venerdì 14 aprile 2006

Il Caimano e le mozzarelle

di Marco Travaglio


Il Caimano c'è: è una brutta bestia, ha sette vite, è risorto un'altra volta dalle sue ceneri. Non c'è la Mortadella, che s'è rivelata una Mozzarella ed è riuscita a resuscitarlo per l'ennesima volta. Quando si vince per meno di 30 mila voti su 30 milioni dopo aver condotto per mesi la campagna elettorale con molti punti di vantaggio, c'è poco da appigliarsi al premio di maggioranza scattato per la Camera. Quando si pareggia contro un centrodestra che ha portato il Paese al più grave disastro della sua storia, c'è poco da recriminare sulla legge elettorale, alias "porcata". Quando al Senato si resta indietro di 300 mila voti e si è costretti a mendicare un voto da un Andreotti e da un Cossiga, c'è poco da sperare in un governo solido e duraturo. Quale che sia la conseguenza tecnico-istituzionale che questo pareggio sortirà nei prossimi giorni e che al momento non possiamo prevedere (questo giornale chiude nella notte tra lunedì 10 e martedì 11 aprile), bisogna onestamente riconoscere che, se il centrodestra è stato bocciato, il centrosinistra non è stato promosso. E farebbe bene a non nascondersi dietro i numeretti e i tecnicismi, ma ad aprire immediatamente un severo e impietoso esame di coscienza. Un governo così indecente, catastrofico e impopolare, dunque così facile da battere, non era mai capitato ad alcuna coalizione in Europa, né probabilmente capiterà mai più. Superarlo di poche migliaia di voti alla Camera e farsene addirittura battere al Senato non è un successo esaltante. E' una magra consolazione, la consolazione dei dannati. L'unico elemento positivo è che Silvio Berlusconi non tornerà a Palazzo Chigi. Per il resto, c'è solo da sperare che il governicchio di Prodi duri il più a lungo possibile. Concentrandosi su pochi obiettivi urgenti, quelli che accomunano le varie anime dell'Unione, e accantonando i temi meno centrali, che la dividono. Circondando Prodi di una scorta umana che lo protegga dalle mire ricattatorie di questo o quel partito. Respingendo le tentazioni di inciucio con l'Udc (il partito di Cuffaro) o addirittura con Berlusconi, il quale non chiede di meglio che sedersi intorno a un tavolo purchessia per "dialogare" e mercanteggiare su qualunque favore in cambio delle solite contropartite giudiziarie e affaristiche. E soprattutto, visto che le prossime elezioni non saranno fra cinque anni ma -temiamo- molto prima, concentrare le energie per una draconiana legge sul conflitto d'interessi. Per evitare di ritrovarci, la prossima volta, il solito uomo solo al telecomando. Intanto, recitare il mea culpa e trarne le conclusioni del caso. Il capitolo delle colpe infatti è piuttosto lungo, quasi quanto le 281 pagine del programma dell'Unione.

1) Mentre il Caimano imperversava in tutt'Italia, su tutti i giornali, su tutte le tv, andando a strappare i voti uno per uno negli angoli più reconditi del Paese, le Mozzarelle si cullavano nella certezza di una vittoria schiacciante (illusi da soloni come il professor Ceccanti, il quale giudicava "matematicamente impossibile" quel pareggio al Senato che puntualmente s'è verificato). Complice il suo monopolio illegale sulle televisioni, la campagna elettorale l'ha fatta il Cavaliere solitario, da solo. Gli altri pensavano ai posti da spartire, alle poltrone da assicurare a mogli, parenti, famigli, amici degli amici.

2) Si sono gettati via molti voti utili, impedendo all'unico valore aggiunto dell'Unione, Romano Prodi, di far fruttare il suo contributo. Al Senato s'è gettata la maggioranza alle ortiche perché il signorino Rutelli ha impedito che anche lì, come alla Camera, si presentasse la lista dell'Ulivo, che alla Camera ha totalizzato molti più consensi della misera sommatoria dei Ds e della Margherita. In entrambe le Camere si sono buttati dalla finestra altre migliaia di voti, sbattendo la porta in faccia alle tante liste civiche che chiedevano soltanto di potersi apparentare alla coalizione: il tutto perché Prodi non ha avuto il coraggio di imporsi e perché i maggiori azionisti della sua alleanza, Ds e Margherita, non volevano rischiare qualche centimetro quadrato del proprio orticello.

3) Si sono pagati prezzi altissimi per inseguire i Pannella e i Capezzone nelle loro bizzarrie, in cambio del modesto 2 e qualcosa per cento della Rosa nel Pugno, il partito tutto mediatico che ha raccolto poco più di quel che avrebbe totalizzato lo Sdi. Si è addirittura corso dietro a nullità come i socialisti di Bobo Craxi, neutralizzando segnali importanti come le candidature di Gerardo D'Ambrosio e Furio Colombo, ignorando offerte di collaborazione di un pezzo importante di intellettualità e società civile, come quello rappresentato da Paolo Sylos Labini, Elio Veltri e Giulietto Chiesa.

4) Ci si è attardati appresso a polemiche ormai sterili sulla legge elettorale-porcata anziché sfruttarla come un'occasione imperdibile per chiamare gli elettori a scegliere i candidati con una grande campagna di primarie, che avrebbe valorizzato e galvanizzato i 4 milioni e mezzo di italiani che erano corsi ai gazebo per "investire" l'aspirante premier.

5 )Si sono così presentate liste a tratti deludenti, a tratti imbarazzanti, con capilista giurassici come Ciriaco De Mita, personaggi inquisiti come Crisafulli in Sicilia e De Luca in Campania, o condannati come Carra della Margherita, o prescritti come De Piccoli della Quercia, escludendo nomi forti come Nando Dalla Chiesa ed esiliando in zone grigie combattenti come Beppe Giulietti.

6) Si è ceduto alla vanità televisiva, assecondando così (con l'eccezione di Prodi) l'ansia di presenzialismo del Cavaliere. Mentre il Professore, giustamente, limitava al minimo le presenze in video per contestare anche visivamente lo scandalo del monopolio in mano al suo avversario, disertando gli studi di Mediaset, gli altri vanesii leader e leaderini facevano a gara a sfidare a duello il Cavaliere, consentendogli di realizzare quel giudizio di Dio, quel referendum pro o contro se stesso che è stato fin dall'inizio lo scopo della sua campagna solitaria.

7) Una tragica sottovalutazione del fattore-tv come vettore di voti, frutto di una vecchia arretratezza culturale e di un'annosa "sindrome da puzza sotto il naso" che porta la sinistra a non comprendere, e dunque a rifiutare uno studio attento delle tecniche di comunicazione televisiva più efficaci. Si pensa che la tv sia un posto da occupare, si piange quando lo occupa il Cavaliere, ma non ci si domanda mai come usarlo quando - sia pure in condizioni di minorità e di impar condicio - se ne dispone. E, soprattutto, si trascura l'effetto devastante della scomparsa dei fatti dalla tv berlusconiana, dell'asservimento dell'informazione con l'espulsione di tutte le voci libere, della sterilizzazione delle notizie e dei temi scomodi. Col risultato di sottoporsi alla demonizzazione berlusconiana a base di accuse false, rinunciando a priori a rispondere con una demonizzazione a base di notizie vere.

8) Gli errori di comunicazione del centrosinistra sono noti, ma solo ora se ne possono apprezzare le devastanti conseguenze nel consentire la rimonta del Cavaliere e nel disperdere il cospicuo vantaggio accumulato per cinque anni fino a due mesi dal voto. Un programma interminabile, verboso e illeggibile. Un messaggio confuso, contraddittorio e cacofonico sul tema cruciale delle tasse, al quale il premier rispondeva regolarmente con un messaggio netto e univoco: il suo. Una squadra di consiglieri e "spin doctor" a dir poco dilettantesca, che non è riuscita a escogitare un solo slogan efficace per dare l'idea del progetto di governo dell'Unione (l'unico messaggio a bucare il video, quello del "cuneo fiscale", non l'ha capito nessuno) o per far sognare la gente. Nemmeno quando è partita la campagna delinquenziale del centrodestra per gabellare il centrosinistra come il governo delle tasse. Il risultato è che Berlusconi era sempre all'attacco, e l'Unione sempre in difesa. Lui la lepre, gli altri gli inseguitori. Lui accusava, loro rispondevano che non era vero. Ma l'agenda la dettava lui per tutti, anche per i suoi trafelati avversari. I quali avrebbero potuto impugnare le bandiere della legalità, della pulizia, della libertà d'informazione, dell'ambiente, insomma di una rivoluzione liberale, invece hanno sprecato il loro tempo a rincorrere la lepre, promettendo moderatismo e continuità a un elettorato ansioso di novità e radicalità.

9) Mentre il Cavaliere s'è concentrato su poche parole d'ordine, rinviando a dopo il voto le fumisterie del partito unico del centrodestra, a sinistra si perdevano energie e tempo prezioso a discettare di Partito Democratico. Un progetto che ricorda sempre più le tragicomiche vicende della "Cosa 2" di dalemiana memoria, visto oltretutto il misero risultato raccolto dai suoi aspiranti fondatori: il deprimente 18 per cento dei Ds, come l'imbarazzante 10 per cento della Margherita, è un ottimo motivo per non riparlarne mai più. E per inventare qualcosa di più appetibile per gli elettori. Magari ripescando l'idea del Grande Ulivo che tante ironie aveva suscitato fra gli strateghi del riformismo senza riforme quando Romano Prodi l'aveva lanciata. Quanti altri fallimenti dovranno collezionare i Fassino e i Rutelli, cioè i grandi sconfitti del 2001, per cedere il passo a qualcuno più vincente di loro? Non dev'essere poi così difficile trovarlo: si parte quasi da zero.

Alla fine dei conti, si ritorna sempre lì: non in piazza Santi Apostoli, ma in piazza Navona. La piazza Navona del febbraio 2002, quando Nanni Moretti, prima di occuparsi dei Caimano, si occupò molto opportunamente delle Mozzarelle. E urlò: "Con questi dirigenti non vinceremo mai". Sarà il caso di replicarlo in tutti i cinema d'Italia, quel film. "Con questi dirigenti non vinceremo mai". Presto o tardi, più presto che tardi, è ora che vadano a casa.


tratto dal n.8 de "la Primavera di Micromega"

1 commento:

Anonimo ha detto...

non ho letto tutto l'articolo, ma di una cosa sono sicuro.... siamo messi male.... anzi malissimo.... speriamo che non capiti a noi quanto successo in argentina o in francia etc etc

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