sabato 21 maggio 2005

L'ulivo e la cicoria

di EZIO MAURO

PROPRIO nel giorno in cui l'Economist additava alla comunità internazionale l'Italia come il vero "malato d'Europa" (con un'economia stagnante, un business depresso, un sistema di riforme moribondo, una mancanza di regole drammatica) il centrosinistra si è spaccato in due, divaricando le sue strategie e le sue prospettive, avvelenando i suoi rapporti interni, mettendo nuovamente in dubbio - davanti ai cittadini - la sua capacità di sfidare vittoriosamente Berlusconi nel 2006, e soprattutto di creare una cultura di governo moderna ed europea, in grado di ridare slancio, fiducia e credibilità ad un Paese in declino, senza più missione.

Il problema non è la lista unitaria alle elezioni politiche, a cui la Margherita si è opposta ieri con un voto chiaro e netto, che ha consegnato il partito a Rutelli e ha messo in minoranza i prodiani. I cittadini di centrosinistra capiscono che si è rotto un progetto più grande, un percorso ambizioso, un disegno che puntava a unire davvero all'ombra dell'Ulivo la cultura cattolico-democratica con quella post-comunista e quella socialista: costruendo non tanto un partito unico, oggi impossibile e controproducente, ma un perimetro e un baricentro finalmente riformista nel centrosinistra italiano, capace di funzionare da guida e cabina di regia dell'intero schieramento, nella competizione-alleanza con la sinistra più radicale. Qualcosa che la sinistra non ha mai avuto, in Italia, e che è indispensabile se si ha l'ambizione di governare, e prima di vincere, e prima ancora di parlare all'intero Paese.

La Margherita sembra voler sostituire a questo progetto riformista d'impianto maggioritario un'opzione centrista, perfettamente legittima perché non ha alcuna ambiguità di schieramento, ma che sembra avere lo slogan del "riformismo in un solo partito", e individua nei ds il principale competitore da superare prima di poter costruire qualsiasi progetto unitario: come ripeteva Craxi al Pci, nell'epoca in cui il comunismo e la sua pratica egemonica esistevano davvero.

D'altra parte, la Margherita pensa così di poter crescere come il soggetto più adatto ad intercettare lo smottamento del centrodestra: divisi e sciolti, dunque, ma con un saldo elettorale che può far vincere il centrosinistra. Fino a costruire dopo la vittoria, addirittura, le basi di un nuovo partito democratico che raccolga l'intuizione dell'Ulivo, ma la porti fuori da ogni replica novecentesca e socialdemocratica.

Resta il fatto che la meta è lontana, e oggi bisogna fare i conti con un'altra rottura a sinistra che dopo dieci anni rischia di cancellare l'Ulivo - e ciò che potenzialmente significa - dal panorama politico italiano. Dopo la stagione dell'Ulivo, potremmo dire, comincia quella della cicoria. Per un danno così rilevante, le responsabilità vanno distribuite equamente.

Rutelli da tempo voleva le mani libere e alla prima occasione ha portato la rottura fino in fondo, privilegiando il profilo del suo partito a quello del centrosinistra. Prodi in questi mesi non ha esercitato una funzione obbligatoria della leadership, che è la capacità di unire, ed è mancato non tanto di autorità quanto di carisma: fino ad assistere al testa-coda spettacolare e assurdo di Bertinotti che solidarizza con i no global impegnati a occupare la "Fabbrica" prodiana del programma dell'Unione di cui il leader di Rifondazione fa parte.

Fassino e D'Alema hanno delegato all'ingegneria politica ulivista (invece che a uno sforzo culturale) la soluzione dell'identità del loro partito, e oggi si trovano senza un apriscatole esterno, dentro una stagione post-comunista troppo lunga.

Ma più dei destini individuali dei leader, è il destino della sinistra italiana che preoccupa, perché rischia di restare nuovamente incompiuto, anche alla fine del ciclo dell'Ulivo, con evidenti riflessi sul sistema politico bipolare, dunque sul Paese. Con una formula, e pensando alla diagnosi drammatica dell'Economist per l'Italia, potremmo concludere che la destra, da noi, è preoccupante per ciò che è. La sinistra, per ciò che non è, e non riesce ad essere. Ancora una volta.

(21 maggio 2005)

http://www.repubblica.it/2005/e/sezioni/politica/fed/cicoria/cicoria.html

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