martedì 23 novembre 2004

Il sultano Silvio e il futuro Fininvest

Con la tv fa nove volte gli utili della analoga tv privatizzata francese. Ma sta per disfarsene perché vuole entrare in un nuovo e più redditizio business. E diventare il numero uno del mondo
di Eugenio Scalfari

Abbiamo di recente appreso da una graduatoria effettuata da un'agenzia internazionale di ricerche e di analisi che Silvio Berlusconi occupa il quarto posto nella classifica degli uomini più ricchi e dotati di maggiore influenza nel mondo. Avete capito bene: nel mondo. Il sultano del Bahrein è forse leggermente più ricco di lui, ma non ha alcuna influenza. Bill Gates infatti lo supera, ma Berlusconi viene subito dopo. È entrato in una sorta di Guinness dei primati.
Come non esserne fieri? L'Amor nostro, come lo chiama Giuliano Ferrara non so se con una punta di ironia o con franca e affettuosa ammirazione, fa bella figura e la fa fare a tutto il paese da lui così brillantemente rappresentato.

Adesso è molto preso dal problema di sistemare nel modo migliore il suo gigantesco patrimonio assicurando pace e concordia tra i suoi figli ed eredi (speriamo tra cent'anni) e tanto per cominciare ha già assicurato alle sue televisioni, a partire dal 2006, le partite del campionato di calcio attualmente trasmesse dal canale sportivo di Sky News. Il che significa maggior reddito e maggior valore.
Del resto basta confrontare gli utili conseguiti dalla televisione francese ex pubblica con quelli di Canale 5 di Mediaset. Sono due emittenti, entrambe private, che hanno analoga diffusione nei rispettivi paesi e analogo volume di fatturato. Ma l'utile della tv francese è stato nell'ultimo anno di 100 milioni di euro mentre quello di Canale 5 è arrivato a 900.

Il miracolo (nove volte di più) è dovuto al fatto che la convenzione con lo Stato francese impone alla concessionaria una serie di investimenti in ricerca e in programmi di utilità pubblica più costosi e profittevoli, mentre lo Stato italiano non impone assolutamente nulla a Mediaset. Di qui il miracolo dell'Amor nostro e del suo fedele Confalonieri.
Il gruppo Fininvest-Mediaset è dunque arrivato al culmine del suo valore patrimoniale e il proprietario sta seriamente pensando di venderlo. Prima che cominci quell'inevitabile declino che incombe su tutte le costruzioni umane.

Ricordo ancora che mio padre, quando mia madre si addolorava perché qualche pezzo del suo servizio di cristalleria avuto in dono di nozze finiva in frantumi, cercava di consolarla ricordandole che anche l'impero romano era stato distrutto. E così accadrà anche a Canale 5. Perciò meglio disfarsene prima. Ci saranno dei miliardoni per i ragazzi della famiglia, ma il grosso l'Amor nostro lo reinvestirà in una delle grandi multinazionali della comunicazione, quelle che accoppiano insieme telefonia, reti satellitari, grande distribuzione, 'hardware' di trasmissioni informatiche con centinaia di canali e 'software' di programmi. Con la fondata speranza di ascendere al primo posto della classifica mondiale degli uomini più ricchi e potenti.

Molti gonzi pensavano che Berlusconi volesse entrare nella storia come il più grande statista italiano. Ma vogliamo scherzare? L'orizzonte italiano è supremamente provinciale. Gli va stretto. Lo obbliga perfino a comporre le liti tra Fini e Calderoli e a confrontarsi con Siniscalco. Miserie. Le vette sono ben più alte.
Nel frattempo la nostra piccola Rai si accinge a privatizzarsi. Nel modo più idiota, quello ipotizzato e anzi codificato nella legge Gasparri: il 20 per cento in Borsa in quote non superiori all'1 per cento. Una manciatina di spiccioli che non spostano il controllo governativo sull'emittente pubblica. Ma impongono alla medesima la produzione di valore immediato, ponendo in terza e quarta fila i programmi che dovrebbero caratterizzare il servizio pubblico.

Questa è una vecchia questione che continua ad alimentare dibattiti accademici del tutto inutili e diseducativi, scambiando la noiosa seriosità del servizio pubblico con le effervescenti bollicine della tv commerciale.
Balle. Ci sono ottimi servizi tipici di un'emittente pubblica e capaci di raggiungere punte eccezionali di ascolto (la fiction su Borsellino insegni) che la Rai produce ma, chissà perché, nasconde tra le pieghe del suo improbabile palinsesto.
Un esempio? Rai Educational, guidata da Gianni Minoli, produce da qualche mese inchieste di notevole interesse che meriterebbero la prima o la seconda serata. Ma potrebbero disturbare i vari califfati della nostra emittente pubblica. Perciò meglio tenerli in soffitta, mettendoli in rete all'una di notte o alle otto del mattino. Qualche volenteroso affetto da insonnia li vedrà.
C'è del senno in questa follia? Non direi. Eppoi non è nemmeno follia, ma semplice stupidità.

L'espresso

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