martedì 15 maggio 2007

Transgender tornerà a fare il vigile del fuoco

"Non nasconderò certo la mia natura"
di Carlo Raggi


Il vigile del fuoco transgender, ovvero ’nè uomo nè donna’ deve essere «richiamato al lavoro». Il giudice del lavoro Roberto Riverso ha accolto il ricorso presentato dal legale di Claudio Minguzzi, l’avvocato Luca Berger, e ha dichiarato illegittimo il provvedimento con cui il ministero dell’Interno, il 12 gennaio, ne aveva cancellato il nome dall’elenco dei vigili del fuoco volontari. Il giudice ha anche disposto che il Ministero rifonda le spese sostenute da Minguzzi.

Il provvedimento illegittimo riguarda — è bene sottolinearlo ancora una volta — la cancellazione così come è stata motivata dal Ministero, ovvero per un decreto penale di condanna per oltraggio risalente addirittura a tredici anni fa. Non riguarda affatto, almeno formalmente, invece, la condizione personale di Claudio Minguzzi, ovvero i suoi modelli comportamentali come il presentarsi in servizio in abiti femminili o altre condotte evidenziate dal Comandante provinciale dei vigili del fuoco nelle note inviate a suo tempo al Ministero. Lo scrive a chiare lettere il giudice nella motivazione, di diciannove pagine, sottolineando come «la cancellazione del ricorrente sia avvenuta in realtà per motivi diversi da quelli addotti nell’atto, ovvero per aspetti comportamentali che sono stati tenuti celati sotto le spoglie di una vecchia condanna penale; e che invece avrebbero imposto l’avvio di un regolare procedimento con le dovute garanzie per
l’interessato, come peraltro sotteso all’iniziativa che era stata assunta dal Comando». Come dire che il Comando provinciale aveva sollecitato al Ministero l’avvio di un procedimento disciplinare nei confronti di Minguzzi, sotto l’aspetto comportamentale legato alle sue abitudini di vita, ma invece il Ministero ha ritenuto di prendere la scorciatoia di quel vecchio decreto penale di condanna sulla base, peraltro, di una lettura acritica della legge che prevede la ‘radiazione’, senza procedimento disciplinare, per quei volontari che abbiano riportato condanne penali. Ma tant’è, come motiva il giudice: «Qui non si vuole ovviamente discutere la necessità, per chi aspira a
ricoprire posti in settori della Pubblica amministrazione peculiari per le finalità istituzionali alle quali sono preposti, di comportarsi in modo adeguato e di dover possedere qualità morali e comportamentali che possono essere richieste, pur nel rispettio della vita privata, all’aspirante pubblico dipendente e prescindendo da qualsivoglia concezione formale del cosiddetto prestigio della Pubblica amministrazione». A confermare quindi, e non poteva non essere così, che se dovessero sussistere le condizioni segnalate a suo tempo al Ministero, ma non prese in considerazione, relative a «problemi creati per la propria e altrui sicurezza», ad «affidabilità del soggetto», a «comportamento non consono», a «mancanza di senso dell’onore e di senso morale», ad «uso non appropriato della divisa», bene il Ministero potrà avviare procedimento disciplinare e adottare i provvedimenti che riterrà opportuni.

Ma è altrettanto chiaro che il giudice del lavoro non poteva non accogliere il ricorso, perchè «qui si contesta» che «la mancanza di requisiti morali e di condotta pur necessari possa essere desunta in via assiomatica sulla scorta di una condanna penale per un fatto lieve, avulso dall’attività di lavoro (Minguzzi, al telefono, parlando con un funzionario della Prefettura disse: ‘Mi sono rotto i c...’ ndr) e che non spiega riflessi sul rapporto». E va aggiunto che secondo il Ministero quel vecchio decreto penale di condanna a 968 euro, dovrebbe valere «ora per allora, nell’ambito di un rapporto» di lavoro saltuario «che perdura da 24 anni». Se così fosse «non pochi lavoratori potrebbero temere di perdere domani il psoto di lavoro con gravi rischi per la certezza del diritto». Una condanna per un fatto, l’oltraggio, che ora non è neppure più previsto come reato e che, derivando da un decreto penale, è stata adottata senza garanzie del contraddittorio, ma come semplice adempimento burocratico. Oltre metà della motivazione è dedicata dal giudice Riverso agli aspetti relativi alla giurisdizione.

«Se c’è strumentalità, poi trionfa la legalità» commenta il vigile ‘transgender’. «Adesso potrò finalmente tornare a fare il vigile del fuoco e non nasconderò certo la mia natura, il modo di ascoltare il mio corpo: confido che questo non costituisca motivo per un procedimento disciplinare».


http://www.gaynews.it/view.php?ID=73787

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