Non sappiamo, e non c’interessa sapere se definire una mascalzonata la puntata sul G8 di Genova di “Punto e a capo” sia fare del giornalismo molto massimalista oppure poco riformista. È stata una mascalzonata di regime (sì, di regime) punto e basta.
Non capiamo (o forse lo abbiamo capito troppo bene), come mai la maggior parte dei giornali italiani abbia occultato quanto l’avvocato Mills ha dichiarato al “Guardian” sulle operazioni fittizie, con ipotesi di frode fiscale, per destinare ai figli di Berlusconi parte del capitale Mediaset. Noi lo abbiamo pubblicato con il rilievo dovuto perché stiamo, e continueremo a stare dalla parte del “Guardian”, dell’”Independent”, dell’”Economist”, de “L’Observateur”, de “El Pais” e di tutta la libera stampa internazionale che da quattro anni descrive esterrefatta il dramma di un grande paese sottomesso agli interessi, spesso poco chiari, di un piccolo uomo.
Ci dispiace che tra l’Unione e i radicali non sia stato raggiunto il tanto auspicato, da noi, accordo elettorale. E se hanno sbagliato i radicali, lo scriveremo. E se ha sbagliato l’Unione lo scriveremo con maggiore dipiacere, come si fa con gli amici più cari, perché noi vogliamo che l’Unione vinca e governi l’Italia.
Se il governo di Israele e quello dell’Anp decidono di investire coraggio, prestigio e futuro per un nuovo rapporto che possa finalmente portare alla creazione di due stati che potranno vivere in pace, noi siamo con il governo d’Israele e con il governo palestinese perché siamo per la pace (e se all’ambasciatore d’Israele viene impedito di parlare all’Università di Firenze, gli esprimiano viva solidarietà perché noi siamo contro l’intolleranza e la stupidità).
Abbiamo voluto fare qualche esempio di quello che l’«Unità» vuole continuare a essere, a beneficio, anche, di quei giornali (pochi per fortuna) che davanti alla staffetta tra Furio Colombo e Antonio Padellaro hanno cominciato a ricamare merletti su possibili riposizionamenti della nuova direzione. Nell’immaginare un giornalismo popolato di camerieri sull’attenti tenuti, in cambio della cadrega, all’osservanza delle istruzioni per la servitù, costoro probabilmente riflettono all’esterno la loro triste condizione umana e professionale. Se non fosse il giornale libero che è l’«Unità», probabilmente, non avrebbe avuto i problemi che ha (la pubblicità negata, soprattutto) e di cui Furio ha scritto nell’editoriale di mercoledì scorso come meglio non si poteva. La libertà di stampa non è l’esercizio di una virtù ma il perseguimento di una necessità. Lo ha detto Paolo Mieli quando è ritornato alla direzione del «Corriere della sera» che la libertà di stampa è un potere per contrasto: se la stampa è compiacente essa finisce molto rapidamente per non contare più nulla, per non avere più potere. E allora: quali giornalisti e quale giornale, degni di questo nome, possono desiderare di non contare nulla?
Personalmente ho sempre considerato con un certo divertimento i buoni propositi dei direttori freschi di nomina: una grandinata di faremo e diremo da lasciare tramortiti i lettori (immancabile la frase: staremo dalla parte dei cittadini e fuori dal palazzo). Un tale guarnimento di parole mi viene risparmiato dal fatto che ricoprendo da quattro l’incarico di condirettore di questo giornale credo, in qualche modo, di avere già fatto e già detto quel che basta per essere giudicato.
Tuttavia, qualche punto fermo va ribadito. L’indiscutibile successo di questa «Unità» risorta dalle ceneri si deve, prima di tutto e prima di tutti, a Furio Colombo. Del resto, è quanto c’è scritto nelle centinaia di lettere e di messaggi di stima e di affetto che stanno arrivando in redazione e che solo in parte riusciamo a pubblicare. A proposito di questi quattro anni, Furio ha scritto di una conduzione del giornale «molto legata e molto unita», ed è una verità di cui lui e io siamo particolarmente orgogliosi; poi ha annunciato che resterà per continuare a scrivere articoli che saranno simili a quelli che ha già scritto prima e che «hanno tanto irritato Berlusconi e il suo personale». Chi temeva per l’identità e la continuità del giornale può sentirsi, dunque, rassicurato.
Qualche parola, infine, sui problemi dietro l’angolo. Il direttore dell’«Unità» si trova al centro di un triangolo della fiducia (nella speranza non diventi un triangolo delle Bermude) formato dalla proprietà, dalla redazione, dai lettori.
Non è formale il ringraziamento ai consiglieri di amministrazione della Nie per la fiducia che mi hanno accordato, e per tutto ciò che hanno fatto e che faranno per l’autonomia di questa storica testata.
I colleghi della redazione, che al successo di questa «Unità» hanno contribuito con grande passione, si esprimeranno quanto prima sulla nuova direzione, speriamo positivamente.
I lettori, infine, anche se evidentemente tutte le righe che precedono è a loro che sono dedicate. Nell’alluvione di messaggi che stiamo ricevendo, la stragrande maggioranza manifesta preoccupazione, a anche amarezza, per quanto sta accadendo all’«Unità»; ma, nello stesso tempo, conferma piena fiducia nel giornale. Poi ci sono alcuni (pochi) così preoccupati che la linea del giornale possa appiattirsi, scolorirsi, perdere vigore da prendere in considerazione la possibilità di non comprarci più. A loro chiediamo se hanno visto venerdì sera Antonio Polito ospite della puntata di «Otto e mezzo» dedicata all’«Unità» discettare sul futuro di questo quotidiano. Che il direttore del «Riformista» prevede essere un grigio futuro di giornale trasformato in una sorta di bollettino di partito. Non si comprende quale interesse avrebbero mai i Ds a normalizzare un giornale che rappresenta l’opinione forte di tutta l’opposizione, alla vigilia di una stagione elettorale decisiva. E, infatti, oltre che impossibile sarebbe assurdo. E infatti il ragionamento di Polito è più sottile: far sì che l’«Unità» così accuratamente diffamata possa subire una tale emorragia di copie da ridursi rapidamente a testata marginale; cosicché il foglio arancione possa in qualche modo prenderne il posto.
Insomma, non comprando più l’«Unità» quei lettori arrabbiati di cui sopra, oltre a danneggiare il giornale che dicono di amare, finirebbero per fare il gioco di chi questo stesso giornale vuole indebolire, ma per le ragioni politiche esattamente opposte. Quindi, cari lettori che ci volete lasciare la richiesta di tenere duro, di giudicare l’«Unità» sui fatti e non su timori immotivati, non è una petizione per sostenere questa direzione ma è il solo modo che abbiamo per darvi ragione.
Da l'Unità del 26/02/2005
sabato 26 febbraio 2005
Cari lettori
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Sex crimes and the Vatican
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