di Franco Grillini
La Costituzione non vieta il riconoscimento delle famiglie gay.
Nella nostra vita pubblica affermazioni perentorie ripetute all'infinito e non contraddette diventano verità anche se non hanno alcun fondamento. Ne è una dimostrazione il continuo riferimento all'art. 29 della Costituzione, presentato come un ostacolo insuperabile che si frapporrebbe in Italia all'introduzione non solo del "matrimonio gay", ma anche di qualunque forma di riconoscimento giuridico delle famiglie diverse da quelle tradizionali fondate sul matrimonio: come ormai hanno invece fatto tutti i paesi dell'Europa occidentale, con le sole eccezioni di Italia, Austria, Malta e (probabilmente ancora per poco) Irlanda. Questo errore è così radicato, che spesso spinge addirittura le sue vittime a citare "a memoria" in modo testualmente sbagliato l'art. 29.
È un argomento usato incomprensibilmente contro l'introduzione perfino del "patto civile di solidarietà". Proprio domani si celebrerà a Roma il "Pacs day": alle 11 in piazza S. Lorenzo in Lucina, dove giorni fa due ragazzi gay sono stati brutalmente pestati da un gruppo di teppisti omofobi solo perché si tenevano per mano, trenta coppie contrarranno informalmente il loro pacs, davanti a consiglieri comunali provenienti dalle rispettive città; di lì i manifestanti si recheranno, tenendosi per mano, nella sala della Protomoteca in Campidoglio, dove saranno presentate numerose testimonianze e un ampio dossier sulle conseguenze spesso tragiche che il mancato riconoscimento giuridico ha sulla vita di tante coppie non sposate, gay e non, nell'Italia di oggi.
Nel dicembre 2002, la rivista Critica liberale ha pubblicato un ampio saggio sulla questione dell'art. 29 della Costituzione (ora integralmente reperibile anche su Internet, nel sito da me diretto www.gaynews.it , nella rubrica "documentazione") in cui si dimostra con dovizia di argomenti che esso non pone alcun ostacolo al riconoscimento delle famiglie omosessuali, ma finora nessuno si è preoccupato di confutarli.
In sintesi, l'art. 29 non ha niente a che fare con il riconoscimento delle famiglie gay o delle famiglie di fatto eterosessuali. Si limita a tutelare le famiglie tradizionali e fondate sul matrimonio (le uniche che potevano essere prese in considerazione all'epoca della Costituente) da interventi invasivi e autoritari dello Stato, come quelli che si erano verificati durante il fascismo ai tempi dello scontro per l'Azione cattolica o, nei mesi stessi della Costituente, nei paesi in cui si stavano instaurando regimi comunisti: non detta limiti su che cosa costituisca famiglia per il diritto italiano. Sarebbe davvero assurdo attendersi il contrario, dato che, nel 1947, era del tutto impensabile prevedere che mai un problema del genere avrebbe potuto affacciarsi nel dibattito politico. E autorevoli costituenti cattolici come Mortati e Moro chiarirono senza possibilità di equivoci il significato e la portata di quella norma.
L'articolo 29 della Costituzione non dice affatto che la Repubblica riconosce come famiglia solo quella definita come «società naturale fondata sul matrimonio». Dice una cosa diversa: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». I costituenti vollero con ciò stabilire che lo Stato non avrebbe potuto fare a meno di garantire «i diritti» delle famiglie fondate sul matrimonio, alle quali veniva così assicurata una relativa sfera di autonomia rispetto al potere regolativo dello Stato: di qui l'illegittimità costituzionale una legge ordinaria che mirasse a disconoscere i diritti di tali famiglie. Il riconoscimento giuridico delle famiglie non tradizionali non riguarderebbe minimamente la materia regolata dall'art. 29, e non avrebbe nessuna incidenza su quel che l'art. 29 dispone, dato che non sarebbe suscettibile di modificare, limitare, compromettere o intaccare in nessun modo e in nessuna misura i diritti o la sfera di autonomia delle famiglie tradizionali, che non ne sarebbero neppure sfiorati.
Come dice lo studio di Critica liberale, «è del tutto illogico pretendere che la particolare o rinforzata tutela esplicitamente garantita dalla Costituzione a una specifica situazione obblighi positivamente anche a denegare lo stesso trattamento ad altre situazioni socialmente analoghe o identiche: la garanzia costituzionale rinforzata di un diritto non implica di per sé anche l'obbligo costituzionale di negare la parità di trattamento ai casi in cui, pure, essa non sia costituzionalmente dovuta. Gli articoli 33 primo comma e 19 tutelano in modo particolare, rispettivamente, la libertà di insegnamento e la libertà di culto, ma nessuno si sogna di trarne la conseguenza che la libertà di espressione del pensiero in altri campi, garantita in modo meno incondizionato dall'art. 21, debba essere obbligatoriamente limitata al solo fine di sottolinearne un presunto minor valore o una minore dignità nei casi che non sono oggetto della tutela rinforzata prevista dagli artt. 33 e 19. Affermare in modo particolarmente solenne e impegnativo i diritti di qualcuno (perché sono la storia recente e gli avvenimenti altrove in corso a consigliare di farlo) non equivale a vietare qualunque minimo riconoscimento dei diritti di qualcun altro; e comunque una così rilevante denegazione di diritti, per essere obbligatoria benché derogatoria rispetto a principi fondamentali della Costituzione, dovrebbe almeno essere stata formulata in modo espresso.»
Semmai, continua il saggio in questione, sono l'art. 3 della Costituzione a imporre parità di diritti e a vietare espressamente le discriminazioni fondate sulle "condizioni personali" dei cittadini, e l'art. 2 a tutelare le "formazioni sociali" ove si svolge la loro personalità. Le invenzioni sull'art. 29 sono solo pretesti per cercare di legittimare discriminazioni fondate sull'identità ascritta degli individui, discriminazioni cioè concettualmente del tutto identiche al razzismo propriamente detto.
Mi si deve spiegare in che cosa la condizione di due persone omosessuali conviventi è diversa da quella di due sposi che, per i più svariati motivi (ad esempio a causa dell'età), non possono o non vogliono avere figli (dei figli, infatti, le nostre proposte di legge non si occupano). Siamo forse Untermenschen, sottouomini, cittadini di terza categoria?
Tanto più che la proposta del pacs, la sola attualmente calendarizzata, è solo una prima proposta ultramoderata, che si limita a risolvere alcune questioni pratiche senza neppure realizzare la parità di diritti, e che è lontana anni luce dalla grande riforma civile approvata in Spagna. Le scomposte polemiche razziste di questi giorni testimoniano soltanto il carattere primitivo di gran parte della politica italiana.
tratto da l'Unità del 21 Maggio 2005
sabato 21 maggio 2005
Le famiglie gay e la Costituzione
La comunità cattolica di Firenze: "Apriamo alle coppie di fatto, ai gay e divorziati"
Lo chiede la comunità cattolica fiorentina nelle venti proposizioni che il Consiglio pastorale diocesano consegnerà al cardinale Antonelli
APERTURA ai gay, ai divorrziati e alle coppie di fatto. La richiesta viene nientemeno che dai fedeli fiorentini. Ed è scritta nera su bianco nelle venti proposizioni che il Consiglio pastorale diocesano consegnerà all'arcivescovo di Firenze Ennio Antonelli durante l'assemblea pastorale diocesana di domani al centro Spazio Reale di San Donnino. Le venti proposizioni sono il risultato di un anno di lavoro svolto dai rappresentanti di associazioni, parrocchie e vicariati della diocesi con la partecipazione di oltre mille persone. Il testo definitivo nato attorno al tema «Comunità eucaristica per un mondo che cambia» sarà sottoposto a una votazione. E tra il bisogno di semplificare i linguaggi e la necessità di celebrare le festeil documento mette con la proposizione numero 10 al centro del dibattito cattolico l'apertura verso una società in continua trasformazione. Con coppie che si dividono e genitori che non si sposano, con credenti omosessuali e famiglie allargate. «Alla base c'è l'idea che la comunità eucaristica deve accogliere anche queste persone senza ritenerle cristiani di serie B», spiega il presidente del Consiglio pastorale diocesano Leonardo Bianchi. E aggiunge: «Questo non significa mettere in forse il fondamento della dottrina, non possiamo snaturare i nostri principi, ma neanche rifugiarci nella logica dell'arroccamento». Il parroco di San Donnino Don Giovanni Momigli, da 15 anni testimone attento della sua comunità, conferma: «La società è cambiata in modo veloce. Per la Chiesa è venuto il momento di rapportarsi in modo nuovo con forme di convivenza che vanno al di là delle forme canoniche». Eppure per Momigli la Chiesa non è affatto nuova a un concetto del genere. «Qui si tratta di rendere visibile e tangibile il concetto di accoglienza che già è presente». In realtà l'apertura alle coppie di fatto da parte della chiesa sa molto di rivoluzionario, ma Don Momigli è convinto del contrario e precisa: «Ripeto, nei fatti è già così, solo che ora è una cosa privata tra il parroco e le singole persone. Ma se un gay o un divorziato bussa alla porta della parrocchia nessuno lo manda via. Anzi. Io stesso in questo periodo sto preparando al matrimonio una coppia che ha un bambino e non è sposata». Ma se è davvero così, allora che bisogno c'era di metterlo per iscritto nelle proposizioni elaborate dal Consiglio pastorale. «Il bisogno c'era - conclude Momigli - perché ora è necessario che questo concetto esca dal privato per diventare di dominio pubblico, patrimonio della comunità. Senza che nessuno si scandalizzi».
http://www.gaynews.it/view.php?ID=32342
Gay, a Roma è il Pacs day: il giorno delle unioni civili
In piazza San Lorenzo in Lucina cinquanta coppie hanno detto sì
gesto per attirare l'attenzione sulla legge per le coppie di fatto
ROMA - Folla colorata e festante stamattina a piazza San Lorenzo in Lucina, nel cuore di Roma a due passi da Montecitorio, per il Pacs Day, il giorno delle unioni civili tra gay, lesbiche ma anche etero. L'iniziativa è stata voluta dall'Arcigay Nazionale per attirare l'attenzione dell'opinione pubblica sulla legge ferma alla Camera per regolarizzare le coppie di fatto.
Insieme a una cinquantina di coppie, c'erano Alessandro Zanna, consigliere Ds a Padova, e i consiglieri comunali romani Patrizia Sentinelli del Prc, Pino Galeota dei Ds, Maurizio Bartolucci dei Ds, il presidente nazionale Arcigay, Sergio Lo Giudice, insieme con Franco Grillini e Vanni Piccolo, leader storici del movimento omosessuale in Italia. E poi ancora Katia Belillo dei Comunisti Italiani, il consigliere comunale di Roma Enzo Foschi, la leader di DìGayProject, Imma Battaglia.
"E' una giornata importante, che emozione", dicono due ragazzi, sui 30 anni, che si tengono per mano. Alcuni, a voler simboleggiare un vero e proprio matrimonio, portano dei fiori agli amici protagonisti del "Pacs".
Le coppie, dopo aver riempito dei moduli, si sono messe in fila davanti al pubblico ufficiale (da Foschi a Sergio Lo Giudice), che legge loro gli articoli del Pacs, che pur non avendo alcun valore legale, ha un forte significato simbolico. Seguono lo scambio di anello, baci e abbracci di rito, per la gioia dei fotografi. Finite le cerimonie, le coppie hanno sfilato lungo via del Corso fino in Campidoglio.
"Questa è un'iniziativa che non ha precedenti ma che si ripeterà in tutta Italia - ha detto Franco Grillini - Per questo daremo vita alla Lega Italiana per le Famiglie di Fatto (www.liff.it, ndr), un'associazione dal carattere laico che discuterà con tutte le consulte".
In concomitanza col Pacs day, Azione Giovani (An) ha organizzato una mobilitazione per la famiglia in 50 piazze di Roma, per dire no a matrimoni e adozioni per omosessuali. "A San Lorenzo in Lucina e in Campidoglio vediamo il vero volto dell'Ulivo che, per interessi elettorali, strizza l'occhio alla Chiesa cattolica e poi, in realtà, è portatore della peggior cultura del relativismo etico e morale", ha detto Federico Iadicicco, dirigente nazionale e presidente romano di Ag. E ancora: "Difendere la Famiglia significa difendere storia, cultura, tradizioni e valori che hanno caratterizzato la vita degli uomini. Diciamo no a matrimoni e adozioni gay e non ci sono pregiudizi ideologici in questa posizione".
http://www.repubblica.it/2005/e/sezioni/cronaca/pacsday/pacsday/pacsday.html
L'ulivo e la cicoria
di EZIO MAURO
PROPRIO nel giorno in cui l'Economist additava alla comunità internazionale l'Italia come il vero "malato d'Europa" (con un'economia stagnante, un business depresso, un sistema di riforme moribondo, una mancanza di regole drammatica) il centrosinistra si è spaccato in due, divaricando le sue strategie e le sue prospettive, avvelenando i suoi rapporti interni, mettendo nuovamente in dubbio - davanti ai cittadini - la sua capacità di sfidare vittoriosamente Berlusconi nel 2006, e soprattutto di creare una cultura di governo moderna ed europea, in grado di ridare slancio, fiducia e credibilità ad un Paese in declino, senza più missione.
Il problema non è la lista unitaria alle elezioni politiche, a cui la Margherita si è opposta ieri con un voto chiaro e netto, che ha consegnato il partito a Rutelli e ha messo in minoranza i prodiani. I cittadini di centrosinistra capiscono che si è rotto un progetto più grande, un percorso ambizioso, un disegno che puntava a unire davvero all'ombra dell'Ulivo la cultura cattolico-democratica con quella post-comunista e quella socialista: costruendo non tanto un partito unico, oggi impossibile e controproducente, ma un perimetro e un baricentro finalmente riformista nel centrosinistra italiano, capace di funzionare da guida e cabina di regia dell'intero schieramento, nella competizione-alleanza con la sinistra più radicale. Qualcosa che la sinistra non ha mai avuto, in Italia, e che è indispensabile se si ha l'ambizione di governare, e prima di vincere, e prima ancora di parlare all'intero Paese.
La Margherita sembra voler sostituire a questo progetto riformista d'impianto maggioritario un'opzione centrista, perfettamente legittima perché non ha alcuna ambiguità di schieramento, ma che sembra avere lo slogan del "riformismo in un solo partito", e individua nei ds il principale competitore da superare prima di poter costruire qualsiasi progetto unitario: come ripeteva Craxi al Pci, nell'epoca in cui il comunismo e la sua pratica egemonica esistevano davvero.
D'altra parte, la Margherita pensa così di poter crescere come il soggetto più adatto ad intercettare lo smottamento del centrodestra: divisi e sciolti, dunque, ma con un saldo elettorale che può far vincere il centrosinistra. Fino a costruire dopo la vittoria, addirittura, le basi di un nuovo partito democratico che raccolga l'intuizione dell'Ulivo, ma la porti fuori da ogni replica novecentesca e socialdemocratica.
Resta il fatto che la meta è lontana, e oggi bisogna fare i conti con un'altra rottura a sinistra che dopo dieci anni rischia di cancellare l'Ulivo - e ciò che potenzialmente significa - dal panorama politico italiano. Dopo la stagione dell'Ulivo, potremmo dire, comincia quella della cicoria. Per un danno così rilevante, le responsabilità vanno distribuite equamente.
Rutelli da tempo voleva le mani libere e alla prima occasione ha portato la rottura fino in fondo, privilegiando il profilo del suo partito a quello del centrosinistra. Prodi in questi mesi non ha esercitato una funzione obbligatoria della leadership, che è la capacità di unire, ed è mancato non tanto di autorità quanto di carisma: fino ad assistere al testa-coda spettacolare e assurdo di Bertinotti che solidarizza con i no global impegnati a occupare la "Fabbrica" prodiana del programma dell'Unione di cui il leader di Rifondazione fa parte.
Fassino e D'Alema hanno delegato all'ingegneria politica ulivista (invece che a uno sforzo culturale) la soluzione dell'identità del loro partito, e oggi si trovano senza un apriscatole esterno, dentro una stagione post-comunista troppo lunga.
Ma più dei destini individuali dei leader, è il destino della sinistra italiana che preoccupa, perché rischia di restare nuovamente incompiuto, anche alla fine del ciclo dell'Ulivo, con evidenti riflessi sul sistema politico bipolare, dunque sul Paese. Con una formula, e pensando alla diagnosi drammatica dell'Economist per l'Italia, potremmo concludere che la destra, da noi, è preoccupante per ciò che è. La sinistra, per ciò che non è, e non riesce ad essere. Ancora una volta.
(21 maggio 2005)
http://www.repubblica.it/2005/e/sezioni/politica/fed/cicoria/cicoria.html
giovedì 19 maggio 2005
Pestaggio omofobo davanti alla TV
di Giulio Maria Corbelli
Mercoledì 18 Maggio 2005
E' accaduto a Battipaglia, Salerno. Pasquale Quaranta, giornalista e attivista, era per mano con un amico per la trasmissione Lucignolo. In sette li hanno aggrediti, a telecamere accese.
SALERNO - E' stato aggredito perché gay mentre le telecamere di Italia 1 lo riprendevano. La storia ha dell'incredibile, ma è purtroppo accaduta a Battipaglia, in provincia di Salerno, lunedì 16 maggio, cioè il giorno prima della Giornata Mondiale contro l'Omofobia celebrata in decine di città italiane e centinaia di paesi in tutto il mondo. Vittime dell'aggressione Pasquale Quaranta, presidente del circolo Arcigay salernitano e giornalista collaboratore, tra le altre testate, di Gay.it, e il suo amico Eddy. I due stavano registrando una puntata di Lucignolo, il magazine notturno di Italia 1, incentrata sull'attivismo di Pasquale, che è tra i gay più visibili del meridione, molto impegnato nei gruppi di omosessuali credenti, e i cui genitori, intervistati anche loro per il programma, hanno attivato un nucleo dell'Agedo nella zona.
«Quelli di Lucignolo ci hanno chiesto di camminare mano nella mano per raccogliere le reazioni del paese - ci racconta Pasquale - Il mio ragazzo non c'era e così ho chiesto a Eddy di prestarsi. Eravamo ripresi da una telecamera nascosta di un operatore della trasmissione. Prima qualcuno si è limitato a qualche presa in giro e a fischiare, ma a un certo punto sei o sette ragazzi ci hanno assaliti. Uno ha detto qualcosa e Eddy ha risposto "Avete qualche problema?"; a quel punto tutti si sono scagliati contro di noi. Eddy ha preso un pugno, io altri due, ma quelli che ci seguivano con le telecamere sono intervenuti subito e loro sono scappati».
Gli aggressori («delinquenti, figli di delinquenti» li definisce Pasquale) hanno avuto la spudoratezza di agire in pieno centro, di giorno, senza sapere che dietro di loro c'era una telecamera nascosta che riprendeva la scena. «E pare che anche la piazza sia sorvegliata da telecamere - aggiunge Pasquale - Questi dovrebbero essere elementi sufficienti per incastrarli».
Clicca per ingrandire...I due ragazzi se la sono cavati con qualche contusione, due giorni di prognosi e, quello che è più grave, tanto spavento. «Ora ho molta paura - confessa il presidente del circolo Arcigay di Salerno - Penso a quello che mi potrebbe accadere se li incontrassi da solo di sera. E penso anche alla mia famiglia: loro sono in grande apprensione». E' per questo che Pasquale ha deciso di non denunciare i suoi aggressori: «In molti mi dicono che sbaglio, ma io non me la sento. Qui si vive in un clima pesante. Non si sa mai come possono comportarsi queste persone. E poi ci sono i miei genitori».
Clicca per ingrandire...Nonostante questo, l'aggressione dovrebbe comunque giungere all'attenzione delle forze dell'ordine. In presenza di documentazioni che testimoniano le loro azioni, anche senza la denuncia dell'aggredito i teppisti saranno perseguiti. In tal senso si è impegnato oggi stesso il senatore dei Verdi Fiorello Cortiana, presente oggi a Salerno per la conferenza stampa di presentazione del Salerno Pride 2005, di cui Pasquale Quaranta è uno degli organizzatori. «Occorre che gli organi di polizia ed i ministri Pisanu e Castelli intervengano per garantire le libertà individuali e l'incolumità di tutti i cittadini soprattutto in queste settimane che precedono il Gay Pride di Salerno che si terrà il 24 e il 25 giugno» ha affermato Cortiana, Segretario della commissione cultura, che oggi ha presentato un'interrogazione urgente ai ministri dell'Interno e della Giustizia nella quale si denuncia il grave episodio e si chiede di avviare regolari indagini.
«Occorre che le istituzioni - prosegue l'esponente del Sole che Ride - si attivino per prevenire altri episodi di intolleranza, sponsorizzando e patrocinando manifestazioni come il Gay Pride in tutte le città italiane e garantendone la sicurezza. Solo così si potrà alimentare una cultura dell'uguaglianza e del rispetto. Oggi ho incontrato il Sindaco di Salerno per chiedergli il patrocinio dell'iniziativa da parte del Comune e farò la stessa richiesta alla Provincia e alla Regione».
Le associazioni glbt intanto denunciano quanto accaduto: GayLib chiede che «le azioni sconsiderate, di pubblico scherno, pressione psicologica e violenza fisica mirate contro omosessuali e transessuali vengano al più presto specificamente punite anche in Italia come reati chiaramente indicati nei codici». Anche il presidente nazionale di Arcigay Sergio Lo Giudice lamenta il fatto che se un fatto del genere accadesse in altri paesi europei «la legge punirebbe in modo specifico un'aggressione del genere, riconoscendo l'aggravante del "crimine d'odio" (hate crime), per le motivazioni discriminatorie, al pari di un'aggressione razzista o antisemita. In Italia accade l'opposto: la legge 205 del 1993 (legge Mancino o "anti-naziskin") protegge contro le discriminazioni motivate da condizioni razziali, etniche, nazionali o religiose. L'orientamento sessuale, una delle principali cause di discriminazione ed intolleranza sociale, ne è rimasta fuori».
Proprio ieri, 17 maggio, in occasione della Giornata internazionale contro l'omofobia, il presidente del parlamento europeo Josep Borrell ha richiamato il principio di non discriminazione in relazione all'orientamento sessuale, aggiungendo: "Mentre può essere vero che l'omosessualità oggi è più libera che nel passato, le discriminazioni per orientamento sessuale rimangono un serio problema vissuto da milioni di persone nel mondo e all'interno dell'Unione europea. Rimane nostro dovere continuare a combattere le discriminazioni morali e le violenze fisiche collegate all' orientamento sessuale".
Aggiornamento importante: oggi, giovedì 16 maggio, Pasquale Quaranta si è recato a presentare regolare denuncia contro i suoi aggressori. «Non devo aver paura. Questo è il messaggio che deve passare - ha detto - Ieri ho parlato con il questore di Salerno e con quello di Battipaglia. Devo tutelarmi. Denunciare i delinquenti è una garanzia per me, questo mi hanno detto i questori. La mia famiglia è con me, anche mia madre e mio padre hanno capito che abbiamo sbagliato a non rivolgerci subito ai carabinieri». La redazione di Gay.it desidera esprimere la massima ammirazione a amicizia per Pasquale.
http://it.gay.com/view.php?ID=20232