giovedì 12 aprile 2007

La sacra unione di fatto

Il cristianesimo non era nato per difendere la famiglia. Anzi all’inizio fu un movimento di superamento del concetto patriarcale di famiglia
di Enzo Mazzi


«Sacra Unione di Fatto», questa è la giusta definizione del modello cristianamente perfetto di ogni famiglia, incarnato da quella che tradizionalmente viene chiamata “Sacra Famiglia”. Potrebbe sembrare una battuta spiritosa e dissacrante. È invece una reale contraddizione teologica irrisolta che il cristianesimo si porta dietro da quando è divenuto religione dell’Impero. Costantino si convertì al cristianesimo ma al tempo stesso il cristianesimo si convertì a Costantino. La nuova religione dovette cioè farsi carico della stabilità dell’Impero accettando di sacralizzarne alcuni capisaldi e fra questi proprio la famiglia. Fu un compromesso fatale.

Il cristianesimo non era nato per difendere la famiglia. Anzi all’inizio fu un movimento di superamento del concetto patriarcale di famiglia. La cultura e la teologia predominanti nella esperienza da cui sono nati i Vangeli è di un “radicalismo etico”, quasi una rivoluzione, che si propone di oltrepassare la cultura e la teologia tradizionali: «Vi è stato detto..., io invece vi dico... » afferma Gesù in contraddittorio con sacerdoti, scribi, farisei. «Si trattò all'inizio di un movimento di contestazione culturale e di abbandono delle strutture della società» (G. Theissen, La religione dei primi cristiani, Claudiana, 2004). Basta pensare alla reazione di Gesù, in un episodio del Vangelo di Matteo: «Ecco là fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti. Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: “E chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: “Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre”».

Un orizzonte nuovo di valori universali si apre in realtà nel Vangelo col superamento del concetto patriarcale di famiglia: da tale oltrepassamento nasce la comunità cristiana, la nuova famiglia, “senza padre” o meglio con un solo padre «quello che è nei cieli». «Nessuno sia tra voi né padre né maestro... » dice infatti Gesù.

Se è vero che «la realizzazione pratica dell’etos del diritto naturale non è possibile senza la vita della grazia», come ha sostenuto di recente il teologo della Casa pontificia, Wojciech Giertych al Congresso internazionale sul diritto naturale promosso dall’Università del papa, la Lateranense, se cioè bisogna rivolgersi alle scelte della grazia di Dio per sapere che cos’è la natura, allora bisogna concludere che Dio privilegia “l’unione di fatto” e non la famiglia. Insomma per dirla con parole semplici prima viene l’amore, l’unione, la solidarietà e poi viene il patto, la legge, il codice. Questa sembra l’essenza più profonda della natura umana. Lo dice plasticamente il Vangelo: «Il sabato (cioè la norma) è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato».

Il compromesso con l’Impero portò alla attenuazione se non al fatale capovolgimento di un tale etos evangelico.

È questa una intrigante contraddizione per le gerarchie ecclesiastiche del “Non possumus” e della rigida Nota anti-Dico, per i preti, i cattolici e i laici del Family-day.

Una traccia vistosa e significativa di tale contraddizione si trova ancora oggi nel celibato dei preti, religiosi e religiose. Il dogma cattolico mentre considera biblicamente il matrimonio come «segno sacro dell’Alleanza nuova compiuta dal Figlio di Dio, Gesù Cristo, con la sua sposa, la Chiesa», d’altro lato ha bisogno di un segno opposto e cioè la verginità e il celibato per significare «l’assoluto primato dell’amore di Cristo» (cf. Compendio del Catechismo 340-342). Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 338 pone la domanda: «Per quali fini Dio ha istituito il Matrimonio?». La risposta è questa: «L’unione matrimoniale dell’uomo e della donna, fondata e strutturata con leggi proprie dal Creatore, per sua natura è ordinata alla comunione e al bene dei coniugi e alla generazione ed educazione dei figli». Il fine della “generazione/procreazione” fa parte strutturale della natura del matrimonio. Se esclude il fine della procreazione il patto matrimoniale è nullo. Al n. 344 e 345 lo stesso Catechismo dice: «Che cosa è il consenso matrimoniale? Il consenso matrimoniale è la volontà, espressa da un uomo e da una donna, di donarsi mutuamente e definitivamente, allo scopo di vivere un’alleanza di amore fedele e fecondo... In ogni caso, è essenziale che i coniugi non escludano l’accettazione dei fini e delle proprietà essenziali del Matrimonio». Addirittura al n. 347, il rifiuto della fecondità viene additato come peccato gravemente contrario al Sacramento del matrimonio: «Quali sono i peccati gravemente contrari al Sacramento del Matrimonio? Essi sono: l’adulterio; la poligamia, in quanto contraddice la pari dignità tra l’uomo e la donna, l’unicità e l’esclusività dell’amore coniugale; il rifiuto della fecondità, che priva la vita coniugale del dono dei figli; e il divorzio, che contravviene all’indissolubilità».

La contraddizione si avviluppa su se stessa e si incattivisce: Maria e Giuseppe escludendo dal loro matrimonio la fecondità naturale, per amore della verginità di Maria, secondo il Catechismo cattolico compiono un grave peccato.

Il Diritto Canonico conferma il dogma in modo apodottico in vari canoni. Specialmente il canone 1101 sancisce che è nullo il matrimonio di chi nel contrarlo «esclude con un positivo atto di volontà» la procreazione. È in base a queste enunciazioni dogmatiche e normative che il Tribunale della Sacra Rota emette quasi ogni giorno dichiarazioni di nullità del matrimonio, perché anche uno solo degli sposi può provare di aver escluso per sempre la procreazione al momento del consenso matrimoniale. I cattolici che si battono per la difesa e la valorizzazione della “famiglia naturale” e si preparano addirittura a scendere in piazza per scongiurare il riconoscimento delle unioni di fatto e l’approvazione dei Dico molto probabilmente non hanno mai riflettuto su queste contraddizioni, non le conoscono o le allontanano dalla loro coscienza e dall’orizzonte della loro fede. Esse invece sono invece parte integrante della stessa fede.

Vediamo meglio perché. Il Vangelo di Matteo racconta che «Giuseppe, come gli aveva ordinato l’angelo del Signore, prese in sposa Maria che era incinta ed ella, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù». Il dogma cattolico aggiunge che Maria aveva consacrato in perpetuo la sua verginità al Signore e quindi nello sposare Giuseppe aveva escluso in maniera assoluta la procreazione, essendo Giuseppe pienamente consenziente con tale esclusione. “Maria sempre vergine”, nell’intenzione e nei fatti. Così dice il dogma. Chi lo nega è eretico. Ma con questa esclusione positiva ed assoluta della prole, per lo stesso dogma cattolico e per il Diritto Canonico il matrimonio di Maria con Giuseppe è invalido. Maria e Giuseppe erano una coppia di fatto che oggi il Diritto Canonico non può riconoscere come vero matrimonio. Dio nel momento in cui decide di farsi uomo sceglie di crescere e di essere educato da una coppia, Maria e Giuseppe, che per il dogma e per il Diritto cattolico era unita di fatto in un matrimonio non valido e quindi non era vera famiglia: era appunto una Sacra Unione di fatto.

Dietro una spinta così forte proveniente del Vangelo, da anni ci siamo impegnati, come tanti altri, e con forti conflitti, a immedesimarsi nelle discariche umane prodotte nella “città delle famiglie normali”. E lì abbiamo trovato bambini abbandonati per l’onore del sangue, ragazze madri demonizzate e lasciate nella solitudine più nera, handicappati rifiutati, carcerati privati della parentela, gay senza speranza, coppie prive di dignità perché fuori della norma, minori violentati dai genitori, mogli stuprate dietro il paravento del “debito coniugale”. La “misericordia” del Vangelo ci ha imposto di non demonizzare anzi di accogliere la ricerca di forme di convivenza meno distruttive. Per purificare lo stesso matrimonio, non certo per distruggerlo. Quei bambini abbandonati, quelle ragazze madri, quegli handicappati, quei carcerati, quei gay, quelle vittime di violenze intrafamiliari, hanno avuto bisogno di “unioni di fatto”, magari cosiddette “case famiglia”, che se ne facessero carico. Poi anche le famiglie si sono aperte alle adozioni e agli affidamenti. Ma la breccia è stata aperta da “unioni di fatto”.

Fine della famiglia tribale e delle sue discariche? Macché. Nuove emergenze incombono. La competizione globale, questa guerra di tutti contro tutti, riporta a galla il bisogno di mura. Il mondo del privilegio non accetta la condivisione e non ne conosce le strade se non nella forma antica della elemosina che oggi è confusa impropriamente con la solidarietà; conosce molto bene però l’arte dell’arroccamento. E di questo bisogno di blindatura approfittano i crociati della famiglia. Guardando bene al fondo, in nome di che si ricacciano in mare gli extra-comunitari? Sono estranei alla nostra famiglia e alla nostra famiglia di famiglie. La difesa a oltranza della famiglia canonica oggi è fonte di esclusione verso i dannati della terra. L’opposizione al riconoscimento delle nuove forme di solidarietà è nel profondo radice di violenza verso gli esclusi. La crociata contro le famiglie di fatto oggettivamente è egoista, oltre i bei gesti e le belle parole e oltre le stesse intenzioni, al di là delle apparenze. Non basta difendere la famiglia naturale. Bisogna ancora una volta guarirla.

È necessario riscoprire il primato dell’amore e della solidarietà oltre i confini di razza, etnia, famiglia, quell’amore responsabile e quella solidarietà piena che sono sacre in radice e rendono sacro ogni rapporto in cui si incarnano. Bisogna ritrovare le strade dell’apertura planetaria della famiglia, di una famiglia purificata e guarita, già annunciate dal Vangelo, nelle attuali esperienze delle giovani generazione e dei nuovi soggetti, con prudenza creativa, senza nascondersi limiti e pericoli, ma anche senza distruttive demonizzazioni.

http://www.gaynews.it/view.php?ID=73350

mercoledì 11 aprile 2007

Il dolore di scoprirsi gay adolescenti, il 60% si rifiuta

L´Oms: un terzo dei giovani suicidi è omosessuale
I risultati di uno studio elaborato dall´Agedo, l´associazione dei genitori Marzia, 17 anni: "Sto con una donna più grande ma non lo dico a nessuno" La sociologa Chiara Saraceno: "Mi sembra che oggi ci sia più machismo"

di MARIA NOVELLA DE LUCA


ROMA - Sono storie di silenzio. Di figli che non dicono e di genitori che non vogliono sapere, di compagni di scuola ostili e di insegnanti distratti. Sono storie di amori mai confessati, di pulsioni negate, di identità confuse, di ragazzini in cerca di un sé che la società invece rifiuta. Come Matteo, studente modello, che gli amici deridevano dicendogli "sei gay". E lui, nove giorni fa, si è ucciso. Nel 2005 l´Organizzazione mondiale della Sanità ha diffuso dati agghiaccianti: tra tutti i suicidi degli adolescenti (in Italia lo scorso anno sono stati 375), almeno un terzo è «caratterizzato dalla scoperta della propria diversità». Vera, presunta, o semplicemente attribuita. Racconta Giorgio, che oggi ha 19 anni e vive la sua omosessualità senza ombre: «Ero un bambino quieto, studioso, detestavo giocare a calcio e fare la lotta. Risultato: i miei compagni mi chiamavano Giorgia, dicevano che ero una femmina, e la maestra consigliò a mia madre di farmi fare degli sport maschili per aiutarmi a guarire...». Storie di oggi e di poco tempo fa. Denuncia Franco Grillini, presidente onorario dell´Arcigay: «Assistiamo ad una delle più violente campagne degli ultimi 50 anni contro l´omosessualità. Come può sentirsi in questo clima un adolescente quando scopre di provare attrazione per un maschio anziché per una femmina, e il "branco" dei suoi pari inizia a chiamarlo gay e ad emarginarlo?».

Prova un dolore tremendo. Come quello di Matteo. Forse. Da uno studio dell´Agedo, l´Associazione Genitori di Omosessuali, che ha elaborato i dati di diverse ricerche, emerge che in un campione di ragazzi e ragazze gay dai 14 ai 25 anni, soltanto il 20% accetta la propria condizione di omosessuale, contro il 60% che la rifiuta, il 22% che pensa ad atti di suicidio, e di questi il 5% compie effettivamente alcuni tentativi di togliersi la vita. Chiara Saraceno, sociologa, spiega che a 14, 15, 16 anni, «i ragazzini si chiedono in continuazione se sono normali, se sono come gli altri, e scoprire di essere diversi può essere deflagrante, non come fatto in sé, ma perché "normale" è considerata soltanto l´eterosessualità». E aggiunge: «Mi sembra che oggi ci sia più machismo di un tempo, Matteo, il giovane che si è ucciso, veniva bollato come "gay" soltanto perché era più sensibile, forse introverso. L´adolescenza è un periodo di confronti crudeli tra coetanei, è normale, se però l´identità sessuale viene stigmatizzata come giusta o sbagliata dalla società, ecco che scoprirsi differenti dal gruppo, può risultare insopportabile. Tanto che gli adolescenti prima cercano di negare con se stessi la propria scoperta, poi negano con tutti gli altri: amici, genitori, insegnanti. Vivere poi questa sessualità è impresa ardua e per i maschi poi è ancora più difficile che per le femmine. Mentre tra due ragazze le manifestazioni d´affetto, l´intimità, le amicizie esclusive sono comportamenti accettati, tra i maschi vengono bandite, o bollate come atti da femmine».

Un mondo sommerso quello dei teenager gay. Difficile e ostile. Confessa Marzia, 17 anni, attraverso una mail con un nickname: "Da sei mesi ho una storia con una donna più grande di me. Non lo sa nessuno, lo nascondo a tutti. Sono felice però mi vergogno. I mie compagni di classe dicono che sono carina ma antipatica perché non accetto i loro inviti, mia madre si meraviglia perché non ho ancora avuto un fidanzato. Mio padre sostiene che i gay sono criminali, mio fratello che sono degli schifosi...». Una condizione di silenzio che l´Associazione Genitori di Omosessuali conosce bene. Perché spiega Alessandro Galvani, ex ragazzino gay "bullizzato" come dice lui stesso e oggi segretario dell´associazione, «se la scuola e i coetanei sono ostili al teenager gay, la famiglia può essere un muro invalicabile, dove i figli fingono e i genitori o condannano o si disperano, e sono quasi sempre del tutto impreparati ad accogliere la notizia». La storia di Patrizia M, che abita in una cittadina dell´Emilia ed è madre di un giovane gay, è però un po´ diversa. «Mio figlio - racconta Patrizia - è stato discriminato fin da piccolissimo. Alle elementari lo chiamavano femminuccia, alle medie lo discriminavano e lo insultavano chiamandolo "finocchio". Lui aveva una tale paura dei bulli che per anni non è andato al bagno della scuola... Soffriva certo, ma le sue sofferenze erano anche le mie, mi ricordo la sua tristezza, la sua rabbia. Mio marito ed io in realtà avevamo capito da tempo quali fossero le sue inclinazioni, e proprio per mettere fine ad equivoci e per aiutarlo, ho affrontato io il discorso, l´ho spinto ad aprirsi... Non è stato facile accettare. No. E´ come se tutti i sogni che avevo fatto sul suo futuro "normale" fossero stati cancellati, spazzati via. Però l´amore è stato più forte. Per lui ho iniziato a leggere, a cercare di capire, sono andata all´Agedo, ho incontrato altri genitori di ragazzi omosessuali. E´ stata un´esperienza fondamentale perché oggi mio figlio vive alla luce del sole il suo essere gay e noi siamo sereni. E quando ci presenterà un compagno, lo accoglieremo in famiglia».

http://www.gaynews.it/view.php?ID=73338

Da oggi l'Italia riconosce dei diritti alle coppie gay. Basta che non siano italiane.

Dall' 11 aprile, l'Italia riconoscerà dei diritti alle coppie gay. Basta che non siano italiane. È quanto prevede una Direttiva Europea sulla libera circolazione tra gli Stati.
di Roberto Taddeucci


ROMA - I cittadini europei sono tutti uguali? Niente affatto: nel nostro paese quelli stranieri sono più... europei di noi italiani. Conseguenza del recepimento (dovuto) dell'Italia della Direttiva 2004/38 della Comunità Europea, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

Si tratta di una normativa che è stata elaborata durante gli anni del governo Berlusconi e vi ha contribuito l'allora ministro alle politiche comunitarie Rocco Buttiglione. La libera circolazione dei cittadini europei da un paese all'altro è uno dei cardini sui quali si basano gli accordi comunitari. Il cittadino europeo che si sposta ha il diritto di portare con se i propri familiari e nella maggioranza dei paesi europei, come noto, le coppie omosessuali sono considerate famiglia, con varie modalità giuridiche di riconoscimento che variano da paese a paese.

L'Italia, ancora oggi, non permette a due persone omosessuali di poter regolarizzare in alcun modo la propria relazione e questo mette i gay e le lesbiche su un piano di oggettiva inferiorità rispetto agli altri cittadini. A cominciare dall'espatrio: ad esempio se un italiano eterosessuale che lavora per una multinazionale è trasferito alla sede di New York anche al coniuge verrà concesso il permesso di soggiorno e dunque si potrà trasferire senza problemi. Per il cittadino italiano omosessuale e il/la compagno/a questo è impossibile, in quanto non si può produrre alcuna certificazione che attesti la relazione e dunque l'immigrazione statunitense non rilascerà il visto per il partner.

Rimanendo in Europa la Direttiva 38 prevede che vengano rilasciati permesso e carta di soggiorno per il partner, anche se dello stesso sesso, in conformità con "il divieto di discriminazione contemplato nella Carta (dei diritti fondamentali) degli Stati membri e senza operare tra i beneficiari della stessa alcuna discriminazione fondata su motivazioni quali sesso (...) o tendenze sessuali."

Il 'coniuge'
Il recepimento della Direttiva spiega che per "familiare" si intende "il coniuge" oppure "il partner che abbia contratto con il cittadino dell'Unione un'unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro" quando via sia equiparazione tra l'unione registrata e il matrimonio. Già questo punto pone un quesito interessante riguardante il 'coniuge': se un tedesco che ha lavorato e contratto matrimonio in Canada con un canadese vuole venire a vivere in Italia, il nostro paese concederà il permesso di soggiorno anche al suo sposo canadese? C'è da ricordare che la Corte di Giustizia europea ha già affermato il fatto che la libera circolazione è uno dei diritti fondamentali dei cittadini dell'UE, per cui l'Italia non può impedire al suddetto tedesco di poter venire a vivere qui, e certamente non lo può costringere a separarsi dalla persona con la quale è sposata. Ma andiamo avanti.

La "relazione stabile"
Ci sono poi anche altri "aventi diritto". Il decreto infatti dice che lo Stato membro ospitante deve agevolare l'ingresso e il soggiorno anche a chi "é a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell'Unione". Anche al "partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata dallo Stato del cittadino dell'Unione". L'effetto più macroscopico di questa nuova legge sarà che dall'11 di aprile in poi un cittadino europeo che ha una relazione stabile e attestata anche con un cittadino extracomunitario avrà la possibilità di trasferirsi in Italia col proprio partner, mentre gli stessi italiani che sono nella stessa identica situazione (ovvero con partner non europeo) si vedranno negata tale possibilità.

L'ordine pubblico
Ogni Stato membro ospitante deve effettuare un "esame approfondito della situazione personale e giustifica l'eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno". "Il diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari, qualsiasi sia la loro cittadinanza, può essere limitato solo per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza". Arriverà l'Italia a rifiutare dei permessi di soggiorno a delle coppie gay francesi o danesi perché le considera addirittura delle minacce per l'ordine pubblico? Come reagirebbero i nostri partner europei a una simile, grottesca eventualità?

italiani con meno diritti degli stranieri
Quello che succede con questo recepimento è che, dall'11 aprile in poi, giorno di entrata in vigore della legge, è possibile per un cittadino Ue ricongiungersi col partner extracomunitario. Ma continuerà ad essere impedito a un italiano di farsi raggiungere nel suo stesso paese dal proprio partner. Un gran bel caso di palese discriminazione questa volta messa in atto da uno Stato verso i suoi stessi cittadini, quando omosessuali: impossibilitati a sposarsi, come in Spagna o Olanda, e impossibilitati a poter contrarre un'Unione civile, come in Gran Bretagna. Impossibilitati perfino a vedersi riconosciuta come semplice 'coppia di fatto' convivente, come sarebbe nelle intenzioni dei DiCo, provvedimento di basso profilo che ha tentato di mettere fine a qualche discriminazione ma contro il quale si è scatenata tutta l'intransigente intolleranza dei vertici della chiesa e di gran parte della vecchia classe politica che ci governa. E grazie alla quale siamo ormai rimasti l'unico tra i sei paesi fondatori della Comunità Europea che dalla stessa attinge in abbondanza fondi e finanziamenti, ma continua a negare a parte dei propri cittadini quei diritti civili che già tutti gli altri paesi riconoscono. Non è, crediamo, niente di cui andare orgogliosi.


http://www.gay.it/channels/view.php?ID=22731

Parlava di se stesso?

di don Franco Barbero


Nel discorso pasquale, Benedetto XVI, oltre alle consuete considerazioni in cui ha ricordato genericamente tutti i mali del mondo per dispensarsi dal prendere posizione precisa su qualcuno in particolare, ha parlato di coloro che usano la religione e Dio per scopi violenti.

Mi domando: forse pensava a se stesso, a tutte le volte che usa il nome di Dio contro gli omosessuali e le lesbiche?

Sarebbe davvero un buon pensiero.

Il papa, come ciascuno/a di noi, non medita mai abbastanza il “non usare il nome del Signore, tuo Dio, per scopi vani…” (Esodo 20).


http://donfrancobarbero.blogspot.com/2007/04/parlava-di-se-stesso.html

martedì 10 aprile 2007

Il baratro

di Maria Novella Oppo

Per Pasqua la tv si è riempita di martiri cristiani e antichi romani, vecchi film e nuovi riti in diretta, censurando per qualche giorno i programmi più volgari. E lasciando invece fuori dal video il grande dibattito religioso che ha riempito le pagine dei maggiori giornali. Il suicidio di Matteo, provocato dal disprezzo dei compagni per la sua presunta diversità, ha aperto una commossa discussione. La moglie del più grande cantante italiano, Claudia Mori, ha scritto al Corriere della sera, per dire «a chi ci governa, anche nel nome di Dio, che i diversi non esistono. E, se esistono, hanno gli stessi identici nostri diritti». E ancora: «Mi riconosco nel Dio dell´accoglienza e non nel Dio dell´intransigenza inumana». Parole che non lasciano dubbi sul «baratro» che si sta aprendo «tra le regole vaticane e la vita della maggioranza dei cattolici», come ha scritto il New York Times nel suo inserto domenicale. Solo la destra italiana cavalca allegramente quel baratro in vista di un presunto tornaconto elettorale. Nessuna pietà per i vivi, figuriamoci per i morti.

http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=65011

Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

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