domenica 27 febbraio 2005

Se Berlusconi fosse francese

di Elio Veltri

Il ministro francese dell’Economia Hervé Gaymard, quarantaquattrenne, amico di Chirac, padre di 8 figli, è stato costretto alle dimissioni, da un’azione congiunta della stampa, dell’opposizione socialista e del segretario del suo partito. Cosa aveva combinato di tanto grave da essere costretto a lasciare?
Aveva occupato per cinque giorni, a carico dello Stato, un appartamento di 600 metri quadrati e aveva raccontato un paio di bugie, affermando pubblicamente di essere nullatenente, mentre era proprietario di due case, una di 200 metri quadrati a Parigi, fittata ad un amico e l’altra in Bretagna. Insomma, nella Francia governata dal centrodestra, un solo caso simile alle centinaia della affittopoli italiana, ha costretto un ministro giovanissimo e con un grande avvenire, a troncare la carriera politica.
Gli inviati dei nostri giornali, vedi Corriere della sera, hanno trattato l’argomento con grande severità, il che evidenzia ancora di più quanto comunemente avviene nel nostro Paese dove, casi analoghi, moltiplicati per centinaia, riservano a chi li solleva, trattamenti sprezzanti e, comunque, finiscono sempre in gloria e a tarallucci e vino.
Negli stessi giorni, nella stessa Europa, nel Paese fratello e cioè nel nostro, una storia di ben altra portata, coinvolge l’intera famiglia (quella che conta) del capo del governo. I magistrati di Milano che indagano da alcuni anni sull’acquisto di enormi quantità di film americani da parte di Mediaset, scoprono che con una serie di operazioni, utilizzando società off shore collocate nelle isole Vergini, il capo del governo è riuscito a trasferire centinaia di miliardi ai due primogeniti, Marina e Piersilvio, con l’aiuto di Livio Gironi, tesoriere della Fininvest, senza pagare le tasse. I magistrati milanesi, Alfredo Robledo e Fabio De Pasquale, che indagano 14 persone, tra le quali Silvio Berlusconi, Fedele Confalonieri e i due figli maggiori del capo del governo, per i reati di appropriazione indebita, frode fiscale, falso in bilancio e riciclaggio, hanno fatto centro, raccogliendo la testimonianza dell’avvocato inglese David Mackenzie Mills, anch’egli indagato, il quale racconta: «In una villa, che credo fosse la casa di Berlusconi, Gironi mi disse che bisognava fare un’operazione il cui scopo fondamentale era destinare una parte del patrimonio privato di Silvio Berlusconi ai figli del suo primo matrimonio.
Il documento l’ho scritto io - dice Mills - con le indicazioni che mi ha dato Gironi. Fu lui a dirmi che la cosa doveva restare assolutamente riservata e quindi era necessaria una banca fuori d’Italia. Fu sempre Gironi a sottolineare che i figli sarebbero stati i beneficiari ma la gestione pratica doveva essere soggetta al consenso di Silvio Berlusconi, che nel documento viene denominato X». «Mi è stato anche detto - prosegue l’avvocato inglese - che il documento non sarebbe stato firmato da Silvio Berlusconi, ma dai due figli, che così avrebbero assunto il doppio ruolo di costituente e di beneficiario. Inoltre si voleva legare la possibilità di compiere atti di disposizione al consenso di alcune persone di fiducia di Silvio Berlusconi: intendo dire Gironi, Foscale e Confalonieri che rappresentavano la volontà di Berlusconi». La storia ha anche un’appendice: plichi contenenti documenti delle rogatorie aperti dai funzionari del ministero di Castelli prima che li vedessero i magistrati titolari delle indagini; ostacoli alla richiesta di rogatorie alle Bahamas, che poi hanno risposto ugualmente; testimonianze di una dozzina di dipendenti di Mediaset i quali hanno detto ai magistrati che negli anni 80 e 90 era usuale gonfiare i prezzi di acquisto dei film americani per evadere il fisco e costituire fondi neri. Insomma un impero, che nella ipotesi più benevola, è diventato tale falsificando i bilanci ed evadendo le tasse.
Con tutta la buona volontà e le attenuanti possibili, che vanno dalla legittima difesa dell’evasione (come la definisce il Cavaliere) per un fisco troppo esoso, ad un infinito amore per i figli di primo letto, non ce la sentiamo di mettere sullo stesso piano l’affitto di cinque giorni a carico dello Stato, dell’improvvido ministro Gaymard e la Dallas story della famiglia Berlusconi. Eppure, il povero Gaymard è stato costretto a dimettersi nonostante gli otto figli da mantenere e a Berlusconi, nessuno ha osato chiedere le dimissioni.
Quando si dice che tutto il mondo è Paese si dice una gran balla. In realtà, l’ultima storia in ordine di tempo, spiega tutta la contrarietà a ripristinare una sia pur minima sanzione penale efficace per il reato di falso in bilancio e la determinazione con la quale gli uomini di Berlusconi sostengono l’approvazione immediata della legge «Salva-Previti», perché si arrivi alla prescrizione di tutti i reati dei processi in corso.
Naturalmente l’impunità che il capo del governo assicura a se stesso e ai membri della sua famiglia, si estende anche ad altri esponenti della maggioranza. Berlusconi per garantire se stesso deve garantire anche i suoi collaboratori e così tutto si tiene. Sirchia, ad esempio, non si dimette. Eppure i fatti che gli vengono contestati sono certamente più gravi dell’imprudenza commesa dal ministro francese. Ma nel nostro Paese nulla oramai fa scandalo e nessuno pensa seriamente di chiedere conto al capo del governo e ai suoi collaboratori dei loro comportamenti.

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=EDITO&TOPIC_TIPO=E&TOPIC_ID=41111

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