sabato 21 maggio 2005

Le famiglie gay e la Costituzione

di Franco Grillini


La Costituzione non vieta il riconoscimento delle famiglie gay.
Nella nostra vita pubblica affermazioni perentorie ripetute all'infinito e non contraddette diventano verità anche se non hanno alcun fondamento. Ne è una dimostrazione il continuo riferimento all'art. 29 della Costituzione, presentato come un ostacolo insuperabile che si frapporrebbe in Italia all'introduzione non solo del "matrimonio gay", ma anche di qualunque forma di riconoscimento giuridico delle famiglie diverse da quelle tradizionali fondate sul matrimonio: come ormai hanno invece fatto tutti i paesi dell'Europa occidentale, con le sole eccezioni di Italia, Austria, Malta e (probabilmente ancora per poco) Irlanda. Questo errore è così radicato, che spesso spinge addirittura le sue vittime a citare "a memoria" in modo testualmente sbagliato l'art. 29.

È un argomento usato incomprensibilmente contro l'introduzione perfino del "patto civile di solidarietà". Proprio domani si celebrerà a Roma il "Pacs day": alle 11 in piazza S. Lorenzo in Lucina, dove giorni fa due ragazzi gay sono stati brutalmente pestati da un gruppo di teppisti omofobi solo perché si tenevano per mano, trenta coppie contrarranno informalmente il loro pacs, davanti a consiglieri comunali provenienti dalle rispettive città; di lì i manifestanti si recheranno, tenendosi per mano, nella sala della Protomoteca in Campidoglio, dove saranno presentate numerose testimonianze e un ampio dossier sulle conseguenze spesso tragiche che il mancato riconoscimento giuridico ha sulla vita di tante coppie non sposate, gay e non, nell'Italia di oggi.

Nel dicembre 2002, la rivista Critica liberale ha pubblicato un ampio saggio sulla questione dell'art. 29 della Costituzione (ora integralmente reperibile anche su Internet, nel sito da me diretto www.gaynews.it , nella rubrica "documentazione") in cui si dimostra con dovizia di argomenti che esso non pone alcun ostacolo al riconoscimento delle famiglie omosessuali, ma finora nessuno si è preoccupato di confutarli.

In sintesi, l'art. 29 non ha niente a che fare con il riconoscimento delle famiglie gay o delle famiglie di fatto eterosessuali. Si limita a tutelare le famiglie tradizionali e fondate sul matrimonio (le uniche che potevano essere prese in considerazione all'epoca della Costituente) da interventi invasivi e autoritari dello Stato, come quelli che si erano verificati durante il fascismo ai tempi dello scontro per l'Azione cattolica o, nei mesi stessi della Costituente, nei paesi in cui si stavano instaurando regimi comunisti: non detta limiti su che cosa costituisca famiglia per il diritto italiano. Sarebbe davvero assurdo attendersi il contrario, dato che, nel 1947, era del tutto impensabile prevedere che mai un problema del genere avrebbe potuto affacciarsi nel dibattito politico. E autorevoli costituenti cattolici come Mortati e Moro chiarirono senza possibilità di equivoci il significato e la portata di quella norma.

L'articolo 29 della Costituzione non dice affatto che la Repubblica riconosce come famiglia solo quella definita come «società naturale fondata sul matrimonio». Dice una cosa diversa: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». I costituenti vollero con ciò stabilire che lo Stato non avrebbe potuto fare a meno di garantire «i diritti» delle famiglie fondate sul matrimonio, alle quali veniva così assicurata una relativa sfera di autonomia rispetto al potere regolativo dello Stato: di qui l'illegittimità costituzionale una legge ordinaria che mirasse a disconoscere i diritti di tali famiglie. Il riconoscimento giuridico delle famiglie non tradizionali non riguarderebbe minimamente la materia regolata dall'art. 29, e non avrebbe nessuna incidenza su quel che l'art. 29 dispone, dato che non sarebbe suscettibile di modificare, limitare, compromettere o intaccare in nessun modo e in nessuna misura i diritti o la sfera di autonomia delle famiglie tradizionali, che non ne sarebbero neppure sfiorati.

Come dice lo studio di Critica liberale, «è del tutto illogico pretendere che la particolare o rinforzata tutela esplicitamente garantita dalla Costituzione a una specifica situazione obblighi positivamente anche a denegare lo stesso trattamento ad altre situazioni socialmente analoghe o identiche: la garanzia costituzionale rinforzata di un diritto non implica di per sé anche l'obbligo costituzionale di negare la parità di trattamento ai casi in cui, pure, essa non sia costituzionalmente dovuta. Gli articoli 33 primo comma e 19 tutelano in modo particolare, rispettivamente, la libertà di insegnamento e la libertà di culto, ma nessuno si sogna di trarne la conseguenza che la libertà di espressione del pensiero in altri campi, garantita in modo meno incondizionato dall'art. 21, debba essere obbligatoriamente limitata al solo fine di sottolinearne un presunto minor valore o una minore dignità nei casi che non sono oggetto della tutela rinforzata prevista dagli artt. 33 e 19. Affermare in modo particolarmente solenne e impegnativo i diritti di qualcuno (perché sono la storia recente e gli avvenimenti altrove in corso a consigliare di farlo) non equivale a vietare qualunque minimo riconoscimento dei diritti di qualcun altro; e comunque una così rilevante denegazione di diritti, per essere obbligatoria benché derogatoria rispetto a principi fondamentali della Costituzione, dovrebbe almeno essere stata formulata in modo espresso.»

Semmai, continua il saggio in questione, sono l'art. 3 della Costituzione a imporre parità di diritti e a vietare espressamente le discriminazioni fondate sulle "condizioni personali" dei cittadini, e l'art. 2 a tutelare le "formazioni sociali" ove si svolge la loro personalità. Le invenzioni sull'art. 29 sono solo pretesti per cercare di legittimare discriminazioni fondate sull'identità ascritta degli individui, discriminazioni cioè concettualmente del tutto identiche al razzismo propriamente detto.

Mi si deve spiegare in che cosa la condizione di due persone omosessuali conviventi è diversa da quella di due sposi che, per i più svariati motivi (ad esempio a causa dell'età), non possono o non vogliono avere figli (dei figli, infatti, le nostre proposte di legge non si occupano). Siamo forse Untermenschen, sottouomini, cittadini di terza categoria?

Tanto più che la proposta del pacs, la sola attualmente calendarizzata, è solo una prima proposta ultramoderata, che si limita a risolvere alcune questioni pratiche senza neppure realizzare la parità di diritti, e che è lontana anni luce dalla grande riforma civile approvata in Spagna. Le scomposte polemiche razziste di questi giorni testimoniano soltanto il carattere primitivo di gran parte della politica italiana.

tratto da l'Unità del 21 Maggio 2005

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