venerdì 18 novembre 2005

Veronesi difende l'eutanasia: "Morire è un diritto fondamentale"

INTERVISTA/ L'oncologo parla del suo nuovo libro e attacca i diktat del Vaticano su aborto e pacs
"I vescovi vogliono cambiare la legge 194, fermiamoli
Lo Stato deve reagire e dire alla Chiesa di rispettare i confini"
di DARIO CRESTO-DINA



Umberto Veronesi

MILANO - "Ho l'impressione che il dialogo con i vescovi sia diventato un monologo. Bisogna fermarlo", dice Umberto Veronesi: "Mi sembra che la Chiesa voglia condizionare le scelte di un paese che, se devo giudicarlo alla luce dei comportamenti dei suoi abitanti, è a maggioranza non credente, o poco credente". Nel tentativo di contribuire a frenare questa "invasione di campo" il professore ha scritto un libro su un tema spinoso che da sempre gli sta a cuore. È un libro che difende l'eutanasia volontaria.

Il titolo è un manifesto, nel senso che dentro c'è già tutto: Il diritto di morire, la libertà del laico di fronte alla sofferenza. Dove la parola laico è un simbolo, un marchio.

Professor Veronesi, mentre lei parla di eutanasia il Vaticano attacca su concordato, pillola abortiva, pacs, e fermiamoci pure qui. Un autentico contro potere italiano?
"No, perché di solito i contro poteri sono occulti. I vescovi, invece, fanno tutto alla luce del sole. Ma adesso rischiano di oltrepassare il limite. Come scriveva Montanelli, stanno cercando di obbligarci a adeguarci a un credo nel quale non crediamo. Le ultime dichiarazioni del cardinale Ruini, per esempio, devono far pensare. E sono difficili da accettare".

Si riferisce alla condanna della pillola Ru-486?
"Sì. Quando Ruini dice che l'uso della pillola equivale a un omicidio, manifesta un pensiero che va in realtà ben oltre il significato delle sue parole. L'obiettivo della Chiesa è rimettere in discussione la legge sull'aborto. La verità è che ci vogliono togliere la 194, diciamolo con chiarezza. Uno stato laico deve reagire, ricordare alla Chiesa che ci sono confini da rispettare".

Ma il partito dei cattolici è forte, è trasversale e le sue file si ingrossano. Il presidente della Camera Casini ieri ha detto che le parole della Chiesa sono proposte, non imposizioni.
"Guardi, io rispetto le opinioni di tutti. Ma un conto sono le idee, un altro le leggi. La legge sull'aborto è stata votata dal 70 per cento del popolo italiano. La posizione della Chiesa è, quindi, in opposizione non solo allo Stato italiano, ma al popolo italiano. La Ru-486 è in linea con la 194, il suo utilizzo, naturalmente all'interno di regole precise, non deve costituire un problema. Si tratta, in sostanza, di praticare l'aborto per via farmacologica invece che chirurgica. Se è diventata un problema, è perché se ne è voluto fare un caso politico. Non dobbiamo sottovalutare poi che proibire questa pillola, accettata dalla maggioranza dei paesi europei, porterebbe inevitabilmente alla nascita di un mercato nero. Il proibizionismo non è mai una risposta efficace".

Perché la Chiesa è così aggressiva?
"Forse perché è in crisi, forse perché sta vivendo un momento di transizione, ma non dimentichi che c'è smarrimento anche nella società ed è in periodi come questi che si riafferma il proselitismo della fede, delle religioni. Benedetto XVI lo ha capito benissimo, questo Papa non è certo un vescovo che sta in mezzo al fiume: è intransigente, è tradizionalista, è coerente. Non si può essere un uomo di chiesa soltanto per metà o per un terzo. I cardinali fanno il loro mestiere, altri invece no".

È una critica al governo?
"Non solo. Mi riferisco alle carenze e alle assenze della politica. Sia a destra, sia a sinistra. Mi riferisco allo Stato. Ho come l'impressione che improvvisamente siamo diventati tutti ferventi credenti. Tutti rinoceronti, come nella commedia di Ionesco".

Ed è in questo clima che lei propone di autorizzare l'eutanasia?
"Voglio semplicemente porre il problema, tentare di aprire un confronto su un argomento tabù, un tema di cui nessuno vuole parlare".

Significa sostenere la bontà del suicidio?
"Assolutamente no. Il suicidio è un fenomeno psicologicamente complesso che ha radici profonde e antichissime. È una pulsione tipica dell'uomo, che non esiste in altri esseri viventi. Io sostengo il valore dell'eutanasia come richiesta volontaria e cosciente di porre fine alla propria esistenza. Cosa che può maturare quando la vita diventa insopportabile per il dolore, la sofferenza e la perdita della propria dignità. Dai dati dell'Olanda, dove l'eutanasia è legale, appare che la richiesta riguarda per l'85 per cento i malati terminali".

Ha scritto Norberto Bobbio, verso la fine della sua vita: "L'unico rimedio alla stanchezza mortale è il riposo della morte". È a questo che pensa, professor Veronesi?
"Credo che il diritto di morire faccia parte del corpus fondamentale dei diritti individuali: il diritto di formarsi o non formarsi una famiglia, il diritto alle cure mediche, il diritto a una giustizia uguale per tutti, il diritto all'istruzione, il diritto al lavoro, il diritto alla procreazione responsabile, il diritto all'esercizio di voto, il diritto di scegliere il proprio domicilio".

Ma la richiesta di eutanasia non contrasta con la natura?
"La natura non ha previsto l'immortalità dell'uomo, anzi, la morte è uno dei suoi principi. Non si può rimanere in vita quando la vita non è più vita".

Eppure proprio la scienza e la medicina sembrano volerci cancellare la prospettiva della morte e la chirurgia estetica ci illude persino sul prolungamento della giovinezza.
"È vero, la medicina spesso espropria il diritto alla morte. Macchine complesse tengono in vita persone senza coscienza per settimane, mesi, anni. Questa è una vera violenza alla natura. Ma il compito della medicina non è quello di legiferare. La scienza aspetta una legge che faccia chiarezza sui limiti del suo intervento".

Lei pensa alla legge olandese?
"Potrebbe costituire un buon punto di partenza. Stabilisce una procedura seria e accurata, ma permangono dubbi sulla genuina volontà del paziente che manifesta il desiderio di eutanasia. È difficile capire fino a che punto conti l'influenza dei famigliari, oppure il livello di depressione nel quale il malato precipita. Il cammino sarà lungo, ma ritengo sia importante cominciarlo. Sarebbe un segno di civiltà".

Imparare a vivere significherebbe imparare a morire, come sosteneva Jacques Deridda?
"Sì, anche se è molto difficile. Ma chi sta in trincea, come i medici, sa quante volte un paziente chiede di venire aiutato a morire".

E i medici lo fanno?
"Sì, sarebbe ipocrita negarlo: negli ospedali italiani l'eutanasia clandestina viene praticata. Nessuno lo confesserà mai, eppure esiste. Si allontana l'infermiera con una scusa, si aumenta un po' la dose di morfina... Ci sono molti modi".

È un omicidio?
"No, è raccogliere un appello alla pietà".


(18 novembre 2005)

http://www.repubblica.it/2005/k/sezioni/politica/parlaveronesi/parlaveronesi/parlaveronesi.html

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