Berlusconi: "Mai le mie aziende utilizeranno il condono"
Poi Mediaset ha risparmiato almeno 162 milioni di euro
Una quindicina i condoni del ministro-commercialista Tremonti
Il presidente del Consiglio definì un "diritto" evadere le imposte
di ALBERTO STATERA
"FARLA franca tra milioni di evasori, farla lunga con la lite, farla fuori con poche lire di condono". Silvio Berlusconi "l'ha fatta fuori" con pochi euro di condono, 1800 su decine di milioni di evasione fiscale, nell'apoteosi del grottesco, tra la grandiosità della rappresentazione e la parodia della stessa.
Anche perché il motto del "farla franca" e "farla fuori", applicato dal premier e dalle sue aziende, si deve a Giulio Tremonti, il commercialista di Sondrio che da ministro ha partorito una raffica di una quindicina di condoni. Ma risale alla sua ormai antica fase della "centralità etica", quella contro le sanatorie, quando dalle colonne del "Manifesto", citando vuoi Marx vuoi John Stuart Mill, ammoniva severo: " In Sud America il condono fiscale si fa dopo il golpe. In Italia lo si fa prima delle elezioni, ma è comunque una forma di prelievo fuorilegge". Anzi, "un attentato alla Costituzione".
Gli "attentati alla Costituzione" firmati dal premier nell'arco dei suoi due governi e dal suo ministro-commercialista non hanno prodotto "meno tasse per tutti", come promesso, ma meno tasse per pochi e soprattutto per l'onorevole Silvio Berlusconi che, a quanto pare, si è avvalso del condono anche per i suoi redditi personali, approfittando di un'opzione prevista nel 2002 per chi adeguava anche in maniera simbolica la sua dichiarazione.
Forse, prima o poi, si riuscirà a fare il conto di quanto dodici anni di politica e più di cinque di governo, considerando anche il 1994, hanno reso a Berlusconi soltanto in termini di risparmi fiscali. E allora crescerà lo scandalo postumo. Perché gli italiani, così alieni dal percepire l'ostico concetto del conflitto d'interessi, quando si tratta di tasse e balzelli che non distinguono "tra forti e deboli" - come dovrebbe invece prevedere la regola che da giovane raccomandava il ministro Tremonti - si arrabbiano.
Allora coglieranno in pieno il devastante - per la democrazia - cortocircuito conflittuale di un presidente del Consiglio, tra gli uomini più ricchi dell'orbe terracqueo, che firma condoni di cui approfitta a man salva per sé e per le sue aziende.
"Mai - aveva giurato il premier - le mie aziende utilizzeranno il condono". Poi Mediaset naturalmente non se l'è fatto scappare, risparmiando una cifra valutata in 162 milioni di euro. L'evasione fiscale "è intollerabile" proclamò nel luglio scorso, quando gli spiegarono che non solo le tasse non si potevano ridurre, ma si dovevano aumentare. E qualche giorno fa il tripudio del grottesco, commentando la scalata dell'Unipol alla Bnl e le accuse rivolte ai diesse per gli intrighi di Giovanni Consorte: " Inaccettabile l'intreccio tra affari e politica. Io affari non ne ho mai fatti con la politica, anzi ho perso e basta".
Ma se le bugie del premier vengono ormai accolte dagli elettori - anche i suoi - con un'alzata di spalle, quelle sulla sua etica di contribuente e di uomo d'affari suscitano un misto di rabbia e ilarità, perché Berlusconi e i suoi più intimi sodali incarnano nell'immaginario collettivo degli italiani avvertiti diremmo proprio la specie antropologica dell'evasore fiscale.
Il premier cominciò a frequentare lo sport fin da giovane, come è largamente documentato. Nel 1980, dopo una visita della Guardia di Finanza al cantiere di Milano-2, il Berlusconi ancora palazzinaro scrisse una lettera a Bettino Craxi, pubblicata nel libro di memorie del fotografo personale del leader socialista, Umberto Cicconi, nella quale chiedeva aiuto contro il fisco: " Caro Bettino - si lagnava - come ti ho accennato verbalmente, Radio Fante ha annunciato che (....) la Polizia Tributaria si interesserà a me (...). Ti ringrazio per quello che crederai sia giusto fare". Fu giusto bloccare l'ispezione, assumere il capo della pattuglia Massimo Maria Berruti e poi farne un parlamentare della Repubblica.
Del resto, nei rari momenti di sincerità, Berlusconi non ha mai nascosto quel che realmente pensa del dovere fiscale: "Ieri - ha raccontato una volta - sono stato dal mio dentista e ho visto che paga il 63 per cento di imposte e allora non volete che chi è sottoposto a un furto così non si ingegni? È legittima difesa". Legittima difesa? No, di più: l'evasione è "un diritto naturale che è nel cuore degli uomini". Anzi, un diritto "moralmente autorizzato".
Un "intimo sentimento di moralità" nell'evadere il fisco pervade, d'altra parte, non solo il leader, ma l'intero stretto cotè berlusconiano. Il fratello Paolo ha patteggiato per vari reati tra cui l'evasione fiscale; Marcello Dell'Utri è stato condannato per fatture false e gonfiate di Publitalia; Cesare Previti, poi, in uno dei processi che subisce in veste di imputato, ha ammesso di aver frodato il fisco come se dicesse: mbeh, che c è? Ho preso un cappuccino.
Chi poteva credere allora all'ultimo Berlusconi ligio contribuente, così ligio da non approfittare dei condoni da lui firmati e messi a punto, con occhio non distratto agli interessi del leader, dal suo ministro, definito "un genio" e comunque, se non proprio geniale, maestro di astuzie contabili e fiscali?
Il commercialista che viene da lontano ("From Marx to market") e che quando militava con Segni definì Berlusconi "l'uomo dai cialtroneschi programmi", per dare un ultimo tocco al grande grottesco italiano, nel giorno in cui veniva alla luce la farsa del condono berlusconiano da 1800 euro, in televisione ha fatto la morale alla sinistra per l'affare Unipol. Ha detto che lui non sta con i banchieri, ma con i risparmiatori. Poteva anche dire "il" risparmiatore e farne il nome: Berlusconi Silvio.
(10 gennaio 2006)
http://tinyurl.com/b78k5
martedì 10 gennaio 2006
Una lunga stagione di sconti per la galassia del Cavaliere
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