giovedì 1 settembre 2005

Non c'è pace senza giustizia

di ROSA CALIPARI*


3 Marzo 1983 - 4 marzo 2005 due date che segnano l'inizio e la fine di un progetto di vita condiviso. Ventidue anni sono pochi per chi ha programmi, ideali e valori comuni; sono pochi per chi rimane ed è travolto in poche decine di secondi da un incubo senza fine. Non è possibile dimenticare la sera del 4 marzo quando al rientro a casa ho trovato ad attendermi alcun colleghi e amici di Nicola. Una scena che si affaccia spesso alla mente di chi ha vissuto con un funzionario di polizia «operativo» ma che si tende a rimuovere per difesa e per non farsi sopraffare da un'angoscia paralizzante. Con orrore ho urlato il mio «No!» di fronte a ciò che intuivo essere la verità ma che nessuno dei presenti era in grado di confermarmi. E poi: «Ucciso dagli americani, un incidente.... Non si sa cosa è successo».

Attonita da quella sera continuo a pormi sempre la stessa domanda «Perché?» ancor più dopo gli esiti contrastanti raggiunti dal Gruppo investigativo congiunto italo-statunitense, incaricato di esaminare la dinamica dei fatti accaduti il 4 marzo.

Un indagine che se negli intenti doveva svolgersi congiuntamente di fatto ha portato alla pubblicazione di due relazioni. Molti i limiti e le restrizioni incontrati dai rappresentanti italiani. Vincoli allo svolgimento delle indagini sono, innanzitutto, derivati dall'esclusiva applicazione della normativa statunitense, Army Regulation 16-6, che disciplina le procedure e le modalità per le inchieste nell'ambito dell'esercito Usa, e che, come risulta dal rapporto italiano, ha posto dei limiti non trascurabili rispetto a quanto previsto dall'ordinamento italiano per analoghe attività. Per quanto attiene, ad esempio, alle modalità di acquisizione delle testimonianze, non potevano essere reiterate le domande ai testimoni già sentiti e non sono stati possibili confronti diretti, per non voler sottolineare che le domande dei rappresentanti italiani potevano essere poste ai testimoni solo tramite il Generale Vangjel, l'Ufficiale statunitense incaricato, già prima dell'arrivo della delegazione italiana, di svolgere indagini.

Ulteriore elemento di rilevante limitazione per l'indagine congiunta è stato il mancato «congelamento» del luogo nell'immediatezza della sparatoria che, come dichiarato dagli stessi militari Usa, è stato completamente ripulito e alterato mentre non si consentiva agli italiani, presenti a Baghdad quella sera del 4 marzo, di arrivare sul posto. Ma neanche successivamente durante i lavori della Commissione congiunta, è stato possibile ricostruire la scena del «crimine», poiché le Autorità militari Usa hanno ritenuto inopportuno, in ragione del luogo dell'«evento», anche il sopralluogo notturno. Pertanto manca la certezza sulla ricostruzione della dinamica dei fatti. Tutto ciò non ha, inoltre, consentito di svolgere un'analisi approfondita sul posto, per cui quanto risultato dalla perizia effettuata in Iraq sulla vettura -come emerge dal rapporto italiano - non sembra avere quella decisiva rilevanza probatoria. E ancora: la rimozione ed eliminazione dei bossoli, la non preservazione delle armi e delle munizioni del reparto coinvolto nel fatto.... e, ancora il rientro dell'autovettura, ormai di proprietà dello Stato italiano, solo dopo due mesi...

E' un percorso difficile doloroso e straziante per chiunque dover affrontare la tragica perdita del proprio compagno ma diventa ancor più arduo se questa avviene in tale contesto e con questa modalità.

Nicola era un dirigente del Sismi, un Servizio alleato degli americani, e ha agito in nome e per conto dello Stato italiano. Non era un Rambo né uno 007 con licenza di uccidere ma un uomo che in altre delicate operazioni aveva dimostrato di possedere le qualità per negoziare anche con gli elementi più integralisti del contesto mediorientale. Dotato di notevole intuito, riflessivo e osservatore affrontava le situazioni con lucidità razionalità, con notevole self-control e con forte determinazione. Consapevole dei rischi insiti nei diversi incarichi ricoperti consigliava la prudenza ai suoi collaboratori e vagliava i costi e i benefici di ogni opzione. Nicola, anche nella sua precedente carriera in Polizia, ha sempre improntato il suo stile al confronto con gli altri e non allo scontro, «prevenire, e non reprimere», diceva. Anche nel rapporto con i suoi collaboratori prediligeva la politica del «consenso» piuttosto che dell'«ordine impartito», dell'affermazione pacata ma «autorevole» della sua opinione e non «autoritaria» anche se si assumeva sempre la piena responsabilità delle proprie decisioni. Uno stile che, spesso, spiazzava gli avversari ma che creava coesione e rafforzava l'identità di gruppo in coloro che lavoravano al suo fianco. Un particolare pensiero va con affetto alla «squadra di Nicola», ai Calipariani, come qualcuno li definisce all'interno del Servizio forse proprio a voler differenziarne lo stile umano e di lavoro.

Era certamente nota agli americani la sua partecipazione e collaborazione anche ad altre vicende di sequestri avvenute sul territorio iracheno e anche in questo caso della giornalista italiana rapita, pur in assenza di una espressa comunicazione formale ai Comandi militari Usa del motivo della missione, Nicola e la sua squadra, come molte altre volte, hanno richiesto l'autorizzazione per atterrare all'aeroporto di Baghdad, per poter alloggiare a Camp Victory e, muniti di tesserini identificativi e di armi, per i loro successivi spostamenti nella capitale irachena.

Nicola ha non solo condotto a termine la sua missione, la liberazione di Giuliana Sgrena, ma ha anche sacrificato la sua vita per proteggerla dal «fuoco amico» e, proprio per rispettare quella bandiera nella quale è tornato avvolto da Baghdad, continuo a chiedere con forza e determinazione la verità su quanto è realmente successo e di far luce sulle responsabilità di coloro che direttamente o indirettamente ne hanno causato la morte.

Non è possibile avere pace se non c'è giustizia.


* Testo tratto dal volume «Nicola Calipari ucciso dal fuoco amico», che sarà distribuito sabato con «l'Unità»

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