giovedì 15 giugno 2006

Gay Pride: Sì di Bertinotti e Bonino, proteste cattoliche

Sabato il corteo a Torino, aderiscono presidente della Camera e ministro. La Margherita: era meglio evitare
di Gian Guido Vecchi



MILANO - Che ci fosse un filo di disagio lo si è capito quando la giunta torinese di centrosinistra, considerata l’ansia della Margherita, non ha concesso il parco Colletta per il gran finale del Gay Pride nazionale di sabato sera, «problemi di inquinamento acustico», tutti spostati a Collegno. Il filosofo Gianni Vattimo ancora se la ride, «è fantastico, quel parco confina pure col cimitero, non credo che i poveri defunti avrebbero obiettato sul rumore; e poi andiamo, è tutto l’inverno che passiamo dalle notti bianche olimpiche alle feste dei tifosi, mi sembra un po’ come arrestare Al Capone per evasione fiscale».


ADESIONI - Sforzo lodevole ma inutile, peraltro. Perché poi salta fuori che l’appello «Esserci è diverso, io ci sarò!», l’adesione «al più importante appuntamento della comunità gay lesbica bisessuale e transessuale», è stato firmato tra gli altri dal presidente della Camera Fausto Bertinotti e dal ministro Emma Bonino. Che la Rosa nel Pugno sfilerà con un suo carro drappeggiato di slogan come «No Vatican No Taleban» e «Nessun Pacs indietro» e domani presenterà «alcune proposte di legge sul tema», informa Daniele Capezzone, «con buona pace dello strano ostracismo degli ultimi tempi». E allora, va da sé, i cattolici dell’Unione, Margherita in testa, un po’ si agitano. Niente a che vedere con quello che Storace sibilò su Katia Bellillo per il Gay Pride del 2000 a Roma, «il ministro a una sfilata è una cosa immonda!». D’altra parte Bertinotti e Bonino, a quanto pare, non potranno essere fisicamente presenti.


PROTESTE - Però, sospira Pierluigi Castagnetti, sarebbe stato meglio evitare: «Viviamo in un momento di relazioni difficili con la Chiesa italiana e il mondo cattolico, il governo ha bisogno di rasserenare il clima: ferma restando la laicità dello Stato sono molto preoccupato, proprio adesso mi sembra inopportuno, chi ha responsabilità istituzionali dovrebbe ispirarsi a un di più di prudenza per non aumentare le incomprensioni». Castagnetti, tra l’altro è pure vicepresidente vicario della Camera. L’adesione della terza carica dello Stato? «Dò per scontato che sia a titolo personale, certo non coinvolge la responsabilità delle istituzioni...». L’appello, del resto, non precisa, e poi non fa molta differenza: «Noi abbiamo chiesto una firma, che certo è un invito ad esserci», sorride la portavoce del Gay Pride, Roberta Padovano, «e il fatto che un ministro e la terza carica dello Stato abbiano aderito ha un valore simbolico e politico molto importante, è chiaro».

Ecco, appunto. C’è poco da discettare, considera il senatore Luigi Bobba, anche lui della Margherita: «Prodi aveva detto ai ministri "testa bassa e pedalare", non parlate e lavorate, e questo mi pare un po’ il contrario, no?». Le considerazioni si ripetono, «ci vorrebbe prudenza, responsabilità, andrebbe scelta la strada del confronto piuttosto che procedere per strappi che in fin dei conti servono solo ad alzare steccati». Anche se, geme il compagno di partito Enzo Carra, «temo che ormai prendersela per queste cose sia inutile, perché ognuno fa come gli pare». Il che potrebbe anche andare bene, «come cattolico liberale io rispetto le opinioni altrui: purché gli altri rispettino le mie senza bollarmi come uno della lobby di Ruini e robe del genere, però».


TRANVIERI - Comunque il sindaco Sergio Chiamparino non andrà alla sfilata, «di tutto il Gay Pride è la manifestazione che mi convince meno», e non manderà il Gonfalone. Delusioni, discussioni come da copione. Meno male che c’è Vattimo: «Il Gonfalone? Le dirò, non mi scandalizza: mica è il 25 Aprile, solo una manifestazione di un rispettabile gruppo di cittadini che vuole riconosciuti alcuni diritti. Un po’ come fosse un corteo di tranvieri».


dal Corriere della Sera del 15/06/2006

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