sabato 27 novembre 2004

Gasparri contro il poeta Luzi: "Una vergogna che sia senatore"

L'intellettuale è stato nominato parlamentare a vita da Ciampi
Il ministro di An come Fiorello: "Era meglio Mike Bongiorno"


ROMA - In Parlamento meglio un presentatore di quiz tv piuttosto che un poeta. Ne è convinto il ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri che a sostegno della sua tesi cita il giudizio dello showman Fiorello. "Mi vergogno che sia nominata senatore a vita una persona di questo tipo che offende il nostro mondo", ha detto l'esponente di An riferendosi al poeta Mario Luzi, recentemente insignito della carica dal Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi. "Una volta - ha aggiunto Gasparri - Fiorello disse che avrebbe voluto Mike Bongiorno senatore a vita. Ecco era meglio Mike Bongiorno".

A scatenare il disprezzo del ministro per il grande letterato toscano (che ha appena compiuto 90 anni) un'intervista concessa al mensile Micromega nella quale, tra le altre cose Luzi sostiene che "i fascisti di An hanno le idee confuse''.

L'attacco di Gasparri ha fatto scattare l'immediata solidarietà dell'opposizione. Per il comunista italiano Gianfranco Pagliarulo è "inaudito che un ministro se la prenda con una personalità limpida, indiscussa, come quella del neo senatore a vita Mario Luzi". "Credo - aggiunge Pagliarulo - che il massimo garante della democrazia, il presidente della Repubblica, non possa più esimersi dal chiedere un chiarimento immediato a Silvio Berlusconi".

Luzi, dal canto suo, nel replicare a Gasparri non ne fa una questione di cultura, quanto di politica. "Meglio Mike Bongiorno di me senatore a vita? Forse - ha commentato - perché sarebbe più conciliante con le posizioni della destra". "Non mi meraviglio - ha detto Luzi - che, pur senza offendere per nulla Mike Bongiorno che ha svolto e svolge egregiamente il suo lavoro, il ministro Gasparri probabilmente lo trovi più conveniente nella carica di senatore a vita che mi è stata conferita".
(27 novembre 2004)

http://www.repubblica.it/2004/k/sezioni/politica/gasparriluzi/gasparriluzi/gasparriluzi.html

venerdì 26 novembre 2004

Antitrust: Rai e Mediaset, un monopolio che uccide la tv

di red

L’Antitrust fa le pulci alla tv. E denuncia un punto cruciale: troppa concentrazione nel mercato pubblicitario. «Il settore nazionale della raccolta pubblicitaria, ed il mercato della raccolta televisiva in particolare, è caratterizzato da un'elevata concentrazione, nonchè da elevate barriere all'ingresso, a causa soprattutto di alcuni fattori di natura strutturale che ostacolano il corretto funzionamento del mercato». Questo il dato fondamentale che rivela l’indagine del garante della concorrenza, che individua i vizi del mercato nella «disponibilità, in un contesto di scarsità della risorsa frequenziale, di tre reti in capo a ciascuno dei due principali gruppi televisivi, che ha consentito a Fininvest e Rai di attuare strategie che hanno limitato l'entrata e la crescita di nuovi concorrenti», e nella «disciplina che regola le condotte della società cui è affidato il servizio pubblico radiotelevisivo, che, da un lato, ha favorito la creazione di un duopolio simmetrico nel versante dell'offerta di contenuti televisivi; dall'altro, ha rafforzato gli incentivi dei due operatori ad attuare politiche commerciali accomodanti nella raccolta pubblicitaria televisiva».

Insomma, il duopolio Rai-Mediaset, anche dal punto di vista della pubblicità, è un’anomalia solo italiana. L’autorità Antitrust ha calcolato che il gruppo Fininvest raccoglie il 65% del mercato degli spot, mentre la Rai ospita il 29% delle inserzioni, occupando quasi la totalità dell’intero spazio disponibile. Inoltre, denuncia l’indagine «Fininvest, attraverso la fitta rete di partecipazioni azionarie e di legami di tipo non azionario, riesce ad esercitare una propria influenza sulle decisioni di alcuni importanti operatori, ed in particolare delle società neo-entranti Telecom Italia e Tf1-hcsc».

E l’Antitrust auspica cambiamenti anche nel principale motore della raccolta pubblicitaria, l’Auditel. Secondo l’Autorità, il sistema di rilevazione dei dati d’ascolto dovrebbe essere affidato interamente ad un soggetto privato. L’attuale assetto proprietario di Auditel è ripartito in tre aziende, ciascuna titolare del 33% della società: televisione pubblica (RAI), emittenza privata (Networks nazionali e TV locali), aziende che investono in pubblicità (UPA). Una migliore garanzia di imparzialità sarebbe certamente data da un soggetto privato e indipendente, estraneo alle aziende che poi sono beneficiarie degli stessi dati d’ascolto.

Infine l’indagine dell’Antitrust suggerisce una separazione della Rai in due società, prima del previsto collocamento in borsa: «la prima con obblighi di servizio pubblico generale finanziata esclusivamente attraverso il canone; la seconda, a carattere commerciale, che sostiene le proprie attività attraverso la raccolta pubblicitaria».

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=39345

Doping alla Juventus? Aveva ragione Zeman...

di MARCO TRAVAGLIO

TORINO - Pare passato un secolo, da quel giorno di fine luglio del '98 quando Zdenek Zeman dichiarò all'Espresso che il calcio era finito in farmacia. Gli diedero del pazzo, del calunniatore, del visionario, assicurando che "nel mondo del pallone il doping non esiste". Poi si capì che non lo cercavano, per questo - ufficialmente - non esisteva. E saltò il laboratorio Coni dell'Acqua Acetosa. Ora, per la prima volta nella storia del calcio italiano (e non solo), una società viene condannata per doping. Ed è la più prestigiosa e blasonata d'Europa: la Juventus. Questa, al di là delle analisi e delle sottigliezze sul dispositivo della sentenza emessa stamane dal giudice Giuseppe Casalbore, è la sostanza dell'ultimo atto del processo di primo grado all'amministratore delegato bianconero Antonio Giraudo (assolto) e al capo dello staff medico Riccardo Agricola (condannato). Pienamente confermato il cuore dell'accusa, sostenuta con pazienza e determinazione in questi anni dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello e dai suoi sostituti Sara Panelli e Gianfranco Colace. L'accusa principale intorno a cui sono ruotati questi sei anni di indagini, udienza preliminare e dibattimento era la frode sportiva mediante "somministrazione sistematica di eritropoietina" (la famigerata e vietatissima Epo) e mediante l'abuso di farmaci su atleti sani.

Quest'accusa, dislocata alle lettere g), h) e i) del capo d'imputazione, è stata ritenuta fondata dal giudice a carico del dottor Agricola. Sia sul versante della frode sportiva, in base alla legge 401 del 1989 (che punisce chi compie atti fraudolenti per alterare i risultati delle competizioni sportive), sia su quello della somministrazione di farmaci e creatina in maniera pericolosa per la salute degli atleti (articolo 445 del Codice penale).

Traduzione: secondo il Tribunale di Torino, la Juventus ha "dopato" i suoi giocatori con l'Epo e altri farmaci, in parte vietati, in parte leciti ma solo per curare patologie (in questo caso inesistenti), nelle stagioni comprese fra il 1994 al 1998. Le prime quattro stagioni dell'era Lippi, sotto la regia della nuova dirigenza Giraudo-Moggi-Bettega, contrassegnate da una messe di successi (una Champions League e tre scudetti). Ora su quei titoli sportivi si pronunceranno i giudici della Federcalcio e dell'Uefa, sempreché la condanna di Agricola "regga" dinanzi alla Corte d'appello, alla quale i difensori hanno già annunciato ricorso.

Il giudice Casalbore, smentendo le insinuazioni di alcuni difensori che lo dipingevano come "appiattito" sulle posizioni dei pubblici ministeri, ha emesso un verdetto complesso, che per essere compreso appieno richiederà un'attenta lettura delle motivazioni (arriveranno fra tre mesi). Ma che già emerge con sufficiente chiarezza. Sul doping e sulla conseguente accusa di mettere a repentaglio la salute dei giocatori, Giraudo viene assolto con la formula del comma 2 dell'articolo 530 del Codice di procedura penale: quella che assorbe la vecchia insufficienza di prove ("quando la prova è contraddittoria o insufficiente"). Nel processo, secondo il Tribunale, non sono emersi elementi bastanti a dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che l'amministratore delegato sapesse quel che faceva Agricola. Fino all'ultimo i pm avevano valutato la possibilità di chiedere l'assoluzione di Giraudo, ma poi avevano optato per una richiesta di condanna, sia pure più blanda rispetto ad Agricola, sulla base di una "prova logica", indiziaria: visti i costi abnormi dell'Epo, era impensabile che il medico li sostenesse senza avvertire il suo diretto superiore, che stanziava i fondi per i medicinali e firmava i bilanci.

Per il giudice, tutto questo non basta. Mancano le impronte digitali, cioè documenti o testimonianze che assicurino che Giraudo era d'accordo (nell'arringa, i suoi difensori avevano osservato che, semmai, il medico rispondeva al direttore sportivo Luciano Moggi, non all'amministratore delegato).

In ogni caso è di Agricola e delle sue pratiche che si è parlato soprattutto in questi tre anni di dibattimento. Non di Giraudo. Insieme alla frode sportiva e alla somministrazione dannosa di farmaci, i due imputati erano accusati anche di falso materiale, per la strana triangolazione di ricette con cui la Juventus - complice il farmacista Rossano - si procurava medicinali a esclusivo uso ospedaliero. Anche questa accusa è stata confermata, ma solo per Rossano (che ha patteggiato 5 mesi), mentre Giraudo è stato assolto con formula piena e Agricola con formula "dubitativa" (il solito art. 530 comma 2). Un'altra, la creazione di una farmacia abusiva contro la legge 538/92, è caduta in prescrizione. Per le tre imputazioni minori (presunta violazione della legge 626/94 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e presunti test irregolari sull'Aids e sul testosterone sui calciatori), invece, è scattata l'assoluzione piena.

Tutto questo, per l'avvocato Luigi Chiappero (difensore di Agricola insieme a Emiliana Olivieri), è un "pareggio in trasferta". Metafora infelice, visto che il capo g) per cui Agricola è stato condannato a 1 anno e 10 mesi di reclusione recita testualmente: "... aver sottoposto i giocatori a metodi doping proibiti e in particolare la somministrazione di specialità medicinali atte a stimolare l'eritropoiesi quali l'eritropoietina umana ricombinata a pratiche di tipo trasfusionali, ricorrendone il divieto", il tutto "dal luglio 1994 all'ottobre 1998". Per una sentenza così infamante, forse, è più appropriato il commento di un altro avvocato, Paolo Trofino, che difende Giraudo insieme ad Anna Chiusano: "Abbiamo segnato un bel gol con Giraudo, ma con Agricola abbiamo perso la partita".
(26 novembre 2004)

http://www.repubblica.it/2004/k/sezioni/sport/calcio/commejuv/commejuv/commejuv.html

Il mago Silvan

di Rinaldo Gianola

Immaginata come la strada per promuovere Berlusconi al livello dei grandi combattenti contro le tasse Reagan e Thatcher, il piano fiscale del governo sembra un’invenzione del mago Silvan. Il taglio di 6,5 miliardi si aggiunge a una Finanziaria di 24 miliardi, già decrepita tanto da ipotizzare una manovra correttiva nel 2005, e sommati fanno 30,5 miliardi da finanziare, 60mila miliardi delle vecchie lire. Una manovra pesantissima per le condizioni in cui versano l’economia del Paese e i bilanci delle famiglie.

La filosofia che ispira il progetto fiscale di Berlusconi tende a privilegiare i redditi più alti, i più ricchi (pur gravati da un contributo “etico” del 4%, ma solo nel 2005), che guadagneranno di più dalla configurazione delle tre nuove aliquote (ammesso che rimangano quelle annunciate: 23, 33, 39%), mentre i lavoratori dipendenti, i pensionati, la maggioranza delle famiglie avranno una piccola mancia, forse potranno pagarsi una pizza con gli sgravi di Berlusconi. Alla riduzione dell’Irpef sono destinati 6 miliardi, mentre alle imprese, che avevano sollecitato un forte sconto sull’Irap, viene destinata una piccola mancia di mezzo miliardo. Però, assicura Siniscalco non sappiamo se volendo fare dell’ironia sui poveri industriali di Montezemolo (il patto di Parma è molto lontano), questi 500 milioni saranno destinati a «sgravi intelligenti» per le imprese. Dovranno essere davvero molto intelligenti per poter determinare qualche piccolo effetto positivo. Eppure, in questa congiuntura, sarebbe stato un segnale importante favorire quelle imprese che desiderano investire in ricerca e sviluppo. Sarà per un’altra volta.

Anche se Berlusconi, con la solita abilità propagandistica amplificata dal megafono delle tv pubbliche e private, accusa il centro-sinistra di avergli impedito di rispettare finora il contratto con gli italiani, la realtà è che le promesse fiscali del centro-destra non sono state mantenute e questa manovrina sulle tasse si configura più come uno spot elettorale che una svolta. Anche il cavaliere si rende conto che non ci può essere la scossa all’economia con questi numeri e lui già sogna, come ha fatto l’amico Bush, di tagliare le tasse sfondando il deficit. Ma l’Europa non glielo consente e adesso lo vedremo dare battaglia contro le regole comunitarie di Maastricht che erano state improntate a un realistico rigore proprio perchè noi italiani eravamo i più indebitati e i meno virtuosi.

Nel corso della campagna elettorale per il voto del 2001, Berlusconi aveva promesso nella legislatura lo snellimento del sistema fiscale a una sola aliquota di fatto (una seconda era prevista solo per i supericchi) e una manovra di alleggerimento delle imposte dai 40mila miliardi di lire in su. In oltre tre anni di governo, il centro-destra ha aumentato la pressione fiscale obbligando gli Enti locali ad aumentare tasse e tariffe per potere garantire un livello di servizi e di assistenza ai cittadini.

E oggi, con la «riforma» fiscale, non si apre una nuova stagione, ma si torna indietro. Che cosa hanno scovato quei cervelloni del governo, compresi i «tecnici», per coprire i 6,5 miliardi del taglio alla tasse? Aumenteranno il prezzo delle sigarette, i bolli, saranno contabilizzati i versamenti del condono edilizio e poi ci sarà il taglio dei dipendenti pubblici: 75mila in meno in due anni. Sarà mantenuto il turn over nel Pubblico impiego, ma Berlusconi ha promesso che ogni cinque statali che andranno in pensione ci sarà spazio per un giovane. Bisogna rilevare che c’è un particolare e coerente accanimento di questo governo nei confronti degli oltre 3 milioni di lavoratori del Pubblico impiego, quasi fosse una categoria da colpire e penalizzare come viene espresso senza fronzoli dalla Lega di Bossi: non si rinnova il contratto di lavoro, non si assume nessuno e si cacciano pure i dipendenti con contratti a tempo determinato.

Nonostante la svolta «epocale» di Berlusconi, fino a ieri sera, i conti ancora non tornavano: a fronte di un piano fiscale di 6,5 miliardi, la copertura accertata appare vicina ai 4,5 miliardi. Mancherebbero circa 2 miliardi (un buco di competenza) e allora bisogna immaginarsi qualche ulteriore novità nel maxi emendamento, o nel corso del dibattito sulla Finanziaria al Senato. Tuttavia Berlusconi ha garantito che la copertura è certa, di più: è certificata dalla Ragioneria dello Stato. Complimenti, dunque, al professor Grilli che ha messo a disposizione il suo talento e la sua credibilità per questa manovra. Con questa operazione fiscale, Berlusconi prepara la sua lunga campagna elettorale. Potrebbe fare la fine di George Bush padre quando promise agli americani: read my lips, no more tax. Leggete bene le mie labbra, niente più tasse. Ma gli americani si accorsero che il fisco, invece, era diventato più pesante e si affidarono al democratico Clinton per otto anni. Anche in Italia le tasse stanno aumentando.

Tratto da l'Unità del 26 novembre 2004

mercoledì 24 novembre 2004

martedì 23 novembre 2004

Garofanoni e Margheritucci

Rutelli imbarca Manca, La Ganga e la Parenti. Chi sono?
I protagonisti di un vecchio film che non ci va di rivedere

di Giampaolo Pansa

A volte ritornano, certi fantasmi. Ma soltanto perché qualcuno li chiama. Francesco Rutelli ha chiamato nel vertice della Margherita due spettri dell'era craxiana. E loro hanno risposto. I due sono Enrico Manca e Giusi La Ganga che, ai tempi di Bettino, erano pezzi da novanta. Dirò più avanti perché Rutelli, d'accordo con Franco Marini, ha fatto un errore. E ne spiegherò i motivi, che sono tanti. Ma ce n'è uno che devo chiarire subito. Poiché riguarda una domanda che molti elettori dell'Ulivo, specie i più giovani, di certo si porranno: ma chi cavolo sono questi Manca e La Ganga?

La domanda è giustificata da una fantozziana realtà: la politica è un tritasassi anche più feroce della tivù e, se salti una stagione, nessuno si rammenta più di te. Dunque, ricordiamo e spieghiamo, cominciando da Manca. La memoria mi rimanda al luglio 1976, l'estate dell'avvento di Bettino Craxi al vertice del Psi. Il partito era stato appena bastonato dagli elettori (9,6 per cento). E contava di salvarsi cambiando segretario. Il giurista Federico Mancini mi riassunse tutto con una filastrocca: 'Noi compagni socialisti / siamo stanchi e un poco tristi. / De Martino quest'estate / lo finiamo a fucilate. / Tutto quanto rinnoviamo, / Benny Craxi ci mettiamo'.

Il professor Francesco De Martino, il segretario della sconfitta elettorale, venne sbalzato di sella anche per il tradimento di Manca, il suo pupillo politico. Fu Enricuccio, con Claudio Signorile e Giacomo Mancini, a issare sul trono Bettino. All'hotel Midas si vissero ore convulse. De Martino stava affondato in una poltrona del bar, disfatto, le occhiaie pendule, lo stecchino fra i denti. Manca gemeva, ma trionfava. Sapeva di aver compiuto un parricidio politico doloroso, però necessario. E poi lui e Signorile erano convinti che Craxi sarebbe stato un re travicello. Pensavano, gongolanti: "Noi ti abbiamo creato, noi possiamo distruggerti!".

Accadde tutto il contrario. Manca, accusato di filocomunismo, fu costretto a diventare filocraxiano. Per anni, dentro il Psi, fu lo Sconfitto. Ma anche la prova vivente della magnanimità di Bettino, tanto generoso da farlo ministro per il Commercio con l'estero. Poi, nel maggio 1981, uscì la lista della loggia P2. Manca ci figurava, e non era l'unico dei socialisti. Pianse di rabbia, negando ogni rapporto con Licio Gelli: "Non ho niente da nascondere. Subisco una violenza morale intollerabile!". Un paio di sentenze gli diedero ragione, ma nel frattempo aveva dovuto lasciare il ministero e ricominciare una carriera politica. Ce la fece e, sempre grazie a Craxi, divenne presidente della Rai. Lo rimase per sei anni, rivelando di essere un mago della lottizzazione. Infine sparì, nel crollo della Prima Repubblica. Oggi, sbagliando, lo pensavamo un illustre pensionato di 73 anni, con cinque legislature alle spalle.

Meno romanzesca la carriera di La Ganga. Alto, massiccio, 56 anni, quattro volte deputato, cordiale, irruento, era un Gianduja d'acciaio, che a Torino faceva e disfaceva a piacer suo. Un vero ras, ma capace di sorridere anche di quel cognome che si prestava a ironie micidiali. E che ispirò un'indimenticata vignetta del primo Forattini. Si vedeva Craxi vestito come Al Capone, che avanzava gridando: "Fermi tutti! Arriva la ganga". Era il marzo 1983 e sotto la Mole esplodeva una Tangentopoli locale. Pure Giusi incontrò un paio di disavventure giudiziarie, entrambe a lieto fine. E concluse la carriera da potente responsabile degli Enti locali, travolto dal crack della Sacra Famiglia craxiana.

Adesso il vecchio film sembra destinato ad avere un seguito. E con il concorso di una protagonista femminile: Tiziana Parenti. Già magistrato del pool di Milano, poi passata a Forza Italia, la ricordo alla prima convention elettorale di Berlusconi. Tra le urla di gioia dei forzisti, fu accolta sul palco così: "Ecco il nostro futuro ministro della Giustizia!". Non andò in questo modo, naturalmente. Oggi la signora entra nella Margherita come uno degli intellettuali al seguito di Manca. Che spiega a 'Repubblica', con la sicumera di sempre: "La nostra componente liberale e socialista farà da calamita per i delusi della Casa delle libertà". Più furbo, La Ganga ha scelto di tacere, almeno per ora.

'Un petalo socialista con la Margherita' è l'insegna dell'operazione che il Bestiario preferisce appellare 'Garofanoni e Margheritucci'. Ecco un innesto ben poco convincente. C'è già un partito, quello di Enrico Boselli, per drenare i pochi voti ex craxiani disponibili a passare con l'Ulivo. Rutelli & Marini non ne ricaveranno nulla. Accolgono signore e signori senza seguito elettorale. Sconosciuti ai più. Che accrescono il vecchio di un Ulivo che dovrebbe guardare in avanti e non all'indietro.
È vero che anche nel centro-sinistra i reduci della Prima Repubblica sono tanti, nei Ds per cominciare. Ma c'è un limite a tutto. Scomparso Craxi, sono rimasti quelli che chiamavamo 'i suoi cari'. Si conquista con loro il mitico centro? Ma non fatemi ridere! Perché, se rido troppo, non vado più a votare.

L'espresso

Il sultano Silvio e il futuro Fininvest

Con la tv fa nove volte gli utili della analoga tv privatizzata francese. Ma sta per disfarsene perché vuole entrare in un nuovo e più redditizio business. E diventare il numero uno del mondo
di Eugenio Scalfari

Abbiamo di recente appreso da una graduatoria effettuata da un'agenzia internazionale di ricerche e di analisi che Silvio Berlusconi occupa il quarto posto nella classifica degli uomini più ricchi e dotati di maggiore influenza nel mondo. Avete capito bene: nel mondo. Il sultano del Bahrein è forse leggermente più ricco di lui, ma non ha alcuna influenza. Bill Gates infatti lo supera, ma Berlusconi viene subito dopo. È entrato in una sorta di Guinness dei primati.
Come non esserne fieri? L'Amor nostro, come lo chiama Giuliano Ferrara non so se con una punta di ironia o con franca e affettuosa ammirazione, fa bella figura e la fa fare a tutto il paese da lui così brillantemente rappresentato.

Adesso è molto preso dal problema di sistemare nel modo migliore il suo gigantesco patrimonio assicurando pace e concordia tra i suoi figli ed eredi (speriamo tra cent'anni) e tanto per cominciare ha già assicurato alle sue televisioni, a partire dal 2006, le partite del campionato di calcio attualmente trasmesse dal canale sportivo di Sky News. Il che significa maggior reddito e maggior valore.
Del resto basta confrontare gli utili conseguiti dalla televisione francese ex pubblica con quelli di Canale 5 di Mediaset. Sono due emittenti, entrambe private, che hanno analoga diffusione nei rispettivi paesi e analogo volume di fatturato. Ma l'utile della tv francese è stato nell'ultimo anno di 100 milioni di euro mentre quello di Canale 5 è arrivato a 900.

Il miracolo (nove volte di più) è dovuto al fatto che la convenzione con lo Stato francese impone alla concessionaria una serie di investimenti in ricerca e in programmi di utilità pubblica più costosi e profittevoli, mentre lo Stato italiano non impone assolutamente nulla a Mediaset. Di qui il miracolo dell'Amor nostro e del suo fedele Confalonieri.
Il gruppo Fininvest-Mediaset è dunque arrivato al culmine del suo valore patrimoniale e il proprietario sta seriamente pensando di venderlo. Prima che cominci quell'inevitabile declino che incombe su tutte le costruzioni umane.

Ricordo ancora che mio padre, quando mia madre si addolorava perché qualche pezzo del suo servizio di cristalleria avuto in dono di nozze finiva in frantumi, cercava di consolarla ricordandole che anche l'impero romano era stato distrutto. E così accadrà anche a Canale 5. Perciò meglio disfarsene prima. Ci saranno dei miliardoni per i ragazzi della famiglia, ma il grosso l'Amor nostro lo reinvestirà in una delle grandi multinazionali della comunicazione, quelle che accoppiano insieme telefonia, reti satellitari, grande distribuzione, 'hardware' di trasmissioni informatiche con centinaia di canali e 'software' di programmi. Con la fondata speranza di ascendere al primo posto della classifica mondiale degli uomini più ricchi e potenti.

Molti gonzi pensavano che Berlusconi volesse entrare nella storia come il più grande statista italiano. Ma vogliamo scherzare? L'orizzonte italiano è supremamente provinciale. Gli va stretto. Lo obbliga perfino a comporre le liti tra Fini e Calderoli e a confrontarsi con Siniscalco. Miserie. Le vette sono ben più alte.
Nel frattempo la nostra piccola Rai si accinge a privatizzarsi. Nel modo più idiota, quello ipotizzato e anzi codificato nella legge Gasparri: il 20 per cento in Borsa in quote non superiori all'1 per cento. Una manciatina di spiccioli che non spostano il controllo governativo sull'emittente pubblica. Ma impongono alla medesima la produzione di valore immediato, ponendo in terza e quarta fila i programmi che dovrebbero caratterizzare il servizio pubblico.

Questa è una vecchia questione che continua ad alimentare dibattiti accademici del tutto inutili e diseducativi, scambiando la noiosa seriosità del servizio pubblico con le effervescenti bollicine della tv commerciale.
Balle. Ci sono ottimi servizi tipici di un'emittente pubblica e capaci di raggiungere punte eccezionali di ascolto (la fiction su Borsellino insegni) che la Rai produce ma, chissà perché, nasconde tra le pieghe del suo improbabile palinsesto.
Un esempio? Rai Educational, guidata da Gianni Minoli, produce da qualche mese inchieste di notevole interesse che meriterebbero la prima o la seconda serata. Ma potrebbero disturbare i vari califfati della nostra emittente pubblica. Perciò meglio tenerli in soffitta, mettendoli in rete all'una di notte o alle otto del mattino. Qualche volenteroso affetto da insonnia li vedrà.
C'è del senno in questa follia? Non direi. Eppoi non è nemmeno follia, ma semplice stupidità.

L'espresso

Fassino: "Gad cambia nome ci chiameremo 'Alleanza'"

Il leader dei Ds raccoglie l'invito lanciato da Rutelli
Il primo a dirsi scettico sulla sigla era stato Prodi


ROMA - Più rapidi di due meteore Gad e Fed rischiano di essere termini in via di scomparsa dal vocabolario politico italiano. Ora nel centrosinistra sono tutti d'accordo: quei due acronimi sono troppo ostici per dare il là alla stagione della riscossa.

"Benissimo chiameremo la Gad 'Alleanza' e la Fed 'Ulivo', come aveva proposto per primo Romano Prodi". Il segretario Ds Piero Fassino ha risposto così oggi a Francesco Rutelli, che in una intervista a La Repubblica proponeva di cambiare il nome della coalizione e della federazione riformista.

"Il nostro elettorato - spiegava il leader della Margherita - deve potersi riconoscere in un nome che trasmetta l'idea di un progetto, che indichi la strada di un cambiamento, che evochi una speranza. Non possiamo certo accontentarci del primo appellativo che ci è stato affibbiato: troviamone uno tutti insieme con Romano Prodi perché Gad e Fed sono davvero indigeribili, sembrano quasi il nome del prossimo cartone di Disney".

Lo stesso Prodi, del resto, come ha ricordato oggi Fassino, ha più volte lasciato intendere di non apprezzare i due neologismi politici più di tanto. Troppo altisonante e trionfalistico per i gusti misurati del Professore quel "Grande Alleanza Democratica". "Perché - si chiedeva nei giorni scorsi Prodi - non chiamarla più semplicemente: l'Alleanza?".

Ben contento di mandare subito in soffitta Gad e Fed è anche il presidente dei Verdi Pecoraro Scanio, che non rinuncia però a una nota polemica. "L'abbreviazione Gad non ci ha mai
visti entusiasti - ammette - ma oggi prioritario non è il nome bensì il programma e le regole dell'alleanza democratica di centrosinistra".
(23 novembre 2004)

http://www.repubblica.it/2004/k/sezioni/politica/proditorna/allfas/allfas.html

I miei occhi hanno visto telegiornali...

di Alessandro Robecchi

Ho visto i telegiornali, sono informatissimo, so tutto quello che succede in Italia e nel mondo. Per esempio che hanno messo una pinna di plastica al delfino malato (Tg5). Oppure - caso davvero clamoroso, dove andremo a finire? - che a Mosca è arrivata la neve il 19 novembre (ancora Tg5). Poi si parla un po' di Wanna Marchi. Visto come sono informato? La frequentazione assidua del telegiornale dei puffi di Italia Uno mi sta facendo diventare un esperto di glutei. Con il freddo che fa fuori se vuoi vedere una spiaggia assolata e un bel paio di tette, c'è il servizio sul calendario del giorno, poi le ultime sul Grande Fratello, poi uno speciale sul Grande Fratello dell'anno scorso. C'è l'intervista ai giovani che guardano il Grande Fratello. E' l'informazione ai tempi del colera. Conto i casi di censura degli ultimi giorni, vanno da Hendel a Guerritore (Raiuno), da Travaglio (Sky) alla Mussolini (Raidue). A Radiorai, i giornalisti si sentono ordinare "vola più basso". Emilio Fede, scusate il termine, dà dei "terroristi" ai suoi redattori. Cade Mentana, il che significa che si è passati dalla fucilazione dei nemici (i Biagi, i Santoro) a quella degli amici non troppo stretti. I neutrali (ammesso che Mentana lo fosse) non sono più tollerati: la legge Gasparri li rende obsoleti, è autunno, cadono le foglie, anche quelle di fico. Col Tg1 imparo le sottigliezze della lingua. Se nel pastone politico si dice che "la maggioranza cerca l'intesa", significa che sono in corso sparatorie e agguati tra i banchi della destra. Se gli scappa detto che c'è "qualche disagio nella maggioranza" significa che siamo arrivati ai sacrifici umani. Funziona uguale Bruno Vespa: quando vedo che parla d'altro (le sette sataniche, la cronaca nera, i tarocchi) vado subito a controllare che non sia successo qualcosa di brutto a Silvio e ai suoi boys. Di solito è così: parlar d'altro, volare bassi è sempre una buona tattica. Per fortuna che c'è il Tg2, che ci racconta la ricetta della felicità: una sola aliquota fiscale del 19 per cento uguale per tutti, quella sì che è civiltà, ma purtroppo succede in Slovacchia.

In tutta questa libertà di informazione in cui mi immergo quotidianamente, sento un po' la mancanza della signora Gardini, la nuova portavoce di Forza Italia. Sarà che la voce di Silvio la portano tutti e dunque il suo ruolo è un po' superato. Sarà che l'inesperienza le ha giocato brutti scherzi e si è fatta beccare mentre raccontava in pubblico che Tremonti ha una macchinetta per mettersi le supposte. Ma sta di fatto che gli spazi della signora sono troppo stretti, che si potrebbe fare di più. Il portavoce serve essenzialmente per chiudere i panini del Tg1. Sapete come succede: si dice bene del governo, si dà spazio a una millimetrica dichiarazione della sinistra (a volte di Rutelli, perché la confusione mentale fa sempre ascolto) e poi si chiude con una dichiarazione della maggioranza. Ogni tanto si sbagliano: danno la reazione del governo prima ancora della notizia. Altre volte fanno prima e non danno nemmeno la notizia. E' questo meccanismo dell'informazione italiana che ci ha fatto conoscere Schifani. E' questo che ha reso popolare Bondi. E' con i grandi caratteristi che si fa il cinema. La Gardini, invece, si vede poco, se non la invitasse Vespa ogni tanto sarebbe un portavoce abbastanza afono. E' un caso di censura? Anche se le voci sono quelle di Silvio è giusto che il servizio pubblico faccia sentire tutte le voci di Silvio. Devo forse pensare che la Gardini sia considerata dai suoi stessi capi più impresentabile di Bondi? Non capisco perché la sinistra, sempre pronta a difendere i martiri della censura, non muova un dito per questa signora tanto a modo che - a parte quando parla delle supposte di Tremonti - porge con tanta grazia le opinioni del suo capo. Non straborda, non tracima come i suoi colleghi. Pratica l'arte della toccata e fuga. Ogni tanto spunta la Gardini e dice: tagliamo l'irpef! Zam, un lampo, e poi si continua con lo scandalo del maltempo o l'ammazzamento del giorno. Il portavoce subliminale funziona proprio così: un flash e si ritira nelle tenebre, le sue parole rimbombano per un istante e poi si torna ai cuccioli di iguana dello zoo di Pechino: giusto per la completezza dell'informazione.

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/21-Novembre-2004/art8.html

Explorer sotto il 90 per cento, è la prima volta in sei anni

Nuovo colpo al browser di casa Microsoft, in flessione da mesi
Sempre più utenti scelgono il concorrente open source Firefox

di Alessio Balbi

ROMA - Firefox segna un altro punto a suo favore nella guerra dei browser: Internet Explorer, dominatore del mercato e suo principale concorrente, è sceso per la prima volta dal 1998 sotto la soglia del 90 per cento di utenti.

Secondo la società di ricerche olandese OneStat.com, nella terza settimana di novembre Explorer è stato usato dall'88,9 per cento dei navigatori, con una flessione di 5 punti rispetto a maggio. Gli utenti che abbandonano Explorer, secondo OneStat, stanno passando quasi in blocco a Firefox, che proprio questa settimana ha festeggiato il 5 milionesimo download.

I numeri di OneStat confermano una tendenza già evidenziata nei mesi scorsi da un'altra società, la statunitense WebSideStory, secondo la quale la quota di mercato di Internet Explorer era passata in tre mesi dal 95,5 al 93,7 per cento.

Si può parlare di crisi per un prodotto che comunque continua a essere usato da oltre otto utenti su dieci? Ovviamente no. Ma la flessione di Explorer è ormai costante da alcuni mesi, e non può essere attribuita a fattori "stagionali". Microsoft, d'altronde, sa meglio di ogni altra compagnia quanto sia difficile conservare un predominio di mercato all'apparenza inattaccabile.

A metà degli anni Novanta, la società di Redmond non aveva neanche un browser. Su internet dominava Netscape Navigator, creato nel 1993 dagli universitari Marc Andressen e Eric Bina. Quando, nell'ottobre del 1997, Microsoft decise di fare sul serio rilasciando Explorer 4.0, gli sviluppatori di Netscape si sentivano talmente sicuri del fatto loro che inserirono nel navigatore una scritta: "Netscape 72, Microsoft 18", riferendosi alle quote di mercato dei due browser. Un anno più tardi, grazie a una politica aggressiva e spregiudicata, Explorer era usato dal 96 per cento dei navigatori, e Netscape era condannato a morte.

Ufficialmente, comunque, Microsoft non sembra credere che la storia possa ripetersi a parte invertite: "Credo che alla fine la maggior parte degli utenti deciderà che Explorer è la scelta migliore", dichiara Gary Schare, responsabile del product management per Windows. "Nel frattempo siamo contenti che anche Firefox faccia parte di quel grande ecosistema di prodotti disponibili su Windows".

Firefox è un software open source sviluppato dalla Mozilla Foundation, organizzazione nata da una costola di Netscape. Firefox 1.0, prima versione stabile del browser, è stata lanciata due settimane fa ed è stata scaricata finora 5,6 milioni di volte.
(23 novembre 2004)

http://www.repubblica.it/2004/k/sezioni/scienza_e_tecnologia/firefox/novpercento/novpercento.html

The Economist, 20 novembre 2004

«Emerge sotto gli occhi di tutti la fragilità dell’economia italiana, e quanto poco è stato fatto dal governo Berlusconi per rianimarla. Non c’è alcun segno di rinnovamento, riforma o rilancio. Anzi la situazione peggiora».

The Economist, 20 novembre

lunedì 22 novembre 2004

Repubblica.it / Carta Canta: - La sai la penultima?

"Silvio Berlusconi pensa a misure forti, 'shock', di riduzione della spesa per consentire poi un taglio netto delle tasse. Il premier, parlando con i giornalisti a margine della festa dell'Indipendente, fa riferimento a misure complessive per 24 mila miliardi di vecchie lire per garantire entro la legislatura la riduzione delle aliquote al 33% e al 23% come promesso nel contratto firmato con gli italiani. 'E' un impegno solenne' che il premier prende. Dicendo che se non sarà rispettato, 'neanche si presenterà' alle prossime elezioni. Berlusconi ha quindi chiarito che sono già allo studio delle misure che potranno essere varate nel giro di qualche settimana, entro aprile, per consentire un risparmio di spesa intorno ai 6 miliardi di euro, circa 12 mila miliardi delle vecchie lire... Si tratta di misure che saranno poi esaminate in una riunione collegiale di maggioranza e successivamente dal Consiglio di gabinetto per poi approdare al Consiglio dei ministri, appunto, entro aprile 2004' (Ansa, 10 marzo 2004)."

Il matrimonio? Un dovere...

di Maria Novella Oppo

Si è messa in moto la propaganda alla Bush sui 'valori' non bollati, sperando che frutti qualcosa anche da noi. Ed ecco che, nella stessa sera, Giuliano Ferrara si esibisce nel ruolo di Antonio Socci alla difesa del santo embrione, mentre Bruno Vespa celebra matrimoni sacri e inviolabili. Due ministri in studio: il bofonchiante Giovanardi e la 'bella e alta' (come l'ha definita Berlusconi) Prestigiacomo. A difendere il diritto delle coppie di fatto (etero o omo) c'era Grillini, catapultato da una macchina del tempo in un secolo buio e ipocrita. Giovanardi ha tentato una nuova difesa postuma del martire Buttiglione, spiegando che anche tradire la moglie è peccato, ma nessuno discrimina il peccatore. In attesa che qualcuno provveda a sanare questo vuoto di sanzioni, la Prestigiacomo ha confessato di capire i gay, ma non le coppie eterosessuali che non vogliono sposarsi, perché pretendono dei diritti senza sobbarcarsi doveri. Capito? Il matrimonio è già diventato un dovere (a quando l'obbligo?) per gli eterosessuali che convivono ma non vogliono sposarsi, mentre per i gay che lo vogliono è vietato. Siamo nati per soffrire.

http://www.gaynews.it/view.php?ID=30010

Uno straccio di laicità

Sex crimes and the Vatican

Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.