domenica 19 dicembre 2004

A carte scoperte

di Furio Colombo

Molti dei problemi affrontati finora da chi ha fatto opposizione al governo Berlusconi nascevano da una certa bravura del vasto giro governativo di negare tutto, di dire altre cose, di cambiare discorso nei momenti più imbarazzanti. Certo, si può fare solo se tutti i media rispondono, per comando o intimidazione. Hanno risposto al punto che molti cittadini in buona fede rimproverano a volte l’opposizione di dire cose non vere. Lo dicono perché quelle cose non corrispondono alle narrazioni delle televisioni e della maggior parte dei giornali.

Improvvisamente il vento è cambiato. Berlusconi parla e si comporta con sfrontata chiarezza, dice esattamente ciò che intende dire e lo conferma, felice, naturalmente, del codazzo di media che come sempre lo asseconda in tutto, capricci e vanità incluse (ora che gli sono ricresciuti un po’ i capelli, dopo il trapianto, tutte le inquadrature di tutte le macchine fotografiche e telecamere improvvisamente hanno adottato l’angolatura giusta per farcelo vedere). Per la prima volta in tre anni e mezzo, dice cose che dovrebbero essere un’autoaccusa. Ma le dice, le ripete, le fa diffondere. Lo fa con vitalità e con impegno.

A coloro che a questo punto mi dicono: ma state parlando di nuovo di Berlusconi, non è troppo? Non dovremmo parlare del Paese? mi sento di rispondere: stiamo parlando del Paese. Nel Paese qualcosa è cambiato, forse perché stiamo raggiungendo un punto critico nel processo di smantellamento, abbandono, distruzione dello Stato che certo non è opera di Berlusconi da solo.

Vorrei portare alcune prove di ciò che dico.

La prima: Berlusconi lancia l’evento di Venezia con il nome di “NO TAX DAY” . NO TAX non vuol dire ridurre il prelievo fiscale, e non ha nulla a che vedere con il normale dibattito sul come si possa alleviare il peso di ciò che ricade sulle spalle dei cittadini. “NO TAX” vuol dire “NO TAX” e c’è da domandarsi in quale Paese democratico un capo di governo potrebbe usare un simile azzardo, che si traduce come segue: niente da nessuno, niente per nessuno. E con totale impudicizia dice che il fondamento della sua affermazione è nella «legge naturale». E’ una affermazione priva di senso. Ma che - con tolleranza - tutti i giornali accettano, come una sorta di «creazionismo» del sistema fiscale.

Non è uno scherzo. È il preannuncio di una spallata violenta allo Stato. Si tolga di mezzo e faccia largo agli interessi privati. Non tutti i privati. Qui si parla dei privati che, al momento, sono anche titolari del potere politico.

Si affaccia una cultura molto simile, dal punto di vista del metodo, al paleo-comunismo staliniano. Il partito (e la strategia elettorale del suo leader) viene prima e al di sopra dello Stato. Lo Stato può essere sacrificato agli interessi della fazione politica che governa.

“NO TAX DAY” non è soltanto una boutade elettorale. Chi l’ha organizzata e condotta appare serio, credibile, determinato. È una sfida alla Costituzione, alle Istituzioni, il tentativo di tendere una trappola mortale, in vista delle prossime elezioni, agli sfidanti, per poterli definire “Partito delle tasse”.

L’opposizione non è caduta nella trappola. Ma adesso sappiamo con chiarezza che la linea che divide la democrazia dal governo si è spostata su un punto estremo.

Cerca lo smantellamento dello Stato, il protagonismo di un solo personaggio e l’invito a formare banda per l’evasione totale. Evasione non solo dalle tasse. L’appello è molto più vasto: evadere tutte le regole e tutte le leggi. O perché vengono alterate senza più finzioni, ma anzi sbandierando come legittimo l’interesse personale. O perché si leva un clima di favore per ogni violazione, per ogni illegittimità. Avviene attraverso il sistematico antagonismo contro tutti gli strumenti di cui si era provvisto lo Stato per combattere i reati più gravi.

Come ha spiegato Fassino nel suo intervento alla Camera, come ha scritto Gerardo D’Ambrosio nel suo commento alla incredibile legge “salva-Previti” (entrambi i testi pubblicati su questo giornale) si tratta di deformazioni gravissime del diritto penale, che facilitano i peggiori reati e che vengono approvate con urgenza per le peggiori ragioni. Il dato nuovo è che queste ragioni non sono più motivo di negazione e di vergogna.

Diventa clamoroso lo scontro. Lo scontro non è fra maggioranza e opposizione. Lo scontro è fra Governo e Stato. Lo dicono anche le motivazioni con cui il Presidente Ciampi ha rinviato alle Camere la legge sulla cosiddetta riforma della Giustizia, non solo dove si fanno notare clamorose incostituzionalità, ma anche dove il presidente sottolinea il pessimo modo di concepire e di scrivere una legge, bloccando in un solo articolo fino a 39 pagine di testo e usando giganteschi e deformi maxi-emendamenti concepiti per ostacolare l’opposizione ma anche per bloccare gli eventuali dissensi o spaccature interne.

Ovvero per impedire che la democrazia funzioni.

* * *

La prova di tutto ciò che abbiamo detto e andiamo denunciando su questo giornale contro il pericolo grave rappresentato per il nostro Paese da questo governo, viene da due voci che non sono di sinistra e non hanno interessi di opposizione. Ma parlano, con gravissima ansia, da cittadini italiani.

Mi riferisco all’appello che Mario Segni ha voluto pubblicare sul nostro giornale. Ricordate? Iniziava con queste parole che si usano solo per circostanze estreme (e risulterà difficile definire Mario Segni un estremista, come a molti piace fare con noi): «L’Italia sta perdendo la civiltà. Un Paese non rimane civile se non ha più passione per la vita pubblica. Ancor meno rimane civile se perde completamente il senso del giusto e dell’ingiusto, del lecito e dell’illecito». Con queste frasi drammatiche Segni si riferisce al processo Berlusconi di Milano e a quella che i cortigiani di governo hanno celebrato come “assoluzione e liberazione.” Segni continua infatti dicendo: «Il fatto della corruzione mediante versamento di denaro è stato accertato. Il fatto è straordinario. Ripeto la parola: straordinario. È la prima volta che un reato di tale gravità viene accertato giudizialmente a carico della più alta carica politica. Queste sono cose che il Paese deve sapere, valutare, discutere. Ma non è possibile che taccia, che per una sorta di tacito accordo generale, la cosa venga ridimensionata, svilita, dimenticata».

L’altra voce, altrettanto estranea ad ogni progetto politico di opposizione, ma evidentemente in coincidenza profonda con i sentimenti di tanti cittadini, è quella di Luca Montezemolo. Il presidente della Confindustria non può tacere sul paesaggio sul quale si affaccia, data la sua responsabilità: «Mai l’economia italiana è stata in condizioni così drammatiche dal 1945».
È una frase chiara e durissima che colpisce due volte. La prima per far sapere che, dal punto di vista degli industriali, la situazione è giunta a un punto estremo di gravità. C’è dunque un effetto di rottura della vasta omertà di stampa e televisione, una rottura che ha certo fatto trasalire molti cittadini.

Ma la frase di Montezemolo costringe tutti, anche i disorientati e i distratti, a rendersi conto che l’Italia sta affondando mentre il suo governo si occupa esclusivamente di leggi speciali per Berlusconi e per gli altri inquisiti legati a lui. E qui interviene ancora una volta il nuovo corso dello spettacolo di cui siamo spettatori attoniti.

Berlusconi va a Bruxelles per liberarsi dalle regole del trattato di Maastricht, e lo dice con aperta disinvoltura, come per proclamare il merito di un guerriero. Spaccia frasi generiche degli altri capi di governo come consensi. Sarà smentito entro due o tre giorni ma non importa. Le sue tv non lo diranno. Finge di non sapere di quale immenso debito sono gravati i conti pubblici italiani. Nessuno lo ricorderà ai nostri cittadini.

Berlusconi va a Venezia, al suo NO TAX DAY di aperta offesa alla Stato e alla democrazia, e non esita a proclamare due persuasioni che screditerebbero qualunque capo di governo in cerca di rielezione.

La prima è il suo disprezzo per la “par condicio”. Come è noto la “par condicio” è una modesta legge che prevede parità di accesso ai media durante la campagna elettorale. È un piccolo rimedio all’immensa illegalità italiana: un capo partito, capo governo, capo azienda che possiede tutto. Lui promette di cancellare anche quella leggina, in modo che diminuisca il più possibile il numero di coloro che possono far sentire la loro voce contro la sua. La seconda persuasione che vuole condividere con noi è un pensiero basso e volgare: «andare a votare è come andare al supermercato». Si sceglie ciò che la pubblicità ti ha già indotto a scegliere. Di solito questo è l’argomento di chi denuncia che la democrazia viene soffocata dal denaro. Berlusconi ha fatto propria questa squallida prospettiva senza vergogna. E conclude (lui, proprietario di Mediaset e padrone politico della Rai): «Tutto avviene in televisione, non avete visto le elezioni americane? Ciò che conta è apparire sempre in Tv. Perché dovrei dividerla con altri?». Lo dice lui, capite? Lo dice apertamente, trasformando in programma elettorale l’accusa e lo scandalo di tutta l’Europa contro di lui. Il progetto non è di persuadere. Il progetto è di intimidire, di far vedere chi comanda.

Per questo ieri Antonio Padellaro ha scritto su questo giornale un appello che, come dimostra l’Unità di oggi, non è caduto nel vuoto. «Dobbiamo ritornare in piazza in tanti, insieme», ricordando il milione di cittadini che si è spontaneamente presentato il 14 settembre 2002 in Piazza San Giovanni a Roma per dire no, fin da allora a questo barbaro modo di governare.

Per questo, anche senza le televisioni e i grandi giornali, anche in questa condizione estremamente difficile che, come dice Montezemolo, è la peggiore in Italia dal 1945 che, come dice Claudio Magris sul Corriere della Sera di sabato è di piena e inaccettabile illegalità, dobbiamo far sentire ben chiara la voce di tutti, dalla vita di tutti i giorni, dal lavoro, dalle piazze, cittadini e politici, volontari e militanti e tutta la società civile che non vuole più vergognarsi di fronte al resto del mondo. Ormai sono in tanti, tra coloro che seguono la politica attentamente e tra coloro che sono occupati soprattutto con i propri impegni e la propria vita, a rendersi conto che è diventato impossibile accettare, tergiversare e tacere. Non è estremismo. È democrazia.


da l'Unità del 19/12/2004

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