venerdì 29 ottobre 2004

Il destino di un popolo

di Romano Prodi

L'IDEA della Costituzione europea è indissolubilmente legata nella mia memoria al ricordo della notte di Nizza. O dovrei meglio dire della mattina, perché ormai albeggiava quando finalmente, il 10 dicembre del 2000, dopo 48 ore di negoziati interminabili e insoddisfacenti, i capi di governo si misero d'accordo sul testo del Trattato che dal vertice di Nizza ha preso il nome.

Nessuno era soddisfatto. E a ragione. Si poteva capire fin da allora che il macchinoso compromesso faticosamente raggiunto non sarebbe bastato per garantire il funzionamento dell'Europa allargata che per me, come presidente della Commissione, era l'obiettivo primario.

Fu allora, in un clima di stanchezza e di nervosismo generale, che proposi di convocare una Convenzione per la revisione dei Trattati: una sorta di assemblea costituente aperta alla partecipazione del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali. Un organo democratico che ponesse fine agli estenuanti e inconcludenti minuetti diplomatici delle conferenze intergovernative che avevano preceduto i trattati di Amsterdam e di Nizza.

All'inizio, come spesso è successo in questi cinque anni, la mia proposta fu accolta con freddezza se non con aperto scetticismo. Ma poi, a poco a poco, l'idea si fece strada e si impose contro la logica burocratica delle diplomazie. E un anno dopo, al vertice di Laeken, si arrivò al varo della Convenzione presieduta da Giscard d'Estaing, da Giuliano Amato e da Jean-Luc Dehaene che è all'origine del Trattato costituzionale di Roma.

Va detto subito che la nuova Costituzione rappresenta un passo avanti importante per l'Europa, anche se non così importante come io avrei sperato e come avevo prefigurato con "Penelope", la bozza di proposte presentata dalla Commissione che è servita come base e come stimolo per il lavoro della Convenzione. Sono almeno cinque i punti salienti che rappresentano un grosso fattore di novità.

1) Il fatto che l'Unione Europea sarà dotata finalmente di una personalità giuridica internazionale, pari a quella degli stati nazionali. Potrà cioè firmare trattati e convenzioni ed essere rappresentata negli organismi internazionali.

2) L'integrazione nel testo del Trattato costituzionale della Carta dei diritti, i cui principi avranno dunque un valore vincolante superiore a quella della legislazione dei singoli stati membri.

3) La creazione di un ministro degli esteri, che darà finalmente una voce all'Europa sulla scena diplomatica mondiale. E la fine della rotazione semestrale delle presidenze con la nomina di un presidente del Consiglio europeo che resterà in carica per due anni e mezzo.

4) L'estensione delle materie su cui si potrà decidere con un voto a maggioranza, e su cui il Parlamento europeo avrà un potere di codecisione. In questo campo, purtroppo, i progressi non sono stati sufficienti, specialmente per quanto riguarda i settori della politica estera e del coordinamento delle politiche economiche. Ma si è ottenuto il massimo che si poteva. E un passo avanti, sia pure modesto, è comunque benvenuto. Una maggiore integrazione sarà possibile tra coloro che lo vorranno con il meccanismo delle cooperazioni rafforzate.

5) La semplificazione e la riunificazione dei testi giuridici in un testo unico ce renderà i Trattati finalmente comprensibili anche ai normali cittadini.
Se tutto questo basta e avanza per considerare la Costituzione come un fatto di grande importanza per il futuro dell'Europa, tengo a sottolineare almeno due punti, oltre all'insufficiente estensione del voto a maggioranza, che io consideravo essenziali e che purtroppo non sono sopravvissuti al tiro incrociato dei governi nazionali, in particolare di quello britannico.

Il primo riguarda lo scorporo dal testo del trattato di tutta la parte di regolamento, che avremmo così in futuro potuto modificare con procedura normale, senza dover ricorrere ogni volta all'iter complesso e difficile di una revisione costituzionale.

Il secondo punto debole del nuovo Trattato costituzionale, e che rischia ora di diventare motivo di crisi politica, è la possibilità di modificarlo solo all'unanimità. Qualsiasi costituzione democratica si può modificare con una maggioranza predefinita. Nel progetto "Penelope" noi suggerivamo una maggioranza superqualificata di quattro quinti degli Stati membri. Questo Trattato, invece, deve essere approvato e può essere modificato solo all'unanimità. Il che dà a qualsiasi stato membro un diritto di veto sul futuro degli altri.

Il problema, come ha sottolineato anche recentemente Mario Monti, rischia purtroppo di porsi già nei prossimi mesi: basta infatti che uno dei Ventinque membri dell'Unione non ratifichi il Trattato, e la nuova Costituzione non potrà entrare in vigore.

E' una situazione che io considero inaccettabile. La Costituzione che firmeremo dopodomani a Roma è il frutto di un lavoro di anni che ha coinvolto governi nazionali, Parlamento europeo, parlamenti nazionali, Commissione e che sarà ora sottoposto al voto di decine di milioni di cittadini. Su scala europea, questo voto sarà indubbiamente favorevole. Se il qualche Paese, come è possibile, dovesse prevalere un giudizio negativo, questo non può e non deve distruggere il diritto degli altri ad andare avanti lungo la strada comunemente accettata.

E' assolutamente necessario, e in questo concordo pienamente con la proposta di Monti, che chi sceglierà di dire no alla Costituzione ne tragga le conseguenze e accetti di farsi da parte per consentire agli altri di andare avanti. L'Unione non è un impero e non è una prigione, ma il risultato della libera scelta di un futuro comune. Se qualcuno non vuol condividere questo futuro, deve poterlo fare. Ma deve anche trarre le conseguenze della propria decisione e uscire dall'Unione per non costringere tutti gli altri a vivere imprigionati in vecchie regole ormai superate.

(28 ottobre 2004)

http://www.repubblica.it/2004/j/sezioni/esteri/dossiercost/destino/destino.html

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