradicare il comunismo occorresse mobilitare i cattolici, sia all'interno della Chiesa - e da qui la condanna alla teologia della liberazione - sia all'esterno, attraverso un'azione diretta. Laddove il comunismo era al governo, il papa incoraggiava la creazione di un contro-potere. Con le sue visite in Polonia ha promosso una mobilitazione religiosa, e assicurato - anche sul piano finanziario, tramite il Banco Ambrosiano - l'appoggio a Solidarnosc. Nei paesi in cui era sul punto di prendere il potere, i cattolici dovevano essere arruolati in un fronte d'opposizione. Fu così che in Nicaragua si arrivò nel 1983 allo scontro con il Fronte sandinista. Nell'omelia tenuta a Managua, il papa condannò la Chiesa popolare e il «falso ecumenismo» dei cristiani impegnati nel processo rivoluzionario.

E fece appello all'unità, sotto l'egida di un episcopato particolare reazionario (l'arcivescovo di Managua, Mons. Miguel Obando y Bravo, sarà nominato cardinale dopo la visita pontificia). Tutto questo portò a una forte repressione ecclesiastica, e sconcertò profondamente i cristiani dei ceti popolari, venuti a celebrare a un tempo la loro rivoluzione e la visita del loro papa. Il viaggio a Cuba segue la stessa linea. Nell'idea di Giovanni Paolo II, quest'isola era l'ultimo bastione del comunismo in Occidente, ormai a fine corsa. L'aggressività - in parte anche a causa del suo stato di salute - non era più all'ordine del giorno.

E dato che a suo modo di vedere, la rivoluzione cubana rappresentava una parentesi nella storia, non la menzionò in quanto tale, ma si limitò a sottolinearne gli effetti, tutti in negativo.

E al suo ritorno a Roma, dichiarò che la sua visita avrebbe avuto lo stesso effetto del viaggio compiuto dieci anni prima in Polonia. Per la lotta anticomunista c'era bisogno non solo di una Chiesa forte e disciplinata, ma anche di alleanze con altre forze, in campo economico e politico. Da qui i numerosi compromessi con il potere americano, per cui molte delle sue organizzazioni cattoliche, in Europa e a Roma, hanno canalizzati fondi, sia ufficiali che segreti, in favore di Solidarnosc.

E da qui anche la tolleranza nei confronti di regimi dittatoriali di destra, come quelli del Cile, dell'Argentina o delle Filippine.

Gli artefici di queste discutibili relazioni sono stati promossi da Giovanni Paolo II ai vertici di importanti organi della Santa Sede, prima tra tutte le Segreteria di Stato. Da qui infine l'intervento in favore del generale Augusto Pinochet. E sul piano simbolico, la beatificazione, proclamata nel 1998, del cardinale Stepinac, che era stato molto vicino al regime fascista della Croazia durante la seconda guerra mondiale. Il secolarismo occidentale, caratterizzato dal relativismo, dal consumismo e dall'edonismo, è stato il secondo avversario di Giovanni Paolo II. Il quale ha ricordato con forza i valori dell'amore per il prossimo, della solidarietà, della moderazione nell'uso dei beni materiali.

Ma ancora una volta, lo ha fatto in una quadro dottrinale e morale talmente rigido che il messaggio è rimasto purtroppo in larga misura incompreso, e in definitiva poco efficace. Purtroppo, perché l'umanità contemporanea aspira alla spiritualità, è alla ricerca di un senso; e le lotte sociali sono il segnale di un profondo desiderio di giustizia, a fronte di una globalizzazione economica e culturale distruttiva. Richiamo astratto ai valori sociali Un'altra preoccupazione di Giovanni Paolo II è stata quella di perseguire la pace.

Si è opposto alla guerra del Golfo, ha messo in guardia contro quella del Kosovo, ha dichiarato le sue riserve sull'attacco all'Afghanistan, ha rivendicato il diritto dei palestinesi a uno stato. Un suo leitmotiv costante è la pace tra i popoli, fondata sulla giustizia nei loro rapporti. Si è dimostrato attento alle sofferenze delle vittime, condannando ad esempio l'embargo contro l'Iraq e contro Cuba, che sottopone la popolazione a restrizioni devastanti. Tutte posizioni ispirate alla fedeltà al Vangelo.

Purtroppo, questi richiami ai valori sono rimasti il più delle volte astratti, dato che il papa non ha mai esplicitato le cause reali delle guerre e le loro connessioni con l'imperialismo economico. Peraltro, l'alleanza di fatto tra la Santa Sede e i poteri economici e politici dell'Occidente continua ad esistere, sulla base di una logica istituzionale (la riproduzione sociale dell'istituzione ecclesiastica), e ha fatto perdere al discorso contro le guerre gran parte della sua credibilità.

In questo campo, lo strumento privilegiato della Santa Sede è il servizio diplomatico.

Contrariamente a quanto spesso si crede, questo servizio non è un organo del Vaticano in quanto stato, bensì della Santa Sede, cioè della Chiesa; e ha avuto un considerevole sviluppo grazie a Giovanni Paolo II. Non solo è l'elemento più costoso, ma anche quello socialmente più compromettente, e simbolicamente più contraddittorio rispetto all'ispirazione evangelica, in quanto segno di potere (privilegio di uno stato) ed espressione di ricchezza (l'insediamento di nunziature a fianco delle ambasciate).

Nessuno può dubitare che Giovanni Paolo II, il prelato sportivo, l'ex operaio dello stabilimento Solvay di Cracovia, dilettante di teatro e moralista dell'Università cattolica di Lublino, il sacerdote dalla personalità mistica, il pastore dei Carpazi sia destinato a rimanere nella storia come un gigante dell'era contemporanea: il papa di un quarto di secolo che ha trasformato profondamente l'umanità, il papa della globalizzazione.

Ma per aver voluto ricostruire una Chiesa più solida in un mondo più umano, questo papa ha finito per distruggere un gran numero di forze vive emergenti, che portavano l'impronta di una visione evangelica e profetica. La luce spirituale e morale di cui voleva essere portatore si è trasformata in istanza politica. Il governo centrale della Chiesa, che avrebbe dovuto essere al servizio del «popolo di Dio», è divenuto un apparato reazionario, alleato di fatto dei poteri oppressori. Il suo appello alla giustizia e alla pace non ha assunto una dimensione profetica commisurata all'immenso sfruttamento, oggi più che mai globalizzato, ma si è tramutato in una critica dai toni ragionevoli. Ha fatto leva non già sulla forza del simbolo, ma su quella dell'autorità.

Certo, Giovanni Paolo II ha restaurato la Chiesa, ma quale Chiesa? Certo, ha rafforzato il suo posto nella società, ma quale posto?

La cristianità - aveva detto Harvey Cox, teologo battista, docente a Harvard - ha bisogno di un papa, ma non come potere, bensì in quanto espressione simbolica dell'unità. L'umanità ha bisogno di un richiamo alla speranza, sulla base di analisi della realtà e di progetti per il futuro. Non si può dire che il bilancio del pontificato abbia risposto a questa duplice attesa.

Dovrebbe essere questa la sfida del successore di Giovanni Paolo II, che potrà fondarsi a tal fine su una grandissima speranza e sulle forze vive, che fortunatamente sono tuttora presenti sull'intero pianeta.

(*Direttore del Centro tricontinentale e della rivista Alternatives Sud, Belgio)

Fonte: "Le Monde Diplomatique"

Domani "Liberi tutti" con l'Unità, un assaggio dei contenuti

La pagina di liberi tutti del 12 aprile ha come argomento centrale una storia sull'amicizia di una ragazza etero per un ragazzo gay entrambi sedicenni svelano il mondo attuale della scuola tra silenzi, apertura, e omofobia raccontano il bisogno di confortarsi ma anche di "scazzarsi" Ciascuno con i propri amori e con l'"inedita" relazione che li unisce

Articolo sugli esiti delle candidature, gli impegni futuri dei rappresentanti omosex che si preparano per le comunali del 2006

In basso il tam tam: spigolature dal mondo dei cartoon e dell'economia. Parliamo anche dell'avanzata in America delle nozze gay e della ..pesca di casa nostra!

Agenda fitta di appuntamenti

Il 17 Maggio prossimo si festeggerà la giornata mondiale contro l'omofobia

Già più di 30 nazioni hanno aderito all'appello


La comunità LGBT internazionale si sta mobilitando per promuovere, su iniziativa di Louis-Georges Tin curatore del Dictionnaire de l'homophobie (Presses Universitaires de France, 2003), una Giornata mondiale contro l'omofobia da celebrarsi il 17 maggio di ogni anno.

Arcigay ha aderito all'appello e si è fatta promotrice per l'Italia attraverso una Commissione appositamente istituita all'ultimo Consiglio Nazionale per la celebrazione di una Giornata Mondiale Contro l'Omofobia da celebrarsi ogni anno il 17 maggio, giorno in cui, nel 1990 l'Assemblea generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità cancellava l'omosessualità dalla lista delle malattie mentali.

Già più di 30 nazioni hanno aderito all'appello; in Belgio è stata presentata una proposta di legge per l'istituzione della Giornata, dal Parlamento Europeo hanno dato ufficialmente l'adesione il Gruppo dei Socialisti, il Gruppo ALDE (Liberal Democratici), il Gruppo Verdi/ALE, l'Intergruppo gay e lesbico, e altri gruppi sono in procinto di dare la loro adesione.

Dobbiamo fare tutto ciò che possiamo perché l'Italia aderisca all'iniziativa, e sensibilizzare l'opinione pubblica a un problema che è la causa di tutte le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere.

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Ecco l'Ordine del Giorno che sarà presentato in numerosi comuni Italiani su iniziativa di Arcigay.



Il Consiglio ...........


considerato che


* in diverse nazioni del mondo gli atti omosessuali sono condannati dalla legge come atti criminali, con pene che arrivano anche alla morte, oppure sono oggetto di persecuzione;

* una cultura diffusa ancora oggi anche in Italia spinge a considerare le persone omosessuali e transessuali come perverse o malate, rendendole spesso oggetto di scherno e discriminazione;

* a causa di questa cultura omofobica, molte persone con orientamento sessuale diverso dalla maggioranza tendono a nascondersi e spesso rinunciano, per paura di essere scoperti, al diritto di denunciare maltrattamenti, percosse, furti o ricatti;

* sempre a causa di questo clima molti giovani omosessuali non riescono ad accettare la propria diversità, si considerano "sbagliati", in alcuni casi sviluppano problemi psicologici seri fino ad arrivare al suicidio;

* il 17 maggio 1990 l'Assemblea generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) eliminava l'omosessualità dalla lista delle malattie mentali intendendo così mettere fine a più di un secolo di omofobia medica;


ADERISCE


all'iniziativa internazionale per l'istituzione di una Giornata internazionale contro l'omofobia (International Day Against Homophobia) da celebrarsi il 17 maggio di ogni anno nella ricorrenza della cancellazione, il 17 maggio 1990, dell'omosessualità dalla lista delle malattie mentali da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità;


PROMUOVE


anche in coordinamento con le associazioni e gli organismi operanti nel settore, iniziative volte a sensibilizzare l'opinione pubblica a una cultura delle differenze e alla condanna di una mentalità omofobica, intervenendo, in collaborazione con gli organismi istituzionali di competenza, anche e soprattutto nelle scuole che hanno il dovere di formare i giovani perché contribuiscano a costruire un mondo rispettoso dei diritti di ciascuno;


INVITA


il Parlamento italiano a promuovere un riconoscimento ufficiale della Giornata contro l'omofobia.

http://www.gaynews.it/view.php?ID=31712

Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

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