Il Prof per la prima volta salta l'ostacolo della «libertà di coscienza» rivelatasi inadeguata
domenica 24 luglio 2005 , di Il Riformista
ANALISI. di STEFANO CECCANTI
La presa di posizione di Romano Prodi sui Pacs ha un'importanza che trascende il tema. Per la prima volta viene abbandonata la linea della cosiddetta libertà di coscienza, rivelatasi inadeguata. Essa infatti era la rassegnazione alle appartenenze pregresse: i cattolici esonerati dall'assumersi una responsabilità propria nel trovare mediazioni ragionevoli, i laici lasciati a protestare contro le ingerenze e a rimpiange-re la Dc che affrontava separatamente le questioni coi vescovi per poi presentarsi al confronto esonerando la Chiesa da molti interventi diretti. E evidente che chi, come Prodi, vuole consolidare un nuovo sistema politico, di cui le primarie sono un passaggio, debba affermare un nuovo modello di laicità di tipo inclusivo, in cui chiunque. vescovi compresi, può entrare nel dibattito politico e legislativo, senza che le forze politiche abdichino al proprio dovere. La libertà di coscienza dei parlamentari si esercita rispetto ad una linea che c'è, non rispetto ad un'assenza di linee.
Quest'ultima, infatti, ben difficilmente potrebbe portare leggi ragionevoli e con ampi consensi per il mero aggregarsi di scelte di singoli. Potrebbe invece più probabilmente portare, nell'assenza di un ruolo unificante delle forze politiche a scontri traversali tra maggioranze ristrette che farebbero riferimento ad appartenenze esterne al Parlamento, ad una sorta di vincolo di mandato con Chiese, logge, lobbies. Le coalizioni italiane sono chiamati a fare un passo avanti, non indietro, in termini di responsabilizzazione collettiva; ciò non al fine di precostituire rigidi schieramenti, ma di realizzare su questi temi ampie convergenze. Qui si colloca il secondo merito della posizione di Prodi, l'aver scelto come riferimento un modello, quello dei Pacs francesi, che per il fatto di essere un ragionevole punto di mediazione tra l'irrilevanza giuridica delle unioni e l'equiparazione al matrimonio non solo si presta a una convergenza tra laici e cattolici del centrosinistra, ma anche con larga parte dello schieramento opposto, in alternativa a una logica di bipolarismo etico. Quest'ultimo punto dovrebbe essere evidente: il Pacs è stato approvato in Francia anche da parte del centrodestra (che si è ben guardato dal toccarlo dopo l'alternanza) e lo stesso Partito Popolare spagnolo lo ha sostenuto in alter-nativa alla legge di Zapatero. Potrebbe incontrare un'ostilità sproporzionata da parte della Chiesa cattolica? Questo è forse l'aspetto più urgente da chiarire per capire che la preoccupazione appare infondata. La Chiesa nella sua dottrina ufficiale, ribadita in ultimo dal Compendio della Dottrina sociale, sul piano legislativo si limita a condannare «l'eventuale equiparazione legislativa tra la famiglia e le unioni di fatto» sia quelle eterosessuali perché precarie sia quelle omosessuali perché non conformi alla legge morale. Non quindi un riconoscimento diverso dall'equiparazione. Che poi singoli uomini di Chiesa, per loro impostazione personale o generazionale, sia-no anche contrari a questa so-glia diversa, è del tutto legittimo, ma è altra questione. Anzi vanno segnalate negli ultimi anni alcune autorevolissime posizioni in senso chiaramente favorevole, anche con riferimento esplicito ai Pacs francesi. Si tratta soprattutto di ve-scovi canadesi e spagnoli: essendo nei loro paesi entrata nel dibattito la soluzione estrema dell'equiparazione, essi si sono sentiti in dovere di precisare bene i limiti accettabili del riconoscimento giuridico che, in sostanza, consistono nel non chiamare come matrimonio delle unioni diverse e nel non consentire l'adozione. Il cardinale Ouellet, primate del Canada, in una dettagliata presa di posizione rivolta ai parlamentari, affinché essi potessero «votare in piena libertà, con una coscienza illuminata sulle sfide e le implicazioni», il 22 gennaio scorso ha richiamato l'esistenza in varie province della «forma giuridica dell'unione civile che garantisce alle persone di orientamento omosessuale alcuni benefici sociali e patrimoniali. Tale quadro giuridico protegge il loro diritto». Pertanto «essendo tale constatazione fatta e accettata, siamo ora di fronte a una so-glia critica nell'evoluzione sociale e culturale... e bisogna riflettere molto seriamente prima di superarla» finendo con l'includere «due realtà così diverse sotto una medesima categoria», falsando «il senso delle parole che devono designare la realtà obiettiva e non aggiustare la realtà ai nostri desideri». Qualche giorno prima monsignor Blanchet, altro vescovo canadese, aveva ancor più chiaramente affermato che «altri Paesi, come la Francia, hanno misurato meglio di noi l'importanza di questa sfida. La Francia ha creato i Pacs», che sono rapidamente illustra-ti nei loro vari aspetti senza nessun commento critico. An-che il nuovo presidente della Conferenza episcopale spagnola monsignor Blazquez, in una conferenza dello scorso 4 luglio, ha chiarito che l'opposizione della Chiesa alla legge voluta da Zapatero non va visto solo in negativo,dato che essa ha invitato a prendere come esempio «altri Paesi intorno alla Spagna» che hanno scelto «altre forme di rispetto e di salvaguardia di possibili diritti degli omosessuali, fiscali, di sicurezza sociale e altri, come si è fatto in Francia col cosiddetto Pacs». La questione era stata del resto autorevolmente affrontata anche dal cardinal Martini, allora arcivescovo di Milano, nel discorso alla città per la vigilia di S. Ambrogio nel 2000. Martini, partendo dalle sentenze della nostra Corte costituzionale che hanno creato un primo parziale (anche se inevitabilmente frammentario) riconoscimento giuridico delle unioni, ha sostenuto l'opportunità di «considerare l'eventuale rilevanza giuridica di altre forme di convivenza» purché non si pretenda «l'equiparazione» alla famiglia. «L'autorità pubblica - sostiene Martini sulla medesima linea dei Pacs - dunque può adottare un approccio pragmatico e certo deve testimoniare una sensibilità solidaristica», fermo restando che «nella famiglia si dà un di più di stabilità...che va giuridicamente premiaLa». Anche con questa iniziativa di Prodi si dà quindi corpo a quella laicità «dinamica e vivente, in quanto integratrice» e per questo non votata all'immobilismo, anche sul piano normativo, che la rivista Esprit, in questi giorni, nel centenario della legge francese sulla separazione tra Stato e chiese, indica come sfida comune per il futuro delle nostre società.
http://www.gaynews.it/view.php?ID=33427
domenica 24 luglio 2005
L'apertura di Prodi sui PACS e il superamento di una strategia inadeguata
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1 commento:
mea culpa mea culpa? non è troppo tardi? più tempo passa, meno capisco i politici
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