Lo Giudice: "Non c'è riconoscimento giuridico delle Unioni civili, non ci potrà essere un appoggio di gay e lesbiche al programma dell'Unione"
Roma, 10 feb. - "Non c'è riconoscimento giuridico delle Unioni civili, non ci potrà essere un appoggio di gay e lesbiche al programma dell'Unione. Gli impegni precedentemente assunti dai leader del centrosinistra e dal candidato premier sono stati stracciati. Il presidente nazionale di Arcigay Sergio Lo Giudice si fa portavoce della rabbia di gay e lesbiche di fronte al risultato dell'incontro della scorsa notte in cui i leader dell'Unione hanno licenziato l'ultima versione del programma, da cui scompare il riferimento alla realizzazione dell'istituto delle Unioni civili concordato nell'incontro di San Martino in Campo del 5 e 6 dicembre scorso.
"Il centrosinistra italiano - prosegue Lo Giudice - ha deciso che la benevolenza elettorale delle gerarchie vaticane è un bene superiore ai diritti delle persone. Ci auguriamo che le forze politiche che sappiamo avere realmente a cuore i diritti civili si battano affinchè veda la luce quel nuovo istituto giuridico, diverso e distinto dal matrimonio, che è nella legislazione di tutti i grandi Paesi europei".
"Quella formulazione rappresentava un punto di sintesi fra le diverse culture politiche che compongono l'Unione - spiega la presidente di Arcilesbica, Francesca Polo -. Essa, tuttavia, riusciva a tenere conto anche della legittima ed indifferibile richiesta avanzata dall'ampio movimento che nel Paese sostiene la necessità di una legge sui Pacs: un riconoscimento giuridico pubblico delle coppie che vogliano accedere al nuovo istituto. Il testo licenziato ieri tradisce quelle istanze".
La nuova formulazione, che ha registrato il disaccordo della Rosa nel pugno, elimina il riferimento all'istituto giuridico e parla solo di diritti delle singole persone, secondo Arcigay e Arcilesbica: è la soluzione che era stata indicata dal cardinal Camillo Ruini, presidente dei vescovi italiani che, già nel settembre scorso, aveva suggerito di percorrere "la strada del diritto comune, assai ampia e adattabile alle diverse situazioni" e di procedere a promulgare "eventuali norme a loro tutela".
"Puntare a tutelare singoli diritti al di fuori del riconoscimento giuridico pubblico della coppia unita civilmente - aggiunge Lo Giudice -, significa non farsi carico della dignità sociale di milioni di coppie di fatto e ignorare le esigenze costituzionali di tutela giuridica delle formazioni sociali, come affermato dall'art. 2 della nostra Costituzione. Prodi aveva detto di non volersi ispirare a Zapatero ma ad Aznar, ma questa proposta è più arretrata di quella del Partito Popolare spagnolo. Così si disattende la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. L"Unione è ancora in tempo: non tradisca le attese di milioni di italiane e di italiani".
http://www.gaynews.it/view.php?ID=36118
venerdì 10 febbraio 2006
PACS: Arcigay e Arcilesbica, programma non degno dell'Unione
giovedì 9 febbraio 2006
1991, in un libretto top secret l'Italia sognata da Fininvest
Ruolo della tv, ridimensionamento del pubblico, yuppismo
Nel testo distribuito ai manager le fondamenta ideologiche di Forza Italia
di GIAN PAOLO SERINO
La copertina del libro
MILANO - Un documento esclusivo: "Le sfide per affrontare il cambiamento", è un libro sino ad oggi rimasto top secret, stampato in pochissime copie dall'ufficio relazioni interne Fininvest, e destinato unicamente ai massimi dirigenti del gruppo, che dimostra come Silvio Berlusconi non sia sceso in campo nel gennaio 1994, come ha sempre dichiarato, ma dal 1991. Un progetto, quello di Forza Italia, che conferma lo stretto legame tra il premier e le sue aziende.
L'accusa di aver creato un "partito azienda", che il Cavaliere ha sempre respinto, trova conferme nelle pagine di questo pamphlet. Il libro raccoglie "un programma", come si legge nel primo capitolo, "iniziato nel 1991 attraverso incontri con personaggi come il generale Carl Jean, Francesco Alberoni, Gianni Baget Bozzo, Giuliano Urbani". Si tratta di analisi che lasciano molto poco spazio alle interpretazioni.
Baget Bozzo, ad esempio, nel suo intervento (titolo "Il ritorno della morale") scrive: "Oggi l'uomo vive in un mondo fatto di tele-immagini e la conoscenza umana ne è arricchita, perché il più comune degli uomini posto davanti a un televisore è posto dinanzi ad un reale che, anche se interpretato, costituisce una verità obiettiva. Il vedere la televisione è il più comunicativo degli atti, è l'esperienza che rende tutti uguali, mentre l'udire richiede tutt'altra attenzione ed elaborazione, una caratteristica propria dell'intellettuale". Sarà per questo che da anni ci troviamo il premier su ogni canale? "Il mondo diventa - rincara Baget Bozzo - quello che noi vediamo in tv. Noi viviamo la storia contemporanea in visione diretta, la realtà e l'interpretazione insieme".
A rincarare la dose il generale Jean, esperto di strategie militari, che in un altro capitolo sottolinea: "La televisione e la comunicazione di massa diventano i mezzi per influire non solo, come capitava un tempo, sulla volontà dell'avversario, ma anche sul livello di consenso dell'opinione pubblica, che nell'attuale mondo della comunicazione globale in tempo reale sta acquisendo, da un punto di vista politico-strategico, un'importanza quasi simile alla forza militare".
Giacomo Vaciago, docente di politica economica all'Università Cattolica di Milano (che in seguito diventerà sindaco del centrosinistra a Piacenza), anticipa di 15 anni i disegni di legge del "Buon Governo": "Il nostro scopo è privatizzare e ridimensionare la presenza pubblica nei momenti sia di produzione che di regolamentazione. I fondi pensioni prenderanno il posto dell'Inps e del Trattamento di Fine Rapporto e una parte significativa della Sanità sarà gestita individualmente dal consumatore". In sintesi: se ti ricoverano in ospedale non sei più un paziente, ma un acquirente.
Per quanto riguarda la politica estera già in Fininvest-Forza Italia le idee le avevano ben chiare. Sempre Jean scrive: "Attraverso strumenti affinati di geo-economia il mondo industrializzato riesce ad avere i vantaggi delle ex colonie senza occuparne i territori: attraverso manovre economiche, finanziarie, alimentari e influenzamenti politici dell'informazione". Urbani, invece, nel capitolo "Interpretazioni e tendenza degli scenari", si lascia sfuggire che "qualsiasi sistema politico sta i piedi se supera una soglia di legittimità, anche una dittatura ha bisogno di una sua legittimità".
A impreziosire "Le sfide per affrontare il cambiamento" una serie di vignette che sintetizzano, al meglio, gli interventi dei relatori. Fin dalla copertina: una sorta di ibrido, un uomo con il volto alla Ridge di Beautiful e il corpo di scimmia tiene sotto il proprio pugno il mondo. Sotto, ben evidente, in giallo fosforescente, il marchio Fininvest.
Nell'introduzione, affidata a Roberto Spingardi, allora direttore centrale Relazione interne/esterne di quelle prime convention, il titolo è chiaro: "La nostra sfida: coniugare competenza, apprendimento ed entusiasmo". Nulla di anomalo se non fosse per il disegno che occupa mezza pagina: uno "yes-men", giacca e cravatta aziendale d'ordinanza, si insedia nel suo nuovo ufficio. Una libreria (che ricorda quella alle spalle di Berlusconi nei suoi collegamenti televisivi da Arcore), ma soprattutto televisori, decoder, computer, palmari, portatili. Non a caso non è un ufficio comune, ma come si legge in una targhetta in alto è il futuro degli uffici, il Signor Ufficio: è l'"Aula di apprendimento continuo".
Ad illustrare gli scritti di Jean, l'immagine forse più significativa delle "Sfide per affrontare il cambiamento": soldati lanciati all'attacco da un generale con elmetto griffato Fininvest. L'assalto alla politica, era il 1991, era ai suoi inizi, ma gli scopi sintetizzati alla perfezione dal fumetto. E anche dalla chiusura di Spingardi: "Noi tutti dobbiamo contribuire al successo dell'azienda Fininvest e possiamo farlo quanto più riusciremo a creare i presupposti perché ciò avvenga. Il mantenimento delle motivazioni e dell'impegno al risultato, la costruzione di un clima di consenso, sono responsabilità che non solo dobbiamo accettare, ma in cui credere per costruire il nostro domani". Forza Italia?
(9 febbraio 2006)
http://tinyurl.com/8tcmx
lunedì 6 febbraio 2006
Laicità e omosessualità
Di Franco Grillini - dal numero 115 di Critica liberale
Il vocabolario Zingarelli definisce la morale come ciò che «concerne le forme e i modi della vita pubblica e privata, in relazione alla categoria del bene e del male», mentre «la relazione tra ciò che è bene e ciò che è male è tipica dell’etica» che è quella «parte della filosofia che studia i problemi e i valori connessi all’agire umano».
Ora, si dà il caso che, spesso, le religioni monoteiste pretendano di essere depositarie della morale e naturalmente dell’etica attraverso i loro “ministri”, siano essi preti, cardinali, papi, imam, mullah, rabbini ultraortodossi, pastori evangelicali (i predicatori televisivi americani, per es.). In particolare, per stare a casa nostra, i gerarchi romano-cattolici tirano in ballo, quando si parla di omosessualità, oltre alla morale, anche il concetto di “natura” che sarebbe «iscritta da Dio nel cuore degli uomini» ab aeterno. Evidentemente gay e lesbiche devono avere qualche problema cardiaco serio se è vero che continuano a essere definiti se non proprio “contronatura” (questo ormai lo fanno soltanto i libercoli del fanatismo italiano e Radio Maria, vera e propria tromba del clericalismo estremista militante) almeno decisamente “disordinati”, come recita la “pastorale” di Ratzinger del 1985 (ma possibile che nessuno ragioni mai sull’utilizzo della metafora delle pecore in campo cattolico?). Ma “disordinati” rispetto a chi e rispetto a che cosa? Ma all’ordine naturale voluto dal Dio, ovvio, ordine di cui si fanno interpreti diretti, senza tema di essere smentiti i nostri bravi moralisti dell’ecclesia romanocattolica.
E che cosa mai prevede ‘sto benedetto ordine? Che gli esseri umani facciano sesso solo tra uomo e donna, che lo facciano solo se sono regolarmente sposati (qui si concede una certa tolleranza persino per i matrimoni civili celebrati nei municipi, anche se diversi consiglieri comunali di Cl, a cui appartiene anche il “vergine” Formigoni, si rifiutano di celebrarli), che si copuli solo per far figli.
Dal che discende che non si può far sesso prima del matrimonio, che non si può far sesso per il semplice godimento di farlo, che “non lo fo per piacer mio ma per dare un figlio a Dio”, che, orrore orrore, non lo si può fare tra “sodomiti” (le lesbiche sono abbastanza trascurate dagli strali vaticani e pare che alcune suore traggano qualche vantaggio da questa distrazione, come talvolta raccontano le cronache), che non si può tollerare la masturbazione (una delle cause della cecità…), figuriamoci poi il sadomasochismo o altre inenarrabili perversioni. Insomma, extra ecclesiam nulla salus. Non si scappa. E, naturalmente, è proprio il caso di dirlo, l’unica morale plausibile, l’unica etica possibile è quella di Ruini-Ratzinger-Sodano-Tettamanzi-Sgreccia-Caffarra-Tonini-Maggiolini e scusate se dimentico qualche nome tra quelli che invadono il video mattina pomeriggio e sera, telegiornali inclusi, senza la benché minima possibilità di replica da parte dei “sodomiti”, come si evince dalle numerose lettere di protesta inviate al prima Presidente della Vigilanza Rai e poi Presidente Rai Petruccioli e rimaste tutte senza esito alcuno. Insomma, gli omosessuali fanno sesso per il gusto di farlo, anzi, vengono definiti come copulatori seriali (francamente a me pare il contrario, purtroppo, ma queste sono le fantasie vaticane), pretendono persino di rientrare nella “normalità”, peggio ancora, si innamorano tra di loro e vorrebbero che queste unioni contronatura fossero persino riconosciute dallo Stato attraverso diritti che sono pertinenti solo al matrimonio tra un uomo e una donna, ovvero la famiglia naturale sancita dall’art.29 della Costituzione, ecc., ecc., ecc. (vi ricordate un tempo i dischi di vinile quando si incantavano sempre sullo stesso brano?). A questo punto mi permetto una digressione sperando di non perdere il filo. Abbiamo più volte spiegato che l’art. 29 della Costituzione non vieta affatto il riconoscimento di altre forme familiari, che gli articoli 2 e 3 (che, a differenza dell’art. 29, pongono principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale) vietano discriminazioni basate sulle “condizioni personali” dei cittadini e tutelano i diritti inviolabili della persona nelle “formazioni sociali ove si svolge la loro personalità”. All’art. 29 non si parla neppure di matrimonio fra uomo e donna (quei pirla dei costituenti se ne sono dimenticati), si usa persino la parola ambigua di “coniugi”, esattamente quella usata da Zapatero quando ha varato la legge sul matrimonio uguale per tutti. Non a caso il purtroppo Ministro delle presunte riforme, il “sospetto” Calderoli, ha presentato una proposta di riforma costituzionale per chiarire che il matrimonio è tra un uomo e una donna. Vorrei però far notare a Camillo Ruini, presidente della Conferenza episcopale italiana, in sigla Cei, autore della pregevole (per la chiarezza) relazione ai vescovi del 19 settembre, che quando si parla di quattrini alle scuole confessionali (vale a dire una valanga di danaro pubblico che Parlamento, comuni, regioni, province hanno versato negli ultimi anni nella casse delle scuole private cattoliche) la Costituzione è “interpretabile”. Eppure, l’art. 33 è inequivocabile, e, come dicono moltissime sentenze dei Tar e della Consulta, le scuole private sono equiparate a quelle pubbliche “senza oneri per lo Stato”: mi sembra chiaro no? Eppure l’art 33 non è un ostacolo per battere cassa a spese dei contribuenti, per finanziare scuole di parte che più di parte non si può (si pensi alla propaganda omofobica e misogina che è parte integrante del processo educativo delle scuole confessionali). Invece, le infondate interpretazioni clericali dell’art. 29, quelle non sono interpretabili, e devono prevalere sulla lettera di quell’articolo.
Ma torniamo a noi. Per quanto detto finora, che cos’hanno a che fare gli omosessuali e l’omosessualità con la morale romano-cattolica così come espressa da Ruini & co.? Praticamente nulla, una contraddizione radicale, un conflitto insanabile. Ed è per questo che laddove le religioni monoteiste si trasformano in religioni di Stato, laddove, per esempio, il Corano sostituisce lo Stato di diritto, ma anche laddove la gerarchia romano-cattolica mantiene una forte presa sulla cosa pubblica, le leggi sono generalmente e violentemente antigay. Non è un caso che nei sette paesi dove vige ancora la pena di morte per gli omosessuali la sharý’a sia la legge dello Stato.
È del tutto evidente, quindi, che la laicità dello Stato, l’indipendenza del potere politico da quello religioso, la sovranità piena degli organismi statuali rispetto al potere ecclesiastico diventano per lesbiche e gay una necessità vitale, un fatto “naturale” pena l’irrilevanza, l’obbligo alla doppia vita, alla clandestinità, alla sofferenza di una vita quotidiana fatta di terrore e infelicità. Ed è proprio per questo che ormai buona parte dell’opinione pubblica democratica non solo sostiene le battaglie del movimento glbt (gay, lesbico, transessuale e bisessuale) ma vi si riconosce e vi si identifica, perché la libertà per la quale si battono gli omosessuali è esattamente la libertà dei moderni, quella libertà che prende anche il nome di “diritto universale alla propria identità personale” e alla “pari dignità sociale”. Essere “diversi” non è più appannaggio e metafora dell’omosessualità, ma il diritto di ciascuno ad un proprio originale percorso di vita legato a relazioni significative basate sull’amore e sulla libera ricerca della felicità. La grande simpatia popolare, checché ne dicano i sondaggi taroccati per ammissione degli stessi autori, verso la battaglia sul Pacs sta proprio qui, vale a dire nell’idea di uno Stato laico che legifera secondo principi liberali e non secondo la ruiniana “etica dei principi” dogmatici e indimostrabili.
La laicità dello Stato entra nelle case delle nuove famiglie come prerequisito essenziale per la conquista dei diritti delle coppie di fatto, delle persone conviventi, siano esse omo o eterosessuali, siano esse dello stesso sesso o di sesso diverso. Secondo l’etica laica della responsabilità, se il mio compagno o la mia compagna è in ospedale io ho il diritto-dovere di assisterlo/a, se perdo il mio partner ho il sacrosanto, è il caso di dire, diritto a subentrare nel contratto d’affitto, di avere la pensione di reversibilità, di ereditare i suoi beni; se vivo in coppia da almeno due anni ho il diritto alle facilitazioni fiscali di cui godono le famiglie sposate, a non deporre in tribunale contro il mio partner, ad assisterlo in caso di detenzione. Secondo “l’etica dei principi” di Ruini & Co. tutto ciò non deve essere possibile anzi: in una nota dell’agenzia Sir, l’organo di stampa dei vescovi romano-cattolici, quando si citano i casi raccolti nel “dossier sulle discriminazioni” che le coppie di fatto subiscono a causa della mancanza di una legge di tutela si arriva addirittura a parlare di “melassa pietistica dei casi individuali” con un linguaggio violento, inumano e crudele, totalmente irrispettoso verso le persone che subiscono soprusi e sofferenze proprio per la mancanza di una legge come il Pacs. Ci sono persino casi di persone sotto processo penale per “violazione della legge cimiteriale” perché andavano a mettere un fiore sulla tomba del proprio compagno. Se si tiene conto della crudele assurdità dei niet vaticani in materia di diritto di famiglia, se si considerano le statistiche sulla totale inosservanza della precettistica ufficiale cattolica in materia di morale sessuale da parte dei cattolici stessi, e persino dei cattolici praticanti, si capisce bene la saldatura che finalmente è avvenuta tra movimento gay “laicista” e un sentimento più generale di rifiuto del fanatismo religioso e della sua acritica applicazione alle leggi dello Stato.
Nel 2000 correva l’anno del giubileo cattolico e l’allora papa polacco pretendeva la sospensione della libertà costituzionale di manifestazione e di riunione, per impedire che si tenesse nella città di Roma il “World gay pride”. Rutelli ritirò il patrocinio del Comune di Roma alla manifestazione, Amato disse in Parlamento che «purtroppo c’era la Costituzione». Per un anno intero non si parlò d’altro e l’8 luglio mezzo milione di persone sfilarono attorno al Colosseo nella più grande manifestazione per i diritti civili e le libertà della storia dell’Italia unita. In quel momento gli omosessuali hanno interpretato e incarnato la stessa idea liberale della libertà. E la laicità dello Stato ha camminato sulla felicità e sull’entusiasmo della modernità.
(1-2-2006) fonte: www.italialaica.it