sabato 4 dicembre 2004

La7 dal 15 dicembre trasmetterà "I magnifici 5", il primo reality gay della tv italiana

ETERO, IL COMMANDO GAY VI SALVERÀ
di Roberto Schinardi

Parte il 15 dicembre su La 7 "I Fantastici 5", versione italiana di "Queer eye for the straight guy". Intervista a uno degli autori del primo reality italiano interamente omo.
E' il primo reality show interamente gay della tv italiana. 'I Fantastici Cinque - gay specializzati per uomini trasandati' sbarcherà al suono di cinque nomi comuni (Alfonso, Guido, Marco, Massimo e Mattia) il 15 dicembre alle 21.00 su La7, ormai il canale più gay-friendly in assoluto tra quelli non a pagamento. Format americano di gran successo, 'Queer Eye For The Straight Guy' è divenuto dal suo debutto nel luglio 2003 un vero fenomeno di costume, esportato in Danimarca, Gran Bretagna, Germania e in Francia addirittura su TF1.
La squadra di supereroi dichiaratamente gay è un variegato team di giovani composto da specialisti in diversi settori (beauty, fashion, interior design, lifestyle e food&wine) che hanno una missione precisa: migliorare look e modi di un ragazzo eterosessuale in occasione di un evento importante. Quindi consigli di moda, skin e body care, buon gusto, lezioni di bon ton e utili suggerimenti sui negozi più trendy, gli istituti di bellezza più glamour e le enoteche
più fornite da parte di cinque esperti di stile nel senso più ampio del termine.

Il tutto in una sola giornata in cui il commando gay irrompe a casa dello 'straight guy', lo porta in giro a fare shopping in boutiques esclusive, poi dal parrucchiere o dall'estetista a dargli una risistemata alla 'facciata' mentre l'arredatore gli risistema il focolare per la serata in cui sopraggiungerà la fidanzata piuttosto che i parenti o gli amici.
Insomma, un restyling a 360° per rieducare un etero un po' selvaggio o semplicemente distratto, che non conosce bene il mondo 'metrosexual' in cui vive e ha davvero bisogno di una 'riaggiustatina'.

Abbiamo contattato uno degli autori, Paolo Dago, che è a Roma per girare gli ultimi episodi dello show.

Che puntata avete girato stamattina?

La nona delle dodici previste. Finiremo a gennaio, le ultime tre le gireremo dopo la 'prima' del 15.

E' stato difficile trovare i cinque 'fantastici' candidati gay?

E' stato più difficile trovare gli 'straight guys'. I provini per i gay sono iniziati prima, abbiamo convocato circa 200 ragazzi. I casting sono stati fatti anche al Gay Village di Roma.
Quelli per gli etero sono partiti più tardi. Ci sono stati due ordini di difficoltà per reperire le persone giuste: l'idea di farsi invadere da cinque gay e il problema di trovare una casa adeguata da risistemare per creare uno spazio anche per la regia. Poi ci voleva una storia personale che giustificasse il loro intervento. Ma volevamo anche mostrare i loro talenti: in un caso abbiamo scelto un artista che ha allestito una piccola mostra personale in casa sua.

Che tipologie di etero si sono presentate?

Abbiamo avuto baristi, studenti universitari, istruttori di palestra, investigatori privati e persino una body guard. Mancavano professionisti come avvocati e commercialisti ma, si sa, è difficile che un appartenente a queste categorie si lasci stravolgere il look.

Al contrario della cinquina omo, in cui c'è un volto noto al pubblico gay, Mattia di Gay.tv, che sarà l'esperto di lifestyle. Anche il 'guru' di bellezza e dintorni, Marco, è un noto visagiste delle dive conosciuto nell'ambito milanese. Come mai questa scelta, non c'è il rischio di fare 'L'isolato dei famosi 2'?

Sono noti tra i gay ma non tra gli etero e il pubblico de La7 è composto prevalentemente da etero. Erano le persone più adatte al ruolo.

Ci sono stati episodi imprevisti durante la registrazione?

Sì. In una puntata Guido, l'esperto d'arredamento, si è rotto una gamba e abbiamo dovuto rimandare la registrazione di una settimana.Niente di grave, per fortuna.

La dinamica dello show rispetterà il format originale di 'Queer Eye For The Straight Guy'?

Sostanzialmente sì. I Fab Five vanno a casa dell'etero e lo accompagnano a fare shopping, a farsi i capelli, poi tornano a casa dello straight per vedere i cambiamenti fatti dall'arredatore.
Alcuni vengono davvero rivoluzionati, altri solo 'ripuliti'. Dipende dal tipo di esigenze che hanno. In alcuni casi abbiamo provveduto a tagli drastici di capelli lunghi, sfibrati e distrutti da mèches orrende. Abbiamo restituito loro un colore decente!

Sembra un reality tutto al maschile… Ma le donne ci sono?

Certo! Ci sono le fidanzate, le mogli, le sorelle. Non vengono coinvolte direttamente nella rivoluzione del look dei loro uomini ma spesso sono quelle che approfittano di più del cambiamento: li ritrovano finalmente come li desideravano. Ci è capitato più di una volta.
I Fab Five hanno cambiato in meglio il ragazzo etero senza però mai snaturarlo.

E 'conversioni' gay ce ne sono state?

No, ma tranne un caso tutti hanno legato molto. Alla fine della registrazione il rapporto era di affetto e di simpatia reciproca. Si vede che omosessualità ed eterosessualità sono davvero due realtà che possono convivere molto bene insieme.

Qual è il target ideale de 'I Fantastici Cinque', secondo te?

Il programma non è pensato per un pubblico gay. Gli omosessuali si divertiranno, si potranno riconoscere. Vedranno cose che appartengono al quotidiano, cinque persone che sono loro stesse, si sa che sono gay. L'omosessualità non è oggetto di conversazione, è un dato di fatto, non è l'argomento di cui si parla, viene presentata in una maniera molto normale. E' più interessante osservare ed analizzare le relazioni, le aspettative e i desideri sia dei ragazzi gay che degli etero.

Ci sono premi in palio?

Nessuno vince e nessuno perde. Ne 'I Fantastici Cinque' l'esperienza premia se stessa.

http://it.gay.com/view.php?ID=19511

Pedofilia, risarcimento record per una diocesi californiana

Ha patteggiato 100 milioni di dollari di risarcimento per 87 casi di abusi sessuali commessi su minori da sacerdoti e laici
Soddisfatte le vittime: "Riconosciuto l'errore". Ma non basta: "Occorre l'impegno perchè fatti simili non si ripetano"


LOS ANGELES - La diocesi cattolica della Contea di Orange (California) ha concordato un risarcimento di 100 milioni di dollari con le 87 vittime degli abusi commessi da sacerdoti e impiegati laici. Ne dà notizia l'edizione online del New York Times, precisando che si tratta della cifra più alta mai pagata dalla Chiesa in casi di risarcimento per abusi sessuali.

Il pagamento di 100 milioni supera infatti gli 85 milioni concordati l'anno scorso dall'arcidiocesi di Boston. In un comunicato, il vescovo di Orange Tod D. Brown, che ha partecipato ai lunghi negoziati che hanno preceduto l'accordo, raggiunto presso il tribunale civile di Los Angeles, ha detto che il patteggiamento, pur riconoscendo ciò che è giusto, non mette in ginocchio la Chiesa di Orange, che non viene pertanto costretta a chiudere nessuna delle sue scuole e delle sue parrocchie. Brown, si legge ancora nel giornale statunitense, ha assicurato che verrà chiesto il perdono a ogni vittima, con una lettera.

Il risarcimento da record, che supera la cifra di un milione di dollari per ogni persona coinvolta, potrebbe costituire un precedente per le altre arcidiocesi impegnate in analoghe battaglie legali. A cominciare dalla più grande degli Stati Uniti, quella di Los Angeles, che si trova ad affrontare 500 denunce di abusi sessuali.

Tutte le denunce per le quali è stato concordato il risarcimento riguardano casi di abusi commessi prima che il vescovo Brown assumesse la direzione, nel 1998. Sotto accusa 30 sacerdoti, 11 impiegati laici e due suore. "Voglio cogliere l'opportunità, in questa occasione - ha detto Brown - di porgere da parte della diocesi di Orange e mia personale le scuse più sincere, di chiedere perdono, nella speranza di una autentica riconciliazione".

A Orange vivono oltre un milione di cattolici. La diocesi si è separata dall'arcidiocesi di Los Angeles nel 1976 e attualmente è, per grandezza, la decima degli Stati Uniti.

Un portavoce della diocesi, il reverendo Joe Fenton, ha detto che i risarcimenti verranno pagati dai fondi della Chiesa e dalle polizze di assicurazione di Orange. Ha assicurato che pertanto non verranno decurtati i fondi per le attività pastorali, scolastiche o di beneficenza.
Alla fine del 2003, la diocesi aveva in cassa 23 milioni di dollari in contatti e 171 milioni investiti in vario modo. Padre Fenton ha detto che la copertura assicurativa rappresenta una "porzione significativa" di quanto verrà pagato in risarcimento.

Le vittime si sono dette soddisfatte dell'accordo raggiunto. Joelle Casteix, una donna 34 anni che da adolescente, quando frequentava la Mater Dei High School nella città di Santa Ana, subì più volte abusi sessuali da parte di un insegnante laico, fino a rimanere incinta, ha detto di sentirsi graficata dal fatto che la chiesa abbia finalmente decisa di affrontare lo scandalo. E così le altre vittime che, racconta la donna, quando finalmente gli avvocati sono usciti dalla sala delle udienze giovedì notte, annunciando l'accordo, hanno pianto e si sono abbracciate.

La signora Casteix ha detto anche che il denaro è il segno che la Chiesa abbia riconosciuto di aver sbagliato, ma quest'ultima deve fare ancora altro per ottenere il perdono delle vittime. "Per ottenere il perdono non basta che il vescovo dica 'mi dispiace', ma occorre un sincero sforzo per fare in modo che crimini di questo tipo non si ripetano mai più", conclude la donna.
(4 dicembre 2004)

http://www.repubblica.it/2004/l/sezioni/esteri/pedofiliausa/pedofiliausa/pedofiliausa.html

giovedì 2 dicembre 2004

La sentenza della Corte Costituzionale sul ricorso contro lo Statuto della Regione Toscana

Riporto solo la parte per me più interessante della sentenza n. 372 del 2004.
Qui potete trovare il testo completo http://www.gaynews.it/view.php?ID=30168

SENTENZA N.372
ANNO 2004

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Guido NEPPI MODONA “
- Piero Alberto CAPOTOSTI “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 3, comma 6; 4, comma 1, lettere h), l), m), n), o), p); 32, comma 2; 54, commi 1 e 3; 63, comma 2; 64, comma 2; 70, comma 1; 75, comma 4, dello statuto della Regione Toscana, approvato in prima deliberazione il 6 maggio 2004 e, in seconda deliberazione, il 19 luglio 2004, pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 27 del 26 luglio 2004, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 9 agosto 2004, depositato in Cancelleria il 12 successivo ed iscritto al n. 83 del registro ricorsi 2004.

Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;

udito nell’udienza pubblica del 16 novembre 2004 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

uditi l’avvocato dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avv. Stefano Grassi per la Regione Toscana.

[...omissis...]

2. — Le censure formulate dal ricorrente nei confronti dello statuto della Regione Toscana si possono suddividere in due gruppi: quelle aventi ad oggetto proposizioni che rientrano tra i “Principi generali” e le “Finalità principali” e quelle che invece riguardano norme specifiche dello statuto.

Ai fini delle questioni di legittimità costituzionale inerenti al primo gruppo di censure, appare necessario innanzi tutto precisare la natura e la portata di queste proposizioni. Al riguardo va ricordato che negli statuti regionali entrati in vigore nel 1971 -ivi compreso quello della Toscana- si rinvengono assai spesso indicazioni di obiettivi prioritari dell’attività regionale ed anche in quel tempo si posero problemi di costituzionalità di tali indicazioni, sotto il profilo della competenza della fonte statutaria ad incidere su materie anche eccedenti la sfera di attribuzione regionale. Al riguardo, dopo avere riconosciuto la possibilità di distinguere tra un contenuto “necessario” ed un contenuto “eventuale” dello statuto (cfr. sentenza n. 40 del 1972), si è ritenuto che la formulazione di proposizioni statutarie del tipo predetto avesse principalmente la funzione di legittimare la Regione come ente esponenziale della collettività regionale e del complesso dei relativi interessi ed aspettative. Tali interessi possono essere adeguatamente perseguiti non soltanto attraverso l’esercizio della competenza legislativa ed amministrativa, ma anche avvalendosi dei vari poteri, conferiti alla Regione stessa dalla Costituzione e da leggi statali, di iniziativa, di partecipazione, di consultazione, di proposta, e così via, esercitabili, in via formale ed informale, al fine di ottenere il migliore soddisfacimento delle esigenze della collettività stessa. In questo senso si è espressa questa Corte, affermando che l’adempimento di una serie di compiti fondamentali <> (sentenza n. 829 del 1988).

Il ruolo delle Regioni di rappresentanza generale degli interessi delle rispettive collettività, riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale e dalla prevalente dottrina -e, per quanto riguarda la Regione Toscana, dall’art. 1 dello statuto in esame- è dunque rilevante, anche nel momento presente, ai fini <> (sentenza n. 2 del 2004); contenuti che talora si esprimono attraverso proclamazioni di finalità da perseguire. Ma la citata sentenza ha rilevato come sia opinabile la “misura dell’efficacia giuridica” di tali proclamazioni; tale dubbio va sciolto considerando che alle enunciazioni in esame, anche se materialmente inserite in un atto-fonte, non può essere riconosciuta alcuna efficacia giuridica, collocandosi esse precipuamente sul piano dei convincimenti espressivi delle diverse sensibilità politiche presenti nella comunità regionale al momento dell’approvazione dello statuto, come, del resto, sostanzialmente riconosce la risoluzione n. 51 del Consiglio regionale della Toscana, deliberata contestualmente all’approvazione definitiva dello statuto.

D’altra parte, tali proclamazioni di obiettivi e di impegni non possono certo essere assimilate alle c.d. norme programmatiche della Costituzione, alle quali, per il loro valore di principio, sono stati generalmente riconosciuti non solo un valore programmatico nei confronti della futura disciplina legislativa, ma soprattutto una funzione di integrazione e di interpretazione delle norme vigenti. Qui però non siamo in presenza di Carte costituzionali, ma solo di fonti regionali “a competenza riservata e specializzata”, cioè di statuti di autonomia, i quali, anche se costituzionalmente garantiti, debbono comunque “essere in armonia con i precetti ed i principi tutti ricavabili dalla Costituzione” (sentenza n. 196 del 2003).

Se dunque si accolgono le premesse già formulate sul carattere non prescrittivo e non vincolante delle enunciazioni statutarie di questo tipo, ne deriva che esse esplicano una funzione, per così dire, di natura culturale o anche politica, ma certo non normativa. Nel caso in esame, enunciazioni siffatte si rinvengono nei diversi commi –tra cui in particolare quelli censurati- degli artt. 3 e 4 che non comportano né alcuna violazione, né alcuna rivendicazione di competenze costituzionalmente attribuite allo Stato e neppure fondano esercizio di poteri regionali. E’ quindi inammissibile, per carenza di lesività, il ricorso governativo avverso le denunciate proposizioni dei predetti articoli, anche tenendo conto delle esplicite richieste in tal senso della difesa regionale.

Pertanto vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale delle seguenti disposizioni dello statuto della Regione Toscana: art. 3, comma 6, secondo il quale «la Regione promuove, nel rispetto dei principi costituzionali, l’estensione del diritto di voto agli immigrati»; art. 4 comma 1, lettera h), il quale dispone che la Regione persegue, tra le finalità prioritarie, «il riconoscimento delle altre forme di convivenza»; art. 4 comma 1, lettere l) e m), che, rispettivamente, stabiliscono quali finalità prioritarie della Regione «il rispetto dell’equilibrio ecologico, la tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, la conservazione della biodiversità, la promozione della cultura del rispetto degli animali», nonché «la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico artistico e paesaggistico»; art. 4 comma 1, lettere n), o) e p), che stabiliscono, quali finalità prioritarie della Regione, «la promozione dello sviluppo economico e di un contesto favorevole alla competitività delle imprese, basato sull’innovazione, la ricerca e la formazione, nel rispetto dei principi di coesione sociale e di sostenibilità dell’ambiente», «la valorizzazione della libertà di iniziativa economica pubblica e privata, del ruolo e della responsabilità sociale delle imprese», «la promozione della cooperazione come strumento di democrazia economica e di sviluppo sociale, favorendone il potenziamento con i mezzi più idonei».

[...omissis...]

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 32, comma 2, del predetto statuto, in riferimento agli articoli 3 e 122, quinto comma, della Costituzione; dell’articolo 54, commi 1 e 3, del predetto statuto, in riferimento agli articoli 3, 24, 97 e 113 della Costituzione; dell’articolo 63, comma 2, del predetto statuto, in riferimento agli articoli 114, 117, sesto comma, e 118 della Costituzione; dell’articolo 64, comma 2, del predetto statuto, in riferimento all’articolo 119 della Costituzione; dell’articolo 70, comma 1, del predetto statuto, in riferimento all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione; dell’articolo 75, comma 4, del predetto statuto, in riferimento agli articoli 3 e 75 della Costituzione, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 novembre 2004.

F.to:
Valerio ONIDA, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 2 dicembre 2004.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA

mercoledì 1 dicembre 2004

L'ombrello di Chamberlain

Antonio Tabucchi ha ricevuto ieri a Madrid il premio «Francisco Cerecedo» per la sua opera di scrittore ma anche per gli articoli su El Paìs, l’Unità e il Manifesto. Questo è il testo del discorso tenuto durante la cerimonia

La libertà di parola è direttamente proporzionale alla democrazia. Tipico di ogni totalitarismo è il controllo dell’informazione e la sottomissione della parola libera. Lo sanno bene due Paesi come l’Italia e la Spagna che hanno vissuto due lunghissimi periodi di dittatura. Oggi la nostra Europa è una vasta comunione di Paesi nei quali la parola libera, l’informazione libera, sono l’essenza stessa dei valori democratici sui quali la Carta dell’Europa si basa. Con la clamorosa eccezione dell’Italia.
Si dirà che in Italia non sono in vigore leggi speciali sulla libertà di opinione e che la libertà di informazione è assicurata. È vero, ma solo formalmente. Perché, a differenza del passato, ai giorni nostri non è più necessario sorvegliare e censurare l’informazione: basta comprarla. È quanto è successo all’informazione italiana, che per oltre l’ottanta per cento appartiene a una sola persona, l’uomo più ricco d’Europa, un miliardario della cui fortuna non si conoscono le origini. E la persona che possiede la quasi totalità dell’informazione italiana non è un privato cittadino, una persona qualsiasi, ma il presidente del Consiglio, il capo di un governo. Inoltre costui non è un’industriale dell’automobile o il proprietario di una catena di fast-food: egli realizza i suoi guadagni sull’informazione, perché non solo la possiede, ma la produce. Ad aumentare questo antidemocratico conflitto di interessi si aggiunge oggi il controllo ferreo che il capo del governo esercita sulla Rai, la televisione pubblica. Controllo che gli ha permesso azioni che sarebbero inconcepibili in altri paesi democratici: uso personale del mezzo pubblico, licenziamenti di giornalisti non graditi, chiusure arbitrarie di programmi, propaganda scoperta, notiziari addomesticati, agiografie della propria figura.
`È di questi giorni la notizia di un altro grave attacco alla libertà di stampa in Italia. Il senato ha reso attuale una legge in vigore durante la seconda guerra mondiale secondo la quale ai giornalisti è vietato dare notizie sulle operazioni o gli spostamenti delle truppe italiane inviate all’estero. È una legge di guerra per un Paese che in guerra non è, ma che ha tuttavia inviato in Iraq truppe per iniziativa del ministro della Difesa, senza il beneplacito del Parlamento. Tale invio è stato denominato «Missione di Pace». Ebbene, i giornalisti italiani non potranno più rendere conto ai cittadini italiani di ciò che fanno i militari italiani in Iraq. La pena prevista arriva ai venti anni di prigione. Attenzione: questa vecchia-nuova legge prevede anche il divieto di fare propaganda di pace, perché i “pacifisti”, durante la seconda guerra mondiale, erano considerati “disfattisti”. Uno dei primi articoli della costituzione italiana recita: «L’Italia è un Paese che ripudia la guerra». Potrebbe accadere che d’ora in avanti sventolare la bandiera della pace sia considerato in Italia un reato punibile con l’arresto.
Il problema della limitazione e del controllo dell’informazione libera, divorata e sostituita da una informazione di propaganda feroce e servile, non può essere lasciato fra le mura di un Paese a cui guardare magari con distrazione o con benevola commiserazione. Esso riguarda tutta l’Europa, perché quella informazione di propaganda che sta divorando l’informazione libera non è innocua, ma è un veicolo ormai a cielo aperto delle ideologie buie che segnarono l’Italia nel ventennio fascista e che costituiscono la negazione dei principi su cui la nostra Europa si fonda. Nel 1938 Lord Chamberlain tornò da una “visita” nella Germania nazional-socialista assicurando all’Europa che non c’era niente da temere. Portava con sé un ombrello. Con il senno di poi, con quello che la Storia ha vissuto, vorrei interpretare metaforicamente quell’ombrello come le difese immunitarie della democrazia di cui l’Europa libera di allora disponeva. Ma Chamberlain non aprì il suo ombrello: lo usava come bastone da passeggio. Se l’Europa, ancora una volta, non saprà aprire l’ombrello di Chamberlain, presto o tardi una pioggia di scorie infradicerà la sua Carta e i suoi principi diventeranno illeggibili.
La mia è una lucida preoccupazione, è mio dovere manifestarla e lo faccio con piena consapevolezza. Ma è soprattutto un appello. Urgente e necessario.

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=IDEE&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=39435

Fisco e falsi. Vespa manda in onda le tabelle di Forza Italia, ma sono sbagliate

di red

La scena è lo studio di Porta a Porta, dove si parla, ancora una volta, di tagli e tasse. Da una parte Renato Brunetta e Ignazio La Russa per la maggioranza, dall’altra Enrico Letta e Pierluigi Bersani per l’opposizione. Si confrontano cifre e idee. A un certo punto viene presentata una tabella, messa a punto dal servizio grafico della redazione di Bruno Vespa. Mette a confronto le proposte della maggioranza e dell’opposizione. Ed è, palesemente, sbagliata. Cos’è successo? Il racconto lo affidiamo al comunicato ufficiale della redazione di Bruno Vespa: «L'onorevole Brunetta - si legge - ha utilizzato nei suoi interventi durante la prima parte della trasmissione una tabella di raffronto dei risparmi fiscali prodotti dalla manovra del governo messi a confronto con quelli contenuti nella proposta del centro-sinistra. Durante l'intervallo pubblicitario si è deciso di far trascrivere la tabella di Brunetta dal servizio grafico per affiancarla a quella del centrosinistra, già pronta, che confrontava i propri dati con quelli del governo».

Traduzione: Vespa si è fidato di Brunetta, facendosi passare i dati di Forza Italia senza controllarli. Ma questa volta lo zelo filogovernativo gli si è ritorto contro. I dati di Forza Italia dicevano sfacciatamente una cosa: il governo ha abbassato le tasse, l’opposizione vi da pochi spiccioli. Peccato che non venissero calcolate le detrazioni fiscali previste dal centrosinistra.

«È vergognosa - dicono Ds e Margherita in un comunicato congiunto - la scorrettezza compiuta ieri da Brunetta durante la trasmissione Porta a Porta. Siamo ormai giunti alla manipolazione delle tabelle, non sapendo più come dimostrare l'indimostrabile - cioè che le tasse diminuiranno - la destra è diventata una catena di montaggio di falsi mediatici». Dal canto suo «il conduttore non avrebbe dovuto mandare in onda una tabella sugli effetti della manovra fiscale del centrodestra e di quella del centrosinistra preparata dallo stesso Brunetta».

Degli amici mai fidarsi. E Vespa, prontamente, prova a scaricare Brunetta e il suo bidone. Ricostruendo la vicenda sottolinea: io non c’entro niente. L’economista di Forza Italia, a questo punto, si difende: «Non c'è stata nessuna scorrettezza né da parte del conduttore né da parte mia. Semplicemente il Centro Sinistra ha presentato una proposta incompleta ed evidentemente poco attendibile». Grazie ai numeri che lui stesso ha manipolato.


http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=39445

Consulta, verso la legittimità dello statuto toscano

La Corte Costituzionale si avvia a dare il via libera allo statuto della Regione Toscana. I giudici della Consulta - secondo quanto si è appreso - avrebbero deciso l'inammissibilità e l'infondatezza delle numerose questioni (sono 11 in tutto) di legittimità costituzionale sollevate dal governo.

La sentenza verrà depositata nei prossimi giorni, probabilmente assieme alle decisioni che la Consulta prenderà anche sugli statuti delle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna.

Repubblica.it/News

Non più "gay" in tv. Ovvero i gay che alimentano il pregiudizio privilegiati dal piccolo schermo

Mi chiedo se è proprio necessario che la televisione abbia riunito in così poco tempo una masnada di isterici la cui unica missione nella vita è provocare risse...
di Vladimir Luxuria

Per quei pochi che ancora non lo sanno “gay” è la definizione anglosassone (scelta dal movimento stesso) per definire gli “omosessuali” (termine un po’ troppo scientifico che crea soggezione).

E’ la parola che il movimento americano ha voluto contrapporre a quel destino di tristezza, vergogna, remissione al quale ci volevano relegare i bigotti politici e religiosi che ci avrebbero volentieri imbalsamato ed esposto nei loro salotti-bene per dire agli amici “vedete, non ho nulla contro i culatt...pardon, i froci...solo che per me dovrebbero starsene chiusi in casa...e io lo ho fatto!”

“Gay” è la traduzione di “gaio”, un termine aulico della letteratura inglese dell’800 che il nostro movimento ha rimesso in auge: non per niente i “gay pride” non sono marce funebri, marce nere di camice nere; al contrario sono sfilate di gente allegra, colorata che alla luce del sole urla alle città “Ci sono anche io, guardami!” parafrasando il titolo di una canzone di Gloria Gaynor “Sono quello che sono!”. E’ però da diverso tempo che in TV il “gay” in senso di “allegro, orgoglioso” non va più di moda, oggi il piccolissimo schermo propone lo stereotipo “angry”, cioè “arrabbiato, pieno di livore”. Badate bene però che tale rabbia non è diretta verso coloro che calpestano i nostri diritti, le nostre speranze, coloro che non vogliono riconoscere e ufficializzare i nostri sentimenti (basti vedere le difficoltà per approvare le unioni civili anche in Italia, dopo che lo ha fatto tutta l’Europa), no... la rabbia è tutta diretta verso questo o quel personaggino appena liberato dagli arresti domiciliari di qualche “irreality show”, verso questa o quella flop-star, per criticare il look di una soubrette televisiva o l’ultimo calendario di una smutandata che poi fa la fine che merita: appesa al muro!

Cominciamo dalla star di Rai 1: Cristiano Malgioglio! Nello splendore della sua pochezza è il mattatore del gossip su “I Raccomandati” con Carlo Conte: la dimostrazione mediatica che i gay altro che colti e sensibili! I gay hanno problemi con l’esprimersi in italiano! Tant’è che mi è venuto un dubbio atroce: le avrà scritte veramente lui le parole di Mina?

Per carità qualcuno potrà obiettare “ma il signor Malgioglio non ha mai dichiarato apertamente i propri gusti sessuali!” Meno male! Così dopo Giulio Cesare, Michelangelo, Da Vinci e Pasolini a nessuno potrà venire lo scrupolo di doverci affiancare anche Malgioglio.

Passiamo a Rai 2: opinionista dell’Isola dei famosi è invece Signorini, il guru del pettegolezzo, l’attizzatore, una vera e propria biblioteca vivente dei curriculum delle stelle e stelline cadenti.

Ma eccoci a “Buona Domenica” su Canale 5! Va in onda lo scontro verbale tra Platinette, Solange e Rocco Casalino del “Grande Fratello” a colpi di insulti, colpi bassi e acidità verbali al vetriolo. Platinette è almeno una persona che ha alle spalle una carriera radiofonica, di militanza politica con le “Pumitrozzole”, ha spirito di osservazione e professionalità (sebbene a volte non approvo quando esagera e deborda), Solange è uno che nel suo campo (cioè chi legge più mani che libri) è una persona competente e almeno non ha mai avuto guai con la Finanza...ma Rocco Casalino...ma chi è? Da dove viene? Dove va? Ma soprattutto “Perché”?

Rimasi colpito qualche settimana fa da un servizio de “Le Iene” in cui il presunto bisex e più certo omosex Casalino in un’intervista dichiarava che gli extracomunitari “puzzano”.

E infatti dall’alto della sua nullità profumata padroneggia nel contenitore domenicale di Costanzo sputando veleno su tutto e su tutti...in attesa della prossima venuta di Johnatan del GF.

Mi chiedo se è proprio necessario che la televisione abbia riunito in così poco tempo una masnada di isterici la cui unica missione nella vita è provocare risse...ma allora questi gay se covano tutta questa rabbia dentro non è che vivono così bene, c’è qualcosa di non risolto, un desiderio di vendetta nei confronti del mondo!E poi è molto più comodo ed economicamente gratificante non prendersela con il governo, il sistema, il potere religioso, ma con i vip, vippettini e viperai!

Paulo Freire dice che “E’ nella logica dell’oppresso imitare il suo oppressore e provare a liberarsi dell’oppressione attraverso azioni similari a essa. Noi dobbiamo imparare a resistere a questo genere di risposta”. Forse volo troppo alto..ma penso che si possa parlare di diritti e vivibilità gay anche in modo non pesante affinché non cada giù né l’Auditel e (quello che più mi preme) la nostra dignità.

http://www.gaynews.it/view.php?ID=30136

Un adolescente scrive su Buttiglione

Lettera di uno studente del Liceo di Salerno
di Giovanni Di Guida

L’Italia, si sa, è un paese che va al contrario. E’ un paese tanto strano che un Ministro riesce ad autoridicolizzarsi con un’opera masochistica senza precedenti facendosi ridere dietro da mezza Europa, finendo con lo scatenare un putiferio senza precedenti nel cruciale periodo di occulta campagna elettorale in vista del voto del maggio 2006. Il " losco figuro" (comico) in questione risponde al nome di Rocco Buttiglione, Ministro per le Politiche comunitarie, nonché insigne cattedratico di Scienza della Politica presso l’Università San Pio V di Roma. Per comprendere al meglio in che misura lo spessore intellettuale, e morale, di quest’uomo in apparenza colto e riflessivo sia di ben poco conto, analizziamo le sue dichiarazioni e, soprattutto, le frequenti contraddizioni relative alla difesa dei diritti delle minoranze omosessuali.

Si parte addirittura dall’anno 2000: Buttiglione dichiara di rifarsi alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che tutela dalle discriminazioni per orientamento sessuale, ma lui stesso ha definito l’omosessualità “indice di disordine morale”, chiedendo che a gay e lesbiche fosse vietato manifestare a Roma perché ciò avrebbe rappresentato “un’offesa al Papa e ai cattolici”.

In seguito afferma di voler vigilare sulla piena applicazione delle direttive europee contro le discriminazioni antigay sul lavoro dimenticando lo stravolgimento da lui stesso propugnato della direttiva europea 2000/78/EC contro la discriminazione di gay e lesbiche sul posto di lavoro.

Prosegue promettendo pubblicamente che avrebbe applicato il principio di armonizzazione del diritto di famiglia in Europa ma, dinanzi al matrimonio di due gay italiani in Olanda, ha dichiarato: “Sono sicuro che quanto accade nei Paesi Bassi non influenza il popolo italiano”. Tutto ciò non sembra “leggermente” contraddittorio per un alto esponente dell’intellighenzia europea che ricopre prestigiose cariche politiche nel governo italiano proponendosi alle masse come difensore dei diritti civili? Ma il personale show del Ministro pugliese conosce l’acme il 10 ottobre durante un’infuocata riunione della Commissione Europea. Queste le testuali parole: “Come cattolico considero l' omosessualità un peccato, ma non un crimine.” Agliagliai signor Ministro, ci sei cascato un’altra volta! Poi, tenta di ritrattare dicendo: “La mia è una posizione morale che non incide sui diritti che devono essere riconosciuti a tutti. – sforzandosi, con le poche reminescenze del latino scolastico, di spiegare l’etimologia del termine “matrimonio” - Matrimonio significa protezione della madre; una protezione da parte dell' uomo che consente alle donne di generare figli”.

Che dire? Verrebbe spontaneo un bel “No comment”, ma è necessario aggiungere delle considerazioni. Anzitutto, il buon Rocco da Gallipoli ha la memoria corta e le idee parecchio confuse. In secundis, le sue esternazioni palesano la concezione razziale nei confronti di gay e lesbiche da parte di una destra becera e grossolana, più attenta a non inimicarsi la larga maggioranza cattolico moralista che a prendere le difese di un popolo maltrattato dagli ignoranti e provinciali benpensanti che animano la penisola italica. In conclusione, Buttiglione è la fotografia dell’italiano medio, che si sforza di accettare il diverso ma poi, sotto sotto, appena può lo attacca perché pervaso dalla spocchiosa arroganza tipica dell’ignoranza. E meno male che è un professore… Si lasci immaginare cosa possano apprendere i suoi alunni!

http://www.gaynews.it/view.php?ID=30111

lunedì 29 novembre 2004

Fisco, risale la fiducia nel premier. Anche se...

Governo e Cavaliere su di sei punti, però un terzo degli elettori azzurri del 2001 si dice deluso: non ha mantenuto le promesse

di RENATO MANNHEIMER

La progressiva erosione, in corso ormai da diversi mesi, degli indici di consenso per il presidente del Consiglio e per il governo nel suo complesso (con le inevitabili conseguenze sulle intenzioni di voto) è stata probabilmente una delle ragioni principali ad aver spinto Silvio Berlusconi al repentino mutamento di linea della scorsa settimana e al conseguente varo del provvedimento volto, nelle intenzioni del governo, a diminuire la pressione fiscale. Il fine era dunque anche quello di interrompere il trend negativo nell'opinione pubblica e recuperare il consenso di una parte almeno degli elettori. Alla luce dei risultati dei primi sondaggi di opinione, condotti immediatamente dopo l'annuncio delle nuove aliquote, si può affermare che il Cavaliere ha in questo caso raggiunto, almeno in una certa misura, gli obiettivi che si era prefissato. La maggioranza relativa dell'elettorato esprime infatti un giudizio positivo - anche se non entusiastico, visto che un terzo dell'elettorato si dichiara «abbastanza» soddisfatto - sulla manovra fiscale attuata dal governo. E' la prima volta, da molto tempo, che una iniziativa dell'esecutivo ottiene l'approvazione di una parte cosi consistente della popolazione, ciò che conferma di nuovo come il tema della diminuzione delle tasse resti il più indicato per raccogliere consensi.

Va sottolineato però che una quota quasi altrettanto elevata di italiani manifesta una valutazione negativa (in misura molto accesa per quasi un quarto della popolazione) e che ciò avviene per il 70% di chi dichiara l'intenzione di votare per il centrosinistra. Ma addirittura un quinto degli elettori dell'opposizione dà invece un parere positivo e, ciò che forse più importa al Cavaliere, quest'ultimo è manifestato da più di tre quarti dei votanti per i partiti della maggioranza (ove però il 17% resta su posizioni critiche).

Mutano anche le aspettative per il futuro: contrariamente a qualche mese fa, infatti, la maggioranza ritiene che il taglio delle tasse, nella misura annunciata dal governo, avrà effettivamente luogo. Si tratta di un significativo segnale di ripresa di credibilità per l'esecutivo. La conseguenza è, come si è detto, una notevole crescita di popolarità di quest'ultimo (»6%) e, nella stessa misura, dello stesso Silvio Berlusconi.
Come accade sempre quando si tratta di provvedimenti che suscitano una particolare - e più accentuata del consueto - attenzione da parte dei cittadini, si registra anche una più diffusa espressione di giudizi: la percentuale di risposte «non so» è diminuita sensibilmente e, di conseguenza, si rileva anche un incremento (sebbene di misura inferiore alla crescita di giudizi positivi) delle valutazioni critiche nei confronti dell'esecutivo.

Malgrado la crescita di popolarità, l'operato complessivo del governo continua tuttavia ad essere giudicato negativamente dalla netta maggioranza dell'elettorato, sia pure in misura inferiore a qualche settimana fa. Ciò può anche dipendere dal fatto che buona parte degli elettori - anche tra coloro che danno un giudizio positivo della manovra fiscale - è del parere che i provvedimenti adottati non portino un vero beneficio al Paese nel suo complesso o che essi siano ininfluenti. E che, ciò che appare ancora più significativo, la maggioranza dell’elettorato (e, quel che è più importante, quasi un terzo dei votanti per Forza Italia e il 54% degli indecisi) dichiara che quanto deciso dal governo in materia fiscale non corrisponde a ciò che era stato promesso da Berlusconi nel corso della campagna elettorale del 2001.

Insomma, le decisioni assunte dal governo sembrano essere interpretate più che altro come un primo segnale positivo di «inversione di rotta» nella politica dell'esecutivo, dopo mesi di delusione e conseguente disaffezione. Il che suggerisce di adottare una certa cautela nel valutarne gli effetti sul futuro comportamento elettorale degli italiani. Solo tra qualche tempo si potrà stabilire se e in che misura il consenso raccolto in questa occasione si tradurrà in un reale e duraturo incremento delle intenzioni di voto per i partiti del centrodestra e in particolare per Forza Italia o se esso costituisca invece un fenomeno di durata limitata, legato ad una sorta di entusiasmo del momento. Dipenderà soprattutto dalla misura in cui i cittadini percepiranno concretamente - nella loro personale economia - gli effetti della manovra annunciata la scorsa settimana e vedranno cosi soddisfatte (o deluse) le molte aspettative che essa ha suscitato.

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2004/11_Novembre/29/sondaggio.shtml

Martedi 30 novembre sciopero generale

vauro_sciopero

domenica 28 novembre 2004

Un taglio delle tasse da trenta cappuccini

di EUGENIO SCALFARI

ANZITUTTO la leggibilità: questo emendamento sulla riduzione dell'Irpef è illeggibile, c'è scritto tutto e il contrario di tutto, si usano parole e riferimenti privi di spiegazioni comprensibili. Non è neppure un messale scritto in "latinorum" (che Renzo Tramaglino rimproverava a don Abbondio di usare per confondere e turlupinare i poveri diavoli) ma scritto in sanscrito.

Profittando di questa oscurità di linguaggio, entrano in scena le veline.

Nei giorni scorsi ne sono partite a centinaia verso le redazioni dei giornali e soprattutto delle televisioni. Il pubblico deve pur capire, che diavolo! Perciò le veline che "volgarizzano". Sintetizzano.

Mettono in chiaro l'indecifrabile.

Dunque viva le veline che provengono dagli uffici di Bondi, di Bonaiuti, degli uffici stampa di Palazzo Chigi e di Palazzo Grazioli. Attenzione: poiché il testo e le annesse tabelle sono ermetiche, le veline hanno campo libero per manipolare. E manipolano, eccome se manipolano.

Così un'operazione risibile nei risultati positivi ma drammatica per le implicazioni negative che ne derivano viene presentata come "storica", "epocale", "decisiva per il rilancio dell'economia", "svolta mai effettuata fino ad ora nella storia d'Italia".

Solo Berlusconi (sembra impossibile) si è lasciato scappare una frase di verità, non so se per imprudenza o per metter le mani avanti anticipando l'unico vero risultato che verrà fuori da questa follia. Ha detto (nella conferenza stampa con la quale ha presentato il suo master plan): "Non mi illudo che un intervento come questo possa dare un impulso straordinario ai cittadini. Ci sarà un vantaggio, ma in economia l'impulso vero si ha con la diminuzione delle tasse in deficit".

Avete capito bene? Non so chi gliel'ha suggerita questa solenne sciocchezza, forse è una reminiscenza keynesiana da autodidatta. Comunque, voce dal sen fuggita che contiene due verità: la manovra strombazzata avrà effetti pratici irrilevanti e, alla fine, produrrà lo sfondamento del deficit.

Alla faccia del ministro del Tesoro, detto Mimmo, e del Ragioniere generale dello Stato, che ne hanno autenticato la solidità (incautamente).

Chiedo scusa ai lettori, già frastornati da quattro giorni di tabelle e di improbabili volgarizzazioni imbonitorie, ma dovrò ora tediarli con qualche cifra che serva a chiarire e non a confondere. Cercherò di farlo con la massima parsimonia.

1. C'era anzitutto da colmare un buco di 2 milioni e mezzo della manovra effettuata lo scorso luglio. Forse ve la siete scordata, ma già a luglio il nostro bilancio stava per sfondare il deficit e le agenzie di rating, quelle che danno le pagelle ai titoli del debito pubblico, erano pronte a ribassare il voto provocando uno sconquasso sul nostro bilancio e sul mercato dei titoli. Perciò una "manovrina" da 5 miliardi tra tagli, tasse e condono (edilizio). Senonché il condono dette poco o nulla. Di qui il buco. Per colmarlo entro la fine dell'anno il governo ha dovuto emanare l'altro ieri sera un decreto imponendo a banche e assicurazioni di anticipare entro il corrente mese di dicembre il pagamento delle tasse dovute nel 2005.

Perciò l'erario incasserà 2 miliardi e rotti in anticipo, che naturalmente gli mancheranno nell'esercizio 2005.

2. Simultaneamente il governo ha deciso di spostare dal 2004 al 2005 il pagamento della seconda e terza rata del condono edilizio per una cifra più o meno eguale a 2 miliardi. Mi permetto di attirare l'attenzione dei lettori su questo modo di procedere estremamente singolare: con una mano Siniscalco (Mimmo) fa anticipare i pagamenti dovuti da banche e assicurazioni mentre con l'altra mano fa slittare in avanti le rate del condono. La cifra è più o meno identica, sono sempre quei maledetti 2 miliardi che vanno avanti e indietro.

Ma perché? Questo mistero mi ha impensierito per qualche minuto, ma poi ho trovato la quadra, come dice Bossi: il condono edilizio, già bandito da vari mesi, non ha dato quasi nulla. Di qui il buco del 2004. Allora lo si fa slittare al 2005 facendo finta che, improvvisamente, darà finalmente il denaro atteso. Al suo posto l'anticipo di tasse per analogo importo. Avanti e ndré che bel divertimento, cantava l'antica filastrocca per bambini. Non si capisce però per quale motivo il condono del 2005 dovrebbe fornire i denari che non dette nel 2004.

Mimmo e Grilli hanno garantito che li darà. Ma se si sbagliassero, come è molto probabile? Che cosa resterebbe della copertura per ridurre l'Irpef, visto che quei 2 miliardi ne costituiscono la parte più cospicua?

3. In teoria la manovra sull'Irpef vale 6,5 miliardi. Ma dalle criptiche tabelle si scopre che questa cifra, che sarà iscritta nel bilancio di competenza, non coincide con il bilancio di cassa. Cioè i soldi effettivamente fruiti dai contribuenti nel corso del 2005 non saranno 6 miliardi e mezzo ma soltanto 4,3 miliardi. Come mai? Risposta: i lavoratori dipendenti avranno effettivamente i loro sconti di imposta a partire dalla busta paga del 27 gennaio, ma tutti gli altri contribuenti cominceranno a beneficiarne soltanto nel 2006. Lo scossone all'economia nel 2005 non sarà dunque determinato da quei miseri 6,5 miliardi bensì dai miserrimi 4,3. Tutto questo casino (scusatemi) per 4,3 miliardi di euro. Svolta epocale? Viene solo da ridere.

4. Chi sono i beneficiari della svolta epocale? Le veline diramate dai saltimbanchi della manipolazione (ecco a che cosa serve avere il monopolio della Tv, per chi non l'avesse ancora capito) affermano che gli sgravi sono concentrati sui redditi più bassi, e lo affermano con sicurezza assoluta. Danno le percentuali: chi ha minore reddito avrà sconti del 10 per cento, chi sta appena un po' più in su avrà sconti dell'8 e poi, via via che si sale per la scala reddituale, la percentuale di sconto diminuisce fin quasi allo 0 per i redditi da capogiro. Tutto esatto. Ma quello che conta non sono le percentuali bensì le cifre assolute.

Uno sconto dell'8 per cento su un reddito di cento equivale appunto a 8 euro; uno sconto del 4 per cento su un reddito di mille equivale a 40 euro.

Uno paga 8 euro di meno, l'altro, pur ricco, ne paga 40 di meno. È poco più di niente per tutti e due, ma la disparità si vede ed è grossa.

5. Naturalmente i poveri e i quasi poveri sono molti; i benestanti sono parecchi; i ricchi sono pochi e gli ultraricchi pochissimi. Cerchiamo dunque di capire a chi vanno quei 6,5 miliardi (4,3 nel 2005). Bisogna a questo punto guardare dentro alle varie fasce di reddito e vedere quanti sono quelli che ne fanno parte. Da reddito 0 a reddito di 40 mila euro l'anno il beneficio fiscale va da 0 a 40 euro al mese. I poveri non prendono nulla, per i quasi poveri e i meno poveri fino al ceto medio che comunque fatica ad arrivare a fine mese i vantaggi sono questi: da 0 fino a 40 euro mensili. Prendo la cifra massima: 40.

Equivale a una modesta cena al ristorante per due persone.

O a trenta cappuccini al mese in più. O a pagarsi un paio di medicine di quelle che lo Stato non pagherà più. Sapete quanti sono i cittadini compresi nella fascia da 0 a 40 mila euro di reddito? Sono il 75 per cento del totale.

Sapete quanta parte della manovra va a questo 75 per cento? Un miliardo e 800 mila euro. Poiché le cifre non sono opinioni il risultato è il seguente: il 75 per cento dei cittadini beneficia del 36 per cento della manovra, mentre il 25 per cento dei cittadini beneficia del 64 per cento.

Che ne dite? Che dice Follini che voleva concentrare quasi tutto sulle famiglie deboli? E Alemanno? Hanno perso la favella? Sono soddisfatti? Follini finalmente va al governo? Fini si spolvera la feluca perché la manovra è sociale? Un assegno da 6,5 per un terzo pagabile soltanto nel 2006, è ripartito tra la fascia debole e quella forte in proporzione del 36 per cento agli uni e del 64 agli altri. Ma non vi vergognate? Avrei ancora parecchie altre cifre da snocciolare, ma l'essenziale per quanto riguarda gli sconti è questo. Ora però bisogna dare un'occhiata alla copertura.

* * *

La solida copertura certificata da Mimmo e da Grilli proviene, come già abbiamo visto, per un terzo da un condono quanto mai improbabile che comunque andrà a chiudersi con la sua terza ed ultima rata entro la fine del 2005.

Nell'esercizio successivo il suo posto sarà preso da un miliardo proveniente dai tabacchi, da 500 milioni di inasprimento di tasse su bolli e concessioni e da 600 milioni di anticipi dell'Irpef e dell'Irap (una tantum perché ciò che anticipi di un anno ti mancherà l'anno dopo).

Il resto della copertura è fatto così: 400 milioni di autocopertura, cioè di maggiori entrate generate dalle minori aliquote. Qualunque studente di economia tributaria sa che una posta in bilancio di questa natura è improponibile. Mi auguro, per ragioni di decenza accademica, che questi 400 milioni siano cancellati e sostituiti.

Seicento milioni: tagli di consumi intermedi. Vuol dire minori spese per acquisti di beni e servizi nella scuola, sanità, forze armate, polizia di Stato. Trecento milioni, tagli ai fondi di riserva dei ministeri. Altro spicciolame di tagli e voci varie per 400 milioni.

Il totale dà, come sopra ho già indicato, 4,3 e non 6,5 miliardi la differenza è rinviata all'anno successivo e chi vivrà vedrà.

Il famoso blocco del turn over degli statali avrà inizio nel 2006 e proseguirà fino al 2008. Dovrebbe cancellare 75.000 posti di lavoro. Ma secondo il mio modesto parere non si farà. Berlusconi deve averlo promesso a Fini in un orecchio. Il 2006 è un anno elettorale. L'importante ora è guadagnar tempo.

Lo spot di cui il Cavaliere aveva bisogno, Mimmo gliel'ha costruito. È lillipuziano, sbilenco, curvo di spalle, ma con il monopolio della tivù e un po' di cosmetica fatta col computer quel nano ingobbito degli sconti all'Irpef ti diventa un Nembo Kid, un Superman, un gigante buono che dà soldi a tutti e non li toglie a nessuno. La sinistra invece...

* * *

La sinistra è il partito delle tasse. Prima mangiava i bambini, ma adesso non ci crede più nessuno. Adesso mangia embrioni e contribuenti.

Non mi pronuncio. La sinistra è adulta e sa parlare da sola. Io parlo per me e cerco di ricavare un senso dall'esame del tagliatasse.

Il senso mi sembra questo: per rilanciare l'economia è del tutto inutile. Se ci fossero i soldi (che non ci sono) bisognerebbe concentrare 3 miliardi sulla fascia di reddito debole e altrettanti sugli incentivi alle imprese e al Mezzogiorno. Restituire il fiscal drag ai lavoratori.

Fiscalizzare una parte dei contributi sociali.

Questi destinati all'Irpef sono soldi buttati dalla finestra. In parte pagati da altre tasse (regressive) in parte destinati a sfondare il deficit.

L'operazione però è servita a raggiungere alcuni obiettivi. Dello spot elettorale pro-Berlusconi ho già detto. Aggiungo e sottolineo: pro-Berlusconi.

I suoi alleati non ricaveranno né un voto né maggior peso da questo imbroglio; per chi lo ritiene appunto un imbroglio il loro prestigio semmai diminuirà; per chi crede invece alla "svolta epocale" il merito sarà esclusivamente di Silvio e non già di Fini detto Feluca né di Follini detto Occhialino, che anzi si erano opposti. Però ora la maggioranza è compatta, anzi è al guinzaglio.

Ecco un risultato.

Un secondo risultato è stato di far dimenticare, con questa trovata del taglio Irpef, che alle spalle di esso c'è una manovra da 24 miliardi ancora da approvare. Tiriamo le somme: manovrina a luglio 2004 da 5 miliardi, manovra in Finanziaria 2005 da 24 miliardi per mettere i conti in regola, manovra per ridurre l'Irpef da 7 miliardi. Totale 36 miliardi, 72.000 miliardi del vecchio conio come dice Bonolis. Non sono schicchere 72.000 miliardi. Un terzo almeno dei quali impostato su "una tantum"; un terzo su tasse e tagli a spese di Comuni, sanità, scuola, previdenza, efficienza della pubblica amministrazione, Mezzogiorno, sistema imprenditoriale. L'ultimo terzo su anticipi di entrate, cioè rinvio al futuro di debiti.

Vincenzo Visco ha richiamato l'altro ieri l'attenzione della Camera (con apposita interrogazione) sul fatto che l'operazione denominata Scip2, cioè la cartolarizzazione di immobili pubblici in vendita per 7 miliardi, è in scadenza ma i fondi non sono entrati, cioè gli immobili non sono stati venduti. Le agenzie di rating stanno aspettando la scadenza per confermare o ridurre il voto in pagella di quei bond. Se va avanti così l'erario si dovrà caricare della parte scaduta con immobili invenduti. Mi auguro che Mimmo e Grilli seguano la questione. Sarebbe tremendo se Scip2 andasse, come si dice in gergo "in default". Tipo Parmalat. Naturalmente Visco non è credibile perché passa il tempo a mangiarsi un contribuente al giorno e ci mette sopra anche il peperoncino.4
(28 novembre 2004)

http://www.repubblica.it/2004/k/sezioni/economia/eccofinanziaria6/scalfataglio/scalfataglio.html

Con chi parlo?...

di Furio Colombo

La sera del 19 novembre sono stato invitato a parlare ad un gruppo di iscritti Ds della sezione “Forte Aurelio Bravetta”, un punto della immensa cerchia suburbana di Roma.

Trovarsi di fronte a decine di persone, giovani e anziane, che hanno appena finito di fare tutti i tipi di vecchi e nuovi lavori, un po’ affannati e con il casco del motorino sotto il braccio, di pensionati ancora attivi che fanno molte cose e sanno molte cose perché seguono gli eventi con attenzione e perché sono impegnati con la politica da una vita, donne e uomini che hanno opinioni, certezze, incertezze e idee, è una bella responsabilità.

Il direttore de l’Unità deve spiegare, nel modo più chiaro e più persuasivo possibile, la vasta differenza che si vede ogni giorno fra i titoli, le interpretazioni dei fatti del nostro giornale e le “finestre sul mondo” delle tante televisioni italiane. Mostrano tutte lo stesso mondo: quello di Berlusconi. Non ha quasi nulla a che fare con il nostro.
Nostro di chi? Alcune decine di militanti e di iscritti, che non si astengono certo dal continuo esaminare gli eventi quotidiani, scrutavano attenti.

Cercavano di decifrare quel tipo di affanno, di enfasi che c’è nella comunicazione politica (certo nella mia) quando sei convinto di parlare di eventi straordinari (straordinariamente pericolosi e assolutamente unici) per dire che c’è, dal punto di vista del vivere democratico, una grave emergenza, un pericolo.

Devo avere pronunciato la parola “regime”, e ho avuto l’impressione che un piccolo fremito (di comprensione o di irritazione) abbia diviso la piccola folla. Il segretario della sezione, attento e benevolo, chiamava per nome i partecipanti e prendeva nota degli interventi. Non ero solo a parlare. La Federazione Ds di Roma aveva inviato il giovane esperto di politica estera Fabio Nicolucci.

Il tema era «Interpretiamo insieme le elezioni americane» e - dico io - confrontiamole con l’Italia, situazione e attese.
Dunque il giovane rappresentante della Federazione Ds romana ha parlato degli Stati Uniti. Ha detto che George Bush ha vinto perché ha saputo toccare corde profonde, interessi e valori di molta gente. E che Kerry ha perso perché il suo linguaggio e i suoi argomenti interessavano soltanto le élite colte delle città.

Poi ha parlato della situazione italiana e ha detto francamente, con un sorriso gentile: «La parola regime mi provoca l’orticaria».

È stato accolto, come me, da applausi rituali e scrutato con la stessa attenzione. Da che parte stiamo? Sembravano chiedere a se stessi - più che a noi - i nostri ascoltatori. Come fanno ad esserci linguaggi così diversi, così distanti, da cui non si possono trarre le stesse conclusioni, in questa piccola stanza piena di attese e di impegno politico, in un punto della grande periferia romana?

Chiarisco per i lettori. Primo, ho ascoltato il giovane rappresentante della Federazione Ds di Roma presentare la vittoria di Bush («Un saper cogliere lo spirito del Paese») con parole che ricordano l’elogio tributato a Berlusconi in molte analisi Ds dopo le elezioni del 2001. Si diceva che «Berlusconi aveva colto la domanda di innovazione della maggioranza degli italiani».

Nessun commentatore americano, che non sia un repubblicano militante, condividerebbe l’analisi di Nicolucci sulla vittoria di Bush (verificare su tutta la stampa e tutti i “transcript” televisivi di quel Paese).

D’altra parte, nessun commentatore europeo ha mai colto spunti o aspetti di innovazione in Berlusconi e nella sua gente. E oggi non lo direbbe più nessun italiano che non si chiami Bondi o Schifani. Finti tagli di tasse, condoni edilizi che hanno fatto scempio del Paese, promesse impossibili per tutti e favori, anche grandi, per alcuni fedeli che non si allontanano mai dal leader, oltre al controllo totale delle informazioni, sembra essere la formula del governare di Berlusconi.

Secondo. Una cosa accomuna Bush a Berlusconi. Entrambi vengono dal passato. Sono il mondo delle lobby e dei privilegi. Si fanno scortare da squadracce di intolleranti, religiosi o leghisti o affaristi. Portano molto all’indietro la civiltà dei loro Paesi. Producono indebitamenti spaventosi e privilegi giganteschi. Sono, come in certi film dell’orrore, le ombre del passato che cercano di impedire ai cittadini normali la vita normale. Bloccano il futuro, come se si fosse rotto l’orologio del tempo, e la Storia ricominciasse dai suoi punti peggiori: disprezzo per la legalità, barbari pregiudizi religiosi che diventano legge, false affermazioni accreditate dai media, saldo sostegno ai più ricchi, spaventoso destino di guerra per i poveri.

Terzo. Berlusconi ha portato all’Italia un problema in più. Ha imposto subito un rigoroso regime mediatico, fatto di proprietà (il primo ministro è il maggiore proprietario tv del mondo), di illegalità (il primo ministro, che è proprietario delle televisioni private, controlla dalla sua postazione di governo tutte le tv di Stato e le usa come un teatro dei Pupi pronto a rappresentare le sue gesta) e di intimidazione (il primo ministro, quando vuole, taglia la testa al Corriere della Sera; quando vuole caccia via dalla tv di Stato Enzo Biagi, il maggior giornalista italiano).

A guardia del regime (ci racconta il 26 novembre il notista politico Francesco Verderami) Berlusconi si prepara a schierare «mille giovani pronti per avviare sul territorio nazionale una campagna con lo slogan “Forza Silvio”, che potrebbe diventare un movimento, e domani magari un partito».

Che cosa sia un “regime mediatico” e quali siano le sue conseguenza di frantumazione della democrazia e di controllo dei cittadini anche senza i carri armati, ce lo ricorda, in questi giorni, una accurata ricostruzione di quel che in America, negli Anni Cinquanta, è stato il fenomeno del “Maccartismo”, la caccia alle streghe, o meglio a presunti comunisti, nella cultura, nel giornalismo, nella diplomazia, nel mondo dello spettacolo e persino delle Forze armate americane. Oltre a bloccare, intimorire, spaccare o istigare al peggio tutto il Paese, quella macchina di persecuzione è costata la libertà o la vita ad almeno diecimila persone, terrorizzando o riducendo a spie e delatori centinaia di migliaia di altri. La più paurosa descrizione del fenomeno è di Philip Roth, che ci fa notare allarmanti somiglianze col presente italiano: «McCarthy comprese il valore spettacolare dell’infamia e imparò a soddisfare i piaceri della paranoia. Ci portò indietro, al Seicento, alla gogna. McCarthy era un impresario. Più barbaro lo spettacolo, più grande il disorientamento e lo spasso». Ricordate quando l’Unità veniva definita “giornale omicida”, e i suoi direttori e articolisti “fiancheggiatori del terrorismo”?

Scrive Vittorio Zucconi (la Repubblica, 26 novembre) « C’è chi benedice la televisione per avere smascherato e fermato Joe McCarthy, cinquanta anni orsono, con una implacabile diretta di 187 ore ininterrotte (...) c’è chi benedice il presidente Eisenhower, che pose fine alla Commissione McCarthy quando cominciò ad attaccare le Forze Armate (...) ma cinquant’anni dopo, la domanda, di perfetta attualità, rimane: è possibile proteggere una democrazia dai suoi veri nemici senza compromettere l’organismo che si vuole difendere?».

È possibile - come ci dimostra l’accurata ricostruzione di Zucconi - se, in difesa della democrazia, resta libera la televisione, come nel caso delle 187 ore di trasmissione in diretta delle udienze persecutorie del senatore McCarthy, che hanno aperto gli occhi ai cittadini americani; se si può contare su un argine istituzionale (è arrivato in ritardo, il presidente Eisenhower, ma è arrivato) se l’opinione pubblica resta viva e può essere risvegliata. Sembrano condizioni da fiaba, ma sono i tre fatti che hanno salvato gli Usa dal restare soffocati nel regime del Maccartismo. Molti, in quegli anni, e durante quella persecuzione, hanno negato di essere vittime di un regime, per convenienza, per paura, per salvarsi. Ma non lo hanno negato coloro che hanno tenuto testa. Dice oggi Arthur Miller, uno dei grandi perseguitati e dei grandi avversari del Maccartismo (uno dei grandi del teatro americano), uno che non ha mai ceduto: «La paura paralizzava tutti, ma nessuno voleva associare il proprio nome al mio. Solo molti anni dopo mi arrivarono scuse e ripensamenti. Ma insieme a tanta vigliaccheria voglio ricordare coloro che si sono battuti come leoni. Oltre al coraggio, c’è qualcosa di allora da ricordare anche oggi: abbiamo cominciato a reagire alla richiesta di comportamenti politici basati sulla paura» (articolo di Antonio Monda, la Repubblica, 26 novembre).

Serve ricordare tutto ciò nell’Italia di oggi? Serve perché ci dice che in quest’Italia sottoposta ad amministrazione controllata, in cui il ministro leghista Castelli si ribella, come in Sudamerica, al presidente della Repubblica, il ministro leghista Calderoli propone ai cittadini di farsi giustizia da soli, come nel mondo primitivo, il Primo ministro finge di tagliare le tasse, nella peggiore legge Finanziaria della vita italiana, e tutto il regime mediatico si schiera per celebrarlo come un Cesare vincitore mentre nessuno prima di lui aveva tanto impoverito l’Italia, noi, che dobbiamo opporci, siamo divisi.
Io non so se il giovane funzionario della Federazione romana parlava soltanto per se stesso.

Nel momento più buio, sottoposto al controllo mediatico più rigido della televisione e della stampa italiana, è venuto a dire che a lui «la parola regime fa venire l’orticaria». Lo ha detto accanto al direttore de l’Unità, il giornale che da anni descrive dettagliatamente le vicende di questo regime, con qualche conseguenza personale per chi vi lavora.

Pensavo che il nostro compito, quella sera, fosse di dare e di ricevere coraggio (così succede quando si va a parlare nelle sezioni Ds in Italia). Evidentemente c’è anche un altro progetto: pretendere (o credere davvero, chissà) che questo Paese, nel quale è stata appena approvata la Legge Gasparri che blocca totalmente la libertà di stampa, sia un’Italia normale a cui guardare con aria composta per prepararsi a una regolare alternanza. Il suggerimento sembra essere che, altrimenti, comportandosi come Arthur Miller, si può dare l’impressione di diventare sovversivi.
Posso dire che in quel momento mi sono sentito solo? Mi sono chiesto: con chi parlo?

Da l'Unita del 28 Novembre 2004

Per uno 0,4% del Pil

Meglio sarebbe stato non illudere i cittadini
di Francesco Giavazzi

La riforma fiscale non farà crescere più di tanto il prodotto interno lordo
Il taglio delle tasse che verrà approvato oggi dal Consiglio dei ministri ha ottenuto il via libera del ministro dell’Economia e della Ragioneria generale dello Stato. Esso è quindi «coperto» da variazioni in altre voci del bilancio che compensano la diminuzione nel gettito fiscale che la riforma comporta. Dopo giorni in cui autorevoli membri del governo invitavano i «tecnici» ad arrendersi alle esigenze della politica, ha vinto la ragionevolezza. («Ragioneria - scrive Max Weber - deriva da ragione» ed è sinonimo di assennatezza). Berlusconi si è arreso a malincuore: le sue parole, ieri sera, al di là dello scontato trionfalismo tradivano anche una forte delusione. «Non mi illudo che un intervento come questo possa dare un impulso straordinario ai cittadini; ci sarà un vantaggio, ma in economia l'impulso vero lo si fa con la diminuzione delle tasse in deficit». Il premier dimostra scarsa conoscenza dell’economia: le riforme fiscali attuate nei Paesi industriali negli ultimi 30 anni insegnano che tagli alle tasse di un punto del prodotto interno lordo aumentano la crescita di circa 0,24 punti se compensati da corrispondenti tagli di spesa; di soli 0,11 punti se invece la riduzione delle imposte si traduce in maggior deficit. (Si leggano Daveri e De Romanis su www.lavoce.info ).

La riforma fiscale che il governo vara oggi è coperta ma, proprio per questo, comporta riduzioni di imposte irrisorie: non vale alcuni punti del pil, come nelle esperienze sopra ricordate, ma non più dello 0,4%: i cittadini quasi non si accorgeranno di tagli tanto modesti e questi non avranno alcun effetto sull’economia. Anche perché una parte della copertura è stata trovata ricorrendo ad altre tasse.
Il prossimo anno 2 dei 6,5 miliardi di tagli sono finanziati attraverso il gettito del condono edilizio: sono denari che (si spera) i contribuenti pagheranno allo Stato nel 2005 per regolarizzare costruzioni illecite. Nel bilancio di una famiglia questi pagamenti cancelleranno, almeno in parte, i benefici della riforma. Negli anni successivi, quando verranno meno le entrate del condono edilizio, esse verranno sostituite da vari dazi e balzelli: un miliardo di maggiori tasse sulle sigarette (sperando che l’estendersi dei divieti al fumo non convinca i cittadini ad essere più attenti con la propria salute) e un altro di aumenti in varie imposte dirette. Quindi la vera riduzione delle tasse che il governo si appresta a varare non vale neppure lo 0,4% del pil.
E d’altronde come era possibile fare di più quando Berlusconi ci assicura che «non c'è nessuna chiusura delle finestre pensionistiche, nessun taglio alla spesa sociale né ai fondi per il Mezzogiorno»; quando si presenta al tavolo delle trattative per il nuovo contratto dei dipendenti pubblici, non dicendo che il contratto essi lo hanno già avuto poiché negli ultimi due anni i loro stipendi sono cresciuti 4 punti più dell’inflazione, ma offrendo un ulteriore aumento del 3,7%? Berlusconi non ha avuto il coraggio di tagliare la spesa in maniera davvero incisiva, quindi ha dovuto accettare una riforma fiscale più che modesta. Aveva ragione il ministro dell’Economia, che dieci giorni fa lo aveva convinto che se questa era la riforma, meglio sarebbe stato non illudere se stessi e i cittadini. E rimandarla.

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2004/11_Novembre/26/giavazzi.shtml

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