lunedì 7 marzo 2005

Maledette siano le guerre e le canaglie che le fanno

di LUIS SEPÚLVEDA

Maledette siano le guerre e le canaglie che le fanno, disse Julio Anguita, un dirigente storico della sinistra spagnola, quando seppe che suo figlio, il giornalista Julio Anguita Parrando, era morto in Iraq per gli spari dell'esercito americano - o «fuoco amico», come cercarono di spiegare i difensori di quella guerra basata sulle menzogne e sulle ambizioni dei gruppi economici più forti negli Stati uniti. Più tardi un altro giornalista spagnolo, José Couso, ha potuto vedere come un carrarmato statunitense puntava verso il balcone dell'hotel in cui si trovava. Anche lui è morto «sotto il fuoco amico», perché così ha concluso la parodia di indagine svolta dall'esercito americano e pienamente accettata dal governo di ultradestra di José Maria Aznar.

Troppi giornalisti sono morti o sono stati feriti in Iraq. Troppi iracheni - oltre centomila, 100.000! sono caduti sotto i proiettili delle forze d'occupazione e le bombe intelligenti, vittime della «morale di guerra» sbandierata da criminali come il generale Jim Mattis, capo dei marines che hanno devastato Falluja e uomo temprato in Afghanistan. Alcuni ricordano le immagini dei resti umani di varie persone che assistevano a un matrimonio in Afghanistan e furono bombardati dagli americani. «C'era gente in età militare», aveva giustificato il generale Mattis. E, interrogato dalla televisione Fox su cosa sentisse a Falluja, aveva detto «sparare alla gente è eccitante».

Dobbiamo stupirci che Giuliana Sgrena stia - per fortuna - riprendendosi dalle ferite ricevute a 700 metri dall'aereoporto di Baghdad, quando il veicolo su cui viaggiava aveva già passato diversi controlli?

Che spiegazione daranno gli Stati uniti al governo italiano, altra forza occupante dell'Iraq che ha perso già troppi uomini, troppi italiani tornati avvolti nei sacchi di plastica?

Berlusconi avrà la faccia tosta di dire alla famiglia di Nicola Calipari e degli altri italiani feriti che sono stati raggiunti da «fuoco amico»?

In Europa sappiamo che la manipolazione del «patriottismo» conduce su strade oscure, senza altra via d'uscita che avanzare verso l'abisso, e che sebbene Mussolini e Hitler avessero il favore di maggioranze accecate da un osceno patriottismo nulla giustifica i crimini che hanno commesso. Allo stesso modo, il trionfo di George W. Bush alle ultime elezioni statunitensi non giustifica né la guerra in Iraq, né l'occupazione di questo paese, né l'atroce campagna di minacce contro l'Iran e la Siria intrapresa dal duo Bush-Rice. Ogni giorno di permanenza delle forze militari europee in Iraq è un atto di vassallaggio e di complicità, più che con una nazione potente con un gruppo di esaltatori dell'imperialismo - Bush, Rumsfeld, Wolfowitz, Cheney, Rice - che pretende di imporre un'idea messianica dell'ordine internazionale, ma un ordine basato sulla forza e l'aggressione imperialista.

E' possibile che i soldati statunitensi che hanno sparato contro il veicolo che conduceva Giuliana Sgrena, che hanno ucciso Nicola Calipari e ferito altri due agenti italiani, non sapessero neppure contro chi sparavano: perché la maggioranza degli americani finiti in Iraq sono poveri diavoli reclutati tra gli emigranti ispanici - per lo più centroamericani - che hanno accettato di vestire l'uniforme yankee e partecipare a una guerra che non capiscono, in un paese di cui ignorano tutto, in cambio della nazionalità statunitense, portuma nella gran parte dei casi.

Quello che però risulta inconcepibile e impossibile da accettare è la tesi che il veicolo «andava troppo veloce» e che «non ha obbedito all'ordine di fermarsi». Con oltre millecinquecento caduti, le forze di occupazione hanno un perimetro di sicurezza piuttosto rigoroso attorno all'aereoporto, secondo le dichiarazioni della stessa Giuliana Sgrena: e loro erano già passati per altri controlli, e oltretutto nessuno può credere o accettare che tra le forze occupanti esista una tale mancanza di coordinazione tra le informazioni e che i soldati americani ignorassero che quel veicolo portava una giornalista appena liberata da un mese di sequestro.

Cara Giuliana, benvenuta in Italia, dai tuoi. Tutta la mia solidarietà alle famiglie di Nicola Callipari e degli agenti feriti, e pensando ai caduti, che sono troppi, soprattutto i morti della popolazione civile irachena, una riflessione oggi più necessaria che mai: maledette siano le guerre e le canaglie che le fanno.

da il manifesto del 6/3/2005

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