sabato 27 agosto 2005

Comunicato arcigay: Auguri di buon lavoro alla pastora valdese

Il saluto di Arcigay a Maria Bonafede, prima donna a capo della più antica chiesa protestante italiana


L'elezione di una donna a capo della più antica chiesa protestante d'Italia è un segno ulteriore della grande capacita' dei valdesi e dei metodisti di recepire positivamente le concrete aspirazioni della societa' moderna.

Come associazione da sempre invitiamo i gay e le lesbiche italiane a versare l'8 per mille alla chiesa valdese e metodista, perchè utilizza questi soldi non per scopi religiosi, ma per opere sociali e culturali a favore del bene comune, rendendo pubblico ogni anno il resoconto degli investimenti effettuati.

I gay e le lesbiche italiani, credenti, agnostici o atei riconoscono ai valdesi e ai metodisti una capacita' di dialogo e di confronto sui temi attinenti alla morale sessuale, alla laicita' dello Stato, ai diritti civili e alle liberta' individuali, a differenza di una chiesa cattolica chiusa e anacronisticamente maschilista e astinente.

Aurelio Mancuso, 26 agosto 2005
http://www.arcigay.it/show.php?1532

Una donna a capo della Chiesa Valdese

di red

 Non chiamatela “papessa”, perché è tutto il contrario. Ma Maria Bonafede è la prima donna a rappresentare le comunità metodiste e valdesi italiane. È stata eletta dal Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste come moderatore della Tavola valdese. Maria Bonafede, sposata con figli, di “mestiere” fa la pastora. Da più di dieci anni è lei a dirigere il culto nel tempio valdese di piazza Cavour a Roma. Era già una dei due vice del “moderatore”, cioè il coordinatore e portavoce della Tavola valdese, l’organo direttivo dei protestanti italiani. Ma non si tratta della prima donna ad assumere la guida di una comunità protestante italiana. Anna Maffei da più di un anno è infatti alla testa dell'Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia.

Ad eleggerla sono stati i 180 membri con diritto di voto del Sinodo – il “parlamento” protestante -, metà dei quali sono pastori e metà “laici”.

Durante il Sinodo, a Torre Pellice in Piemonte, sono stati anche consacrati quattro nuovi pastori: Mirella Manocchio, Jannique Perrin, Davide Rostan e Francesco Sciotto.

Il Sinodo ha confermato la scelta fondante verso l’ecumenismo e infatti ospiti dell’assise sono stati monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Commissione episcopale per l'ecumenismo e il dialogo, e di una delegazione della Sacra Arcidiocesi Ortodossa d'Italia. Ma su questo tema duro è stato l’intervento verso le posizioni dalla Cei sull’invito a non votare al referendum sulla fecondazione assistita e sulla difesa del crocifisso nelle aule scolastiche pronunciato da Fulvio Ferrario, docente presso la Facoltà valdese di teologia di Roma e coordinatore della Commissione per le relazioni ecumeniche della Tavola Valdese. Ferrario ha parlato dell’intervento di monsignor Ruini a favore dell’astensione sul referendum come di un «problema grave» perché «è legittimo che la chiesa cattolica si sia inserita nel dibattito, ma il problema è come ha condizionato la partecipazione al voto. Peccato - ha aggiunto Ferrario - perché veniamo da una stagione tutto sommato di intenso dialogo ecumenico».

Tra gli invitati anche dal pastore Joseph Mfochive, presidente della Chiesa evangelica del Camerun, per la prima volta al Sinodo. Oltre al vescovo di Pinerolo, monsignor Pier Giorgio Debernardi.

Il Sinodo, nel documento finale, ha ribadito come la povertà e l'ingiustizia economica che oppongono il Nord al Sud del mondo siano ritenuti «incompatibili con la fede cristiana come lo furono a loro tempo nazismo e apartheid».

«Prima di parlare di povertà vorrei parlare di fraternità - è intervenuto il presidente della Chiesa Evangelica del Camerun, il pastore Joseph Mfochive - perché le ingiustizie del mondo nascono dalla mancanza di fraternità tra gli esseri umani. Ciò che può cambiare la realtà sono gli atti concreti, anche piccoli, di ognuno». È per questo che il 30% dell'8 per mille di valdesi e metodisti, pari a oltre 1,5 milioni euro, viene utilizzato per progetti di solidarietà nel mondo. «Una cifra certamente piccolissima per rispetto alle esigenze - ha commentato il pastore Gianni Genre - ma comunque significativa, tanto più mentre apprendiamo che una quota dell'8 per mille destinato invece allo stato italiano è stato utilizzato per finanziare l'intervento militare in Iraq».

Nella tre giorni di Torre Pellice un altro tema che ha caratterizzato molti interventi è stato quello della povertà in Italia e «la progressiva demolizione dello stato sociale, e la crescente “proletarizzazione” delle fasce medio basse», per usare le parole di Genre da moderatore della Tavola valdese, che è l’organo direttivo delle chiese protestanti italiane.

Il pastore Giorgio Tourn ha anche ricordato come «a un anno dalla cessione degli ospedali valdesi – Torre Pellice, Torino e Pomaretto - alla Regione Piemonte ci pare che la ferita non abbia lasciato tracce profonde». I valdesi, gli anabattisti, i metodisti e l'Esercito della Salvezza - che si riuniscono nella Tavola valdese - hanno infatti da anni progressivamente abbandonato le attività di assistenza gestite in prima persona, per collaborare con le istituzioni pubbliche nell'ambito del Terzo settore o dell'insegnamento.

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=44314

giovedì 25 agosto 2005

Primo, colpire i privilegi

di Gian Giacomo Migone


Chiunque si accinga a governare il Paese - le elezioni politiche per fortuna non sono lontane - deve assumere un impegno di ricostruzione con ciò che di morale e materiale questa parola storicamente evoca. Non è solo una questione di conti pubblici. C'entra la qualità della vita pubblica come dimostrano le cronache solitamente più tranquille del mese di agosto. Persino la funzione e la credibilità della Banca d'Italia sono compromesse.

Un'istituzione che, senza essere perfetta, in passato aveva superato molte prove in un Paese giovane - solo 150 anni, non dimentichiamolo - e perciò povero di tradizione statuale.

L'impegno di ricostruzione non può solo riguardare la sfera pubblica ma deve investire un'economia e una società fortemente bisognosi di una trasformazione che le collochi all'altezza delle sfide europee e globali, non è solo questione di Parmalat da cui quasi nessuno sembra avere imparato nulla. Basti riflettere su un'economia, fino a pochi anni fa per dimensione la quinta del mondo, che ha liquidato gran parte del proprio patrimonio industriale (cfr. Gallino) e che, per difendere le proprie banche da acquisizioni straniere di per sé potenzialmente salutari, debba ricorrere ai cosiddetti immobiliaristi e ai loro veri o presunti padrini politici. Sono fenomeni la cui entità non certo assolve il governo in carica ma lo riduce a un epifenomeno: l'esasperazione grottesca di mali antichi cui non può e non vuole mettere mano.
Il grande sforzo per l'ingresso dell'euro fu qualche cosa di simile a ciò che un nuovo governo dovrà mettere in atto. Se non vi fosse stato, la partita sarebbe già chiusa. Tuttavia, per riaprirla, per sottrarre il Paese alla propria autoesclusione, oggi non basterà affrontare la sfida non solo contabile dei conti pubblici. Nessuna coalizione di governo potrà vincere le elezioni ma nemmeno governare chiedendo ancora una volta solo o soprattutto sacrifici, eventualmente alleviati da una congiuntura più favorevole, se questi non fossero sostenuti da almeno tre ferme convinzioni: che quei sacrifici siano necessari, che contengano elementi di risanamento duraturi e che siano equamente distribuiti.

Cosa significa equità? Quando ero poco più che ragazzo, Donato Menichella ci spiegava che, dopo la seconda guerra mondiale, gli inglesi avevano evitato la borsa nera e conservavano il razionamento mentre noi, che la guerra non l'avevamo vinta, «mangiavamo le pasta alla crema da Caflish. E sapete come avveniva questo miracolo?», chiedeva il successore di Einaudi alla Banca d'Italia. «Gli inglesi erano certi che le due principessine disponevano di 50 grammi di zucchero al mese, esattamente come i loro figli».

In altre parole, lo sforzo dovrà essere equamente distribuito più di quanto non lo fosse nella ricostruzione del dopoguerra. Con buona pace di Menichella, non tutti mangiavano le paste da Caflish. Ma una ricostruzione non è equa soltanto perché i sacrifici sono equamente distribuiti, affinché non siano i soliti a pagare.

Anche, ma non solo: l'apologo di Menichella contiene un ulteriore elemento, quello del buon esempio da parte di chi sta al vertice della piramide. I sacrifici della principessa Margaret e della futura regina, Elisabetta II, non cambiavano nulla di materiale nella politica di approvvigionamento del governo laburista, ma costituivano la condizione etica politica per costruire un consenso intorno a quella politica. Non sono convinto che tutti o anche i principali mali dell'Italia risiedano esclusivamente nella sfera pubblica. Basterebbe valutare la moralità delle liquidazioni di certi manager in fuga da grandi imprese private in crisi.

Ma il punto, come si dice ormai, è un altro. Proprio perché gli amministratori pubblici hanno poteri relativamente scarsi rispetto alla società nel suo insieme (e che tali poteri sono ulteriormente erosi dai cosiddetti processi di globalizzazione), non possono permettersi di rinunciare a quello essenziale per esercitare qualsiasi forma di indirizzo o leadership: quello dell'esempio che si traduce anche, banalmente, in uno stile di governo.

Un'auto blu soppressa, una scorta spostata ad altri incarichi, hanno sicuramente un'incidenza limitata ai fini del risanamento dei conti pubblici o della prevenzione antiterrorista, ma se diventano atti ripetuti ed estesi a settori più significativi potrebbero generare qualcosa che, salvo in rarissime occasioni nel nostro Paese, non c'è mai stato: fiducia in chi governa, fiducia nella sua volontà e capacità di autodisciplinarsi in nome di un interesse collettivo e non per estendere i privilegi della classe politica.

Poiché ogni buona predica non è tale se non si conclude con almeno un'indicazione operativa, eccola! Chiunque voglia governare con questi intenti, compia un atto preliminare indispensabile: la costituzione di una commissione parlamentare con i necessari poteri e tempi stretti che abbia il compito di esplorare e «mappare» la selva selvaggia delle retribuzioni reali - insisto reali: gettoni di presenza, fuoribusta, fringe benefits ecc. - di tutto il settore pubblico, compresi i più inesplorati sancta sanctorum del potere istituzionale, ma anche di quello meno aulico e forse più concreto (come la Rai). Ne emergerà, per l'appunto, una giungla piena di paradossi e pericolose assurdità, oltreché sprechi.

Perché chi non conosce la realtà, chi non la vuole conoscere, nemmeno intende trasformarla. È un discorso lungo, anche affascinante, che vale la pena riprendere.

g.gmigone@libero.it

Tratto da l'Unità del 25/08/2005

mercoledì 24 agosto 2005

Al Meeting di Rimini il senatore se la prende con le riforme di Zapatero. Dura nota di Arcigay

Invitato al Meeting di CL il Senatore a vita Giulio Andreotti, si lancia in un anatema contro i matrimoni gay spagnoli.


Senatore Andreotti: si vergogni!

Ecco il comunicato stampa di Arcigay

Con sfumature più o meno reazionarie vari esponenti politici stanno dando sfogo ai loro peggiori istinti omofobici, utilizzando il linguaggio dei bassifondi.

Anche Giulio Andreotti, al Meeting di Rimini non ha perso l’occasione per insultare le persone omosessuali, e riferendosi alle recenti riforme spagnole, ha affermato: “Sono sbalordito, e pensare che mi avevano detto che questa storia del matrimonio gay faceva parte di un programma elettorale stilato nella prospettiva di perdere... ma insomma, dobbiamo fare l'elogio degli invertiti? Ma se lo fossero tutti si estinguerebbe la razza umana!”.

Egregio senatore a vita siamo noi sbalorditi della sua affermazione, che ricorda parole utilizzate dai regimi dittatoriali del novecento per assassinare i gay nei forni crematori o nei gulag!

Ci sembra futile chiederle di rimangiarsi questa orribile frase, compiaciuto come sarà stato dei numerosi applausi del parterre ciellino, movimento dove è noto che non sia assolutamente consentito essere omosessuali (visibili), per non contaminare la purezza ideologica di un’organizzazione che si sente eletta e unica a difendere la Tradizione cattolica.

Non ci rimane che registrare che in questo Paese, l’onorabilità di milioni di cittadini, che come tutti gli altri pagano le tasse e vivono pacificamente, viene calpestata quotidianamente senza che ciò provochi la necessaria indignazione nella politica, nella cultura, nella società italiane.

Aurelio Mancuso
Segretario nazionale Arcigay

http://www.gaynews.it/view.php?ID=33818

Parola di condannato per associazione mafiosa (ma prescritto)

Andreotti è così intervenuto al meeting di Rimini: "''Sono sbalordito, e pensare che mi avevano detto che questa storia del matrimonio gay faceva parte di un programma elettorale stilato nella prospettiva di perdere... ma insomma, dobbiamo fare l'elogio degli invertiti? Ma se lo fossero tutti si estinguerebbe la razza umana!''.

martedì 23 agosto 2005

La seconda vita di Pera XVI, ex laico ed ex anticlericale

di Marco Travaglio


C’è stato un momento in cui, nella diretta Sky sull’omelia di Peratzinger XVI al Meeting, gli eventuali telespettatori hanno trattenuto il fiato. Ammutoliti come le migliaia di giovani ciellini rapiti nella grande sala in attesa della Rivelazione. E’ stato quando il ragioniere che presiede il Senato s’interrogava sui “fondamenti morali della nostra società” e domandava pensoso: “Dove trovarli? E come?” . Lunga, interminabile pausa carica di tensione. L’ora era grave, l’emozione si tagliava col coltello,gli astanti rinunciavano financo a deglutire per non perdersi una sillaba del Verbo perisco. Uno normale ne avrebbe profittato per suggerire: “Magari, se cerchi la morale, prova a non frequentare Berlusconi, Previti e Dell’Utri. Non che sia risolutivo, ma aiuta”. Invece nessuno ha fiatato: si tratta pur sempre di giovani ammaestrati all’etica da Andreotti e Formigoni.

Certo no dev’essere facile la vita di Pera. Con tutte le reincarnazioni che ha subito – craxiano e anticraxiano, giustizialista e garantista, anticlericale e clericale – è costretto continuamente a resettare il passato, per cancellarne ogni traccia dalla mente e dagli scritti. Basta un nonnulla, un attimo di distrazione, per farsi scappare qualche frase, qualche concetto della vita precedente. Senza contare il rischio che un collaboratore burlone o infedele gli passi i fogli di un discorso di qualche anno fa. Immaginiamo la scena del ragionier Pera che, sopite le prime standing ovations del popolo niellino, l’arringa per sbaglio con una filippica del periodo rosso: “Come alla caduta di altri regimi, occorre una nuova Resistenza e poi una vera, radicale, impietosa epurazione” (19-7-92). “Andreotti è un premier dell’era Gromyko… è il trasformismo, il vino vecchio in otri vecchi, il tirare a campare…Per queste figure logorate dall’uso, è venuta l’ora di inaugurare la serie “visti da lontano”… Devono pagare il conto per ciò che han fatto o omesso di fare. Abituati all’arte sopraffina del riciclaggio, i vecchi marpioni Dc (e gli ex giovani recentemente rimpinzati dei voti rubati ai vecchi) non si sono accorti che il muro di Berlino era caduto addosso a chi l’aveva eretto, ma anche a chi vi si nascondeva e faceva ogni genere di traffici approfittando dell’impunità offerta dalla sua ombra.” (16-4-92). Immaginiamo Pera che, soprappensiero, ripete una memorabile rivelazione al Tg2: “La sera, quando sono solo a Palazzo Madama, mi piace mangiare in mutande” (21-10-2002). O, inavvertitamente, torna per qualche istante il mangiapreti di prima: “Non dobbiamo infilare Dio nella Costituzione Europea o inseguire su tutto le posizioni della chiesa.” (L’Espresso, 5-12-2002). E dà lezioni di anticlericalismo agli sbigottiti seguaci di don Giussani, esaltando il “perché non sono cristiano” di Bertrand Russell: “Per essere anticlericali bisogna sentire la dignità della propria identità e delle proprie idee e, quando occorre, avere il coraggio di impugnare una spada per contrastarne un’altra… Il laico crede solo nelle proprie idee e nella propria coscienza… Rispetta la tua coscienza, non avere altra tutela fuori di te”. Un comandamento che “vale anche contro Dio (“L’identità degli italiani”, Laterza, 1998).

Figuriamoci se ieri, mentre Pera esaltava i “valori irrinunciabili della vita e della famiglia”, una perfida manina gli avesse passato il suo discorso ai riformatori pannelliani del ’94: “Non si può esser liberaldemocratici e al contempo restrittivi su divorzio e aborto” (10-4-94). O uno dei suoi attacchi alla Chiesa: “Non si risolve il problema decretando d’autorità che un embrione è una “persona umana”. Davvero mons. Sgreccia vuol farci credere che prelevare il seme in un modo o in un altro è moralmente rilevante? La morale dipende da come si eiacula? Nostro Signore non guarderà le nostre intenzioni piuttosto che rovistare sotto le nostre lenzuola?” (27-12-98).

I vecchi cronisti sportivi ricordano quel collega che un mercoledì sera, poco prima della fine del derby Milan-Inter, aveva appena terminato di dettare un resoconto sulla tonante vittoria del Milan, quando l’Inter, in zona Cesarini, segnò due gol e ribaltò il risultato. Non avendo voglia né tempo di riscriverre il pezzo, il cronista richiamò lo stenografo e intimò: “Dove ho scritto Milan metti Inter, e viceversa”. Ecco, il ragionier Pera potrebbe fare così. “Dove ho scritto Craxi, metti Borrelli. Dove ho scritto Borrelli, metti Berlusconi. Dove ho scritto ateo, metti cristiano. Dove ho scritto Voltaire, metti Ratzinger”. Secondo dove tira il vento. Perché lui non è un Neo-con, e nemmeno un Teo-con. Lui è un Meteo-con.

da l'Unità del 22/08/2005

Mani pulite, revisionismo all'italiana

di Curzio Maltese


Lo spettro di Tangentopoli, puntualmente agitato dall'apprensiva stampa italiana ogni volta che si apre un'inchiesta sul potere economico e politico, tanto per cominciare non è uno spettro.
E' divenuto tale grazie a un decennio di propaganda a senso unico. Hanno dipinto l'epoca delle inchieste come il biennio del Terrore. Per chi? Per i ladri e i galoppini al seguito? Se pure così fosse, si tratterebbe di un lieve contrappasso rispetto alla vita di terrore che tocca in Italia da sempre agli onesti. Mani pulite non è stata un incubo ma una speranza. La storia forse dirà che si è trattato dell'ultima rivoluzione mancata, un'occasione persa dall'Italia di darsi una classe dirigente moderna e capace.
Allora buona parte dell'opinione pubblica avvertì il pericolo di affrontare una nuova epoca con una guida antica, corrotta, mediocre e provinciale. Si strinse dunque attorno alla magistratura indipendente contro la solita Italietta dell'ntrallazzo, amorale familista, ipocrita e mafiosa, nella speranza, magari ingenua ma generosa, di voltar pagina. In questione non era il primato della politica, che sarebbe un'ottima cosa. Piuttosto lo strapotere di una partitocrazia che esisteva ed esiste solo in Italia. Un sistema folle che privilegia l'appartenenza in tutti i settori, la scuola e la sanità, il mercato e l'informazione, l'impiego pubblico e il privato, con l'effetto di deprimere il merito e garantire un rapido declino.
La spinta davvero riformista di quegli anni è finita. Ha fallito di fronte alla scelta maggioritaria, nostalgica degli anni Ottanta e degli antichi vizi nazionali. Ha vinto il ragazzo prodigio del Caf, ha trionfato l'indietro tutta, la partitocrazia dei nuovi partiti, che è ancora più primitiva e ingiusta, il malaffare. Il risultato è sintetizzato dal titolo dell'Economist: Italia, un altro anno, un altro scandalo. Dopo Parmalat, ecco Bankitalia di Fazio. Ma la reazione dell'opinione pubblica, ormai mitridatizzata, è inesistente. Si è persa la speranza di cambiare, e i cittadini seguono gli scandali con l'attenzione distratta degli spettatori di uno dei tanti pessimi talk show.
Qui è normale che il governatore della Banca centrale finisca nel mucchio con Anna Falchi, Briatore e Ricucci e nessuno si stupisce se un poverino piazzato dalla Lega nel consiglio d'amministrazione dell'Enea boccia come incompetente il Premio Nobel Rubbia. Non c'è scandalo perchè non esistono più le istituzioni, non c'è fiducia in niente e nessuno. Sembra normale che la Rai sia lottizzata come e anzi peggio che durante la Prima repubblica. I galoppini possono stare tranquilli: non ci sarà un'altra Mani pulite. Ma il prezzo da pagare a questa placida rassegnazione, al ritorno dell'Italia per bande, sarà altissimo.
Tredici anni dopo Tangentopoli il paese non ha più la forza di ribellarsi al declino annunciato, tutto qui. E il declino avanza.


da La Repubblica del 21/08/2005

Non siamo pronti

di ALESSANDRO ROBECCHI


Ero davvero pronto a tutto. A tutto, tranne che a sentirmi dire che «non siamo pronti». Eppure, stringi stringi, tra l'attesa delle primarie e l'attesa delle elezioni, è questo che, in sostanza, sta dicendo l'opposizione-futura-maggioranza: non siamo pronti alla spallata finale, non vogliamo elezioni anticipate, nemmeno di cinque minuti. Il programma arriverà mentre ci stiamo facendo la barba per andare al seggio, perché «nessuno presenta un programma dieci mesi prima delle elezioni». Meglio dieci minuti prima, così non ci sarà troppo tempo per litigarci sopra. Persino dalle chiacchiere tra i compagni, dai microfoni aperti di Radio Popolare, dai commenti dei dirigenti e pensatori della sinistra sui giornali, si apprende alla fine questo: vinceremo, probabile, ma adesso, ora, in questo preciso istante, «non siamo pronti». Ecco. Io ero pronto a tutto, ma non a non essere pronto. Mi aspetto ancora furibonde giravolte, carpiati e capriole, centristi che si accentrano, Rutelli che rutellano, persino un paso doble di Casini, condito con qualche sberlone tra ds e margherita, tra margherita e ds, rinfacci e accuse su banche e banchieri, don Gallo che fa gli scherzi da prete a Bertinotti. E magari anche qualche «lei non sa chi sono io» e un paio di fraterni «vaffanculo», insomma, la tipica dialettica interna del centrosinistra ai tempi del colera, che attraversiamo ormai da qualche decennio senza aver scoperto il vaccino.

Io so tutte queste cose e le considero un po' patrimonio genetico della sinistra. Ma non essere pronti, una volta tanto, non è possibile, non è perdonabile e ancor meno è comprensibile. E' quasi una provocazione, come se il Cnl nell'aprile del '45 avesse tuonato dalle colline: non siamo pronti, si potrebbe rimandare al 25 maggio? Al 25 giugno? Dateci ancora un po' di tempo. Proprio così: dopo quattro anni abbondanti di scorrerie e ruberie, di calpestamento della costituzione, di arricchimento dei ricchi, di impoverimento dei poveri, di voti di fiducia, di leggi fatte apposta per salvare il culo a questo e a quello, di pasticci, di patti vergognosi con la Muti leghista, di leggi razziali come la Bossi-Fini (e potrei andare avanti per un paio di paginette), non si può dire «non siamo pronti». Eppure ogni volta eravamo lì, a strapparci i capelli e a protestare. A dire «all'erta sto», a gridare al regime, e a litigare tra noi se c'è il regime, se non c'è, se solo gli somiglia, se è da operetta o da ospedale psichiatrico. Ma intanto il regime o chi per lui andava avanti, risolveva il problema dei precari precarizzandoli a vita, normalizzava l'informazione, faceva i soldi. Praticava - dal calcio alle assicurazioni che si mangeranno i tfr, dalla tivù alla finanza - il suo elefantiaco conflitto di interessi, quel peccato originale che tutti i tromboni del grandi giornali denunciarono da subito: si risolva il problema in cento giorni! In un anno! E poi, oblio e silenzio. E ogni volta che passava una legge, una politica neoliberista, un restringimento dei diritti - dalle legge 30 alla legge 40 - o addirittura una guerra, tutta l'opposizione che tuonava: noi faremo, noi diremo, noi cambieremo tutto questo. E dunque ti veniva da pensare, gattino cieco che sei, che eccolo qui il programma, è già fatto: ogni cosa loro la dovremo ribaltare, abrogare, ridiscutere. Eccolo qui il programma, una ricostruzione nazionale, un rendere ai derubati dal mercato quello che si sono presi gli squali dei dividendi e delle plusvalenze. Un restituire dignità e «normalità» (e soldi) al paese, un bastonare il falso in bilancio anziché benedirlo e incentivarlo. Insomma, uno scendere e sciamare dalle colline verso le città e liberarle, e dire chiaro e forte che adesso si cambia musica. Magari con qualche ingenuità, o eccesso di entusiasmo, magari dicendo che l'ha fatto Zapatero, facciamolo pure noi. E invece guardo ai discorsi della sinistra e vedo che Zapatero praticamente non esiste: non solo non è un esempio, ma rompe le scatole, è un cattivo maestro. Meglio farlo dimenticare, che sennò si spaventano i centristi, al Riformista appendono l'aglio alle porte della redazione, a Rutelli gli viene l'orticaria; seri e ponderosi, i ds dicono: non esageriamo!

Ecco qui, non siamo pronti, dobbiamo ancora sistemare tante cose, Ds, Margherita, terzo polo, Mastella, i post-it di Bertinotti, la sindrome da accerchiamento, la questione morale, le banche e le cooperative. Quattro anni di salita, e ora che comincia la discesa, tutti contro tutti, a sputarsi e tirarsi i capelli. Coraggio, per il programma è presto, non vedete che abbiamo da fare? Non siamo pronti.

Incredibile.

da il manifesto del 21/08/2005

lunedì 22 agosto 2005

Grillini: Le riforme in Europa fanno bene alla famiglia

Non è Marcello Pera che decide che cosa è una famiglia


(Apcom) - "Non ci è chiaro sulla base di quali elementi, se non puramente ideologici, il presidente del Senato Marcello Pera possa affermare che le riforme sul Diritto di famiglia in Europa non facciano bene alla famiglia stessa". E' quanto afferma Franco Grillini, deputato Ds a proposito del discorso fatto ieri dal Presidente del Senato al meeting di Cl.

"La Danimarca ha approvato la 'partnership registrata', una legge che riconosce i diritti delle coppie omosessuali, ben 16 anni fa, senza rilevare alcuna disgregazione della famiglia - ricorda il deputato della Quercia - ma, al contrario, abbiamo assistito ad un aumento dei nuclei familiari inclusi nell'area del diritto, ad una maggiore coesione sociale e ad un più ampio riconoscimento dei diritti umani".

"L'esempio danese ha fatto scuola tanto che in quasi tutti i paesi europei sono state approvate, da tempo, leggi simili. L'approvazione di leggi sui nuovi nuclei familiari aggregano la famiglia! È necessario quindi - sottolinea Grillini - riconoscere le nuove famiglie, anche gay, e prendere atto che non è il Presidente Pera che decide cosa è e cosa non è famiglia, e nemmeno la gerarchia cattolica, e neppure i Ministri che attuano provvedimenti di carattere familistico e ideologico.

Dovere dello Stato è prendere atto della realtà e dei suoi cambiamenti".


http://www.gaynews.it/view.php?ID=33787

Musica e libertà: Friendly Versilia è l'altro meeting

L’appuntamento gay estivo di Torre del Lago, Sitges della costa tirrenica, si chiude oggi. Facciamo un bilancio dell’iniziativa con Alessio De Giorgi promotore dell’iniziativa.
lunedì 22 agosto 2005 , di stefano bolognini

In questi giorni si sta svolgendo il meeting di Comunione e liberazione con numerosi politici presenti. “Friendly Versilia” non è stata da meno e, oltre al divertimento, avete offerto, ad un pubblico gay e gay friendly, incontri con politici di primo piano. I contenuti espressi dalle due manifestazioni sono però opposti. Possiamo definire Friendly Versilia “l’altro Meeting”?


Perché no? In effetti a “Friendly Versilia” abbiamo sostenuto posizioni diametralmente opposte a quelle che stiamo ascoltando al meeting di Rimini sui grandi temi dei diritti individuali, del multiculturalismo della libertà e della laicità dello Stato.

Se penso che entrambe le manifestazioni non sono di partito e alla rivalità tra Versilia e Riviera adriatica... Siamo l’antimeeting ciellino.

Ma cosa è successo in Versilia quest’anno?

Quest’anno, con Fabio Canino, abbiamo offerto spettacoli di qualità e instaurato una collaborazione con la Fondazione Carnevale di Viareggio e il Festival Pucciniano.

Oltre a questo abbiamo voluto, a otto mesi dalle elezioni politiche, mettere alla prova, insieme a Franco Grillini, il centro sinistra chiedendo, ai candidati delle primarie, un impegno pubblico sui Pacs per l’attività del prossimo Governo.

E chi si è impegnato?

Si sono impegnati Alfonso Pecoraro Scanio, leader dei Verdi, Antonio di Pietro e Ivan Scalfarotto che ha ottenuto un successo strepitoso. Oggi verrà a trovarci Niki Vendola e il 21 settembre aspettiamo Fausto Bertinotti.

Possiamo tracciare un bilancio dell’iniziativa?

Abbiamo registrato oltre quarantamila presenze in 4 giorni.

Il pubblico è sempre più misto, omosex, bisex, etero e si respira un’aria di libertà, in un clima meno avvelenato dalle solite vecchie polemiche tra destra e comunità gay.

La qualità degli spettacoli di quest’anno è stata indiscutibilmente alta. Le dichiarazione del direttore del Principe di Piemonte, l’albergo più eslcusivo della Versilia, che ha detto che questa estate ha avuto una presenza qualificata di pubblico gay, che non aveva mai avuto, e di cui è fiero, dimostrano quanto la presenza del turismo omosessuale in Versilia sia ormai la normalità.

Ricordo poi lo spettacolo di Loredana Bertà e Dolcenera che hanno cantato Pensiero stupendo, con ammiccamenti lesbici, di fronte ad un pubblico in gran parte gay... è stato grandioso.

Nelle edizioni precedenti avete avuto qualche ostacolo dal Comune nell’organizzare l’iniziativa. Quest’anno?

Il Comune ha ignorato i borbottii della circoscrizione amministrata da centro destra che non voleva Friendly Versilia. La manifestazione è ormai nel calendario officiale della estate della Versilia.

Per l’anno prossimo?

Stiamo lavorando ad un concerto di una grande artista americani che potrebbe essere uno degli eventi 2006. Vi prometto sorprese eclatanti...

http://www.gaynews.it/view.php?ID=33792

Meeting CL. Pera a tutto campo: attacca l'islam, Prodi e i gay

"In Europa si approvano leggi che disgregano la famiglia e si mettono con arroganza e protervia al voto popolare i valori della persona e della vita"

Di Ettore Colombo (e.colombo@vita.it)

Altro che lectio magistralis, un vero e proprio annuncio di ingresso in politica

Rimini - dal nostro inviato. Un presidente del Senato - presunta autorità super partes e seconda carica dello Stato - che ha chiaramente deciso di buttarsi in politica, dalla parte del centrodestra, naturalmente. Un filosofo ex popperiano ed ex liberale doc che ha deciso di diventare, più che cattolico, lefebrvriano. Un professore laico che si sente un "ateo devoto" così devoto da far impallidire i chierici. Tutto questo è, oggi, Marcello Pera, che ha deciso di fare la sua grande entreé in politica, anche se dal lato dell'identità culturale da costruire, dal palco del Meeting di Rimini dove, di fronte al popolo di Cl, ha lanciato quello che è un vero e proprio manifesto politico-culturale, altro che lectio magistralis... Prima del partito unitario, la Cdl deve ''definire la propria identità'', fissare ''prima i contenuti e poi i contenitori dove essi dovranno trovare posto. Marcello Pera sceglie il palco del Meeting di Rimini per lanciare un messaggio chiaro agli alleati: ''partito unico, premiership, primarie, neocentrismo e simili - dice ai quattromila che gremiscono il grande auditorium della Fiera di Rimini - sono importanti e dovranno essere affrontate. Ma dopo, non prima. Prima dobbiamo definire la nostra identità. Fissare in quale luogo vogliamo vivere, con chi e come''. Dunque - sembra voler dire Pera - per la realizzazione del partito unico non si deve aver fretta. Prima si ''deve affermare una cornice intellettuale e morale entro cui agire. Capire in che cosa siamo diversi dai nostri avversari politici. Insomma prima dobbiamo aver chiari i contenuti e dopo i contenitori che dovrebbero contenere''. E questo perché ''chi antepone il dopo al prima non avverte la richiesta di identità, il bisogno di senso, la voglia di basi morali e di fede che milioni di uomini e donne stanno sollevando in Italia, in Europa, nel mondo. Il partito politico, specie se nuovo o unico o unitario, deve ascoltare questo bisogno di identità, deve rappresentarlo e tradurlo in programma e azione politica''. Ma il tema della Cdl finisce con l'essere solo la chiusa del corposo intervento del presidente del Senato, che parla di crisi morale dell'occidente, contro cui è in corso una "guerra santa", dell'Europa in particolare dove, fra l'altro, ''la popolazione diminuisce, si apre la porta all'immigrazione incontrollata e si diventa 'meticci' ''. Un intervento piaciuto molto ai ciellini, che più volte hanno con scroscianti applausi Pera, il quale ci ha tenuto a citare le parole di papa Benedetto XVI. Secondo Pera ''l'Occidente attraversa una crisi morale. Oggi la cultura diffusa in Occidente e' un pericolo per l'Occidente stesso''. E gli elementi piu' preoccupanti sono per il presidente del Senato il ''relativismo'' ed il ''laicismo''. ''In Europa - è l'analisi di Pera - si evita di menzionare nella Costituzione le radici giudaico-cristiane, si condanna un politico; mi riferisco al caso Buttiglione perché in fatto di omosessualità afferma i suoi convincimenti morali cristiani, anche se si dichiara rispettoso della legge pubblica. In Europa si perde il senso religioso dei nostri costumi e della nostra tradizione e si impedisce l'esibizione pubblica di simboli di identità religiosa: mi riferisco - precisa senza allusioni - alla legge francese sul velo e alla sentenza della nostra Corte costituzionale sul crocifisso''. ''In Europa - prosegue Pera - rinasce l'antisemitismo e sono piu' le critiche allo Stato di Israele che gli atteggiamenti di comprensione; in Europa si approvano leggi che disgregano la famiglia e si mettono con arroganza e protervia al voto popolare i valori della persona e della vita: il riferimento - sono le sue parole - chiaramente è alla legge spagnola sulle coppie omosessuali e al referendum italiano sulla fecondazione assistita''. Un referendum per il quale i ''laicisti, liberali, socialisti, azionisti, comunisti e anche qualche cattolico cosiddetto 'adulto' - dice, alludendo a Romano Prodi - che hanno provato a dare un violento colpo di forbice ai valori sono ancora li' che si accarezzano la guancia per lo schiaffo ricevuto''. Ma il presidente del Senato ne ha anche per chi ''in Europa alza le bandiere arcobaleno anche quando si e' massacrati e si ritirano le truppe dal fronte della guerra contro il terrorismo anche quando il terrorismo fa vittime in casa nostra'', e ribadisce che non si può separare la religione dalla politica'', tornando all'appello del Papa a mantenere i crocifissi nelle scuole. Il discorso di Pera viene definito ''molto importante'' da Sandro Bondi, coordinatore nazionale di Forza Italia, che lo ha ascoltato in platea, ma scatena la reazione nel centrosinistra. A cominciare dal diessino Angius: ''E' evidente che in questo passaggio dal laicismo al neo confessionalismo di Pera c'e' tutto il fallimento del patrimonio culturale di Forza Italia e della destra italiana''. Il leader dei Verdi Pecoraro Scanio definisce ''indegne e deliranti'' le affermazioni di Pera, ''ormai un clone della Fallaci'' e lo invita a dimettersi. Un tono analogo a quello di Marco Rizzo (Pdci), che biasima Pera sottolineando la necessità che ''la religione resti nella sfera privata''. ''Al suo magistero - commenta il prodiano Franco Monaco - preferisco quello del Papa che ama richiamare la vocazione universale del Cristianesimo, che non può essere confinato entro la civiltà occidentale, e il messaggio di Ciampi al meeting di Rimini che piu' utilmente incoraggia i giovani, laici e cattolici, all'impegno per un patrimonio etico universale''.

(Vita non profit online del 22/08/2005)

Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.