martedì 2 gennaio 2007

So che Cristo mi dice di lottare per i gay

Per me essere gay cristiano significa costantemente ricordare che la croce è stata strumentalizzata per offendere, discriminare, uccidere milioni di persone, tra cui tante e tanti gay, lesbiche, trans
di Aurelio Mancuso*


Ascolto la messa da casa, prego in solitudine nelle chiese vuote, in un volontario ed orgoglioso militante eremitaggio.

A volte vedo l'abbazia. Ha mura possenti e nude e sovrasta la pianura ai suoi piedi. Se non fosse per la presenza inopportuna di un attiguo ristorante, tutto potrebbe far pensare di ritrovarsi nell'era di mezzo. Ogni volta che ho bisogno di perdonare - e lo faccio con sempre più fatica - l'orrore delle parole pronunciate dalla gerarchia cattolica, penso a questa abbazia, traggo la forza di guardare lucidamente la corte papalina, i troni ingioiellati, i camauri rispolverati per riaffermare domini e interdizioni, che tanti speravano sprofondati nella vergogna dei secoli macchiati del sangue dell'Uomo.

Nella pianura dove sorge l'abbazia, la luce non trova ostacoli, la presenza di Dio non deve fare i conti con le oscure stanze vaticane. Qui Dio è lontano dagli anatemi di Congregazioni incrostate di gemme, rivestite di abbaglianti lamine dorate, pronte a negare il senso profondo della comunione. Sempre più spesso i loro volti mi appaioni quelli di «mummie» incapaci di amare le gioie del corpo, la bontà della sessualità, la fecondità di ogni amore.

Anche i richiami delle tante sorelle e fratelli nella fede, che mi tirano per la giacchetta e mi ricordano che la chiesa è altro, che è possibile trovare spazi di agibilità, mi sembrano insufficienti. Il vanaglorioso ritorno alle tradizioni e ai richiami dottrinali mi coglie indifferente, perché è più forte il dovere di seguire la mia coscienza, di testimoniare là dove è possibile la condivisione, non rinunciando mai alla chiarezza e alla distinzione senza cui si diventa complici. Questa chiesa non è la mia ecclesia, mentre mi sento appieno appartenente al popolo di Dio errante, che ricerca nel mondo.

Da «katholicos» provo pietà nei confronti della difesa ossessiva di privilegi e prerogative temporali scandalosamente blasfemi. Il piccolissimo spiraglio rappresentato dal Concilio Vaticano II è stato ermeticamente otturato dai sogni cesaropapisti di Ratzinger, dalla chiusura del dialogo possibile. Siamo in tante e in tanti a godere della libertà del pensiero, dell'ascolto dell'umanità, della difesa gelosa di una fede che non può essere proclamata come un manifesto politico.

La fede è silenzio, vento caldo e lieve del pneumos, annunciata con umiltà e sobrietà. Per me essere gay cristiano significa costantemente ricordare che la croce è stata strumentalizzata per offendere, discriminare, uccidere milioni di persone, tra cui tante e tanti gay, lesbiche, trans.

Oggi essere di loro, combattere con loro, mi dona il privilegio di rispondere appieno alla chiamata del Cristo che risorge, per gli uomini e le donne di buona volontà.

Quando manifesto in piazza con i miei fratelli e le mie sorelle è come se mi trovassi nella grande pianura dove la luce di Dio non trova ostacoli. E le nostri voci che si levano in alto ci proteggono come le spesse mura dell'abbazia.


*segretario nazionale Arcigay
http://www.gaynews.it/view.php?ID=71731

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